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Autore: lals_    07/09/2015    3 recensioni
La storia partecipa alla sfida: vizi e virtù, indetta sul gruppo di facebook EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni. Il mio prompt era la temperanza.
Dal testo: "Si prostrò una, due, tre volte, i bambini seduti davanti che gli battevano le mani, le loro dita rese appiccicose dal troppo zucchero filato.
Li ringraziò, sorrise.
Perché erano i suoi sovrani.
E poi si allontanò indietreggiando piano piano, le braccia sollevate neanche stessero indicando il cielo.
Perché era il tempo dell’addio."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dalle labbra di Alex fuoriuscì una vampata di fiamme incandescenti che si innalzarono verticalmente fino quasi a sfiorare la sommità del tendone di velluto rosso, e le ciocche di capelli pendenti verso il pavimento ricaddero di slancio sul viso quando il ragazzo assunse nuovamente la posizione eretta, assieme alle gocce di sudore. Alex se le asciugò con la manica del completo sgargiante per poi mostrarsi in un elegante inchino al pubblico, un applauso travolgente che si generava dalle loro mani e l’adrenalinico suono dei fischi di ammirazione.
Si prostrò una, due, tre volte, i bambini seduti davanti che gli battevano le mani, le loro dita rese appiccicose dal troppo zucchero filato.
Li ringraziò, sorrise.
Perché erano i suoi sovrani.
E poi si allontanò indietreggiando piano piano, le braccia sollevate neanche stessero indicando il cielo.
Perché era il tempo dell’addio.
Arrivava sempre, al termine di ogni spettacolo. Un brivido lo coglieva mentre veniva acclamato.
I bambini. La magia.
Persone che ancora erano capaci di crederci. Persone che ancora pagavano per crederci.
Era forse ciò che di più bello esisteva, poter regalare l’illusione di un dono, poter regalare la creazione di un fuoco.
Alex marciò procedendo all’indietro fino a quando le sue spalle non si scontrarono col tendone, attese ancora qualche rapido istante ed infine si arrese a sparire nell’ombra, le mani che ancora battevano per lui, le mani che già fremevano per un altro: il prossimo.
Un passo, istantaneo, e il velluto lo avvolse come un boccone amaro. Il ragazzo non era nato per stare nell’ombra, ma ormai era finito il suo tempo per brillare.
Qualcuno, appena fuori da quello che ormai era il suo palco, gli posò rapidamente una mano sulla spalla, come a congratularsi per lo spettacolo concluso; qualcun altro, invece, glielo disse apertamente, con frettolosità. Ma ad Alex non importava del parere degli artisti. Per lui era il pubblico, quello da stupire. E da conquistare.
Perché rappresentava l’equilibrio perfetto tra ciò che lui era e ciò che voleva essere.
Impressionabile.
Alex non riusciva più a rimanere stupito di niente, non era più capace di essere sorpreso. Ed era ciò che forse lo rattristava maggiormente, durante quei giorni che trascorreva a realizzare progetti, a creare numeri nuovi da esibire, che lasciassero senza parole gli spettatori, che li lasciassero estasiati.
- Ohi Al, ti voglio sempre così la sera.
L’omone dai lunghi baffi brizzolati che possedeva la compagnia d’arte gli sfilò accanto mostrandogli il pollice sollevato verso l’alto, per poi dileguarsi e sparire tra la folla dei circensi. Il ragazzo fece appena in tempo a sorridergli prima che si confondesse tra le ombre e i suoi passi pesanti fossero coperti dai rumori della fiera.
Alex aveva una mezz’ora di pausa prima del successivo spettacolo, vide Andrew con la coda dell’occhio che lo invitava a raggiungerlo a qualche metro di distanza, ma il ragazzo rifiutò con un gesto della mano per potersi poi concedere una boccata d’aria fresca.
La verità era che guardare le esibizioni altrui lo rendeva inquieto. Forse perché ne conosceva i trucchi.
Il mangiafuoco sfilò tra le corde i cui intrecci tenevano in piedi la tenda ospitante, si mosse con agilità tra i chiodi piantati a terra e calpestando la polvere che veniva sollevata.
Ruotò più volte il capo all’indietro nell’udire le acclamazioni e le risate del pubblico, provando un moto di stizza che gli stringeva lo stomaco.
Aveva bisogno di fumare.
Alex attese di essere uscito all’aria aperta per estrarre dalla tasca interna della giacca il pacchetto di sigarette comprato la mattina prima, la aprì con un gesto automatico e ne strinse una tra le falangi morbide del pollice e dell’indice, per poi portarsela alle labbra. Sentiva ancora il sapore dell’alcool sulla lingua laddove si era depositato con la sua immancabile amarezza, avrebbe dovuto esserci abituato ma la verità è che non ci si abitua mai a niente, si può soltanto imparare a convivere con un aspetto del genere.
