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Autore: IoNarrante    07/09/2015    4 recensioni
Ven, aspirante avvocato, ragazza determinata, ligia al dovere, trasferitasi a Londra con un unico obiettivo: diventare socia di uno dei più grandi studi legali della capitale.
Il sogno per cui ha lasciato la sua famiglia a Tivoli, salutato tutti i suoi amici, riducendosi a vivere in un piccolo monolocale vicino a Regent Park.
La fortuna però gira dalla parte di Ven, perché le verrà affidato un caso importante e allo stesso tempo spinoso, che la costringerà a collaborare con un avvocato brillante e terribilmente sexy ma che allo stesso tempo rispolvererà alcune sue vecchie conoscenze.
Non è necessario aver letto Come in un Sogno
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il Sogno chiama...'
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Vorrei dire due parole prima di lasciarvi all' "Ultimo Capitolo" - ho i brividi a scriverlo - di ILWY. Vorrei ringraziare in particolare le mie migliori amiche, le quali non hanno paura di dirmi in faccia che se una cosa fa cagare, fa realmente cagare XD e che mi hanno SPRONATO a continuare e concludere questa fantastica storia che meritava di avere la parola "fine". 
Ringrazio tutti coloro che hanno creduto in me, alle persone che mi hanno sempre sostenuto nel gruppo di Facebook e nei nuovi "fan" che magari approderanno in futuro, sapendo che la storia è finita.
Vi rubo solo un altro attimo, per dirvi che ci sarà un piccolo Epilogo. 

Grazie di cuore a tutti :')
Marty


Capitolo 31
 
La mattina seguente, Venerdì per la precisione, mi recai a lavoro come sempre, soprattutto per seguire da vicino le fasi finali del processo Sogno contro Cloverfield. In ufficio giravano numerose voci, soprattutto per quanto riguardava la scelta che Mr. Abbott avrebbe fatto allo scadere del nostro tirocinio.
Avevo saputo che Yuki era ormai piuttosto sicura della sua vittoria, ma avrei tanto voluto affrontarla faccia a faccia per dirle che si sbagliava di grosso. Nonostante avesse dato un contributo non indifferente alla nostra causa, sfruttando le conoscenze di suo padre, a lei non era stato affidato un compito così rilevante come alla sottoscritta.
Abbiamo lo stipendio in tasca.
Fiera del percorso lavorativo che avevo intrapreso fino a quel momento, camminai quasi tutto il tempo a testa alta. Tette in fuori, pancia in dentro! Un po’ come soleva dire mia madre nel vano tentativo di apparire più magra nelle foto di famiglia. Mi sentivo diversa, quasi più “matura”.
Ripensai a ciò che era successo la sera prima con James e mi sentii in forte imbarazzo. Magari era stata anche colpa mia, quasi sicuramente gli avevo lasciato intendere una certa disponibilità da parte mia che in realtà non c’era.
Era disposto a sposarti, mi ricordò Cervello.
Ma tu ami un altro, si unì Ormone.
Diciamo che non era proprio Ormone, ma più Cuore ormai. Avevo preferito essere onesta, sin da subito, come mi avevano insegnato i miei genitori. Avrei potuto sfruttare la situazione, in fondo, avevo sempre provato qualcosa per l’avvocato e a lungo andare, nel corso del tempo, avrei anche finito per innamorarmi di nuovo di lui ma finché Simone occupava un posto fisso nel mio cuore, pensare anche solo ad un altro in quel modo mi faceva stare male.
Non avrei mai tradito i miei principi e i miei valori, non sarei mai riuscita ad essere opportunista e sfruttatrice come quella Elizabeth.
Infatti, alla fine i nodi vanno sempre al pettine.
Mentre camminavo a passo lento su Regent Street, mi ritrovai a pensare che non tutti al mondo erano stati così “fortunati”. Spesso, o per ristrettezze economiche, oppure perché semplicemente non volevano farsi trascinare in una causa dalla durata indefinita, molte persone erano vittima di queste donne (o uomini anche), e venivano silenziosamente sfruttati ogni giorno.
A volte senza nemmeno accorgersene, solo per ingenuità o semplicemente perché non volevano vedere. Si accontentavano di vivere in una finzione.
Anche se avessi dovuto affrontare la gravidanza da sola, senza l’aiuto di un uomo accanto a me, non avrei mai potuto sopportare l’illusione di una vita perfetta accanto a James rendendomi conto ogni giorno di più che si trattava soltanto di apparenza. Certo, non sarei stata etichettata come “ragazza madre”, oppure non avrei cresciuto mio figlio da sola senza una figura di riferimento paterna, ma comunque non sarei stata coerente con me stessa e con quello che mi avevano sempre insegnato.
Mi ritrovai davanti all’ufficio, con la testa piena di riflessioni.
È giunto il momento.
Salii appena il primo gradino e mi ritrovai di fronte lo sguardo felino di Yuki. Gli occhi a mandorla della giapponesina, socchiusi e sorridenti, mi misero uno strano brivido addosso. Avvertii lentamente la pelle d’oca che mi fece preoccupare.
Quella ragazza era peggio di un film horror, solo la sua presenza bastava ad innervosirmi.
«Buon giorno, Venera,» disse melliflua, lisciandosi i lunghi capelli corvini.
La fissai stranita. «Che vuoi?»
Okay, magari come al solito mi comportavo da ragazza acida in piena sindome pre-mestruale, ma rispondere coerentemente a quella tritapalle era impossibile.
Yuki si accigliò, ma non perse quell’aria di finta superiorità. «Ti ho aspettata proprio qui per farti le mie congratulazioni,» sorrise, poi tentò di avvicinarsi e allargare le braccia.
