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Autore: SomeoneNew    07/09/2015    1 recensioni
"Paul?" Si volta sorridendo nel buio.
"Si, miss Golightly?"
"Credi che io ti appartenga?"
"Esattamente, proprio cosi." Sospiro.
"Lo so, lo credono sempre tutti, ma il guaio è che tutti si sbagliano."
Silenzio.
"Buonanotte, Rosy."
"Buonanotte, Zayn."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9.
Breakfast at Tiffany's.


9/07/14 (Un anno fa...)

Sono fermo a fissare questo pezzo di carta ormai da minuti, eppure non c’è nulla di complesso da decifrare in ciò che c’è scritto.

Numero Lora. E a seguire dieci cifre, è ciò che recitano queste due righe strappate da qualche vecchio quaderno trovato per caso. Era stato posato sul mio letto, probabilmente mentre stavo facendo la doccia, e il mittente non era stato difficile da individuare. Ma perché? Insomma, dopo tutto quello che è successo neanche un’ora e mezza fa, dopo averle chiaramente detto che questo numero non mi serviva.

Mi alzo dal letto, infilo un paio di pantaloncini ed esco dalla mia stanza diretto verso quella opposta alla mia. La porta è semi-aperta. La sera è ormai calata da circa un’ora eppure non circola un filo d’aria in tutta casa, nonostante le svariate finestre e balconi aperti. Proprio nell’esatto istante in cui mi avvicino alla porta, e poggio la mano sulla maniglia, essa viene spalancata dall’interno. La figura di Rosy sussulta, quando si accorge della mia presenza, e si porta una mano al petto in modo teatrale.

“Dio, Zayn che diamine fai?!” urla facendo qualche passo indietro, e cerco di trattenermi dal ridere per l’espressione sconcertata che ha in volto.
“Cosa significa questo?” Dico ricordandomi il motivo per il quale mi trovavo davanti alla porta della sua camera, e sventolandole il bigliettino stropicciato a pochi centimetri dal suo naso.
“Il numero di Lora.” Dice con fare ovvio.
“Dimmi un po’, ti sembro idiota per caso?” Le rispondo ironicamente.
Lei tenta di non ridere mordendosi il labbro. “Devo proprio rispondere a questa domanda?”
Poi, notando la mia irritazione continua “Oh andiamo Zayn, mi hai chiesto tu quel numero ed eccoti accontentato.” Dice indicando il pezzo di carta che ho in mano e superandomi, uscendo dalla stanza.
“Mi pare di averti chiaramente detto che non ne avevo bisogno, prima.” Dico voltandomi, perché no, non ho nessuna intenzione di chiudere questa faccenda qui, e non so neanche perché mi importi così tanto, ma mi deve delle spiegazioni dopo tutto. O forse no?
Lei si gira sbuffando, e anche immersi nel buio del corridoio riesco ad intravedere che alza gli occhi al cielo.

Solo adesso, illuminati solo dalla luce proveniente dalla porta alle mie spalle, mi accorgo che è truccata. I capelli sono sciolti sulle spalle, mossi in alcune onde, e sta indossando un paio di pantaloncini neri a vita alta, e una camicetta bianca con alcune decorazioni floreali sui lati, sempre di colore nero. La borsa e le ballerine del medesimo colore confermano che di certo non sta andando a letto.