- Un mangiafuoco che usa un accendino?
Le parole derisorie di una voce femminile gli penetrarono nelle orecchie con una nota aspra, precise al secondo in cui il ragazzo faceva leva sulla rotella con il dito libero.
Alex ripose l’accendino con un gesto annoiato, la fiamma che bruciava e l’odore di fumo nelle narici. Si voltò nella direzione da cui aveva sentito la voce solo dopo aver espirato, mentre la nuvola bianca tremava a contatto con l’ossigeno e si disfaceva, rotta dal vento.
- Anche la magia ha dei limiti. – ribattè in un alito di fumo.
Se qualcuno non avesse saputo della sigaretta ora lungo il fianco destro, avrebbe pensato che stesse realmente ardendo all’interno.
- Non sono d’accordo.
Alex fece calare lo sguardo sulla bancarella della cartomante che aveva parlato, colei che leggeva i tarocchi o che per lo meno così affermava di saper fare.
Il ragazzo non si era accorto di come il sole alle sue spalle si fosse estinto rapidamente e avesse lasciato il posto alle tenebre punteggiate di stelle, ma di fatto era proprio ciò che era successo, ed ora la brace che si riduceva in cenere precipitando dalla sommità della paglia sottile rappresentava una delle poche luci che illuminavano la fiera gremita di persone.
Al di fuori delle attrazionI che risaltavano con la potenza del neon.
- Ma certo – si rivolse alla donna, dopo aver dato un altro tiro – La tua è una magia che non ha mai avuto inizio.
Il tono arrogante che gli era scivolato fuori dalle labbra si dimostrò impertinente ma allo stesso tempo difensivo, perché lui era il tipo di ragazzo che sentiva di doversi proteggere, e di dover proteggere ciò che faceva.
E per riuscirci, aveva il bisogno di riversare l’attenzione sugli altri.
La donna accettò le sue parole come se nemmeno le avesse ascoltate, lasciò che le labbra truccate pesantemente di rosso le si aprissero in un sorriso e piegandosi in avanti sul tavolo di legno gli fece un cenno di prendere posto, proprio su quella sedia che gli giaceva davanti.
Alex inarcò le sopracciglia in un gesto di incredulità.
- Siediti. – lo intimò allora lei – O hai paura di scoprire ciò che le carte possono dire di te?
- Non sapevo che le carte potessero parlare.    
- Sei uno stupido se non credi nella loro magia. I tarocchi ti conoscono meglio di quanto non possa fare tu stesso.
Alex tacque per un istante, combattendo contro l’impulso di girarsi e andarsene senza proferire parola e quello altrettanto tentatore di rispondere come avrebbe desiderato fare, o, ancora meglio, scoppiare a ridere.
Ma le persone stavano passeggiando per la fiera, le loro voci e la musica sembravano sovrastare quella parte di lui che bramava sfrontatezza, che ardeva furente all’idea di ribattere.
E così si sedette.
Camminò fingendo una leggera spavalderia, ricoprendo quel mezzo metro che lo divideva realmente dalla bancarella, e da ciò che essa ospitava. Picchiettò con l’indice sulla sigaretta per scrollare la cenere in eccesso, e poi diede un ultimo tiro prima di gettarla semplicemente a terra.
La sedia era scomoda. Lo pensò nel momento in cui vi si fu appoggiato sopra.
Nemmeno un cuscino, niente che trasmettesse il minimo calore. Solamente sul tavolo era distesa una tovaglietta sottile, ma era talmente corta da riuscire a ricoprirne a malapena la metà.
La donna seduta all’altro capo chiuse gli occhi truccati di nero, mentre con le mani prendeva il mazzo di carte posto in un angolo del tavolo, facendole scivolare verso il centro in modo tale che Alex potesse vedere di tutte il dorso, leggermente sovrapposte l’una all’altra.
- Scegline una. – gli disse con tono serio.
Alex emise un sospiro rassegnato prima di indicarne una scelta causalmente tra le tante. La cartomante sollevò allora le palpebre per osservare la prescelta, vi appoggiò sopra le dita lunghe ed affusolate e dopo un breve istante la voltò.
Le unghie della donna erano tinte di rosso.
- Allora?
Il ragazzo non era entusiasta del modo in cui stava trascorrendo gli unici momenti liberi della serata, tuttavia si sentiva quasi in dovere di rimanere, ormai. Se non altro per mettere alla prova quella povera donna che, se anche stava fingendo, sembrava credere realmente in ciò che la sua arte rappresentava.
- L’appeso. Rappresenta il tuo passato.
- Che cosa significa?
La carta che Alex aveva indicato rappresentava un uomo la cui caviglia era legata ad una fune, e il cui corpo pendeva verso il basso, ruotato con la testa all’ingiù. Il suo volto, perplesso, pareva quasi concentrato ed assorto.  
