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Autore: Monique Namie    08/09/2015    3 recensioni
Dylia fa parte del dipartimento di trasposizione della E-Security, un ente pubblico che si occupa della sicurezza dei cittadini residenti sui pianeti di un nuovo sistema solare colonizzato dall'umanità. Un giorno le viene affidata una missione in solitaria per scongiurare un attentato a una importante stazione spaziale, ma qualcosa non va come previsto e da allora la sua vita prende una piega del tutto inaspettata...
Una storia d'amore e d'odio, di persone guidate dalla bontà e di altre accecate dal desiderio di vedetta. Una storia disseminata di ostacoli in apparenza insormontabili e intrighi legati allo spionaggio che portano i protagonisti del racconto a fare i conti con situazioni complicate, in cui i concetti stessi di "bene" e "male" tendono a confondersi.
{Il primo capitolo ha partecipato a "Boom! Il contest che vi lascerà con il fiato sospeso!" indetto sul forum di EFP}
Genere: Avventura, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Sciossione d'Anima


Cap.4 -Scissione d'Anima


Gli ultimi giorni erano trascorsi in modo relativamente tranquillo. Sembrava che Shulik avesse deciso di prendersi una vacanza, il che poteva sembrare un bene per l’umanità, ma per Dylia non lo era affatto. Non era nemmeno lontanamente concepibile che un’agente del dipartimento di trasposizione sperasse nell'arrivo in centrale di un allarme per un possibile attentato, eppure quel pensiero le si aggirava nei meandri della mente da un po’. Non c’era nulla da fare, il lavoro d’ufficio la deprimeva e certe idee sconclusionate affioravano senza preavviso. Un tempo, quando nei periodi di calma si trovava confinata davanti la sua scrivania, passava in rassegna tutti i negozi online in cerca di nuovi cip specializzati per upgradare le funzionalità di Oliwar; adesso anche quel suo hobby non la soddisfaceva più.
Durante la pausa pranzo scelse di recarsi nella mensa pubblica. Odiava quel posto, ma la voglia di immischiarsi in qualche casino l’aveva inconsciamente portata lì. Si mise a fissare il piatto che aveva ordinato tenendo la forchetta a mezz’aria. Era l’ora di punta, quindi il locale era affollatissimo e c’era un baccano insopportabile. Se avesse avuto una pistola al posto del taser, avrebbe potuto sparare un colpo in aria per ottenere un po’ di silenzio. S’immaginò in piedi sopra al tavolo con la pistola ancora fumante e i pezzi d’intonaco staccati dal soffitto che ricadevano a terra. Da quando la sua mente creava fantasie così ribelli e squilibrate? Da quando aveva incontrato quel Shulik a Damon. La chiave di tutto stava lì. Fu riportata con la mente al presente dalla voce di un giovane.
«Ciao. Non ti ho mai notata prima in mensa. Mi chiamo Saati.»
Dylia guardò il suo interlocutore: era il tipo che si era seduto davanti a lei qualche minuto prima e che da allora non aveva mai smesso di fissarla con un fastidioso sorrisetto. Aveva gli occhi troppo chiari, i capelli troppo pettinati e gli abiti troppo formali; non riusciva a sostenere il suo sguardo per più di qualche secondo senza sentirsi trasportata in una dimensione intrisa di finzione.
«Dici a me? Di solito vengo qui per mangiare, non per conoscere nuova gente.» Appena ebbe proferito quelle parole si sorprese d'aver usato quel tono scortese.
«Non volevo sembrarti inopportuno…», si scusò il ragazzo.
«No, figurati. Scusami tu. Ho una giornata un po’ particolare. Non mi piace venire qui a mangiare, c’è sempre troppa confusione.»
Il ragazzo rimase per un attimo ammutolito, poi rise. «Eppure oggi sei entrata qui e hai ordinato quel piatto, perché?»
«Ha importanza?», sbuffò annoiata.
«Beh, dipende. Se sei una di quelle persone che credono nel destino, una certa importanza ce l’ha. Credi nel destino?»
«Sono una traspositrice. Credo che il destino lo creiamo noi.»
Il volto di Saati s’illuminò. «Stai scherzando?! Io sono un appassionato di scienza della trasposizione. Di professione sono archivista, ma ho letto parecchi videolibri sulla trasposizione. Se questo non è destino!»
Per tentare un approccio simile, doveva essere abbastanza disperato.
Dylia decise di ignorarlo. Aprì una bustina di mirtillo gubiano e la riversò sulla sua pietanza; non contenta, strappò una bustina di salsa di funghi ecend e svuotò completamente anche quella colorando vivacemente la sua porzione, poi iniziò a mangiare e trovò che il cibo, così condito, avesse un sapore delizioso.
«Non avrai intenzione fissarmi per tutto il tempo?», disse, sentendosi gli occhi dell'altro addosso.
«Scusa, è che pensavo… dopodomani nella Biblioteca Mondiale si terrà una conferenza sulla trasposizione presieduta da un massimo esperto in materia, il dottor Càusier...» s'interruppe e, portandosi una mano sulla nuca, assunse un’espressione un po’ imbarazzata.
«Vorresti invitarmi a venire con te?», chiese Dylia. «Ci conosciamo da qualche minuto e non sai nemmeno come mi chiamo.»
«Vero, può sembrare pazzesco, ma...»
«D’accordo!»
«Cosa?»
«Dopodomani è domenica, lavoro solo in caso d’emergenza e non faccio un salto da quelle parti da troppo tempo.»
Saati spalancò la bocca in un sorriso. Dylia sperò che non si facesse troppe illusioni; se aveva accettato era soprattutto perché aveva voglia di cambiare aria dopo quelle giornate di stasi che stava vivendo.