“Dove stai andando?
“Esco.” Risponde, rimanendo impassibile. La guardo con un’espressione corrucciata. Dove va a quest’ora? Saranno almeno le nove passate ormai, e per di più da sola.
“Ma saranno almeno le nove e mezza, e poi vai da sola?” Dò voce ai miei pensieri, “Fuori è buio e …”
“Oh Dio. Vedi …?” Dice con fare scocciato e gesticolando. “… è proprio per questo che ti ho lasciato quel biglietto.”
“Per cosa?” Dico, guardandola ancora più confuso.
Lei sembra essere indecisa sulle parole da usare, ha un’espressione contorta, e il suo sguardo inizia a vagare nel buio della stanza. Fa un respiro profondo.
“Avevamo detto senza sentimenti.”
“No aspetta, fammi capire. Perciò tu hai pensato ‘prima che il povero Zayn si innamori della piccola Rosy meglio dargli il numero della mia migliore amica, in modo che lui si innamori di lei e si mettano insieme, mentre NOI facciamo sesso’. Le parole scorrono una dopo l'altra prima che io riesca a reagire alla rabbia che sto provando in questo momento. “Giusto? E’ questo il pensiero che ha fabbricato il tuo stupido cervello da maniaca del controllo, no? Mmh… ma sei sicura che alla tua amica andrebbe a genio il fatto che noi facciamo sesso? Perché sec… ”
“Dovremmo smetterla.” Dice quasi impercettibilmente interrompendomi e incrociando le braccia al petto sulla difensiva.
“Cosa?” Le chiedo credendo di avere capito male.
“Dovremmo smettere di fare sesso.” Risponde con più convinzione alzando lo sguardo su di me.
“Lo dici come se fosse colpa mia.”
“Oh ti prego Zayn, adesso non iniziamo questi giochetti di chi sia la colpa o meno. Basta. Questa storia finisce qui, ciò che è successo qualche ora fa non dovrà più ripetersi.”
“Bene.” Incrocio le braccia di rimando.
“Bene.” Risponde con decisione, proprio nel momento in cui il fastidioso suono di un clacson irrompe nel silenzio tra le mura della casa.
“Sono in ritardo” aggiusta la catenella argento della pochet nera, e senza alcun segno di esitazione si precipita giù per le scale.
 

POV. Rosy
3:00 A.M.

“Oh oh qualcuno ci ha dato dentro un po’ troppo stasera.”
“Per favore Zayn, non ho alcuna voglia di litigare.” Sbuffo senza neanche voltarmi verso la sua figura, che intravedo essere appoggiata al basso muretto di fronte la porta del bagno, con le mani nelle tasche dei pantaloncini da tuta. La sola luce giallastra che filtra dalla piccola lampadina sullo specchio mi costringe ad assottigliare gli occhi, e questo non mi aiuta per nulla nella ricerca della stupidissima scatola delle aspirine. Mi balena per la testa l’idea di rinunciare del tutto a quella che sembra un’ardua impresa, finché un’altra atroce fitta alla tempia destra mi costringe a strizzare del tutto gli occhi appoggiandomi con le mani al lavabo. Dovrei smetterla di bere così tanto ogni volta che esco. Ogni estate è sempre la stessa storia, dopo un inverno di solo studio e concentrazione assoluta, mi lascio completamente andare a quella parte di me che di razionale conserva ben poco. Alchool, sesso,  alle volte mi dimentico di avere anch’io dei limiti.

Faccio un respiro profondo e lentamente tento di riaprire gli occhi mentre mi sembra quasi di essere nel mezzo di un vortice per quanto mi giri la testa. E’ ancora qui. Lo so perché il suo respiro è l’unico rumore percepibile in casa, oltre al frinire dei grilli che sento attraverso i balconi e le finestre lasciati aperti. Con le mani ancora posate sul lavabo per evitare di perdere l’equilibrio, mantengo gli occhi bassi, mentre lo sguardo si posa sul ritmico gocciolio del rubinetto che probabilmente non è stato chiuso bene. Ma finisce per darmi la nausea anche questo, le gocce, così sistematicamente ordinarie, a distanza di due secondi l’una dall’altra finiscono per cadere sempre nello stesso preciso punto. Quasi mi viene da ridere. La precisione, proprio ciò che mi manca.

Ma cosa diamine ha da guardare?

Presa da un moto di coraggio alzo lentamente lo sguardo davanti a me, e ricomincio a tirare fuori svariate scatoline di dimensioni e colori diversi. Dove saranno finite le aspirine? Mi chiedo ormai stanca di cercare.

