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Autore: determamfidd    06/09/2015    1 recensioni
La battaglia era finita, e Thorin Scudodiquercia si svegliò, nudo e tremante, nelle Sale dei suoi Antenati.
La novità di essere morto sparisce in fretta, e osservare i propri compagni presto lo riempie di dolore e senso di colpa. Stranamente, un debole barlume di speranza si alza nella forma del suo parente più giovane, un Nano della linea di Durin con dei capelli rosso intenso.
(Segue la storia della Guerra dell'Anello)
(Bagginshield, Gimli/Legolas) Nella quale ci vuole tempo per guarire, i membri morti della Compagnia iniziano a guardare Gimli come se fosse una soap opera, Legolas è confuso, il Khuzdul viene abusato, e Thorin è quattro piedi e dieci pollici di sensi di colpa e rabbia.
[Traduzione]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gimli, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Questo non è un viaggio adatto a te» disse Théoden, di certo con gentilezza, ma fermamente «Tu hai un cuore grande, Mastro Merry, ma una bassa statura. Andiamo verso una battaglia senza speranza, e proteggerti porterebbe via la mia mente e la mia spada dal massacro. No, tu rimarrai qui ed aiuterai mia nipote a proteggere Edoras.»

«Perché?» urlò Merry, e la sua mascella era spinta in fuori in modo battagliero. Ori aveva già visto un'espressione simile su uno Hobbit, e istintivamente fece un passo indietro. «Perché mi hai accettato come scudiero se non mi vuoi al tuo fianco? E non voglio che più tardi le storie narrino che sono sempre stato lasciato indietro!»

«Ti ho accolto per metterti al sicuro e al riparo» disse il Re, e si inginocchiò davanti allo Hobbit irato e fece un sospiro triste, prima di mettere la mano sulla spalla di Merry e stringerla «Se le battaglie avvenissero innanzi ai miei cancelli, forse le tue gesta sarebbero cantate dai menestrelli; ma Gondor è troppo lontana per le gambe di un pony, anche uno robusto come Stybba.»

Lo sguardo di Merry si indurì, gli occhi lucidi ed enormi.

Ori morse la sua sciarpa. «Occhioni Hobbit» borbottò.

«Shândabi» disse Bifur, e dolcemente tirò via la sciarpa dai denti di Ori «Sfilaccerai la lana se fai così.»

Théoden chinò la testa. «Mi dispiace, mio piccolo amico.»

Merry si inchinò rigidamente. «Mio signore» disse, e la sua voce normalmente allegra era dura. Poi scappò via tanto in fretta che Ori e Bifur quasi persero vista di lui. Gli Hobbit sapevano muoversi molto più in fretta e silenziosamente che tutti quei Cavalieri rumorosi.

«Non ha del tutto torto» ansimò Ori, arricciando il naso mentre si chinavano e infilavano fra gli Uomini dal passo ampio e i cavalli dalle lunghe gambe «Gli Hobbit non sono proprio dei guerrieri...»

«Nemmeno noi» gli ricordò Bifur.

«Anche questo è vero. Ah, eccolo!» Ori si raddrizzò, vedendo Merry, e poi iniziò a tirarsi i guanti mentre le sue spalle si abbassavano immediatamente «Oh, poveraccio.»

Perché Merry stava guardando la marea di persone con occhi infelici, fissava i ranghi dei cavalieri e le tende che venivano sistemate mentre i Cavalieri si preparavano per la partenza. La miseria era scritta su ogni linea del suo corpo. «Tutto solo ora» mormorò, e poi tirò fuori la sua corta spada e ne guardò il filo dritto e luccicante «Non ho alcuna utilità se non come peso, suppongo.»

«Non dovresti sfoderare la tua lama se non desideri usarla» disse una bassa voce, e Merry squittì e si voltò di scatto, la spada tenuta bassa come Boromir gli aveva con molte fatiche insegnato.

«Pace, piccolo guerriero!» rise un Cavaliere dalla voce bassa; una figura alta vestita di pelli e dal mantello verde «Abbassa le armi: non intendo farti del male. Tu desideri andare là dove sta andando il Signore del Mark: te lo leggo sul tuo viso.»

Merry deglutì. «Io... voglio combattere» disse semplicemente «Sì, voglio andare, anche se non ho idea di che cosa potrei fare di utile.»

«Dove vi è la volontà, nulla è impossibile, si dice da noi» disse il Cavaliere «Ti porterò sul mio cavallo, nascosto sotto il mio manto. Tanta buona volontà non deve essere scoraggiata.»

La bocca di Merry si spalancò. «Oh!» disse, e poi rimise la propria espressione sotto controllo «Ti ringrazio, signore, di cui non conosco il nome.»

«Non lo conosci?» disse piano il Cavaliere «Allora chiamami Dernhelm.»

Merry si mise l'elmo sulla testa e allungò un braccio verso il Cavaliere, che lo afferrò e si tirò in sella lo Hobbit. «Allora, Dernhelm, io sono in debito con te.»

«Con un tale coraggio per amore di Re Théoden, il debito è saldato» disse Dernhelm, e girò il grande cavallo grigio sotto di loro per unirsi agli altri.

«Uh-oh» disse Ori.

«Shândabi» disse Bifur.

«L'hai riconosciuta, allora?» disse Ori, allungando il collo per guardare Bifur.

«Sono abbastanza meravigliato che Merry non l'abbia riconosciuta, onestamente» disse Bifur.

«Oooooh, Frerin non ne sarà felice per niente» disse Ori, e seppellì il volto nella spalla di Bifur «Nemmeno Thorin. Nemmeno nessuno. Gli Hobbit non sono esattamente fortunati in battaglia.»

Bifur giocherellò con una ciocca dei capelli di Ori pensandoci, e poi fece un gemito. «Shândabi» disse, e gemette ricordandosi.

Guardarono Merry ed Éowyn che sparivano nel mare di cavalli, e sospirarono all'unisono.

«Nessuno sa che stanno andando anche loro, sbaglio vero?» disse Ori, anche se la sua voce non aveva molta speranza «Qualcuno?»

«Ne dubito» disse Bifur.

«Beh, cavolo» disse Ori.

«Shândabi» disse Bifur, con sentimento.


Il terrore era pesante nell'aria: spessa e densa come fumo. Thorin si spinse attraverso il buio e i tirò vicino suo fratello. La paura gli raspava nei polmoni col respiro, e i suoi piedi si muovevano sul sentiero mentre seguiva la sua stella.

Sussurri infiniti fluttuavano nella ferma, soffocante oscurità, le parole non chiare e appena fuori portata d'udito. Le orecchie di Thorin gli pizzicavano con ogni sillaba mezzo udita e liquido sibilo, e la sua pelle si accapponava. La mano di Frerin stringeva forte la sua, il suo respiro irregolare era forte nelle loro orecchie. Il buio che li avvolgeva era persino più scuro di quello di Moria.

A Thorin sembrava quasi di stare ancora attraversando la terra solida.

Solo il rumore di pesanti, insicuri passi davanti a lui rassicurava Thorin che Gimli davvero faceva strada, al seguito della Grigia Compagnia.

Improvvisamente vi fu il sibilo sputacchiante di una torcia, e il volto di Aragorn fu gettato in una luce tremante mentre alzava un sottile tizzone. «Statemi vicini» disse piano «Non sappiamo cosa troveremo» passò la torcia ad Elladan, e ne accese un'altra per sé e la alzò.

Erano arrivati in una caverna di fredda roccia grigia, e le mura si erano allontanate tanto che pareva fluttuassero senza supporto sotto la terra.

«La pietra è malata» sussurrò Frerin «E anch'io mi sento male.»

«Aye» mormorò Thorin in risposta «I morti sono vissuti qui, senza sonno, per un'Era. La pietra stessa deve desiderare riposo.»

Qualcosa brillò nel buio alla loro sinistra, e Aragorn passò la torcia nella sua mano sinistra e sfoderò Andúril avvicinandosi per vedere.

La bocca di Gimli si strinse mentre deglutiva, e le sue asce erano pronte nelle sue mani. Su ciò che si poteva vedere del suo volto era stato gettato in un'ombra nera, e le sue pupille erano quasi nere per il terrore. «Non conosce dunque la paura?» disse, la voce strozzata e ruvida «In qualsiasi altra caverna Gimli figlio di Glóin sarebbe stato il primo ad accorrere allo scintillare dell'oro. Ma non qui! Che rimanga pure dov'è!»

«Forza» sussurrò Frerin, e la sua piccola mano si serrò su quella di Thorin.

Thorin si fece forza per l'aspettata ondata di senso di colpa al sentir parlare d'oro, ma la sua paura aveva congelato tutto il senso di colpa in questo luogo orrendo. «Come se potessi richiamare la mia follia in questa tomba gelida» borbottò.

Strane forme inquietanti brillarono alla luce della torcia di Aragorn, e presero forma quando l'Uomo si avvicinò. Era uno scheletro, e giaceva su una grande porta chiusa, le dita ancora allungate verso di essa in una supplica contorta, artigliando le crepe. Aragorn si inginocchiò per guardare i sigilli dorati sull'elmo polveroso, e poi scosse la testa e si alzò. «Ecco la porta che lui non poté superare» disse, quasi a se stesso, prima di alzare la voce e urlare nella grande caverna «Ma noi non tenteremo. Tenete nascosti i vostri segreti e i vostri tesori degli Anni Maledetti! Rispondete solo alle nostre domande. Lasciateci passare e poi seguiteci! Vi convoco alla Roccia di Erech!»

Non vi fu risposta, e poi un vento attraversò i tunnel dietro di loro per entrare nella caverna e far tremare le torce. Le fiamme sputacchiarono, e poi morirono. L'ultima cosa che vide Thorin fu il bianco degli occhi di Legolas.

«Non si riaccendono!» urlò Elladan.

«Accendetele!» urlò Gimli, e il grido venne ripetuto da molti dei Dúnedain «Accendete quelle dannate torce!»

«Qua!» urlò Aragorn «Qua, miei amici e congiunti! Seguite la mia voce!»

«Guarda!» Frerin disse improvvisamente, e la sua voce era quasi uno strillo «Le mura! Le mura!»