La donna tenne l’indice premuto sulla carta, gli occhi che andavano da essa al ragazzo, e dal ragazzo ad essa.
- Simboleggia un sacrificio, una condizione sfavorevole e difficile da superare. Temporaneo, certamente, ma pur sempre faticoso. – le iridi azzurre si fermarono sul suo viso apparentemente curiose – Devi dirmi qualcosa su un passato infelice?
Alex si morse forte l’interno della guancia inghiottendo la bile formataglisi sulla lingua. E cercando di bloccare tutti quei pensieri che gli ricordavano la sua infanzia.
- Quante carte devo scegliere ancora? – domandò impaziente.
La cartomante sorrise come se sapesse di aver fatto centro.
- Due. – rispose brevemente – Una per il presente, una per il futuro.
Il ragazzo si sporse in avanti per indicare con il dito una seconda carta rovesciata e incrociò le braccia sul tavolo mentre quella – Ondine, lesse il nome sulla lavagnetta nera alle sue spalle – la girava lentamente ponendola accanto alla precedente.
- L’angelo. – annunciò con ammirazione – Indica un rinnovamento, una metamorfosi interiore. Stai veramente riscoprendo i valori che ti rendono felice - Ondine lanciò uno sguardo al ragazzo attraverso le ciglia lunghe dipinte di nero - Qualcosa sta cambiando nella tua vita di mangiafuoco. Non mi vuoi parlare nemmeno di questo?
- No – sibilò a denti stretti quello.
Si stava affidando completamente al caso, anziché alla ragione, nello stabilire quali dei tarocchi andassero scoperti, eppure la precisione che sembravano mostrargli lo rendeva nervoso più di quanto fosse in grado di nascondere.
Alex si passò una mano rapida tra i capelli sudati e tinti di colori sgargianti, dilatò appieno i polmoni respirando quell’aria zuccherosa che sapeva di caramello ed incenso, gli odori delle diverse bancarelle che si fondevano in una miscela vertiginosa e nauseante.
Il ragazzo sentiva la mancanza del fuoco. Era una passione che aveva scoperto da poco, in se stesso. E sapeva che lo stava rapidamente cambiando.  
- Questa. – indicò infine senza pensare.  
Era la sua ultima carta e avrebbe dichiarato cosa sarebbe stato del suo futuro, cosa sarebbe stato della sua vita da eremita.
La morte? Il carro?
Il matto?
Alex conosceva i loro nomi ma non aveva idea di quale significato avessero. Poteva soltanto immaginarlo.
Ondine mosse le dita con una lentezza maggiore di quella impiegata nello scoprire le altre due, neanche volesse creare il senso dell’attesa e della tensione. Ribaltò la carta per poi posizionarla con le altre, e solo in quel momento si decise a lasciar trapelare dalle labbra la propria dichiarazione.
- La temperanza.
Alex si sporse ulteriormente in avanti per riuscire a vedere meglio la figura rappresentata.
- La temperanza?
Sulla carta era disegnata la figura di una donna con delle ali di angelo, che travasava un liquido facendolo scorrere da una brocca in un’altra.
Il ragazzo non sapeva che cosa rappresentasse, né tantomeno che esistesse una simile carta tra quelle del mazzo.
- Vuoi conoscere il suo significato?
Alex non ebbe bisogno di rispondere.
- E’ un invito alla moderazione, all’autocontrollo. Dice che riesci a cogliere le situazioni con il giusto equilibrio, ma che lo devi mantenere. E’ una virtù estremamente interiore, che non va confusa con la castità. I desideri sono ammessi, ma aspirano alla crescita. Riesci a comprendere questa sottile sfumatura?  
Gli occhi di Ondine si assottigliarono notevolmente, nel porre la domanda finale. Come se stessero cercando di trovarla dentro di lui, la risposta, e non attraverso le sue effettive parole.
- No. – le sopracciglia del ragazzo si distesero verso l’alto per poi corrucciarsi, la testa leggermente scossa che enfatizzava la schiettezza della sua risposta – Assolutamente no.
La cartomante incrociò le braccia sul petto, le maniche del cardigan color cremisi che le sfioravano a malapena i gomiti. Alex posò lo sguardo su di lei e sui ricci corvini che le pendevano sul viso, strinse fra i denti l’interno della guancia ed attese, attese, che la sua voce raggiungesse le corde vocali. Ma la donna non sembrava intenzionata a soddisfare le sue aspettative, mantenne le labbra congiunte e serrate in una posa di innaturale concentrazione.
- Cosa ti sfugge, ragazzo?
 Alex avrebbe voluto dire che sì, gli sfuggiva più o meno tutto all’interno di quella così insolita conversazione, e che no, forse nemmeno voleva arrivare a capire davvero.