Erano le quattro in punto del pomeriggio quando Dylia
raggiunse la Biblioteca Mondiale con una navetta planetaria diretta. Aveva lasciato a Oliwar le coordinate esatte della sua ubicazione e il compito di rispondere a eventuali chiamate d’emergenza provenienti dalla E-Security.
Prima di allora era stata un’altra volta alla Biblioteca Mondiale: quando faceva ancora parte della squadra di assalto, alcuni agenti erano stati chiamati per scortare un ministro che doveva tenere un discorso proprio lì.
La biblioteca, contrariamente a quanto potrebbe far pensare il nome, in realtà non conteneva libri, ma un avanzatissimo sistema informatico di archiviazione. Si potevano consultare documenti di ogni genere e periodo storico tramite una chiave d'accesso ai dispositivi, che si otteneva solo dopo aver espresso il desiderio di registrarsi con qualche mese d'anticipo. Dagli ingredienti per fare un tiramisù alle incisioni presenti sulla leggendaria Stele di Rosetta, dagli articoli di giornale sulla Grande Guerra agli archivi top secret della Base Interstellare Dobson,
qualunque cosa era conservata in pacchetti di dati compressi nel computer centrale della biblioteca.
L’edificio era come se lo ricordava: eccessivamente sfarzoso e grande per la funzione che ricopriva, con le sue colonne in marmo bianco sull'entrata e i suoi sei piani intervallati da terrazze con ringhiere in stile barocco.
Trovò Saati, il ragazzo conosciuto casualmente due giorni prima nella mensa pubblica, ad aspettarla all’entrata come d’accordo. La conferenza sulla trasposizione sarebbe iniziata da lì a cinque minuti. Saati, da grande appassionato di scienza della trasposizione, tramite certi agganci era riuscito a procurarsi due posti in quinta fila. Non male, se si considerava che le prime tre file erano occupate da esponenti di pubblico rilievo.
La sala in cui furono fatti accomodare era immensa. Il soffitto era alto almeno cinque metri e le pareti erano adornate da schermi olografici programmati per proiettare immagini a tema con l’evento.
Il relatore, l’esperto il dottor Càusier, arrivò con qualche minuto di ritardo, ma non si perse in convenevoli e diede subito inizio alla lezione, partendo dalla storia dell’invenzione del macchinario per la trasposizione. Càusier era un uomo minuto che amava vestire all’antica; nonostante i capelli e i baffi quasi completamente bianchi, il suo volto dimostrava almeno dieci anni in meno di quanti ne aveva in realtà.
Iniziò spiegando che quando Grant Everymet, scopritore della trasposizione, capì che la coscienza poteva essere indotta ad agire fuori dal corpo fisico, credette di aver trovato il metodo per studiare l’anima. «Ma si sbagliava, perché ciò che in realtà aveva scoperto era il corpo astrale
», disse, modulando abilmente la voce per mantenere viva l'attenzione del pubblico. «L’anima è una parte molto più sottile, indissolubilmente legata al corpo fisico, tanto che se si tenta di scinderla da un essere vivente, la vita stessa finisce. Everymet scrisse persino un libro intitolato “Scissione d’Anima” in cui esponeva i suoi studi...»
Sui monitor olografici sulle pareti comparvero alcuni schemi presenti sulle pagine originali del libro, accanto ad essi il volto dello scienziato: un uomo brizzolato con un’espressione rassicurante, ritratto mentre indossava un camice bianco da laboratorio.