Perché avevano iniziato a brillare di una malata luce verdognola. Non era la strana luminescenza delle alghe di caverna, né il debole luccichio dei vermi brillanti. Entrambe le luci erano familiari per i Nani come il suono di un martello. Questa luce fece sì che il terrore congelante nel petto di Thorin interrompesse il ritmo folle del suo cuore. Perché vi erano dentro delle forme: grandi edifici a pilastri e facciate ornate, eleganti colonnati e vie e una grande e aggraziato palazzo. Tutto ciò emanava una sensazione di sbagliato. Intanto, la luce verde pulsava e tremava. Thorin sentì la bile nella gola. La carne della sua schiena pizzicava e rabbrividiva.

«Io vi convoco!» urlò ancora Aragorn, e si girò in cerchio con la torcia spenta alzata e Andúril che gli brillava davanti «Vi convoco alla Roccia di Erech!»

I cavalli sgropparono e si impennarono tutti allo stesso tempo e la Grigia Compagnia dovette tranquillizzarli. Halbarad dovette tenere la mano davanti agli occhi del suo destriero e sussurrargli all'orecchio, il suo volto duro si addolcì leggermente mentre parlava piano nelle orecchie appiattite. I signori Mezzelfi stavano accarezzando i musi e mormoravano liquide parole Elfiche ai loro cavalli, ed Elrohir si era avvolto le redini di Brego attorno al polso. Le spalle di Arod tremavano visibilmente, ma lui rimase dietro a Legolas anche se i suoi occhi roteavano e le narici erano dilatate al massimo mentre respirava duramente.

«Cosa gli succede?» chiese Frerin.

«Chi entra nei miei domini?»

Legolas aveva incoccato una freccia più in fretta di quanto l'occhio potesse seguire, ma non c'era nulla su cui tirarla. La voce era venuta dal nulla.

Le mani di Gimli stavano tremando sulle sue asce. «Chi nel benedetto nome di Mahal era quello» sussurrò terrorizzato.

«I morti» disse piano Legolas «Sono venuti.»

«Uno che avrà la vostra lealtà» disse Aragorn orgogliosamente, e alzò il mento. Indossava ancora le pelli lacere di un Ramingo, e i suoi capelli erano unti e il suo volto sporco e rovinato, ma qualcosa della nobiltà degli Argonath era entrato nella sua espressione e lui la vestiva bene.

E poi un'apparizione apparve dinnanzi a loro: uno spettro di carne cadente e marci occhi bianchi, avvolto dalla malata luce verde e con una corona d'ossa sulla testa. «I Morti non consentono ai vivi di passare» disse, e si poteva vedere il suo teschio che si muoveva e scivolava sotto i muscoli esposti della sua guancia.

«Invece lo consentirai a me» disse Aragorn. Non era una sfida. Era solo un'affermazione di ciò che sarebbe avvenuto in futuro.

Il Re iniziò a ridere, e il suono riverberò per la caverna finché il corpo stesso di Thorin parve tremarvi. Poi iniziò a muoversi verso il piccolo gruppo di viaggiatori in grigio, e l'orrenda luce morta brillava attorno al suo ghigno. «La via è chiusa. Fu creata da coloro che sono morti. E i Morti la custodiscono.»

«Thorin!» strillò Frerin, perché tutto attorno a loro davanti alle casa della città innaturale era apparso un esercito di grotteschi incubi: di Uomini mezzo formati coi volti in vari stadi di decomposizione, le braccia poco più che ossa e le labbra marce che si staccavano dai denti ghignanti.

«Fatti forza!» abbaiò Thorin, e strinse suo fratello più strettamente che poteva al suo fianco «Fatti forza, nadad!»

«La via è chiusa» disse il Re, e ghignò il suo ghigno da teschio «Ora devi morire.»

Legolas lasciò partire una freccia, ed essa volò attraverso il fantasma senza ferirlo.

«Inutile» disse Gimli «Questi bastardi non moriranno ora che sono già morti!»

Aragorn rimase fermo mentre i morti gli si avvicinavano, avvolgendolo come un mare putrefacente. Solo il tremito della sua mascella rivelò il suo fastidio mentre il Re dei Morti alzava la sua antica spada verde e la faceva cadere su di lui.

Il clang delle lame che si incontravano risuonò per la caverna.

Aragorn sorrise cupamente sopra alla forma brillante di Andúril.

«Quella lama fu spezzata!» sibilò il Re, e Aragorn si allungò verso quel puzzolente collo distrutto e lo prese nel suo pugno.

«È stata ricostruita» ringhiò, prima di lanciare indietro lo spettro nella massa dei suoi seguaci non morti.

Il mare ansioso dei Morti si fermò, e il Re si raddrizzò per guardare Aragorn con interesse e strana fascinazione. «Combattete per noi, e riacquistate il vostro onore» disse Aragorn, e alzò Andúril all'orda davanti a lui «Cosa rispondete?»

«Ah! Sprechi tempo, Aragorn. Non avevano onore da vivi, e non lo hanno ora che sono morti» borbottò Gimli.

Frerin si accigliò per un momento. «Mi chiedo...»

Thorin lo guardò per un istante, ma la sua attenzione era diretta alla vista di Aragorn che attraversava i ranghi dei guerrieri morti vestiti di un'antica armatura. La sua lunga giacca gli svolazzò ai lati, e i suoi capelli erano fradici di sudore freddo. Non sembrava per nulla una figura di leggenda, eppure lo era completamente allo stesso tempo.

«Nessuno tranne il Re di Gondor può comandarmi» ringhiò il Re delle Ombre.

«Tu guardi Aragorn, figlio di Arathorn» disse Aragorn, e poi fece un respiro profondo e raddrizzò le spalle «Io sono Elessar, l'erede di Isildur di Gondor. Combattete per me, e riterrò rispettato il vostro giuramento.»

«Lo sta facendo davvero» sussurrò Frerin «Accetterà finalmente il suo posto e il suo nome.»

«Fai onore al tuo giuramento a Boromir» disse Thorin, e qualcosa si rilassò dentro di lui. Anche se non desiderava afferrare questi fili del destino, Aragorn stava onorando la sua promessa al suo amico. L'amata città di Boromir avrebbe avuto il suo Re.

Il Re dei Morti fissò Aragorn coi suoi occhi vitrei, e poi l'esercito d'ombra iniziò a svanire. La strana luce tremò e svanì e gli edifici affondarono nuovamente nella pietra mentre Gimli si voltava per guardarli. «Alzatevi, traditori!» ruggì, ma la bianchezza delle sue nocche attorno alla sua ascia tradiva il suo terrore.

«Cosa rispondete?» urlò Aragorn, saltando in avanti, ma il Re dei Morti e tutti i suoi simili erano andati, e solo l'eco gli rispose.

«Aragorn, sono andati» disse Halbarad. Persino la sua espressione cupa sembrava scossa.

«Sono stati convocati» rispose Aragorn, il volto duro e sicuro «Alla Roccia di Erech.»

«Manterranno la parola?» chiese Gimli.

«Vedremo» disse Legolas, e mise una mano sul naso morbido di Arod. Il cavallo nitrì nervosamente e la sua pelle tremava come se mille mosche si fossero posate sulla sua groppa.

«Un miracolo che nessuno di questi animali sia scappato o abbia scalciato finora» Thorin scosse la testa incredulo, e Legolas si accigliò.

«Hai sentito qualcosa?»

«La roccia sotto di noi geme e prega di essere liberata» disse Gimli, e si strofinò la bocca intorpidita «Questo posto è più malato di qualsiasi cosa io abbia mai visto. È avvelenato: completamente marcio! Nemmeno la presenza del Balrog era parsa tanto sporca!»

Il sibilo rasposo di qualcosa senza nome fu portato loro da un'altra folata di vento, e Gimli urlò e cadde in ginocchio.

«Gimli!» disse Legolas, e tirò in piedi il Nano «Sii forte!»

«Ah, girdîn, girdînel, gerdar! Dovrò strisciare per seguire Aragorn?» borbottò Gimli sottovoce «Ora la strada è veramente oscura: io non mi mostrerò privo di lealtà, continuerò il mio viaggio. Se solo i miei piedi potessero portarmi!»

«Coraggio, meleth nín» disse Legolas, e il suo collo si piegò come se volesse posare la guancia sui capelli follemente annodati di Gimli.

«Coraggio, mia stella» ripeté Thorin.

«Aragorn! Ora cosa? Dobbiamo uscire» disse Halbarad.

«Qui c'è un tunnel!» disse Elladan, e Aragorn annuì, prima di far cenno al Signore Elfico di far strada. L'altro gemello, Elrohir, guardò ancora Legolas e Gimli e un'espressione strana e vagamente confusa attraversò brevemente il suo volto, anche se non sembrava una di disprezzo.

«Aye, hai sentito qualcosa» disse Gimli brusco mentre seguivano la Grigia Compagnia. Elladan e Aragorn erano in testa, le torce basse e tremanti, che lanciavano ombre inquietanti sulle mura del tunnel.

«Ah, anche loro sono qui?» mormorò Legolas «Di certo questo luogo è troppo affollato perché vi sia spazio per altri morti.»

Gimli fece una piccola risata, e guardò su verso Legolas e incrociò il suo sguardo. Vi fu un breve momento nell'oscurità in cui il Nano e l'Elfo si limitarono a guardarsi a vicenda, e poi Gimli disse asciutto: «questo veramente non è un gran conforto. Ma ti ringrazio lo stesso per il pensiero.»

«Non vedo né percepisco gli spiriti di quegli Uomini senza fede» disse Thorin a Gimli «Loro non condividono la nostra mezza luce, sembra. La loro è una maledizione che non ha sollievo» poi incrociò le braccia «Diglielo, mia stella. Digli che lo ami, e cessa questa danza snervante!»

«Non sei di aiuto» borbottò Gimli. I movimenti della sua gola tradivano il suo costante terrore. «Il mio Re non vede i maledetti. È come se si fossero sciolti nella loro pietra avvelenata.»

«Non vuol dire che non stiano seguendo» disse Thorin, guardando l'oscurità come se il suo sguardo truce potesse obbligarla a rivelargli i suoi segreti. Poi fissò nuovamente Gimli. «Diglielo!»

«Ah!» disse Gimli, e il suo corpo tremava come una foglia, le spalle tese come se stessero subendo colpi invisibili «Sarò distrutto dal terrore; non posso continuare. Striscerò per terra come una bestia prima che sia tutto finito» la sua voce tremò sulle ultime parole «Mio Signore, mi servi. Mi serve il tuo aiuto. Non rendere tutto più difficile di quanto non lo sia già per me.»

Frerin pizzicò forte il braccio di Thorin. «Davvero, nadad» borbottò «Il tuo tempismo è ancora pessimo.»