Dapprima feci un passo indietro, letteralmente inorridita, poi compresi che voleva soltanto abbracciarmi così la lasciai fare, rimanendo immobile come il proverbiale stoccafisso. Rabbrividii.
«O-Okay, stai fuori,» le dissi, riferendomi al suo stato mentale.
Ti si vorrà allisciare in merito al tuo progresso di carriera.
Ebbi l’illuminazione proprio grazie a quel pensiero e finalmente mi rilassai. Era evidente, vipera com’era, che Yuki aveva pensato bene di entrare nelle grazie della sottoscritta proprio perché aveva sentito in giro ciò che si vociferava.
Un moto di gioia inespressa cominciò a crescere nella mia pancia. Era come se avessi una piccola me che ballava la conga tutto il tempo, letteralmente una vera e propria festa!
«Comunque grazie, collega,» le dissi, dandole quell’appellativo come “contentino” per essere arrivata seconda. Le passai di fianco e sorrisi. «Sono sicura che ci sarà una seconda possibilità per la Abbott&Abbott.»
Almeno le avevo dato una specie di rassicurazione. Ovviamente finta.
Yuki mi fissò sempre più sorridente. La sua espressione aveva qualcosa di troppo “soddisfatto” per essere stata scartata al mio posto ma feci spallucce e continuai il mio ingresso alla Abbott.
«Penso di no, invece,» ridacchiò.
Bene, è pure felice che l’hanno scartata. Credo sia completamente pazza!
Concordo.
Entrai nell’ingresso, trovando il solito via-vai di personale indaffarato a compiere le più disparate faccende. Mi accorsi di non trovare più le facce degli altri tre tirocinanti, quelli assunti insieme a me e a Yuki, ma non mi soffermai troppo a pensare. Andai verso l’ufficio di James per fare il punto della situazione e ricevere eventuali aggiornamenti.
Non potevo ufficialmente esultare, ancora.
Yuki era stata abbastanza chiara, malgrado il suo strambo comportamento, per cui avrei dovuto solamente attendere la chiamata di August Abbott e firmare il contratto come socio dello studio.
Avevo lo stomaco in subbuglio.
Tutto sommato, anche se la storia con Simo era ancora tutta da risolvere, forse una parte della mia vita stava andando per il verso giusto.
Bussai all’ufficio di James, senza ricevere risposta.
Tentai di nuovo, magari un po’ più forte, ma non perveniva alcun suono all’interno. Aprii la maniglia ma notai con stupore che la porta era chiusa a chiave. Che James fosse arrivato in ritardo? Era totalmente impossibile.
Mi voltai in corridoio alla ricerca della Segretaria, ma trovai soltanto Yuki che mi fissava sorridente.
Oddio, è peggio di una stalker! Ma che vuole?
Tentai di farmi passare il brivido intenso dietro le spalle, così cambiai ufficio e mi recai in quello di Robert, un altro socio.
Bussai e ricevetti un “Avanti” frettoloso e coinciso.
«Ehi Robert, sai dov’è finito James?» chiesi, un po’ preoccupata.
Lo vidi impegnato in una telefonata, così mise in attesa momentaneamente il cliente e mi guardò confuso. «James se n’è andato, tu cosa ci fai ancora qui?»
Cominciavo a non capire un bel niente di ciò che stava accadendo a studio. Era come se tutti facessero finta di niente e nessuno aveva il coraggio di dirmi bene quello che era successo.
Robert mi fissò preoccupato. «Forse è meglio che ti rechi da August,» mi consigliò.
Lasciai l’ufficio del mio collega e cominciai ad avere una brutta sensazione. L’euforia iniziale per la possibile notizia del posto fisso si stava lentamente spegnendo, lasciando spazio ad un presentimento più nefasto.
Cosa cazzo sta succedendo?
L’ufficio di August Abbott era di fronte all’ufficio che avevo appena visitato. La porta aveva i vetri offuscati, ma si vedeva chiaramente all’interno la presenza di uno dei due soci anziani dello studio. Con il cuore in gola, bussai.
Dovevo prendere coraggio e capire finalmente cosa stesse accadendo, visto che sia Yuki che Robert parevano totalmente impazziti.
«Posso?» chiesi, bussando sullo stipite.
Attesi la risposta che non tardò ad arrivare. «Prego, Miss Donati entri pure.»
Aspettai di trovarmi il solito sguardo sereno ed ottimista di Mr. August Abbott, lo zio di Jamie, ma seduto al suo posto c’era un uomo che non avevo mai visto. Aveva uno sguardo che conoscevo bene, gli stessi tratti somatici del ragazzo che mi aveva affiancato in questo tirocinio semestrale, ma era molto più vecchio.
L’uomo si alzò in piedi, tendendomi la mano. «Buon giorno, signorina, mi chiamo Francis Thomas Abbott, l’altro socio anziano dello studio. Credo che io e lei non ci siamo mai visti, o sbaglio?»
Rabbrividii. Francis Abbott era da sempre conosciuto come uno degli avvocati più duri e determinati di tutta Londra, e la sua presenza a studio non fece altro che alimentare le mie preoccupazioni.
«N-No, non ho mai avuto il piacere,» dissi, tentando di mantenere un contegno e stringendogli a mia volta la mano.
Francis Abbott accennò un sorriso, puramente cordiale. «Prego, si accomodi.»
Mi sedetti nella poltroncina di fronte alla scrivania, quasi come se fosse fatta di chiodi. Ero tesa come una corda di violino e non sapevo cosa aspettarmi da quella conversazione. L’assenza di James, poi, contribuiva a rendermi nervosa.