«Qualche anno dopo corresse le sue teorie. Fu il caso che lo fece ravvedere. Proprio durante un temporale, un fulmine centrò l’impianto elettrico del suo laboratorio e riversò una scarica di qualche gigawatt di potenza su un prototipo del macchinario per la trasposizione su cui stava lavorando. Gli elettrodi poggiavano su un tavolo di legno che non riportò alcun danno, ma…», osservò per qualche istante la platea che pendeva dalla sue labbra, curiosa di ascoltare il seguito e poi riprese: «la cosa sorprendete fu che questo continuò a vedersi anche quando Grant lo spostò. La potenza del fulmine ne aveva separato la parte astrale.»
«Il tavolo fantasma!», scherzò Dylia. Un uomo davanti di lei si girò e le lanciò un’occhiataccia.
Qualcuno verso il fondo della sala si alzò in piedi per chiedere la parola. «Mi scusi, questo significa che ogni cosa e ogni persona ha un “doppio”?»
«Non è così semplice come sembra. Qui si entra in un campo che comprende gli studi sulla meccanica quantistica e le scienze parapsicologiche. Comunque, sì, semplificando al massimo, si potrebbe dire che ogni essere vivente e ogni oggetto ha un “doppio” nel piano astrale.»
Il dottor Càusier si voltò verso il fondo del palco e attese i due robot inservienti che sbucarono puntuali da dietro le quinte. Uno spingeva un carrello a due piani: in cima era disposto un portatile, nel vano inferiore c’era la tuta ad elettrodi e il macchinario per la trasposizione; l’altro robot invece trascinava un lettino di quelli neri e bassi che si vedevano negli studi degli psicologi.
«Per capire meglio propongo un esperimento pratico», disse l'uomo. «Qualcuno tra il pubblico ha già sperimentato la trasposizione prima d’ora?»
Dylia si sorprese con la mano alzata. Quando, un attimo dopo, si voltò e si rese conto di essere l’unica, riabbassò la mano, ma il danno era già fatto.
«Prego, come si chiama? Se la sente di prende parte all’esperimento?» Il dottor Càusier si stava rivolgendo proprio a lei. Non poté tirarsi indietro, così si alzò e salì sul palco. Si presentò come traspositrice impiegata alla E-Security e guardò verso la platea: da lì sopra, la sala conferenze sembrava ancora più grande e il pubblico ancora più numeroso, ma questo non la fece sentire troppo a disagio.
«Per la dimostrazione è sempre meglio che il soggetto abbia un minimo d’esperienza», disse Càusier.
Dylia indossò la tuta ad elettrodi con la disinvoltura di una persona abituata a maneggiare con quella moltitudine di cavi e ventose da molto tempo, poi si stese sul lettino e attese. Mentre aspettava, si ritrovò per l'ennesima volta a pensare a quello che le era successo a Damon per colpa di Shulik. Era così immersa nei ricordi che non sentiva nemmeno più la voce del dottore che proseguiva con le spiegazioni.
«Ora, visto che il corpo astrale è collegato ad uno strato profondo dei processi psichici, bisogna indurre la paziente ad un sonno intenso in modo che l’inconscio riaffiori, un po’ come accade la notte quando sogniamo.»
Càusier controllò che la ragazza si fosse sistemata a dovere e poi azionò la macchina. Dylia non percepì nemmeno il cambio di dimensione; per qualche istante credette di essere ancora sul lettino della sala conferenze in attesa dell’arrivo del sonno indotto, poi realizzò che il luogo in cui si trovava era troppo buio e disordinato. Il dottor Càusier non aveva specificato di aver sistemato un dispositivo per la distorsione del campo elettromagnetico in un altro posto: se voleva fare una dimostrazione per il pubblico in sala, un tale marchingegno non gli serviva. Si guardò intorno con una strana sensazione di smarrimento addosso, riconobbe di essere su qualcosa di morbido, un materasso malridotto accostato alla parete fatiscente di una stanza. Sul pavimento ai suoi piedi vi era una cassetta degli attrezzi ribaltata, il contenuto era sparso ovunque. In alto, il soffitto sembrava quello di un hangar. Poteva trovarsi ovunque, anche dell’altra parte del mondo.