«Sento i passi dei piedi d'ombra dietro di noi» disse Elrohir, e gli occhi di Gimli si serrarono per un momento.

«Gimli, gerich 'ûn sui raw, estelion allen» disse piano Legolas «Io sono qui, meleth nín.»

«Perché non hai paura?» esclamò Gimli, e staccò una mano dall'ascia per asciugarsi bruscamente la fronte fradicia «C'è un gelido senso di orrore tutto attorno a noi. La morte è ovunque qui, non lo percepisci?»

«Qualsiasi sarà la mia fine» disse Legolas. La sua voce era lontana – distante – ma la sua mano si mise sulla spalla di Gimli. «io non la temerò né la rimpiangerò.»

«Come fai a dirlo?» chiese Gimli, e le sue dita robuste corsero alla sua spalla per afferrare la mano di Legolas e stringerla «Dovresti vivere per sempre! Perché rassegnarti a una simile fine, una non destinata ad un Elfo?»

Legolas sorrise nell'oscurità, anche se non vi era gioia. «Un tempo, sì. Ora? Ora la mia fine potrà venire presto o tardi, ma di certo verrà.»

«Potremmo ancora vedere la fine di questa guerra» disse Gimli «Legolas, non puoi dar così poca importanza alla tua vita! Non disperare!»

L'Elfo batté le palpebre, e poi rise sottovoce. «Ti è sembrato che io abbia detto così?»

Gimli si limitò a fissarlo, il petto che si alzava e si abbassava rapidamente.

«Scusami, amico mio» Legolas chinò la testa «Non era questo ciò che intendevo.»

Thorin si accigliò. «Allora cosa intendeva?»

«Ma tu, Gimli, non lasciare che questa paura di controlli!» stava dicendo Legolas, e scosse gentilmente la spalla di Gimli «Sei stato fermo davanti a vittorie impossibili e hai riso – hai affrontato più e più volte la morte, e mai hai esitato. Ora perché vorresti scappare?»

«Non ho paura della morte, sciocco Elfo» borbottò Gimli, e si strofinò ancora la fronte sudata. Dietro di lui, Arod nitrì piano. I suoi zoccoli creavano eco nel tunnel. Il rumore del movimento di piedi scheletrici si poteva a malapena sentire. «I miei parenti sono la prova che mi aspetterà un benvenuto. No – no, ho paura di morire. C'è una differenza, ragazzo.»

«Oh» disse Frerin, un'espressione di comprensione sul volto. Thorin strinse gli occhi guardandolo.

«Cosa vuol dire?»

Frerin tirò la manica di Thorin. «Penso di saperlo» sussurrò «Thorin, quello che ha detto Aragorn...»

Ghiaccio freddo scese lungo la schiena di Thorin. «No» disse «No.»

Frerin si piegò in avanti a iniziò a parlare molto in fretta e molto piano. «Ricordi, Aragorn ha detto che gli Elfi possono morire per un cuore spezzato? Ebbene, questi due idioti hanno paura della stessa cosa! Legolas pensa che morirà per il suo desiderio non corrisposto – tutto il “mi-sdraio-e-muoio” - e quindi non gli importa cosa gli succederà ora perché crede di essere già condannato. Ma Gimli ha paura che quando morirà, in battaglia o per l'età, allora Legolas morirà a sua volta per il dolore. Che è il motivo per cui non ha parlato, dopotutto: pensa che se non permette a Legolas di amarlo potrà riuscire a tenere in vita Legolas» poi esitò «Che non funzione in ogni caso, sembra, se Legolas pensa che morirà dal desiderio senza averlo nemmeno baciato...»

Si interruppe davanti all'improvviso e minaccioso silenzio di Thorin.

Thorin fissò suo fratello. Poi disse, in modo molto piatto e tranquillo: «intendi dirmi che questa coppia di imbecilli sta alla fine causando la cosa che temono grazie alla loro idiozia

Frerin fece un sorrisetto nervoso. «Eh...»

«Lalâkh!» esplose Thorin «Lalâkhel! Oh, sei davvero un nobile figlio della linea di Durin – enorme deficiente!»

«Beh, tu non hai nemmeno riconosciuto il tuo quando l'hai visto!» rispose immediatamente Gimli, la voce ruvida e tesa per la paura. Thorin si gonfiò di rabbia e si preparò per un'altra predica alla sua idiota, altruistica, cocciuta stella, quando -

«L'ho sentito» disse Legolas, gli occhi molto larghi.

«Cosa?» dissero Gimli e Thorin e Frerin all'unisono.

«Ho sentito una voce, una voce rabbiosa, una che non sento da ottant'anni» disse Legolas «Ha parlato nella lingua segreta dei Nani, e... e ti ha chiamato deficiente?» il suo naso si storse.

Frerin gemette e si prese la testa fra le mani. «Oh, Thorin.»

Legolas guardò Gimli. «Non mi sbaglio, vero?»

Gimli guardò Legolas per un momento, il volto esangue e pallido nella luce morente delle torce. «No, non ti sbagli, ragazzo» disse. Poi il suo respiro gli si mozzò quando comprese, e iniziò a pregare: «mio Signore, mio Signore – no.»

Thorin si raddrizzò, e guardò direttamente Legolas. Una vecchia, debole voce nel suo stomaco iniziò a urlare: ma è un Elfo! È il figlio di Thranduil! Ha preso la tua arma dalla tua mano, puntato una freccia fra i tuoi occhi, chiamato la tua coraggiosa stella simile a un orco, ti ha chiuso in una cella!

Ma una voce più vecchia, saggia e calma ora affogava quegli antichi, patetici odi, e Thorin poteva vedere Legolas, quello che si era messo in mezzo fra Gimli e Éomer; Legolas, quello che aveva aiutato un Nano morente nei campi di Lothlórien; Legolas, quello che aveva un tempo, brevemente, salvato la sua vita.

«Salute, Legolas Thranduilion» disse, e inclinò la testa. Dietro di sé, sentì il brusco respiro di Frerin. «Avevi giurato di non ferirlo mai con la tua mano, parola o azione, e ti sei mostrato onesto come l'acciaio. Hai la mia gratitudine.»

Gimli fece un piccolo suono disperato e si voltò.

«Salute, Thorin figlio di Thráin» disse Legolas, la voce debole, e poi si raddrizzò i suoi luminosi occhi Elfici andarono alla Grigia Compagnia poco avanti.

«Non se ne sono accorti» disse Frerin, guardandoli «Non credo possano sentirci, tanto lontano. E poi, l'aria è piena di strani sussurri.»

«Porta qui gli altri» gli mormorò Thorin.

Frerin lo guardò seriamente, e gli tirò una delle trecce. «Attento alla tua rabbia.»

Thorin agitò una mano. «Sì, sì, sarò forte. Portali qui, e anche la mia spada. Digli di armarsi. Potremmo ancora dover affrontare questo esercito tra la vita e la morte, e vorrei che fossimo preparati» Frerin annuì e sparì in un lampo di luce stellare.

«Ora, mio fratello è andato, e potrò parlare liberamente» disse Thorin, e raggiunse l'Elfo e il Nano che camminavano nei tunnel claustrofobici.

«Per favore» disse Gimli, piano «Ti prego, mio Signore, non – Melhekhel, ikhuzh!»

«Continuate» gli disse Thorin «Parlerò mentre camminiamo.»

«Te ne prego-»

«No, mia stella, calmati» disse Thorin, con tutta la gentilezza possibile «Non parlerò di ciò che è tuo compito dire.»

Gimli esalò. «Ah.»

«Ho però qualcosa da dire a questo Elfo»

Legolas parve molto, molto più disturbato dal sentire Thorin che dal vedere i morti disonorati. Si irrigidì, sospettoso. «A me?»

«Aye» disse Thorin, e in lui lottarono divertimento e frustrazione. Era così che si era sentita la sua Compagnia, osservando lui e Bilbo tutti quegli anni prima? Inteneriti, eppure ragionando su come meglio picchiare insieme i loro crani?

Non pensare a Bilbo si disse severamente. Intrecciò le dita dietro alla sua schiena e guardò la Compagnia avanti, a un po' di distanza nel tunnel. I pesanti passi di Gimli erano diventati esitanti e spaventati, e le leggere scarpe di pelle di Legolas erano a malapena udibili mentre attraversavano il buio sussurrante e appiccicoso al seguito delle torce. «Mi ascolterai?»

«Sto ascoltando» disse Legolas. Il suo volto era fermo e inespressivo e orgoglioso, ma Thorin ora sapeva che non era perché non provava nulla. «Ascolterò le tue parole.»

«Molto ho imparato in ottant'anni, figlio di Thranduil» disse Thorin dopo un attimo «Ho imparato che molto di ciò che ritenevo vero è falso, e molto di ciò che ritenevo falso è vero. Non sarò irato con te se le dovessi rifiutare, ma ti porgo le mie scuse.»

Legolas batté le palpebre. «Perché dovresti dire a me questo? Sono il figlio di Thranduil, ma non sono mio padre.»

«E ben lo so – ora» disse Thorin, e fece un sospiro fra i denti «Vi credevo tutti uguali nella mia rabbia e risentimento. Senza onore, sleali, traditori. Pensavo foste senza emozioni e col sangue freddo; pensavo l'intero mondo avrebbe felicemente nuotato nel sangue Nanico per avere le nostre reliquie e la nostra storia e il nostro oro, litigando e scendendo a patti mentre noi morivamo di fame. Vedevo tradimenti ovunque guardassi, e soprattutto da coloro di stirpe Elfica. Vi ho odiati.»

Legolas rimase in silenzio.

«Ho imparato come stanno davvero le cose, anche se forse troppo tardi»

«Nay, Signore» Legolas scosse la bella testa «Perché avresti dovuto farti domande su ciò che sembrava vero? Perché io ero lì. Gimli potrà perdonare facilmente come respira, ma io ero lì, e so cosa fu chiesto e cosa fu preso e cosa fu donato e cosa fu rubato. Io ero lì. Ricordo di aver litigato con una cara amica dicendo che i guai dei Nani non erano nulla per loro. Ricordo di aver ammirato una spada nella mia mano e averla presa per me, mentre ti accusavo di essere un ladro e un bugiardo. Ricordo che due eserciti erano accampati davanti alle porte di un Regno distrutto per rubare oro a tredici Nani. Vidi i cancelli distrutti e le aquile urlarono, e un Orco pallido in piedi sul ghiaccio e la mia faretra non aveva più frecce. Io ero lì.»