Erano solo parole effimere, le sue, costruite sulla base di simboli inverosimili, costruite su delle fondamenta di carta.
Perché sforzarsi di dar loro un senso, quando in fondo non erano altro?
Il mangiafuoco ci riflettè sopra ancora e ancora e ancora, solo per convincersi della propria opinione, per rafforzarla, in un certo modo.
E alla fine, dopo quelli che gli erano sembrati minuti ma che forse non erano altro che rapidi secondi: - Tutto, direi – rispose.
Ondine annuì interessata, ma non era l’obiettivo a cui Alex aveva mirato.
- Non mi sono spiegato  - tentò di chiarire – Non è che non ci trovo un significato, il punto è che non c’è. I tarocchi non dicono il vero, sono soltanto carte. La tua non è magia, è un inganno. Come fai a mentire a te stessa e alle persone?
Alex si sarebbe aspettato una mutazione sul volto della donna, un qualsiasi accenno di sfaldatura, di perdita di sicurezza, ma quella non sembrò nemmeno aver afferrato il senso delle sue parole.
- Nemmeno la tua è magia. – tentò di fargli notare.  
- E’ una cosa diversa.
- Davvero? E in che modo?
Il ragazzo si sentì sul punto di muovere le proprie considerazioni, ma decise di trattenersi nel momento in cui avvertì la presenza di una coppia alle sue spalle; lanciando uno sguardo all’indietro, Alex vide chiaramente la fila di persone che si era formata davanti alla bancarella, gremita di bambine ma anche di giovani coppie.
Si costrinse ad ingoiare la bile sopraggiunta fino alla lingua, e a frenare quelle accuse che gli sembravano tanto motivate quanto veritiere.
Davvero era l’unico a capire? Il solo pensiero lo colmava di tristezza, oltre che di rabbia.
Ecco, ecco perché sapeva che la veggente aveva mentito: lui non sarebbe mai stato una persona temperante. Non avrebbe mai potuto esserlo, non era parte integrante della sua natura di umano. Aveva sofferto, sì, nella sua infanzia trascorsa come artista di strada. Aveva guardato avanti, sì, e fatto buon viso davanti alle ingiustizie che la vita gli aveva contrapposto ogni volta.
Ma no, non poteva imparare a controllare le proprie emozioni. Non poteva sfuggire all’ira, o all’avidità. Non poteva scappare al suo desiderio di brillare, e di risplendere sotto ai riflettori dello spettacolo. 
Questo lo sapeva, e lo aveva accettato.
La scelta di una carta non avrebbe fatto la differenza nello scorrere dei suoi giorni.
- Ti lascio ai tuoi clienti. – le sibilò con acidità. Tentò di mascherarla con una manciata di indifferenza, ma riuscì a percepire l’asprezza della propria voce riempire il tono secco di chi è pieno di risentimento. 
Accennò un falso sorriso alla donna, che lo guardava di rimando con aria di vittoria, e fece strisciare la sedia sul pavimento. Alex lanciò uno sguardo di incredulità alle persone che ancora aspettavano per una menzogna, domandandosi come potessero preferire questo al fuoco.
Aveva l’attrazione della natura, dalla sua parte, così in contrasto con l’artificialità delle carte da fare quasi venire la pelle d’oca. Il fuoco era un elemento, uno degli unici quattro, mentre i tarocchi – oh, i tarocchi – cos’erano se non semplici disegni riprodotti su di una superficie?
Dov’era il loro potere, dove la loro maestosità?
Il ragazzo fece schioccare la lingua contro il palato, allontanandosi dalla folla soffocante. La sua mezz'ora di pausa era quasi giunta al termine, e l’aveva trascorsa nel peggiore dei modi.
- Ehi, mangiafuoco – la voce acuta di una donna lo richiamò all’attenzione – Vieni un po’ qui.
Gli occhi del ragazzo misero a fuoco la figura di Raven a circa un metro di distanza, le curve del suo corpo a malapena contenute nel vestito corto ed attillato da classica velina.
Oh, la temperanza.
Ma quale temperanza.     











*angolo autore*

ciao :)
Aiuto, quando ho visto di dover scrivere sulla temperanza mi sono sentita affogare, ahaha. E io che speravo in un bel vizio, uffa.
Va beh.
Onestamente, è stato piuttosto difficile. Spero solo di essere riuscita a rimanere in tema, perchè è sempre la mia paura anche quando scrivo i temi a scuola, ops. 

Detto questo, ci tengo a precisare che non provo una passione particolare per i mangiafuoco nè un odio particolare per le cartomanti, non intendo offendere nessuno con questo scritto, ognuno può credere in quello che vuole, perciò VENGO IN PACE. 
Bene, credo di aver detto tutto. 
Spero di non aver combinato un mezzo pastrocchio. 

Un abbraccio a tutti tutti
Lals_
 
   
 
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