Intanto, nella sala conferenze della Biblioteca Mondiale, il dottor Càusier continuava con le spiegazioni: «Ovviamente il corpo astrale non si può vedere, ma sicuramente quello di Dylia sta passeggiando qui in giro.»
Qualcuno dei presenti si guardò intorno incuriosito, come se stesse assistendo ad uno spettacolo di magia e si aspettasse da un momento all’altro la materializzazione della volontaria nell’altro capo della stanza.
«Mentirei se vi dicessi che nessuno è in grado di vedere il corpo astrale», continuò, «in tempi antichi, infatti, si parlava di sensitivi: persone dotate di un’abilità innata a percepire interferenze provenienti da altre dimensioni.» Fece una breve pausa durante la quale si spostò verso il computer collegato all’apparecchiatura. «La scienza oggi ci ha permesso di elaborare un programma in grado di rendere visibile il corpo astrale anche senza possedere particolari abilità parapsicologiche. Non a caso il programma è stato chiamato l’occhio del sensitivo. E ora proveremo a scoprire che cosa sta facendo la nostra volontaria durante il sonno.» Sorrise come un mago a cui sta riuscendo il trucco più bello della sua carriera, ma quando azionò l’occhio del sensitivo, il sorriso gli si spense nel volto e dalla sala si levò un inquieto mormorio. La figura evanescente che è si era materializzata vicino al corpo di Dylia era quella di un estraneo. Era una figura oscura che stava chinata a guardare la ragazza addormentata, la figura di un uomo dai capelli neri come la notte, occhi indiavolati e volto dai lineamenti paradossalmente aggraziati. Lo sguardo maligno di quel doppio astrale sconosciuto si sollevò di scatto verso il pubblico lasciando tutti ammutoliti.