«Aye, eri lì» disse Thorin e lasciò che l'aria gelida gli riempisse i polmoni finché non gli bruciarono «E ricordi quando in basso caddi io, nella mia follia. Ricordi le mie orecchie assordate dal suono dell'oro, tutte le mie promesse spezzate e tutto il mio risentimento verso il mondo. Nonostante tutto, quella spada tu me la ridiedi, e nel momento migliore possibile. Da parte mia, mi dispiace.»

Legolas chinò la testa. «E anche io da parte mia.»

«Non è stato un processo indolore» continuò Thorin e mantenne gli occhi davanti a sé, sentendo le sue gambe che si muovevano a tempo con quelle di Gimli e dell'Elfo «Serve tempo per far cambiare idea a un Nano, perché noi cambiamo lentamente, e anche di più per cambiare uno della nostra linea. Quando ti unisti alla Compagnia pensai che tu fossi esattamente come tuo padre e mi arrabbiai con te. Ti ritenevo responsabile per le sue azioni e fallimenti. E poi pensai le tue offerte di amicizia una menzogna, e che col tempo si sarebbero mostrate false. I miei occhi vedevano solo colui che prese la mia spada, non colui che me la ridiede.»

«Û, Re Thorin» disse Legolas, alzando una mano «Non mi servono spiegazioni. Se mi hai osservato, allora hai veduto. Pensavo che il vostro popolo fosse brutale, incapace di qualsiasi vera gentilezza di spirito. Ero un idiota ignorante e anch'io ho imparato. Almeno ho questo: sono grato di poterlo dire a te, e non al tuo ricordo.»

«Il mio ricordo» Thorin sbuffò «Parla coi vivi e non coi morti.»

«L'ho fatto» disse Legolas, e i suoi occhi andarono a Gimli che ascoltava leggermente accigliato «Lo faccio.»

«Non dici abbastanza» ringhiò Thorin.

Legolas, così aggraziato e sicuro, inciampò.

«Un tempo, sulle mura del Fosso di Helm, ti mettesti al mio servizio, per qualsiasi cosa io ti chiedessi» disse Thorin, e dietro alla sua schiena le sue mani si strinsero «Per la sua sicurezza, mia pregasti di trovarlo e tenerlo al sicuro. Per l'amore che entrambi proviamo per lui.»

Gimli si bloccò di colpo, e i suoi occhi erano enormi.

«Ora ti incarico, Legolas» disse Thorin, e si girò verso Gimli nel buio e sorrise al volto immobile e terrorizzato della sua stella «di dar voce al tuo cuore.»

Legolas poté solo rimanere a bocca spalancata, stupefatto. Per essere una creatura eterna, dieci volte più vecchia di Thorin, di colpo sembrava molto giovane.

«Onorerai la tua parola? Io non ne sarei arrabbiato» disse Thorin «Ma tu potresti scoprire che la reazione non sarebbe quella che temevi.»

La bocca di Legolas si chiuse di scatto.

«Smettila» ringhiò Gimli «Smettila di fare questi giochetti con noi!»

«Allora sai cosa devi fare, Gimli» disse Thorin calmo «Diglielo.»

La bocca di Gimli si aprì attorno a parole mozze, e poi lui si afflosciò.

«Davvero hai imparato e il tuo perdono è più di quanto avrei mai sperato, ma non sei tu colui al quale dovrei parlare del mio cuore» disse Legolas a denti stretti «E io ancora non so quali parole i mortali usino. In questo, almeno, sono un Elfo proprio come tu ci immaginavi.»

«Ragazzo» disse Gimli, e alzò la mano con aria stanca «Ragazzo, stai tranquillo, non serve. Lo so.»

«Lo sai!?»

«Aye»

Legolas fissò Gimli, ancora una volta stupefatto. Un completo dolore passò sul suo volto, seguito da lampi di incredulità e tristezza, prima che la maschera fredda tornasse a portare i suoi tratti nella pietra. «Vedo.»

«No, non vedi, e tu non pensare che me ne dimenticherò, Thorin Thráinul» sputò Gimli.

«Non hai più paura» gli fece notare Thorin.

«Non di questo orribile posto ghiacciato, no. Ora ho paure nuove e più profonde!» Gimli iniziò a seguire la Grigia Compagnia nuovamente, il volto furibondo e gli occhi in fiamme. Gli stivali colpivano il pavimento freddo come se stessero cercando di romperlo.

«Cosa intendi dire, lo sai?» disse Legolas, duro e rapido, e seguì il Nano «Perché non hai parlato?»

«Perché non l'hai fatto tu?» rispose Gimli.

«Non sapevo come» disse Legolas «Gli Elfi non hanno bisogno di queste goffe parole, quelle dichiarazioni così prone ai fraintendimenti e al rifiuto e altri cose poco piacevoli. Noi sentiamo queste cose nei ritmi fra noi, tra i nostri passi e le nostre risa e i nostri respiri. Sappiamo perché ci cerchiamo a vicenda e perché le nostre canzoni sembrano più dolci quando vengono cantate insieme. Perché dovrei sapere quali parole i Nani usano per l'amore?»

Il respiro di Gimli gli uscì in un basso “ah!” alla parola, e per un secondo parve l'avessero colpito. Poi scosse la testa. «Abbiamo trovato nuove parole per i nostri usi diversi» disse «Perché – davvero, perché?»

Thorin fece un passo indietro e incrociò le braccia soddisfatto, osservando.

Qualcuno apparve accanto a lui, e guardando di lato Thorin vide Lóni che fissava le forme confuse del Nano e dell'Elfo che litigavano. «Oh no, che succede ora?» gemette «Quell'idiota cocciuto ha detto di nuovo qualcosa di sbagliato, vero?»

Attorno a lui, le figure stellate dei Nani apparvero nel buio, e Frerin si fece largo per rimanere in piedi immobile accanto a Thorin notando la vista davanti a loro. «Thorin!» disse irritato.

«Ho tenuto sotto controllo la mia rabbia» gli disse Thorin, combattendo l'istinto di sorridere.

«Cosa hai fatto?»

«Quello che sarebbe dovuto essere stato fatto ad Edoras» disse Thorin, e mise un braccio attorno a suo fratello minore «Sai, questi insalubri buchi scuri potrebbero diventare uno dei miei posti preferiti?»

«Non sei divertente» disse Frerin.

«Sono esilarante» disse Thorin, perfettamente calmo.

«Il mio affetto ti divertiva tanto?» stava chiedendo Legolas gelidamente. La sua somiglianza con Thranduil non era mai stata tanto pronunciata. «Ti faceva ridere, un Elfo così stupido da affezionarsi a te? Sono stato un piacevole diversivo, mio Signore Nano?»

«Smettila, smettila, smettila ora!» soffiò Gimli, e lanciò uno sguardo alla Grigia Compagnia davanti a loro prima di voltarsi e picchiare un dito robusto contro il petto di Legolas «Ho tenuto ferma la lingua per carità tua, litigioso confuso Elfo testa di legno, quindi non mi accusare di essere tanto senza cuore! Mi pensi tanto egoista da guardare i miei amici che soffrono per divertimento? Ebbene, vi ringrazio per la vostra buona opinione di me, Oh Principe Legolas!»

«La mia opinione!» urlò Legolas «Gimli, tu sai che ti amo! Lo sai, e non hai detto nulla!»

«Aye, e se il mio parente impiccione non avesse parlato, Mahal lo maledica, sarei rimasto in silenzio fino alla tomba» Gimli si strofinò gli occhi.

«Nay, lo ringrazio» disse Legolas, e i suoi occhi brillavano di rabbia e dolore anche se il suo volto rimaneva impassibile «Lo ringrazio. Mi senti, Thorin Scudodiquercia? Ti ringrazio per il tuo servizio. Perché non sapevo che stavo donando il mio cuore a qualcuno a cui non importava nulla di esso. Nin gwerianneg, ai, meleth nin!»

Gimli iniziò ad avviarsi per il tunnel, e le sue guance stavano diventando rosse. «Le orecchie a punta non funzionano bene, sembra! Perché mi ricordo chiaramente di aver detto che l'ho fatto per te, stupida folle creatura. Per te, e per nessun altro! Perché mai altrimenti dovrei lasciare che tu ti allontani da me, mi eviti, ci punisca entrambi? Perché mai, se ti vorrei avere sempre al mio fianco?»

«Non fu una gentilezza, Gimli» disse Legolas. C'era una durezza nei suoi lunghi passi che parlava chiaramente della sua furia. Eppure non superò mai il nano, anche se con le sue lunghe gambe sarebbe stato facile. «Abbiamo affrontato oceani tanto vasti di sfiducia e pregiudizi, tu ed io, che questo per me è un tradimento doppiamente duro. Non riesco a vedere come il tuo rifiuto possa essere per carità mai, non se...»

«Io non sarò responsabile della tua morte!» ruggì infine Gimli, e si girò di nuovo verso Legolas e rimase coi pugni stretti sull'ascia «Non posso!»

Le eco risuonarono per il tunnel, ed Elrohir, Aragorn e molti Raminghi si voltarono e alzarono le torce per osservare la coppia. «Gimli, Legolas?» li chiamò Aragorn «Ci maer? Prestad?»

«Ú-iston» si disse Legolas, e poi alzò una mano e urlò: «Gwaem, Aragorn.»

La fronte di Elrohir si aggrottò leggermente e la sua testa si chinò di lato mentre studiava il furioso Nano dal volto arrossato e il gelido Elfo con gli occhi selvaggi. «Non rimanete troppo indietro» disse infine.

Gimli si mise l'elmo in testa, e iniziò a seguire la Grigia Compagnia in rabbioso silenzio. Legolas respirò forte col naso, ancora immobile come una statua per qualche istante, prima di riscuotersi, afferrare strettamente le redini di Arod, e seguirlo.

«Quindi cosa succede?» disse Nori dietro a Thorin.

«Il nostro grande comandante ha lanciato un topo tra i gatti selvatici» sospirò Lóni.

«Oh» Nori ci ragionò per un istante, e poi disse: «quindi chi offre una moneta? Gimli colpisce per primo, tre a uno, il meglio che posso offrirvi, affare speciale perché siamo tutti amici qui, eh?»

«Non ora, Nori» disse Ori, e alla sinistra di Thorin Óin sbuffò.

«Calmati, qualcuno qui sta cercando di sentire!»