“Perché lo fai?”
Mi immobilizzo. Oh Dio, ti prego fa che sia stato solo un miraggio, un’allucinazione dovuta al pessimo stato in cui mi ritrovo. Fa che non mi abbia davvero rivolto la domanda che credo di aver sentito. Cerco di auto-convincermi che si, è solo questo, non è reale, e continuo a rovistare tra questi tre stretti scaffali.

“Rosy…”

“E tu perché non dormi?” Ed è più forte di me perché sono troppo stizzita dal suo tono saccente, come se, alla fin fine, fosse migliore di me.
“Stavo scendendo a bere ma poi tu e la tua sbronza avete catturato la mia attenzione.”
“Non raccontarmi cazzate Zayn! Da quante notti non dormi? Settimane? Forse un mese? Allora non venire a fare la ramanzina a me chiedendomi perché mi riduco così se prima non risolvi i tuoi problemi di insonnia, okay?” Occhi negli occhi, niente di più vero e crudo direbbe qualcuno, io ho imparato a mentire anche con quelli.

Non saprei decifrare la sua espressione in questo momento, forse perché non si potrebbe descrivere a parole, o molto più probabilmente perché non permette a me di farlo. Mentre io, bhé io richiudo gli occhi come a volere sfuggire in ogni modo a questa situazione, qualunque via d’uscita andrebbe bene.

E lui non si muove, non accenna a contrarre un minimo muscolo, nulla. Lo sguardo ancora fisso su di me, mentre tortura con i denti il labbro inferiore. E in qualunque altra persona assocerei quest’azione al nervosismo, eppure con lui ogni mia certezza vacilla e questo mi spaventa a morte. Perché per quanto io possa cercare di negarlo, per quanto io possa cercare di ignorare ciò che provoca la sua vicinanza al mio corpo, o come io mi senta fin troppo scoperta ogni volta che specchia i suoi occhi nei miei come se volesse leggere la verità in essi, la mia verità, non posso ignorarlo. Forse cerca me e non sa che neanche io so più dove sono o chi sono. Non so bene quando le cose siano iniziate a precipitare. So solo che un giorno mi sono fermata a fissare la mia immagine riflessa nello specchio chiedendomi dove fossi finita. Credo che alla fine, continuando a scappare dai miei demoni, mi sia persa da qualche parte. Non so bene dove, forse a metà tra un qualcosa ed un altro, perché di definito in me non c’è mai stato nulla. Nulla di stabile ha mai caratterizzato la mia personalità, costantemente in bilico tra una commedia americana ed una tragedia francese.  Non so bene perché, insomma non c’è un motivo ben preciso perché io sia così instabile. Ho una bellissima famiglia, degli amici stupendi, e ora mi sono diplomata e realizzerò il mio sogno di conseguire gli studi in Inghilterra, in una delle più importanti università di una città che ha catturato il mio cuore già dalla prima volta in cui ho respirato quell’aria marittima che ha un qualcosa di dolciastro misto al salato. Credo che il mio principale problema sia il volere sempre scavare troppo a fondo in ogni cosa, sempre a cercare l’acqua anche in uno dei terreni più solidi. E alle volte ho bisogno di fermarmi e costringermi a ricordare tutto ciò che di bello mi circonda. Perché non c’è nulla di normale in una bambina di sette anni che pensa al suicidio come ad una sicurezza nel caso in cui le cose di facessero troppo complicate, a come potrebbe finire tutto in pochi istanti se solo lo volesse. Senza neanche riflettere sul dolore che provocherebbe alle stesse persone che la circondano, perché i legami sono ciò che la spaventano di più. Ed è da sempre che mi comporto un po’ come Mss. Holly Golightly in Colazione da Tiffany, allontanando chiunque minacci di mettermi in gabbia. E chissà se è vero che nel frattempo la gabbia me la sono costruita da sola, come dice Mr. Paul Varjak sullo sportello di quel classico taxi newyorkese.