L’avvocato anziano aprì un fascicolo e mi osservò di sottecchi. «Leggo il suo fascicolo, Miss Donati, e mi compiaccio dell’eccellente percorso di studio che ha effettuato. Non mi sorprende che mio fratello l’abbia scelta come tirocinante nel nostro studio e che le abbia affidato la causa di Mr. Sogno,» disse, per lo più elogiandomi.
Avrei voluto tirare un sospiro di sollievo, ma qualcosa mi diceva che quella era solo la punta dell’iceberg. Il peggio sarebbe arrivato di lì a pochi minuti.
«Ha una carriera brillante davanti a sé, signorina,» sospirò, chiudendo la cartelletta. Raccolse le mani sotto al mento, tendendo gli indici e posandoli sulle labbra rosee. «È proprio per questo suo brillante passato, che mi rincresce doverle dare una brutta notizia.»
E in quel momento compresi appieno cosa stesse accadendo.
Scossi il capo. «N-Non capisco,» tentai di dire, ma le parole cominciavano a morirmi tra le labbra. Da quando avevo messo piede in quell’ufficio, il mio inconscio si era reso conto che il sogno di una vita si sarebbe infranto. «M-Mi sta mandando via?»
Francis Abbott scosse la testa. «Non mettiamola in questi termini,» iniziò, utilizzando la classica tecnica avvocatesca del “indorare” la pillola. «Il suo percorso di studi è impeccabile, così come i suoi master e il lavoro che ha svolto qui a studio, occupandosi di aiutare mio figlio con una delle cause civili più rilevanti che avevamo in carico. Ammetto che lei sarebbe stata il nome in cima alla lista per il posto come giovane socio della Abbott, ma purtroppo abbiamo dovuto metterla in secondo piano.»
Mi tornò alla mente il sorriso di Yuki, l’assenza degli altri tirocinanti e il volto soddisfatto della giapponesina. Hanno preso lei. L’hanno assunta al mio posto.
Sentii le lacrime spingere agli angoli degli occhi. Mi trattenni per mantenere alto il mio profilo professionale. «Perché?» domandai solamente.
Volevo sentir dire a quell’uomo, che tanto ammiravo e stimavo come professionista, il motivo reale per cui venivo scartata. Soprattutto dopo aver messo da parte ogni cosa per quel lavoro.
L’avvocato sospirò, lisciando la copertina del mio curriculum. «Diciamo che ci sono pervenute delle notizie recenti, sul suo stato di salute, che ci hanno fatto riconsiderare la sua candidatura. Lo studio in questo momento non può permettersi di assumere un giovane avvocato con la prospettiva che tra qualche mese sarà di nuovo assente. Ci troveremmo a doverla rimpiazzare con altri tirocinanti, con un enorme spesa di tempo e denaro,» spiegò.
Sentii la terra crollare letteralmente sotto i miei piedi. Mi chiesi solamente come avessero fatto a scoprire il mio stato interessante, chi avesse potuto tradirmi in questo modo. Il mio primo pensiero andò a James. Dopo la scenata della sera prima, non si era nemmeno presentato in ufficio e per un attimo credetti che si era vendicato del mio rifiuto.
Sei proprio cretina.
E infatti mi diedi subito della stupida per aver pensato una cosa del genere. James Abbott mi era stato sempre accanto, mi aveva addirittura consigliato di interrompere momentaneamente la storia con Simone pur di non creare malintesi in ufficio. A conti fatti, avrebbe potuto “tradirmi” tanto tempo prima.
«Signorina Donati, posso dirle con certezza che una volta concluso il suo percorso educativo con la sua prole, il nostro staff potrebbe aver bisogno di una persona qualificata e preparata come lei. La invito a ricandidarsi qui tra un anno, un anno e mezzo.»
In quel momento gli avrei volentieri lanciato la mia tesi di laurea in faccia.
Mi stava dicendo che avrei avuto un’altra occasione ma che se ne parlava dopo la gravidanza.
Volevo morire.
Mi alzai, trattenendo le lacrime a stento. «La ringrazio Mr. Abbott dell’opportunità che mi ha dato in questo tirocinio, soprattutto per la collaborazione con suo figlio. Per quanto riguarda la ricandidatura, le prometto che ci penserò,» dissi, nel modo più educato possibile.
L’uomo si alzò a sua volta, stringendomi la mano. «Allora è un arrivederci, signorina Donati.»
Sarei voluta uscire dallo studio correndo, lasciandomi andare completamente alle emozioni e urlando. Tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento, le persone che avevo sacrificato, il tempo e gli hobby che avevo messo da parte per raggiungere il mio più grande obiettivo era stato del tutto inutile.
Alla fine aveva vinto qualcun altro.
Mi recai fuori dall’ufficio a passo svelto, tentando di raggiungere l’uscita. Il corridoio mi sembrò infinito, quasi una camminata della vergogna per la sottoscritta. Sperai di non incontrare nessuno, di non guardare in faccia i colleghi e vedervi riflesso dentro il motivo del mio fallimento.
«Ancora auguri!» mi gridò dietro Yuki, risultando ancora più antipatica.
Seppi che le “congratulazioni” a cui si era riferita all’inizio, appena entrata, erano riguardo alla mia gravidanza e non al mio posto di lavoro.
Anche lei sa.
Trattenei ancora per poco le lacrime, così affrontai l’ultimo pezzo di corridoio correndo sulle mie decolté ormai consumate. Volevo gettarmi in strada, tornare a casa e piangere. Sapevo che non avrei dovuto gettarmi in depressione, sarebbe stato controproducente, ma quella era stata una vera e propria doccia fredda.