«Oh, ti sei ripescato dal tuo boccale, vedo» disse Nori in tono derisorio, e Óin ringhiò.

Thráin si schiarì la gola. «Come interesse accademico, quali sono le probabilità di Legolas che colpisce per primo?»

«Quattro sull'Elfo!»

«Su Gimli – che lo baci!»

Óin picchiò un piede. «Ho detto zitti! Mahal pianse, mi fate venir voglia di essere ancora sordo!»

«Meglio se ci calmiamo, tutti, meglio non litigare» disse Balin nel suo modo dolce e gentili.

«Sembra che a quello ci abbiano già pensato loro» aggiunse Náli.

«Va bene, ci siamo tutti» disse Frís, e accanto a lei Haban alzò le sue asce e le fece girare virtuosamente. Infine, Fíli fece un passo avanti, sferragliando come un'armeria, e porse a Thorin la sua lunga spada ricurva – fatta di sua mano ad immagine di Orcrist ed unica che era scampata alla sua ira. Kíli era come sempre accanto a lui, e Frerin corse avanti col suo pugnale in mano.

«Non osare mandarmi via» disse.

La mano di Thorin si posò sui capelli di Frerin, e lui premette insieme le loro fronti. «No, non oggi» fu d'accordo lui.

«Sembri piuttosto compiaciuto di te stesso» disse Frís, alzando le sopracciglia.

Thorin sentì un sorriso che gli tirava le labbra e lasciò che crescesse. «Stanno parlando alla fine.»

«Speriamo solo tu non abbia fatto più danni che altro» disse Thrór, e Hrera gli tirò un pizzicotto.

«Un po' di ottimismo, vecchio scontroso» gli ordinò severamente «Ci servirà di certo, in questo posto orribile! Thorin, caro, dove nel nome di Telphor siamo?»

«I Sentieri dei Morti» rispose Thorin, legandosi la spada al fianco. Avrebbe dovuto pensare a un nome. Non era leggera né affilata come Orcrist e non possedeva le delicate decorazioni e ornamenti. Nessuna aggraziata parola Elfica era su di essa e di certo non aveva un dente di drago nell'elsa, ma la curva della lama era la stessa. «Abbiamo viaggiato sotto la montagna maledetta e ora andiamo verso la valle dove le bocche dell'Anduin corrono verso il mare. E loro ci sentono.»

«Ci sentono?» le sopracciglia di Lóni si alzarono, e strinse più forte la mano di Frár «Cosa intendi dire, ci sentono?»

«Veramente...» Frerin si grattò la testa «Penso sentano solo te.»

«Nay, sento le voci di molti Nani, anche se il Re è il più semplice da udire» disse Legolas improvvisamente, facendo saltare per la sorpresa metà dei Nani riuniti «Una tale folla, e diventate sempre più comprensibili mentre viaggiamo! Ma come può essere?»

«Non lo so» disse Ori quando ogni occhio andò a lui «Non pensate che io sappia le cose e basta!»

«Beh, tu sai un sacco di cose» gli fece notare Náli.

Il petto di Bifur si gonfiò d'orgoglio, e mise un braccio attorno alla vita di Ori e sorrise da un orecchio all'altro.

«La Roccia di Erech» disse Thráin «C'è qualcosa di innaturale in essa?»

«Non c'è nulla di naturale in questo posto» disse Gimli «Persino l'aria puzza di morte.»

«Cosa intendevi dire, la mia morte?» disse Legolas, più piano. Non guardava giù verso Gimli.

Le labbra di Gimli si strinsero, e non parlò.

«Oh, che disastro» sospirò Frís «Thorin, entrambi i tuoi gatti si sono arrampicati sugli alberi, e ora non scendono.»

Frerin lo stuzzicò. «Cosa ti ho detto? Tempismo, nadad!»

«Il mio tempismo? È tardi, e più tardi ancora» disse Thorin, e lasciò che la sua mano scendesse fino ad afferrare l'elsa della spada. Il suo peso sulla sua vita era quasi una consolazione: si era quasi dimenticato come lo faceva sentire, portarla al fianco. «Non c'è mai tempo. O non è mai il momento giusto. O il tempo ti porta via dal momento, ed è perduto. Ho imparato – oh, come ho imparato! - e imparare è difficile e crudele. Non c'è mai un momento giusto. Tutti i momenti sono giusti, o non lo è nessun momento. E poi alla fine e prima ancora che tu possa sognare, non c'è più tempo. Tutte le possibilità sono distrutte, e tu sei intrappolato oltre ogni speranza d'amore come dietro a vetro trasparente, guardando la vita che va avanti senza di te. Te lo dissi già, Gimli, e te lo dirò tutte le volte che ce ne sarà bisogno: per te non è troppo tardi.»

«Ah, stai scavando dove non c'è metallo. Non ne posso più: troverò un modo per finirla o correrò indietro verso gli orrori laggiù!» ringhiò Gimli «Perché, se mi ami, l'hai obbligato a parlare?»

«Perché non voglio vederti che cammini per il mio sentiero solitario, qualsiasi fato ti aspetti» disse Thorin, e sentì il sussulto di Legolas «Non siamo saggi in amore, siamo della Linea di Durin. La tua testardaggine non è né forza né saggezza, e nessuna misura di nobile intento può farla diventare tale. Aye, figlio di Glóin, ursuruh inùdoy kurdulu: ti amo abbastanza da fermarti. Morirei mille volte prima di vederlo succedere.»

«Vedete nulla?» disse Elrohir, urlando.

«La luce sta aumentando!» disse Halbarad, e iniziò a correre «Siamo vicini alla fine, di certo!»

Improvvisamente vi fu un nuovo suono nel tunnel, il suono di gocce d'acqua. La luce crebbe e crebbe e il passo di Gimli divenne più deciso mentre si lasciava dietro l'orribile posto. Il tunnel si aprì improvvisamente in una bassa e ampia valle, e Gimli batté le palpebre meravigliato quando il vento toccò il suo volto e tirò la sua barba. Era il tramonto, e il cielo stava diventando da viola a blu, le stelle avevano appena iniziato a brillare. «Aria!» disse «Mai ho avuto tanto paura sottoterra. Non deriderò mai più coloro che vivono sulla superficie.»

«Stelle!» sussurrò Legolas, e gettò indietro la testa e permise che la loro luce avvolgesse il suo volto. I suoi capelli gli ricadevano come un panno dorato. «Come possono essere passate solo ore da quando entrammo nella porta nera? Sembra siano passati anni, decenni – o io sono invecchiato da allora.»

«Nove milioni, forse» borbottò Gimli, e finalmente alzò lo sguardo verso l'Elfo «Dobbiamo parlare.»

Legolas non si mosse, guardando il cielo con occhi limpidi. «Sì, dobbiamo» disse, e Thorin tremò sentendo la fredda rabbia nella sua voce.

«Dove andiamo, Aragorn?» urlò Halbarad, e montò a cavallo in un movimento fluido e la fece girare in tondo. Gli zoccoli della giumenta si alzarono molto mentre lei sembrava doversi mettere a correre per i nervi, gli occhi che roteavano. Solo la ferma, dolce mano del Dúnedain la teneva sotto controllo.

«La Roccia è a meno di tre ore, verso la riva del fiume» rispose Aragorn, salendo su Brego «Saremo là appena prima di mezzanotte.»

«Molto appropriato» disse Ori, asciutto.

Legolas accarezzò il naso di Arod, prima di sussurrare una parole all'orecchio del cavallo e saltargli sulla schiena. Poi, perfettamente impassibile, girò Arod verso Gimli e gli porse una mano.

«Cavalchi?» disse, senza che i suoi pensieri fossero traditi da tono o inflessione.

Gimli esitò, e poi disse: «Se non desideri che io sia un peso per te, allora...»

«Cavalchi?» ripeté Legolas, l'espressione dura, e la mano ancora allungata.

Gimli arrossì di vergogna, prima di prendere la mano di Legolas e permettergli di tirarlo sulla sella. Appena seduto al suo solito posto, le sue grandi mani esitarono un attimo sulla vita di Legolas, prima che le mettesse sulle proprie cosce.

Aragorn allora prese il bastone che Elrond aveva portato dalle mani di Elladan, e srotolò lo stendardo che vi era sopra. Se c'era un disegno sulla stoffa, Thorin non riusciva a vederlo: li sembrava nero su il nero del buio, un buco ritagliato nel cielo notturno. «Seguitemi» disse, e fece partire Brego al trotto.

«Possiamo tenere il passo?» disse Frár, e Frerin soffocò una risatina.

«Io posso, voi non so» disse, un tantino compiaciuto.

«Ancora correre» sospirò Óin.

«Tre ore non è tanto male» disse Náli «Almeno non sarà tutto il giorno!»

«Beh, di certo abbiamo fatto il giro turistico di Rohan» commentò Nori secco «Ne ho visto più di quanto avrei mai voluto. Probabilmente potrei organizzarvi dei viaggi.»

Brego nitrì forte, e poi la Grigia Compagnia era in movimento, in movimento nella notte, e la compagnia di Thorin li seguiva. «Questa dev'essere la Valle di Morthond» ansimò Balin mentre correvano dietro ai cavalli «Ci vivono degli Uomini, sotto l'autorità di Gondor.»

«Lo vedete anche voi?» urlò improvvisamente Elladan, ultimo della Compagnia, i suoi occhi attenti rivolti verso i Nani. Thorin si fermò di colpo, incrociando lo sguardo del Mezzelfo.

«Ci vedono?» sussurrò Haban incredula.

«Nah, non possono!» rispose Kíli, agitando una mano «Come potrebbero?»

«Cosa vedi?» disse Aragorn «Legolas, dicci, cosa mostrano gli occhi degli Elfi? Gimli, cosa vedono i tuoi occhi notturni?»

«È buio, ma riesco a vederli» disse Legolas, girando leggermente Arod e fermandosi su una piccola altura. Sulla sua schiena, Gimli guardò nell'oscurità – e incrociò gli occhi di Thorin.

Ti vedo, Signore dissero le mani di Gimli, muovendosi in Iglishmêk.

Segui, non parlare segnò Thorin.

«Cosa?» disse Halbarad, accigliandosi e girandosi sulla sella per guardare dietro di sé.

«I Morti ci seguono» disse Legolas «Vedo le forme di Uomini e di cavalli, e stendardi pallidi come nuvole, e lance come boschi invernali in una notte nebbiosa. I Morti ci seguono.»