Ed è ancora qui, come congelato dalle mie allusioni, che d'altronde non sono niente più di questo. Perché in fin dei conti io non so nulla di lui, figuriamoci dei suoi problemi, e in pochi secondi mi sono attribuita l’arroganza di sapere. Con quale diritto? Quando imparerò a tenere a freno la lingua sarà troppo tardi. E adesso questa sensazione di colpevolezza non fa altro che andare ad aggiungersi all’enorme pila di sensi di colpa che devo scontare e che vacilla sempre di più per l’altezza ormai raggiunta, minacciando di crollare da un momento all’altro. Un po’ come me adesso, aggrappata a questo lavello, con gli occhi chiusi nel tentativo di controllare il senso di nausea e l’emicrania.

“Zayn, mi disp … “
“Ultimo scaffale, angolo a destra.” E’ tutto ciò che dice prima di sollevarsi dal muretto di marmo bianco ed iniziare a scendere le scale sotto di esso.
Ed eccole, sono proprio lì quasi a prendermi in giro. Anche le aspirine si divertono a ricordarmi quanto io sia idiota.
 

POV. Zayn
4:20 A.M.

Nel buio delle scale si intravede sugli ultimi gradini la flebile luce gialla della lampadina sullo specchio del bagno, ancora aperta. Non sono pronto ad un altro affronto con lei. Mi passo una mano sul viso mentre prendo un respiro profondo, e mi costringo a salire gli ultimi gradini, decidendo di ignorarla completamente dirigendomi dalla parte opposta. Eppure arrivato sul pianerottolo una calma quasi inquietante sembra essersi impossessata dell’aria. E non so cosa sia a convincermi a voltarmi proprio quando ormai mi trovavo sulla porta della mia stanza, ma eccola lì. E’ rannicchiata nell’angolo tra il muro del bagno e lo stipite della porta, la testa poggiata ad esso e le ginocchia strette al petto. Le palpebre calate ed un espressione rilassata, le incorniciano il volto in una strana bellezza, quasi stanca, celata in un sonno profondo.

Non cambierà mai. Non cambierà mai il suo volersi allontanare da tutto e da tutti, la sua convinzione di potercela fare da sola sempre e comunque. Non cambierà mai il suo modo di rivolgersi male a chiunque si preoccupi per lei, quasi con la paura che un giorno debba ricambiare quel sentimento. Non cambierà mai il suo egoismo, anche nei confronti di se stessa alle volte. Non cambierà la sua testardaggine, la sua presunzione, o quanto sia stronza. Non cambierà la sua risata, delle volte talmente forte da domandarti cosa possa celare anche in quella, e non cambieranno i suoi sorrisi, che veri o finti hanno la capacità di toglierti il fiato.

E l’immagine che dà di sé, della ragazza forte e indipendente, entrano in contrasto nella mia mente con colei che ho di fronte in questo momento. I resti di una realtà che viene nascosta e seppellita sempre più a fondo, giorno dopo giorno.

Se solo mi mostrassi chi sei davvero, Rosy. Chi sei mentre piangi nel sonno, mentre le lacrime ti scorrono sulle guancie, e tu sembri non accorgertene, perché chissà in quale mondo ti trovi ora. Forse potremmo soffocare le nostre paure, possedere il nostro futuro, dimenticandoci del passato. Potremmo guarirci a vicenda, se solo ti fidassi di me. Se solo ti concedessi di essere amata.

Senza il minimo sforzo la sollevo da terra circondandole la schiena con un braccio, e l’altro sotto le gambe. E mi sento quasi privilegiato a poterla tenere tra le mie braccia, a potere sbirciare nel suo mondo per un istante. Rosy è stata l’oggetto di una mia ossessione per quasi tutta la mia infanzia trascorsa alle scuole elementari.