Non appena uscii da quello che sarebbe stato il mio ex-posto di lavoro, sentii subito la pungente aria mattutina. Avvertii come un blocco provenire all’interno delle mie corde vocali, pronto per scoppiare in un pianto disperato, ma notai la presenza di qualcuno.
«Che ci fai qui?»
Avevo dimenticato come fossero scuri gli occhi di Simone, ormai abituata soltanto a vedere quelli di James. Eppure erano entrambi lì, fuori dalla Abbott&Abbott, tutti e due vestiti in modo casual e sportivo.
Il turbinio di emozioni contrastanti che provai in quell’istante, mi scombussolò.
Davvero non riuscivo a capire come sia Simone che James potessero sostare sullo stesso marciapiede senza scannarsi.
L’avvocato si fece avanti per primo. «Sono andato a casa di Mr. Sogno, insieme abbiamo deciso di cercarti e questo è il primo posto dove abbiamo pensato di passare.»
Sentii le lacrime cominciare a scendere, una dopo l’altra, sempre con più intensità.
Non sapevo se stessi piangendo per il posto di lavoro, per il fatto che avevo perso il controllo sulla mia vita o perché finalmente potevo rivedere Simone.
Piangevo e basta.
James si avvicinò, sincerandosi delle mie condizioni.
Il calciatore, invece, pareva sempre immobile. Era come se qualcuno lo avesse trascinato fuori dal letto e teletrasportato in un posto dove non voleva andare.
Ebbi il terrore che anche lui potesse rifiutarmi. Sarebbe stato un colpo troppo duro da sopportare.
«Ven, come ti senti?» mi chiese James, preoccupato.
Tentai di asciugarmi le lacrime, ma continuavano ad uscire. Tutta quella situazione era assurda, quasi incredibile. Era come se tutte le certezze su cui avevo sempre contato si stessero sfaldando una dopo l’altra.
«Su, andiamo a prenderci qualcosa di caldo,» suggerì, facendo cenno a Simone di dirigerci verso il caffè più vicino.
 
Dopo la seconda tazza di latte caldo e miele, riuscii a tranquillizzarmi.
Simone si era preso il solito cioccolato caldo, con tanto di torta al caffè – tanto lui non ingrassava mai – e James aveva optato per il classico thè verde.
«Mio padre te lo ha detto, vero?» mi chiese, quando testò la mia emotività.
Annuii. Cominciai a sentire di nuovo le lacrime che premevano per uscire, ma le ricacciai indietro. «Sinceramente non capisco come sia riuscito a saperlo,» riflettei.
Fu in quel preciso istante che ricordai che Simone era all’oscuro di tutto. Sgranai gli occhi terrorizzata.
Lo vidi concentrato, aveva lo sguardo intenso e mi fissava diversamente rispetto all’ultima volta che ci eravamo visti. Era come se mi stessi innamorando di lui per la seconda volta.
«So tutto, stai tranquilla,» disse.
Le prime parole pronunciate dopo chissà quanto tempo. Sembrava fossero passati mesi e non giorni dall’ultima volta che ci eravamo visti.
Fui presa dal panico, guardai subito James pensando glielo avesse detto lui. «C-Come, c-cosa?» poi ricordai anche Sofia.
Simone mise subito fine alle mie curiosità. «Il dottor Ross ha lasciato un messaggio in segreteria, si vede che gli avevi dato il mio numero di casa e ho saputo dei risultati delle analisi.»
Mi diedi mentalmente della stupida, proprio perché inconsciamente ero stata io ad inviare le analisi al dottor Ross, senza ricordarmi di avergli dato il numero di telefono sbagliato.
Era destino.
Non avevo mai creduto a queste scemenze, soprattutto agli oroscopi o a quelle cazzate lì eppure riflettei sulle coincidenze che ci avevano portato fino a quel punto.
«Quando lo hai saputo?» gli domandai.
Simone si passò una mano tra i capelli e improvvisamente mi pervenne l’impulso di toccare quella morbidezza.
«Qualche giorno fa, a dire il vero,» sospirò. «Mi ci è voluto un po’ per elaborare la notizia e capire per quale motivo non me lo avessi detto.»
Fui presa dal panico. Pensai subito che si potesse offendere, che potesse trovare un altro pretesto per odiarmi. «Stavo per dirtelo, solo che dovevo risolvere prima il problema del lavoro,» mi giustificai. «Che come hai visto, si è concluso nel peggiore dei modi.»
Lo vidi trasalire.
«È stata Yuki,» intervenne James, agganciandosi al mio argomento. «Suo padre lavora nell’ospedale dove hai fatto le analisi e mentre stava indagando per mio conto sulla Cloverfield, ha saputo anche di te. Mi dispiace, è stata colpa mia,» disse mortificato.
Scossi subito la testa e lo fermai. «Non dire stupidaggini, sarebbe successo prima o poi. Tuo padre ha visto l’interesse dello studio, come è giusto che sia. Sarebbe davvero illogico assumere una ragazza che tra qualche mese comunque sarebbe stata sostituita. È un dispendio non indifferente.»
Quelle parole uscirono così limpide e chiare dalla mia bocca. Riflettei immediatamente sul significato di esse e mi misi nei panni di Francis e August Abbott, a come avrei gestito personalmente il mio studio e come mi sarei comportata.
Hanno preso la decisione più logica.
James scosse il capo. «Non mi sono trovato d’accordo con la decisione di mio padre e di mio zio, per questo me ne sono andato.»