«Sì, i Morti cavalcano dietro di noi. Sono stati convocati» disse Elladan.

Thorin lanciò una rapida occhiata dietro di sé, e poi si voltò di nuovo rapidamente. «Non guardatevi dietro» disse piano, e si tirò vicino Frerin e Frís «Non voltatevi.»

«Anche tu li vedi, Legolas?» mormorò Gimli.

«Sì» disse Legolas piano «Un gruppo di Nani, circondati da fuoco bianco, guidati dal tuo parente.»

«Mio zio è alla sua sinistra» disse Gimli, e il dolore attraversò il suo volto «Quello dev'essere il fratello del mio signore, coi capelli fortunati. Là è Balin, e Lóni – ah, amico mio, amico mio, sei così giovane! - l'intelligente Ori e il vecchio Náli, e lì c'è Bifur con la sua grande ferita! Oh unkhash, Fíli, Kíli, miei cugini...! Oh, vedervi qui come se poteste ancora respirare, e anch'io ero tanto giovane? Eravate davvero così quando partiste e moriste e mi lasciaste senza un capo? Nekhushel! È come una coltellata al cuore. Questo è stato un giorno malvagio, e una notte malvagia lo segue!»

«Gli altri non li vedono?» chiese Legolas «Devono essere almeno trenta.»

«Sembra di no» disse Gimli «Forse noi li vediamo perché eravamo connessi con loro?»

«Forse» disse Legolas, e il suo tono era distante e freddo. Girò Arod schioccando la lingua, e seguì la Grigia Compagnia.

«Accidenti» sospirò Hrera «Pare che gli Elfi possano essere stupidamente intransigenti quanto i Longobarbi.»

«Risparmia il fiato e corri» disse Thorin, e accelerò.

«Tu non mi ordinerai nulla di simile, nipote mio» disse lei acidamente, e si tirò su le gonne elaborate e corse avanti, la testa alta «Un “per piacere” ogni tanto non sarebbe sgradito.»

Non pensare a Bilbo!

«Le mie scuse» riuscì a dire Thorin, e abbassò la testa. Sentiva gli occhi di Fíli contro la sua schiena, e li ignorò.

Seguirono alcune ore di disagio. La Grigia Compagnia seguì lo stendardo scuro di Aragorn nella notte, e tutto il tempo un freddo innaturale li seguì. Thorin non guardò più dietro di sé, ma seppe che Frerin l'aveva fatto quando suo fratello squittì e rallentò il passo per stare accanto a loro padre. I Nani corsero tutti il più rapidamente che potevano, confidando nella loro naturale resistenza, e Thorin silenziosamente ringraziò Aragorn per il piccolo favore di non far mai andare la Grigia Compagnia a più che un piccolo galoppo.

La Valle del Morthond era davvero popolata, ma il terrore dei morti fece chiudere ogni porta e spegnere ogni luce in tutti i villaggi per i quali passò la Compagnia. Delle campane risuonarono davanti a loro, e la gente scappava nella notte. Sussurri e strilli strozzati li seguivano mentre le persone si stringevano nelle loro case, e avvicinandosi alla Roccia di Erech i piccoli villaggi diminuirono fino a svanire del tutto. Nessuno viveva in quel luogo.

«Meno persone di quelle che mi aspettavo, dal numero di villaggi» disse Balin, e nella mano teneva una spada larga «Molti di questi edifici sono vuoti.»

«Sono scappati dall'esercito fantasma» disse Thrór «Quelli che vivono vicino alla Montagna di certo conoscono bene la sua leggenda, e saranno scappati dalle loro case a sentire parlare dei Morti.»

«Saggiamente, senza dubbio» confermò Balin, e si asciugò la fronte col braccio «E poi, anche la guerra a sud avrà portato via molti.»

Davanti a loro, era visibile il Colle di Erech e in cima ad esso vi era una vista davvero imponente.

«Dev'essere quella» disse Ori, e nessuno poté negarlo «La Roccia di Erech.»

Era tonda come un grande globo, alta come un uomo, anche se metà di essa era sepolta nel terreno. Sembrava ultraterrena, come caduta dal cielo, come credevano alcuni; ma coloro che ancora ricordavano le leggende dell'Ovest dicevano che era stata portata via dalla rovina di Númenor e posta lì da Isildur al suo arrivo.

Davanti a quella Roccia la Compagnia si fermò nel buio della notte. Poi Aragorn passò lo stendardo ad Halbarad, che lo tenne alto. Elrohir porse ad Aragorn un corno d'argento, e lui vi soffiò e sembrò a quelli che gli erano vicini di sentire il suono di altri corni in risposta, come un'eco nelle profonde caverne lontane. Nessun altro suono si udì, eppure sapevano che un grande esercito si era raccolto attorno al colle su cui erano; e un vento ghiacciato come respiro di fantasmi scendeva dai monti. Ma Aragorn smontò, e stando accanto alla Roccia urlò a gran voce:

«Combatterete?»

Il vento urlò alzandosi di nuovo, correndo attorno alle gambe dei cavalli e spettinando i capelli di Aragorn. Poi il terribile freddo che aveva seguito i Nani dal Monte Invasato sembrò condensarsi e prendere forma, e il Re dei Morti ghignò il suo sorriso da scheletro facendo un passo avanti dall'aria al mondo vivente.

Aragorn alzò la spada. «Fedifraghi, perché siete venuti?»

Il Re non disse nulla, e i suoi occhi lattiginosi fissarono Aragorn. Attorno a lui l'esercito scheletrico dei morti maledetti apparve loro, raggruppandosi attorno alla Roccia come il fossato attorno a un castello.

«Questa è l'ora» sussurrò Thorin «Questo è il momento in cui uscirà dalle ombre ed entrerà nel suo mantello e nella storia.»

«Combatterete?» domandò ancora Aragorn.

Il Re sospirò, il respiro verde si condensò davanti a lui, e poi disse: «Combatteremo. Terremo fede al nostro giuramento e troveremo la pace.»

Poi le palpebre di Aragorn si chiusero, e le sue spalle si abbassarono come se si stesse piegando sotto al peso che ora portava. Poi si raddrizzò e fissò gli occhi grigi sullo spettro e disse: «L'ora è infine giunta. Io vado ora a Pelargir sull'Anduin, e voi mi seguirete. E quando la terra sarà stata ripulita dai servitori di Sauron, io riterrò soddisfatto il giuramento, e voi troverete la pace e lascerete per sempre questo mondo. Questo io lo giuro come Elessar, l'erede di Isildur di Gondor.»

Il Re dei Morti chinò lentamente la testa verso Aragorn, facendo schioccare le ossa della schiena. «Dove tu vai, noi ti seguiremo.»

Aragorn annuì seriamente, e poi rinfoderò Andúril e si voltò verso la Grigia Compagnia. «Ci accampiamo qui» disse, un'improvvisa stanchezza nel volto e nella postura «Cavalcheremo domattina» si voltò verso il Re e chinò la testa, e lo spettro sorrise il suo sorriso inquietante e svanì. Anche se l'esercito d'ombra era di nuovo invisibile, l'aria sembrava ancora spessa e appiccicosa e la tenue sfumatura verde del cielo non era solo luce stellare.

Gimli scese dalla schiena di Arod, i piedi colpirono il suolo con un forte rumore. Legolas fece lo stesso, e silenziosamente iniziò a slacciare la sella di Arod. Gimli sembrò pronto a parlare, ma poi parve cambiare idea. Invece si levò lo zaino e l'elmo. Il sudore aveva appiccicato ciocche di capelli alla sua fronte.

«Gimli» disse Thorin.

«Non sei esattamente la mia persona preferita in questo momento, Thorin Scudodiquercia, se non ti dispiace» ringhiò Gimli, e iniziò a tirar fuori le asce dalla cintura con movimenti bruschi e gettarle sul sacco a pelo.

«È un tuo diritto» disse Thorin, e il suo cuore affondò leggermente «Ma non hai parole gentili per coloro che sono con me?»

Infine Gimli alzò lo sguardo e incrociò di nuovo gli occhi di Thorin. Come nello specchio di Galadriel, la sua stella che lo vedeva, che lo vedeva davvero, era qualcosa di mozzafiato dopo tutti gli anni passati a essere poco più di un sussurro nel vento. «Aye» disse Gimli, la voce rotta, e poi si schiarì la gola «E se non fosse stato per i tuoi stupidi giochetti avrei parole più gentili anche per te, mio amato Signore.»

«Ciò che ho fatto l'ho fatto per te, Gimli» disse Thorin.

«Può essere, ma ciò che io ho fatto l'ho fatto per lui» disse Gimli, mangiandosi le parole per la rabbia. Si voltò, guardando storto le sue asce sul suo sacco per dormire. «Sparisci, Thorin Scudodiquercia. Non voglio più aver a che fare con te stanotte.»

«Vedi di parlare in modo più educato, nidoyel» disse Óin irritato «Quello è il nostro Re. Non essere maleducato.»

Gimli batté le palpebre, e poi iniziò ad arrossire come un sessantenne. «Scusami, zio» borbottò.

«Avrai il temperamento di tuo padre, ma prova a controllarti un po' ogni tanto per cambiare, eh?» disse Óin, e poi sorrise «Ah, guardati. Guardati.»

La testa di Gimli si alzò, come se fosse stata trascinata su contro la sua volontà. Quando guardò Óin, fece un piccolo “aaah!” e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

«Sembri giovane» disse «Più giovane di me.»

«Ci sono ancora un paio di misteri che devi scoprire» disse Óin, dolcemente «Sono orgoglioso di te.»

«Orgoglioso di te» ripeté Balin «Azaghâl belkul

«Balin» sussurrò Gimli.

Thorin fece un passo indietro, e sentì degli occhi piantati sulla sua nuca. Girandosi leggermente vide l'Elfo che spostava lo sguardo da lui a Gimli, un'espressione vagamente confusa negli occhi luminosi.

Lui inclinò ancora la testa, prima di inchinarsi leggermente. Legolas chinò la testa, e poi si mise la mano sul cuore e la allungò in quel gesto elegante degli Elfi. Si fissarono in silenzio per un altro momento, e poi si voltarono verso Gimli.

«...smettila di raccontare tutti quei dannati segreti» stava dicendo Óin.

«Sei più intelligente di così. Ti ho insegnato molto meglio!» disse Balin severamente, e Gimli agitò una mano mentre sbuffava.