Mentre si aggirava in quel luogo decadente, solo parzialmente illuminato dal sole che filtrava dai lucernai, Dylia pronunciò una frase: «Il dottor Càusier mi dovrà delle spiegazioni.» E nel tono di voce di quella frase non si riconobbe, non riconobbe nemmeno la carnosità delle labbra che l’avevano pronunciata, così si avvinò a una delle finestre verso est, in modo che i raggi del sole pomeridiano riflessi potessero fare da specchio e si osservò.

Saati, che fino a quel momento aveva assistito all’esperimento dal suo posto, si alzò in piedi e urlò: «Fermate immediatamente il processo di trasposizione! Presto!»

Il dottor Càusier tornò velocemente davanti al computer per cercare di annullare il processo, ma i comandi non rispondevano. La figura minacciosa dai contorni evanescenti, che era comparsa al posto del doppio astrale della ragazza, iniziò ad agitarsi. Di conseguenza, il battito cardiaco di Dylia aumentò e il suo corpo addormentato fu colto dai fremiti come se cercasse di svegliarsi ma qualcosa lo glielo impedisse.
«Fermi questa macchina!», intimò nuovamente Saati che intanto era salito sul palco sotto gli occhi sbigottiti del pubblico.
«Crede che non ci stia provando!», urlò di rimando Càusier. Un attimo dopo scattò il sistema d'emergenza, la corrente fu tolta e non appena il macchinario per la trasposizione si spense, la figura sconosciuta si dissolse.

Dylia si svegliò una mezz’ora dopo su un lettino diverso da quello in cui ricordava di essersi coricata: doveva trovarsi in una saletta della biblioteca adibita a infermeria. Riconobbe la voce di Saati in lontananza e, dopo essersi portata a sedere, vide che c’era anche il dottore Càusier. Quest’ultimo, quando si accorse che si era svegliata, le si avvicinò ansioso.
«Come si sente?»

«Strana. Direi quasi... lontana.»
«Stia tranquilla, fortunatamente il peggio è passato.»
«Ma che cosa è successo?», chiese. «Perché non ha detto di aver usato un dispositivo per la distorsione del campo elettromagnetico?»
«Perché non l’ho usato. Tendo a pensare che durante una delle sue ultime trasposizioni qualcuno sia entrato a contatto con lei mentre era addormentata. È sempre un’operazione molto rischiosa e delicata questa, se poi qualcuno s'intromette durante il processo… Gli elettrodi che aveva addosso hanno, mi si passi il termine, “catturato”, parte del corpo astrale della persona che l’ha toccata. È così? Ha avuto un contatto indesiderato?»
Per qualche attimo Dylia rimase in silenzio a riflettere. Quella considerazione proposta da Càusier era il tassello mancante del puzzle, la spiegazione che stava cercando da un po', la chiave per decifrare le strane sensazioni che da un po' avvertiva.