Sgranai gli occhi e lo fissai allibita. «C-Cosa? Che stai dicendo, sei pazzo?» gridai. Non potevo permettergli di rimettere la sua carriera soltanto per ciò che mi era successo. «Ora torni allo studio e ti fai riassumere.»
L’avvocato scrollò il capo. «Ne ho parlato anche con Mr. Sogno, e si è trovato d’accordo con la mia decisione.»
Quella confessione mi suonò a dir poco incredibile. «Come? Da quando voi due parlate e andate d’amore e d’accordo?»
Sentii Simone sbuffare, poi lo vidi abbassare lo sguardo e affondare il viso nel collo del suo maglione. Stava cercando di nascondere l’imbarazzo.
James sorrise. «Quando questa mattina l’ho chiamato per dirgli cosa ti sarebbe successo allo studio, ci siamo ritrovati piuttosto abili a collaborare.»
Sorrisi a quella piccola confessione.
Uno dei principali motivi che aveva scatenato l’allontanamento mio e di Simo, era stato proprio James. Sapere che quei due avevano anche la minima possibilità di sopportarsi l’un l’altro mi fece rilassare.
Poi ricordai di ciò che era appena successo e a quello che avrei fatto della mia vita.
Sbuffai. «Domani mi sveglierò e non saprò cosa fare,» dissi mogia.
«Potremo sempre lavorare a qualche caso interessante io e te, insieme,» suggerì l’avvocato ed io vidi subito Simone diventare rigido sulla sedia.
Ridacchiai, un po’ più rilassata. «E come faremmo?»
«Beh io ho la licenza, potremmo lavorare come avvocati free-lance per il momento, poi chissà. Da qui a un anno succederanno un sacco di cose,» disse James. «Potremmo anche fondare lo studio Donati-Abbott!»
Quel nome non suonava nemmeno tanto male.
«E, di grazia, dove riceviamo i clienti?» domandai, sempre più incredula.
James ci pensò su. «Beh, il mio appartamento è praticamente vuoto, quindi…»
Fu in quel momento che Simone si alzò in piedi, puntando un dito contro l’avvocato. Ebbi il terrore che potesse fare una scenata delle sue. «Eh no!» disse deciso. «Se in futuro dovrò sopportare questo avvocato stoccafisso che ti gira intorno, almeno lavorerete sotto i miei occhi. Quindi riceverete i clienti a casa mia!»
Rimasi allibita.
Era come se tutto ciò che era successo sino a quel momento, non fosse mai accaduto, quasi se gli screzi e i dispetti che ci facevamo l’un l’altro non fossero mai smessi.
James sorrise. «Non avevo intenzione di…»
Gli posai una mano sull’avambraccio. «Lascialo stare, Jamie. Il suo unico neurone soffre di solitudine e di tanto in tanto svalvola.»
La reazione di Simo non si fece attendere. «Sei meglio te, con quell’aria da so-tutto-io vedi di abbassare la testa e fare ciò che ti dico. Visto che metà di me è dentro di te, comando io!»
Roteai gli occhi al cielo. «Convinto te…»
 
***
 
James si congedò qualche minuto dopo, dicendo che doveva sbrigare delle cose a casa, soprattutto riguardanti il suo congedo dallo studio. Rimasi sola con Simone, forse ero ancora un po’ imbarazzata per tutto quello che era successo.
In fondo, tutte le questioni rimaste in sospeso non si erano ancora risolte. Avremmo dovuto farci una lunga e sana chiacchierata.
«Beh, che vuoi fare?» mi chiese, sorprendendomi.
Feci spallucce. Ormai avrei avuto tempo a buttar via, visto che ero disoccupata. Ci pensai meglio, anche perché avrei voluto fare davvero qualcosa di bello insieme a lui, una sorta di “ricominciamo”.
«Vorrei tornare a casa,» conclusi.
Lui parve sorpreso, poi si rattristò. «Se vuoi ti accompagno.»
Mi fece male vederlo in quello stato, soprattutto perché mi ricordava quel giorno in tribunale quando lo avevo visto proprio spento.
Mi alzai in piedi e gli tesi la mano. «Cosa hai capito? Voglio che andiamo a casa nostra
Gli occhi di Simo ripresero quella luce che tanto mi era mancata in quei giorni, gli esatti riflessi dorati che tanto mi facevano battere il cuore.
Uscimmo dal caffè per gettarci di nuovo in strada, ma non ci eravamo accorti che il tempo era cambiato e, come al solito, era iniziato a piovere.
«Chiamiamo un taxi?» suggerii, almeno non ci saremmo bagnati, ma Simone mi guardò con una passione che riuscii a mala pena a reggermi in piedi.
«Vieni,» mi disse, afferrando la mia mano e iniziando a correre.
Premetto che non ero mai stata brava in ginnastica, anzi, erano più le volte che sostavo giorni e giorni sul divano, chiusa in casa a studiare, rispetto a quelli passati all’aria aperta. Quella volta fu tutto diverso.
Ero felice di correre con Simone, mano nella mano, mentre la pioggia ci bagnava i vestiti e ce li faceva appiccicare addosso, stoffa contro pelle. Percorremmo tutta Regent Street, sorpassando passanti infastiditi che venivano schizzati dai nostri passi sul marciapiede bagnato dalla pioggia.
Sentivo il cuore martellarmi nel petto, le scarpe farmi male e il sudore che lentamente si mischiava all’acqua piovana ma non mi importava. Sentivo soltanto il contatto con la mano di Simone e cercai in tutti i modi di non lasciarla mai scivolare via.
Non lo farai scappare di nuovo.
Non lo lascerò più andare via.