«Seh, e che vantaggi ci hanno mai dato? Creano sfiducia, ecco cosa fanno. E non c'è nulla di vergognoso in essi, quindi perché non condividerli a coloro ai quali possono interessare?»

«Perché ci sono quelli a cui non piace l'idea del fatto che li avevamo – quelli che vedono i nostri segreti come un altro gingillo luccicante da portarci via» ringhiò Lóni, e Gimli scosse la testa.

«Sei sempre un tale pessimista»

«Beh, uno di noi deve esserlo»

«Vedi, è per questo che sei mo...» disse Gimli, e la sua voce si spezzò sull'ultima parola. Chinò la testa e premette il mento contro il petto per qualche rapido respiro, e poi guardò ancora il volto del suo migliore amico con un sorriso triste. «Ciao, ragazzo. Sembri in forma. Quel tuo marito ti tratta ancora bene, quindi?»

Frár alzò un sopracciglio. Lóni rise. «Aye, sì, e tu dovresti fare lo stesso. Piantala di osservare la gemma e tagliala una buona volta! Siamo tutti stufi di guardarti che ti struggi nobilmente, grande idiota incosciente!»

L'Elfo fece un passo avanti, e appoggiò la sella sull'erba vicino a Thorin. «Mi diresti chi sono questi Nani, e chi sono per Gimli?» disse piano.

Thorin gli lanciò un'occhiata, prima di annuire. «Quello è l'amico più caro di Gimli, perso a Moria. Il suo nome è Lóni, figlio di Laín, e quello è suo marito Frár. Quello è Ori, figlio di Zhori – anche lui perso a Moria – e là c'è suo fratello maggiore Nori. Entrambi erano nella mia compagnia, potresti ricordarteli. Senza dubbio ricordi anche Balin e Óin. Quella è mia madre, Frís, e il nonno di Gimli...»

Legolas guardò mentre Nano dopo Nano salutava Gimli finché lui iniziò a piangere apertamente. Thorin li nominò tutti, e sentì il respiro di Legolas che si mozzava per un attimo nel vedere Thrór, e poi ancora davanti ad Haban.

«Perché mi hai fatto parlare?» chiese infine Legolas.

Thorin ci pensò per un attimo, chiedendosi come rispondere. Poi disse: «Hai mai incontrato Bilbo Baggins?»

«Sì, a Imlardis» disse Legolas «Era rimasto molto sulle sue dopo la Battaglia e non ne ebbi l'opportunità allora. Perché?»

«Lo amo» Thorin lasciò che le parole infine volassero nel mondo, e si meravigliò della loro semplicità. Era più semplice di quanto non avesse mai pensato. «Lo amo, e non posso essere con lui.»

Quando si voltò, Legolas lo guardava con una nuova compassione nella sua espressione. Si meravigliò di aver imparato a leggere tanto bene i volti Elfici. Gli erano sempre sembrati tanto immobili, prima. «No, non avere pietà per i morti» disse, e sorprese persino se stesso con la gentilezza della sua voce «La mia vita la spesi bene, al servizio del mio popolo. Ciò è una fine migliore e un onore più grande di quanto avessi mai creduto, un tempo, quando l'oro era l'unica cosa che mi sembrava avesse un valore.»

«Però, amare e perdere non è una ferita da poco» disse Legolas piano.

«No, non lo è» confermò Thorin «Non voglio vedere altri soffrire inutilmente in questo modo. Anche tu mi incolpi, come Gimli?»

«Ancora non lo so» disse Legolas «Vedremo.»

«Uhm» ciò l'avrebbe infuriato un tempo: quella stana pazienza Elfica. Ora Thorin spostò il peso su una gamba e incrociò le braccia, guardando Gimli che interagiva con i suoi amici e la sua famiglia. «Non lasciare che ti spinga via.»

«Perché lo fa?» disse Legolas, e alzò nuovamente gli occhi «Mi confonde!»

«Non è il mio compito dirtelo» sospirò Thorin «Io non sono d'accordo con lui, e questa è la base del nostro litigio.»

«Anche tu lo sapevi?» Legolas deglutì, anche se la sua espressione non cambiò «Sapevi che Gimli era... a conoscenza del mio... del mio interesse?»

Thorin esitò, e il silenzio durò un po' troppo.

Gli occhi di Legolas si chiusero. «Ah.»

«Che disastro» sussurrò Frerin.

Infine le lacrime di Gimli sembrarono essere finite. Frerin si tirò distrattamente una delle sue corte trecce sulle guance, prima di guardare il nero cielo notturno. «Forse dovremmo tornare più tardi?»

«Vorrei che restaste» disse Legolas «Se è permesso.»

Frerin fissò a occhi sbarrati l'Elfo.

«Mio fratello, Frerin» disse Thorin, e Legolas si accigliò.

«È così g-»

«Bello» esclamò Frerin «Sì, lo sono, ed è un terribile peso per me ma in qualche modo riesco a sopportarlo.»

Thorin mise una mano sul collo di Frerin e lo strinse in modo rassicurante. «Nadad» mormorò «Non intende insultarti.»

«Lo so, lo so» sospirò Frerin, e lanciò un'occhiata a Thorin.

«Non riesco a crederci» la mano di Gimli si mosse come se volesse toccare la spalla di Fíli, e poi sembrò controllare il movimento «Non riesco a credere di vedervi qui. Sto sognando?»

«No, cuginetto» disse Fíli, sorridendo «E non hai nemmeno bevuto, prima che te lo chieda.»

«Cuginetto!» sbuffò Kíli «È più grosso di noi ormai.»

«Io sarò sempre il vostro cuginetto» disse Gimli, il suo cuore nella sua voce.

«Quei due li ricordo bene» disse Legolas, e Thorin sentì la propria mascella che si contraeva.

«Come dovresti» fu la sua tesa risposta.

La notte passò allegramente per Gimli, almeno: circondato da amici e famiglia, cantò piano sottovoce e parlò dei vecchi tempi mentre puliva la sua ascia da battaglia. Legolas rimase vicino, ma non lo interruppe. Molti della Grigia Compagnia lanciarono occhiate confuse al Nano (che doveva sembrare piuttosto scosso dal viaggio per i Sentieri), ma Legolas scosse la testa verso i loro e loro lo lasciarono perdere. Uno alla volta, la gente di Thorin parlò con Gimli e poi se ne andò per cercare i propri letti nelle Sale.

Thorin rimase. Frís gli lanciò un'occhiata mentre se ne andava, e lui agitò un mano. «Riposerò» le disse.

«Meglio che tu lo faccia, ragazzo mio» disse lei, tirandogli un orecchio. Poi prese Frerin (nonostante le sue lamentele) e la luce stellare li ingoiò entrambi.

Infine, quando l'alba di avvicinava, Aragorn prese Legolas da parte. «Cosa ti tormenta?» chiese «Ci vêr? Non sei te stesso da quando passammo la Porta Oscura. Ciò avrebbe scosso il cuore più forte, ma i Sentieri non ti hanno afflitto come il nostro Nano...»

Legolas andò verso il Ramingo, la sua espressione immobile inquietante in un certo senso. «Perché Gimli crede che sarà lo strumento della mia morte?»

Aragorn si accigliò, e poi il suo volto sbiancò. «Cosa?»

Legolas non si ripeté, ma si limitò a fissare Aragorn con il suo strano e penetrante sguardo Elfico.

«Quando partiamo, Aragorn?» urlò Elrohir «Il sole si alzerà a momenti!»

«Preparate i cavalli» urlò Aragorn, e poi strinse la spalla di Legolas e disse piano: «Sono io l'autore di ciò, e mi dispiace. Gli ho parlato di Arwen.»

La fronte di Legolas si aggrottò leggermente. «Della Stella del Vespro? Ma io non sono un Peredhil.»

La luce dell'alba apparve all'orizzonte, e Aragorn la guardò, prima di dare una pacca sulla spalla di Legolas. «Il giorno finirà in un tramonto rosso» borbottò «Andiamo in battaglia. Non lasciare che le mie parole vi separino, non quando il pericolo è davanti a noi e un bagno di sangue ci aspetta. Fate pace, e più che pace! Ah, sono stanco di guardarvi che girate in cerchio l'uno attorno all'altro!»

Legolas scosse la testa. «Aragorn, cosa...»

Ma il Ramingo era andato, le lunghe gambe si muovevano verso Elrohir che aveva sellato e sistemato Brego.

«Svegliati, mia stella» disse Thorin e si inginocchiò accanto alla testa di Gimli «Il viaggio continua.»

Gimli batté le palpebre e si sedette sulle coperte. «Ah» gemette e si strofinò il volto. La sua barba era un disastro, e si grattò la pancia mentre sbadigliava. «Questa luce è tremenda! E ieri è successo davvero? Non riesco a crederci – da tale terrore a tale rabbia a tale gioia. Mi sembra di essere stato calpestato, eppure la vera battaglia non è nemmeno iniziata.»

«Mi perdoneresti, Gimli?»

Gimli lo guardò da sopra le sue mani. «Non sono molto pronto al perdono di prima mattina, se mi perdonerai, mio Signore» disse secco «Ma suppongo di dovere. Come mio zio mi ha fatto notare, sei il mio Re.»

Thorin si sedette accanto a Gimli e appoggiò le braccia sulle ginocchia. «Non lo sono. Dáin è il tuo Re, ed è un buon Re.»

Gimli rise. «Non hai sentito? Ogni tanto cambiano. E anche Aragorn è il mio Re. Posso averne quanti voglio. Ce n'è in abbondanza qua in giro, dopotutto. Anzi, non era forse Thrór quello che vidi ieri notte accanto ai miei cugini?»

Thorin sorrise. «Grazie, Gimli.»

«Non ringraziarmi. Questa sarà una brutta conversazione, e io non te la lascerò passare liscia. Non dopo il tuo scherzetto»

«Ah-ha» il sorriso di Thorin non diminuì. C'era sempre questo, il grande dono che Gimli gli dava: risate e un cuore più leggero. «Allora sarò giustamente punito.»

«Nnngh» Gimli si buttò di nuovo sul sacco per dormire e si strofinò gli occhi «E l'aria puzza ancora di quegli orridi traditori non morti. Ebbene, devo bere dal boccale che io stesso mi sono versato, suppongo. Non sarò arrabbiato con te per averlo mescolato.»

«Dovreste arrivare presto all'Anduin» disse Thorin, e guardò Gimli che si stiracchiava come un leone pigro «E i tuoi capelli sono atroci.»