«Riesce a ricordare qualcosa di utile?», insistette Càusier.
«Sì... sì, c’era qualcuno con me durante la mia ultima missione», ammise finalmente.
«Questo prova la mia teoria. Vede, quell’evento che lei ha sperimentato può non significare niente, ma può anche significare moltissimo.» Notò l'espressione confusa sul volto di Dylia, allora continuò: «Mi spiego meglio: la parte del corpo astrale appartenente all’altra persona potrebbe svanire lentamente e tutto tornare alla normalità. In questo caso non ci sarebbe alcuna conseguenza. È altresì possibile che anche parte del suo doppio astrale sia stata proiettata nel corpo sbagliato. Praticamente un po’ di Dylia vive nel personaggio misterioso, e un po’ del personaggio misterioso vive in Dylia.»
«Shulik», disse Saati, che fino a quel momento si era tenuto a distanza. «Il misterioso individuo si chiama Shulik!»
La ragazza sgranò gli occhi sentendo pronunciare quel nome, come se solo allora avesse preso realmente coscienza della situazione.
«Se siete certi che sia lui, potreste venire entrambi nel mio ufficio per tentare di risolvere.»
Dylia scosse la testa. «Dottore, forse lei non sa che Shulik è un criminale pluriricercato.»
«Oh!» No,
non lo sapeva. «Bhe, ma non deve preoccuparsi. C’è sempre una soluzione anche nel peggiore dei casi», esitò qualche istante per scegliere le parole più adatte: «Secondo la mia teoria, se le vostre anime sono compatibili i vostri caratteri si plasmeranno a vicenda.»
«Mi faccia capire», intervenne Saati, «succederà un po’ come in quei film da quattro soldi in cui il carattere di una persona finisce del corpo dell’altra? Dylia diventerà un’assassina e Shulik rispetterà finalmente la legge?»
Càusier non fece in tempo a confermare o smentire, perché Dylia si alzò con decisione e, prendendo con violenza Saati per la giacca, gli urlò contro: «Non succederà, razza di deficiente!», poi lo strattonò e gli arruffò i capelli. «Non ti sopporto più con i tuoi capelli troppo pettinati e i tuoi vestiti da cretino! Non so nemmeno perché ti ho rivolto la parola quel giorno in mensa. Sei insopportabile! Vattene!» Lo spinse fuori dalla porta e dopo averla richiusa alle sue spalle si portò una mano al petto e riprese fiato. Si rese conto di aver il cuore così agitato che sembrava volerle uscire dalla scassa toracica. Il dottor Càusier non sembrò affatto sorpreso di quella sfuriata; aveva la tipica espressione di qualcuno che vede le sue congetture realizzarsi. Quando ritrovò la calma, Dylia si rivolse al dottore: «Era lui, vero? Ci sarà pure un modo per controllarlo...»
«C'è sempre un modo», disse il dottore con fare solenne.

Prima di andarsene, Dylia sostò nel grande atrio della biblioteca e sollevò lo sguardo verso l'enorme lampadario di vetro che aiutava i raggi del sole morente a illuminare l'ampia scalinata interna. Altro che biblioteca! Sembrava un hotel extralusso, un maniero in cui si potevano scovare anfratti segreti dietro finte pareti.
Sospirò, tormentata dal rimorso di aver trattato Saati in un modo così duro. Il fatto che non gli fosse simpatico non la giustificava ad usare delle maniere brusche; non era da lei agire così aggressivamente per futili motivi. Il pensiero che un frammento di Shulik fosse veramente intrappolato dentro di lei e che a tratti potesse prevalere sulla sua coscienza, tuttavia, non la spaventava quanto avrebbe dovuto, anzi la faceva sentire in qualche modo più speciale.

Quando, proiettata in quel luogo sconosciuto, aveva cercato la propria immagine riflessa nelle finestre, aveva visto lui: per un breve lasso di tempo aveva guardato il mondo con i suoi occhi e aveva provato quello che lui provava ogni giorno. Ora le era chiaro che quell'uomo conviveva con un peso tremendo che gli logorava lentamente l'animo, qualcosa che avrebbe potuto trasformare la persona più docile in un killer assetato di sangue. Al ricordo di ciò che aveva percepito, le salì il cuore in gola e, avvolta dalla solitudine del tramonto, lasciò che gli occhi le si riempissero di lacrime.
Incamminandosi fuori dalla biblioteca infilò le mani in tasca e avvertì sui polpastrelli il contatto freddo con un materiale metallico: era il DSZ di Shulik. Forse ora aveva una scusa in più per riportarglielo.




Note autore:
Ebbene, siamo arrivati ad un punto cruciale della storia!
Vi svelo qualche curiosità sul capitolo: la prima parte, quella dell'incontro con Saati in mensa, avevo pensato di tralasciarla e inserirla come missing moment al termine di tutto il racconto, perché temevo allungasse troppo il capitolo. Poi ho cambiato idea, et voilà.
La teoria che ogni cosa e persona abbia un "doppio" nel piano astrale non è una mia invenzione, ma è un tema che si può trovare realmente in alcuni libri che trattano di esoterismo.
Come al solito, se ritenete che qualcosa debba essere migliorato, fatemelo sapere senza paura.
Alla prossima! :)


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"Inverse Transposition" di Monique Namie
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