Anche se non avevo ottenuto il posto alla Abbott&Abbott, forse la mia vita non sarebbe stata poi tanto male d’ora in poi. Magari era ora di rivalutare le mie priorità, di cambiare il mio punto di vista, di affrontare una piccola diramazione rispetto alla via principale che avevo stabilito per il mio futuro.
Da quando Simone era entrato prepotentemente nella mia vita, forse anche dal primo giorno, avevo cominciato a riconsiderare le mie priorità. Ovviamente il mio sogno sarebbe comunque rimasto quello di lavorare in uno studio legale, di fare l’avvocato, ma nella vita di una persona c’erano tanti altri piccoli sogni che a poco a poco si sarebbero realizzati.
Arrivammo sotto il portone di casa con il fiatone.
Cioè, perlomeno io lo avevo. Simone, a parte l’acqua piovana che gli aveva scompigliato quei meravigliosi capelli, sembrava fresco e riposato come una rosa.
«Sembri un panda,» ridacchiò.
Effettivamente avevo dimenticato il trucco di quella mattina, ma ormai non mi importava più di tanto. Tesi le mani per afferrargli il viso e portarlo sempre di più al mio. Simone chiuse gli occhi e attese, ma quando scoprì che il mio unico intento era strusciare la mia faccia sulla sua, tentò di allontanarmi indispettito.
«Ma dai! Che schifo!» si lamentò.
Sghignazzai soddisfatta. «Così siamo due panda!»
Simone tentò di togliersi il mascara nero dalle guance, ma non fece altro che assomigliare a uno di quei giocatori di football americano. Era troppo buffo!
Mi fissò sorridente, poi però mi afferrò il mento con due dita e mi baciò.
Era da troppo tempo che desideravo quel bacio, sembrava passata quasi un’eternità. Mi erano mancate troppo quelle labbra soffici, quel sapore amaro ma allo stesso tempo piacevole che ogni volta mi suscitava nuovi brividi intensi.
Amavo e odiavo ogni cosa di Simone, ogni piccolo comportamento.
Mi infastidiva che mi prendesse sempre in giro, che fosse pieno di sé e che non si curasse minimamente degli altri, ma allo stesso tempo amavo quei suoi difetti.
Rimanemmo sotto la pioggia fino a quando una folata di vento non mi fece rabbrividire.
«Entriamo,» suggerì Simo ed io lo seguii.
L’appartamento era come lo ricordavo, sembrava come se Simone non avesse nemmeno mai rassettato da quando me n’ero andata.
Un momento.
«Ma è una settimana che non pulisci?» domandai scandalizzata
Il calciatore alzò le spalle. «Non mi pareva opportuno, ancora non puzza.»
Storsi il naso e trattenni a stento un conato di vomito. «Dannazione fai schifo, chi me lo ha fatto fare!» sbraitai.
Simo non perse tempo e mi trascinò letteralmente verso il bagno, senza nemmeno il tempo di continuare a sgridarlo. In effetti, non era molto salutare rimanere con quei vestiti fradici addosso.
Aprì l’acqua della vasca da bagno, facendola scorrere e scaldare, dopodiché mise il tappo e nell’attesa che si riempisse, cominciò a spogliarsi. Lo guardai allibita perché era successo tutto così in fretta che dovevo ancora metabolizzare.
Alzò lo sguardo su di me, con una faccia perplessa. «Mbé? Te voi spojà o no?»
Ringraziai il corso di Yoga che avevo frequentato l’anno prima, perché mi avrebbe aiutato a non commettere un omicidio seduta stante. Come poteva un essere umano essere così estremamente romantico l’attimo prima, e totalmente deficiente un secondo dopo.
Sbuffai sfilandomi il cappotto. «Credevo che ci saremmo spogliati a vicenda,» rimarcai l’ovvietà.
Simone lasciò i jeans abbottonati a metà. «Cazzo, non è una cattiva idea.»
È tornato Sherlock…
«Dai tranquillo, meglio che ci sbrighiamo sennò ci viene qualche malanno,» dissi sbrigativa, sbottonandomi la camicia e rimanendo in reggiseno.»
Mi sarei dovuta abituare alla mancanza di tatto di Simo. Il suo sesso e la differenza d’età contribuivano enormemente al divarico tra quelli che erano i nostri bisogni e le nostre priorità ma in quel momento mi bastava stargli accanto.
D’improvviso avvertii le sue calde mani sulle mie spalle, ancora umide.
Alzai lo sguardo e mi ritrovai a specchiarmi in quelle gocce di petrolio che erano i suoi occhi. C’era tanta differenza di altezza tra di noi, era anche per questo che mi aveva sempre soprannominata Lil’elf. A me non importava.
La sua mano scese a scostare la bretellina del reggiseno, facendola calare lentamente sulle mie spalle e lasciandomi un brivido. Chiusi gli occhi assaporando quel momento. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che avevo sentito il suo tocco, mi sembrava un’eternità.
Le sue lunghe dita affusolate, leggere come la carezza di una piuma sulla pelle, scesero ad accarezzarmi il seno, delicatamente, a liberarmi di quella “gabbia” che mi opprimeva il respiro. Sospirai lentamente, sentendo ogni muscolo del mio corpo che si protendeva verso di lui.
«Simo…» gemetti, ma non sapevo cos’altro aggiungere.
Avevo così tanto bisogno di lui, che tutte le parole del vocabolario non sarebbero bastate ad esprimere quello che provavo in quel momento.
Non disse niente, si limitò a spostare le sue carezze ancora più in basso. Si fermò esattamente sulla mia pancia, mettendosi in ginocchio e stringendomi forte a sé. Forse quella era la prima volta che lo osservavo dall’alto in basso e apprezzai così tanto quel suo gesto che stavo quasi per commuovermi.