«Sono certo che agli Orchi e agli spettri non importerà» borbottò Gimli, ma fece lo stesso lo sforzo di sistemare la nuvola rosso acceso dei suoi capelli in un coda da guerriero.

«Stai facendo un disastro» commentò Thorin.

«Oh, zitto tu» borbottò Gimli, e torse il collo dall'altro lato per recuperare una ciocca che non aveva preso. Il vento la faceva volare avanti a indietro.

«Ecco» disse improvvisamente una voce, e Legolas fece un passo avanti e mise le mani su quella di Gimli «Posso?»

Gimli si congelò.

Thorin si congelò.

«Forse dovresti andartene» disse Gimli sottovoce.

«Non per tutte le gemme di Erebor» disse Thorin non senza soddisfazione «Nemmeno per l'Archepietra stessa.»

La mano di Gimli si ritrasse, e Thorin notò che le sue dita tremavano leggermente. «Fai come vuoi» disse infine Gimli all'Elfo, e Legolas si accigliò.

«Mi sto prendendo troppe libertà?»

«Sì, direi di sì» disse Gimli piano «Ma ne sono felice.»

Legolas esitò per un momento, le mani ancora posate sugli accesi, spettinati capelli di Gimli. Poi incrociò le gambe sotto di sé, muovendosi tranquillamente e deliberatamente come se si stesse sedendo su un altro talan Elfico e non sul terreno freddo e duro, e iniziò a separare le ciocche per fare una lunga, stretta treccia.

Il volto di Gimli era uno spettacolo. Thorin si trovò a non riuscire a fissarlo a lungo. Le sue guance avevano preso colore e le sue orecchie erano di un rosso acceso quasi quanto quello dei suoi capelli, ma le sue labbra erano serrate.

«Perché dovrei morire per amarti?» disse Legolas, un sussurro lieve come l'aria che bisbigliava nella Valle.

«Perché devi essere un Elfo?» rispose Gimli, ugualmente piano.

«Per lo stesso motivo per il quale tu devi essere un Nano: perché è ciò che sono»

«Non può succedere. Non con in palio la tua vita. Aragorn me l'ha detto»

Legolas strinse delicatamente uno dei fermagli di Gimli sulla treccia, e poi continuò a lavorare lungo il resto dei capelli. Le sue lunghe dita volavano, abili e pratiche. Sembravano stranamente restie a lasciare la ruvida e scompigliata chioma Nanica. «Ho parlato con Aragorn. Mi dice che è colpa sua. Perché allora – cosa ti ha detto?»

Gimli chiuse gli occhi e rimase in silenzio per un istante, e poi disse: «Gli Elfi possono morire d'amore.»

Legolas continuò a lavorare, e attorno a loro i Dúnedain riprendevano i loro zaini come se si stessero muovendo in un mondo diverso – come se occupassero la stessa dimensione d'ombra di Thorin, guardando per sempre rimosso dallo stranamente privato e intimo momento. La rabbia era stata messa da parte, raffreddata per ora ma non estinta. Questa strana pace sognante l'aveva sostituita: la calma prima che il tuono faccia tremare l'aria.

«Aye» disse Legolas dopo un momento che si era allungato fin quasi a spezzarsi «Possiamo. È raro, ma possiamo.»

Gimli non disse nulla.

«Allora mi avresti levato la scelta?» disse Legolas, ancora piano, e mise un altro fermaglio sulla treccia, vicino alla metà, tenendola stretta «Mi avresti fatto soffrire e disperare?»

«Se tu non...» disse Gimli, e si interruppe. Si masticò il labbro per un attimo, e poi disse: «se tu non mi ami, allora tu non muori. Non voglio che tu muoia, Legolas. Non puoi morire. Non lo sopporterei.»

«Non hai il diritto di dirmi ciò» mormorò Legolas «Non puoi ordinare al mio cuore di fare ciò che vorresti. Ah, anima coraggiosa, non egoista ma di certo arrogante! Se morirò allora morirò, e lo farò con una canzone sulle labbra. Ma tu non potrai scegliere se accadrà o meno. Solo io posso. E l'ho fatto.»

Gimli fece un suono come se fosse stato preso a pugni. «Oh, Legolas, sanmelekuh, âzyungeluh… birashagimi, birashagimi!»

«Io mi struggerei, Gimli» disse Legolas, e tirò strettamente la grande massa di rosso infuocato per formare l'ultima sezione della treccia «Appoggerei la testa per terra e piangerei per ciò che non è mai stato. Ti desidererei per sempre, e nel desiderio ci sarebbe l'amara conoscenza che tu avevi previsto tutto ciò e non avevi fatto nulla.»

«Non è così» riuscì a dire Gimli, ma Legolas tirò la treccia – un avvertimento: stai zitto.

«E poi, giacerei lì e saprei di essere morto per un sogno» disse Legolas «Preferirei molto poterlo vivere.»

«Ma io sono un Nano, Legolas! Sono mortale!»

«Sì, lo sei» Legolas strinse l'ultimo fermaglio, e poi passò una mano sulla pesante, grossa treccia: il colore sbiadito senza essere gli oli, e senza dubbio la consistenza era secca per le pessime condizioni «Sei molto mortale, e sei in tutto e per tutto un Nano.»

«E quando andrò?» disse Gimli, e fece un grande respiro, e poi un altro «Cosa succederà a te? Cosa succederà allora?»

«Allora si vedrà» disse Legolas serenamente «Io non prevedo il futuro, Gimli – non sono Lord Elrond. Queste cose non sono certe, il rischio esiste, vero, ma non è inevitabile. Non è più certo di sopravvivere in battaglia, e noi ne abbiamo viste molte e molte ne vedremo. Io dirò questo, però: preferirei spirare sapendo cosa vuol dire amare, che morire struggendomi per qualcosa che non è mai stato.»

Gimli sussultò. «Io... non capivo.»

«Avresti dovuto chiedere»

«Eri scomparso!»

«Avresti dovuto trovarmi, Nano esasperante» sussurrò Legolas, e appoggiò il volto contro la treccia «Avresti dovuto trovarmi.»

La mano di Gimli si alzò oltre la sua spalla, e Legolas la prese e la strinse. «E il lutto mortale? Quanto a quello? Ne avevi paura, nei campi di Rohan. E ora io sarò il suo autore. Come pensi io possa sopportare questo senso di colpa?»

«Se il lutto mortale mi prenderà quando il dono mortale prenderà te» disse Legolas, e strinse la mano di Gimli «allora così andrà. Ma avrei una luce da stringere nell'oscurità. Avrei un ricordo di gioia da portare con me contro la marea del dolore. Aragorn parla col suo stesso senso di colpa, ma non ne deve portare. Gli Elfi amano dove desiderano, e questo dono non viene dato alla leggera. Arwen ha fatto una scelta, e così ho fatto io.»

«La Stella del Vespro può vivere come una mortale, grazie alla scelta del suo sangue Mezzelfico» disse Gimli «O così dice Aragorn. Lei non dovrà sopportare lunghe ere dopo che lui tornerà alla pietra!»

«Ere fredde, ere solitarie senza ricordo di fuoco o calore» Legolas si alzò e si mise davanti a Gimli, magro e fiero e orgoglioso «Gimli figlio di Glóin, mi ami?»

Gimli guardò su verso Legolas, e Thorin non l'aveva mai visto tanto perso, o tanto profondamente, completamente adorante. «Devo dirlo?»

«Aye, devi» disse Legolas «In questo, Gimli, devi imparare a fare come gli Elfi. Questo è il presente, e il tempo passerà indipendentemente da ciò che facciamo. Quando tutta la Terra di Mezzo è sull'orlo di un precipizio e la speranza è nelle mani degli Hobbit, qual'è la differenza fra un Elfo e un Nano? Entrambi potremmo non vedere l'alba di domani.»

«Ti legheresti a un vecchio Nano rimbambito, che si asciuga il mento e si massaggia i piedi doloranti?» Gimli scosse la testa «No. No.»

Legolas, incredibilmente, rise. «Le stagioni passeranno e tu invecchierai e io no, e io ti amerò. Gli alberi diverranno rossi e oro e i tuoi capelli argento, e io ti amerò. I tuoi occhi diventeranno spenti e le tue gambe doloranti, e la tua grande forza inizierà a scomparire e io ti amerò ancora. Vuoi spaventarmi con la consapevolezza del fatto che tu invecchierai? Gimli. Non ho paura, e ti amo. Tu mi ami?»

Gimli esitò, e poi si prese la testa fra le mani. «Sì» disse, soffocato, prima di fare un lungo, tremante respiro «Sì. Tu sei il mio Sanâzyung. Ti amo. Ti amo, Legolas di Boscoverde. Con tutto ciò che ho.»

Sorridendo, Legolas si inginocchiò davanti a lui e allontanò le sue grandi mani dal suo volto e baciò il dorso di una, così lentamente, così dolcemente. «Bene» sussurrò «Bene.»

Thorin fece un sospiro esplosivo. «Barba e palle di Durin, finalmente!» ringhiò, e lasciò che la stelle del Gimlîn-zâram lo portassero via.

(Non aveva davvero voluto farsi sfuggire un saltello mentre se ne andava, ma alcune cose non si possono fermare)

TBC...

Note

Alcuni dialoghi presi dai film e dai capitoli “Il Passaggio della Grigia Compagnia” e “L'Adunata di Rohan”.

I Mezzelfi: a differenza degli altri Elfi, i Mezzelfi potevano scegliere il loro fato. Possono essere contati fra gli Elfi Primogeniti (Elrond scelse questa strada) o tra i Secondogeniti, gli Uomini (suo fratello Elros scelse questa strada, e divenne il primo Re di Númenor). Anche ai figli di Elrond fu data questa scelta. Arwen scelse una vita mortale.

Svanire” vs “Morire di dolore” - descrivono due modi diversi in cui gli Elfi di Tolkien possono morire oltre che per ferite mortali. Gli Elfi non svaniscono quando muoiono di dolore o di amore. Invece si sdraiano e le loro anime lasciano il corpo, che rimane giovane. “Svanire” si riferisce a quando un Elfo diventa tanto vecchio che inizia letteralmente a sparire – diventano lentamente trasparenti fino a scomparire del tutto.

Lo scheletro alla porta dei Sentieri dei Morti è del Principe di Rohan, Baldor, che nel 2569 TE (quasi 450 anni prima) aveva deciso di attraversare il sentiero. Non tornò mai, e suo padre Re Brego morì un anno dopo di dolore.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

   
 
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