Mi ricordo ancora il periodo in cui eravamo compagni di banco, adoravo farla sorridere per le mie stupidaggini. Alle volte bastava uno sguardo a farci scoppiare in una fragorosa risata, per poi beccarci un’occhiataccia da parte della maestra. Sembrava che ogni barriera di timidezza crollasse quand’era con me, era se stessa. Poi qualcosa accadde. Il divorzio dei miei, vari sbandamenti e ci perdemmo di vista. Io la persi di vista, mentre lei era sempre rimasta lì, nell’ombra, a osservare chi fossi diventato. E ho ormai perso il conto di tutte le volte che mi sono maledetto dal giorno in cui le spezzai il cuore. Eravamo forse in terza media, quando la allontanai da me in un modo così brusco da temere di avere scavato per sempre una voragine tra me e lei.
Lei, la mia compagnia d’infanzia. Lei che mi faceva la ramanzina per ogni errore di grammatica che commettevo per poi riderci su insieme. Lei che per prima mi firmò il gesso quando mi ruppi il braccio, con quella sua timida e ordinata calligrafia. Lei che mi raccontava anche i più strani segreti, come la sua fissazione per le coccinelle e per Colazione da Tiffany, la sua fobia per le piramidi egizie, e il ragazzo che piaceva ad Elisa che le stava proprio antipatico perché ‘a me sembra proprio stupido’ mi diceva con quella sua vocina piccola piccola, perché odiava le urla come quelle che le rivolgeva la madre, e l’espressione buffa. Lei che c’era sempre stata, ed io l’avevo abbandonata.
Che cosa ci è successo, Rosy?

Adesso rannicchiata contro il mio petto arriccia il naso, probabilmente per l’odore di fumo di cui è impregnata la mia canottiera, dall’ultima sigaretta fumata. Apro lentamente la porta della sua stanza spingendola con la spalla, sperando che non faccia alcun cigolio. Entro in punta di piedi, scorgendo la figura scomposta di Elisa sul letto in fondo che dorme beatamente. Mi dirigo ai piedi del letto di Rosy e lentamente la poso su di esso. Lei fa un respiro profondo ma per fortuna non accenna a svegliarsi. E nonostante i capelli aggrovigliati sparsi sul cuscino, e il trucco nero sbavato, non posso fare a meno di pensare che sia bellissima , come una rosa appassita che nonostante il colore smorto dei petali sul punto di cadere, risulta essere ancora più poetica di quando era nel pieno del suo splendore.

Le accarezzo delicatamente una guancia, togliendo con il pollice la scia nera di trucco tracciata dalle lacrime.

Ti regalerei un centinaio di coccinelle se potessi. Ti porterei in Egitto affrontando insieme la tua fobia per le piramidi. Ti porterei a New York, mangeremmo quelle stupide caramelle in cui si trova la sorpresa, poi faremmo colazione davanti la vetrina di Tiffany, entreremmo perché ‘lì non può accaderti nulla di male’, e farei incidere le nostre iniziali all’interno dell’anello trovato nel pacchetto delle caramelle. E infine, litigherei con te in uno stupido taxi solo per poi poterti abbracciare sotto la pioggia.

Perché dopo tutto, sei ancora la mia Rosy.
 


TAM TAM TAM TAAAAAAAAAM.
Chiedo umilmente perdono pietà per lo stratosferico ritardo. Lo so lo so, saranno tipo due settimane piene che non pubblico, o forse di più, ma purtroppo prima non ho proprio potuto. Coooooomunque spero che il capitolo vi sia piaciuto, se è così lasciate una recensione o potete farmi sapere cosa ne pensate anche su twitter (@/DaisyYrral). Volevo ringraziare franci10 per la stupenda recensione sull'ultimo capitolo, e grazie mille anche ai lettori silenziosi.
Prometto che tenterò di aggiornare il più presto possibile.

Sempre vostra,
Daisy :)


P.S
Ho iniziato a pubblicare anche su wattpad :) 
https://www.wattpad.com/user/DaisyYrral
 
  
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