Gli accarezzai la testa, cercando i suoi occhi. «Ehi,» gli sorrisi.
Era piacevole vedere il suo sguardo luminoso, quasi felino. Aprì e chiuse le palpebre osservandomi come avrebbe fatto un gatto, sembrava quasi mi stesse facendo le fusa.
Poi posò le labbra sulla mia pancia ed io mi portai una mano alla bocca.
Non piangere!
«Credi che giocherà bene a pallone?» mi chiese, soffiandomi sulla pelle.
Inspirai per non cedere. «Credo che sarà un ottimo avvocato.»
Vidi Simo scattare all’indietro, sorpreso. «Eh no! Sappi che non transigo su questa cosa. Mio figlio giocherà a pallone e diventerà più forte del suo papà!»
Il fatto che avesse usato quell’ironia per trasmettermi sicurezza, mi diede una forza incredibile. Quasi tutte le paure che avevo accumulato fino a quel giorno sembravano completamente sparite.
«E se fosse una femmina?» lo rimbeccai.
Simone aprì la bocca per ribattere, poi rimase muto come un pesce. Anche con la medesima espressione.
Cominciai a ridere senza nemmeno accorgermene.
Era talmente buffo che sarebbe stato difficile arrabbiarsi con lui, soprattutto quando finalmente potevamo vivere un’atmosfera casalinga e serena come quella.
Entrammo nella vasca, visto che altrimenti la pioggia si sarebbe asciugata sulla nostra pelle. Fu così piacevole rilassarmi tra le sue braccia, perdere finalmente la cognizione del tempo e dello spazio e rifugiarmi in un posto felice.
«Mi piace tornare a casa,» gli confessai serena.
Sentii la sua stretta farsi ancora più forte. «Anche a me. Voglio tornare dagli allenamenti tutte le sere e trovarti sul divano ad aspettarmi. Magari senza che bruci la cena!» ridacchiò, ricordando quella volta che avevo tentato di preparargli un dolce, senza successo.
Gli assestai un bel pizzico sul braccio.
«Ahi!» si lamentò.
«Così ti impari!»
Sarebbe stato sempre così tra di noi, ormai lo sapevo. Non sarebbe mai stato un rapporto tra due persone adulte, ma tra ragazzi che sarebbero cresciuti assieme giorno dopo giorno, contribuendo a tirare su anche un bambino.
Rimanemmo in silenzio per qualche momento. Pensai alle cose che avrei dovuto fare l’indomani, al lavoro che avevo perso e a quelle faccende che avrei dovuto sbrigare a mano a mano che portavo avanti la gravidanza.
Poi pensai sempre a Simone e a come aveva accettato silenziosamente di essere padre.
«Vuoi davvero diventare papà?»
Simo mi guardò, scostandomi il viso di lato. «Cosa vuoi dire?»
Dalla mia recente esperienza, avevo capito che con gli uomini bisognava essere elementari e precisi. Altrimenti avrebbero capito fischi per fiaschi.
Deglutii a fatica, cercando di essere più chiara possibile. «In questi giorni che sono stata da sola, ho avuto paura di dirti la verità su ciò che mi stava succedendo anche perché ero terrorizzata che potessi dirmi di no.»
Il calciatore cambiò espressione, diventando più duro. «Davvero pensi questo di me? Spiegati.»
Sapevo che era pericoloso addentrarsi in un argomento del genere, ma dovevo metterlo alla prova. Essere completamente sicura che fosse pronto e che non mi abbandonasse nel momento del bisogno. Non ce l’avrei fatta a sopportarlo.
«Voglio dire che non hai mai mostrato propensione ad assumerti le tue responsabilità con la Cloverfield, avevo paura che se ti avessi detto che aspettavo un figlio, avresti reagito allo stesso modo,» spiegai.
Simone mi scostò quel tanto da potermi tenere il viso tra le mani. Eravamo occhi dentro agli occhi, il mio sguardo completamente incatenato al suo.
«Io non ti lascerò mai, se è questo che pensi,» iniziò, facendomi rabbrividire. «Con Elizabeth era tutto diverso, si era trattato di una svista. E poi…»
«E poi?»
Cosa voleva dirmi? Perché d’improvviso era diventato così maledettamente nervoso?
Si lasciò andare contro il bordo della vasca, tirando indietro i capelli neri con una manciata di acqua calda. Si sciacquò bene il viso, lasciandomi in completa balia della curiosità.
L’acqua scendeva lenta incorniciandogli il viso e rendendo le sue ciglia ancora più folte e scure. Ogni piccolo particolare del suo corpo diventava meraviglioso ai suoi occhi e anche se Simone non fosse stato così maledettamente bello, lo avrei amato allo stesso modo.
«Ti amo, stupido elfo.»
Rimasi allibita. Avevo sempre provato quelle cose per Simone, ma sentirsele dire ad alta voce, a pochi centimetri di distanza dal suo corpo, mi fece esplodere il cuore di gioia.
Mi lanciai letteralmente tra le sue braccia, svuotando per metà la vasca e l’acqua si andò a spargere su tutto il pavimento.
«Ti muovi peggio di un pachiderma!» urlò lui, ancora terrorizzato dalla mia reazione.
Non mi importava. Lo fissai con un sorriso a trentadue denti, senza alcuna intenzione di lasciarlo andare dalla mia morsa ferrea.
«Ti amo anche io, capoccione,» gli risposi e forse fu più facile a dirlo che a realizzarlo. Era stato un processo piuttosto lungo, in fondo all’inizio ci odiavamo, ma il sentimento era a mano a mano cresciuto trasformandosi in qualcosa di talmente forte che era stato impossibile da spezzare.
Simone sorrise a sua volta, bello come la prima volta che lo avevo incontrato.
«Non devi avere paura,» mi disse. «Nella vita sono sempre stato istintivo e sinceramente non mi importava molto del domani. Ma adesso sono sicuro di una cosa.»
«Quale?»
Mi sorprese con un bacio che mi tolse il fiato.
Ormai non sentivo nemmeno più il cuore che mi batteva nel petto, tante erano le emozioni che si accavallavano una sopra l’altra.
«Voglio passare il resto della mia vita con te, e con Lil’Elf che nascerà tra qualche mese.»
Capii che era sincero, che finalmente avrei potuto fidarmi di una persona e contare su di essa senza pensare di essere sola, di cavarmela con le mie forse. Era piacevole poter affidarsi agli altri, riporre il proprio cuore nelle mani di qualcun altro.
«Lo sai che ricomincerò a lavorare molto presto,» gli dissi, sapendo che non sarei mai riuscita a fare la vita della “mantenuta”.
Simone dapprima stava per ribattere, poi ingoiò il rospo e ci ripensò. «Hai ragione, in fondo sei sprecata per stare a casa a stirare e piegare magliette. Inoltre, non è che tu sia una grande cuoca…»
E lì si meritò il secondo pizzico, stavolta sul pettorale sinistro.
«Ahi! Sei violenta!» si lamentò.
Sorrisi trionfante. «E nemmeno potrai vendicarti, perché sono incinta!»
Lui comprese di essere spacciato. «E quanto dura questa, questa specie di malattia che hai?» ridacchiò.
Decisi che era arrivato il momento di giocare un po’ con l’acqua, a ripulire il bagno ci avrei pensato dopo.
«Non preoccuparti, sarà il tempo necessario a distruggerti!» gridai, cominciando a schizzarlo negli occhi.
E così andammo avanti per un’ora buona, devastando completamente il pavimento e lo specchio ma divertendoci come matti. Da quell’esperienza avevo ricavato molto, soprattutto avevo imparato che nella vita di una donna non c’è soltanto spazio per un solo obiettivo e che spesso, alcuni nostri desideri nascono quando meno ce lo aspettiamo.
Fuggii dal bagno con il sapone ancora tra i capelli.
«Lo sai che adesso mi vendico, vero?» mi urlò dietro, ma io continuai a correre per tutto il corridoio, sapendo che anche se fossi scivolata Simone sarebbe stato lì, pronto ad afferrarmi al volo e salvarmi. Era bello poter dividere le proprie paure e i propri sogni con qualcuno, anche se avevamo diversi interessi.
«Prima devi riuscire a prendermi!» gli urlai.
Ma la verità era che lui mi aveva già catturato, molto tempo fa. Forse proprio quel giorno di due anni fa, nella hall di quell’hotel a Londra, quando i nostri occhi si erano incrociati per la prima volta, o magari quella notte di Capodanno.
Ci sarebbe stato tempo per capirlo e magari per innamorarmi ancora di lui, un giorno dopo l’altro.

Fine.


Eccoci giunti finalmente!
Dopo tipo 2651232356153613651313651 anni, sono riuscita a scrivere il finale di questa storia e pubblicarlo. Spero davvero che vi sia piaciuto, che vi abbia coinvolto e - ahimé - purtroppo non posso farlo durare per sempre come molte di voi mi hanno chiesto, anche perché diventerebbe molto morboso. Di sicuro potrei pensare di creare qualche OS, quando mi andrà nuovamente di entrare nella vita coniugale di Ven e Simo, i miei due bimbi che non abbandonerò mai.

Questa storia è l'essenza di quello che sono, perché anche se Venera non mi rispecchia pienamente di carattere, molti dei suoi comportamenti li ho anche io, come anche Simo. Sono un po' due miei ''figli'' che ho voluto trasferire su carta e che poi - fortunatamente - si sono innamorati. Devo dire che è anche meglio che la storia si sia "interrotta" perché ho acquisito la maturità e l'esperienza di "coppia" che prima mi mancava e suppongo che questa seconda parte sia un po' più matura della prima.
Dopo questo immenso sproloquio, sono TRISTISSIMA che questa storia si sia conclusa, perché mi mancheranno i personaggi e mi mancherete voi con le vostre recensioni e la passione nel gruppo di Facebook, ma è giunto il momento.
Spero davvero di riuscire a coronare il mio Sogno (LOL) di ricavarne un libro e che questo finale vi piaccia. 
Grazie a tutti coloro che mi hanno seguito sin da CIUS, da quelli che sono approdati prima su ILWY e da quelli che verranno. Grazie a Venera cche mi ha dato un po' del suo coraggio, a Simone che mi ha fatto agire senza pensare troppo alle conseguenze, grazie a Sofia che mi ha fatto sperare nella bontà del prossimo e a Ruben che ''la speranza è l'ultima a morire''. 
Infine grazie a James, anche se è sempre stato un odi et amo, mi hai insegnato che i principi azzurri ancora esistono se si sa cercarli, ma non sempre sono quello che vogliamo davvero.

Grazie a questo meraviglioso viaggio e a voi che mi avete accompagnata passo dopo passo.
Grazie a Venera (quella vera), ad Anna (la mia motivatrice) e a Rosie - come vedete molti nomi che ho usato sono i loro perché le ammmmmmmmmmo <3 - che sono state le prime, le sole e le uniche vere ''autrici'' di questa storia, io ho solo messo su carta i loro desideri.
Grazie a tutti <3

Marty
       
   
 
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