Nel bivio precedente
avete deciso di seguire la giornata dal punto di vista di Lucy?
Allora siete nel
capitolo sbagliato, cliccate
pure qui per raggiungerlo.
Oppure
avete deciso di seguire la giornata dal punto di vista di Simon?
Anche in questo
caso siete nel capitolo sbagliato, cliccate pure qui
per raggiungerlo.
Non vi ricordate alcun bivio fra
cui scegliere?
capitare, cliccate qui per
rinfrescarvi la memoria.
Siete convinti di
seguire la giornata dal punto di vista di Kevin?
Allora siete nel
posto giusto! Buona lettura!
Non abbassare mai la guardia! Cosa posso fare per proteggerli
senza essere il terzo incomodo?
Un
fascio di luce sugli occhi fece passare Kevin dal sonno al dormiveglia. Gli ci
volle un po’ per riuscire a trovare la forza di aprire le palpebre.
«Buongiorno!»
La
voce allegra e pimpante di Lucy lo risvegliò quasi completamente. Il ragazzo si
mise seduto sul divano, sbadigliando: «Buongiorno, Lucy... che ora è?»
La
ragazza avvitò la caffettiera: «Sono le otto passate, e a giudicare dalla tua
faccia, hai passato più di metà della notte in bianco, vero?»
Kevin
si stiracchiò: «Capita, quando si soffre d’insonnia...»
Aveva
semplificato un po’ la situazione. Certo, l’insonnia cronica aveva fatto la sua
parte, ma in realtà aveva passato gran parte della notte sveglio a controllare
la porta della camera di Simon. Non era certo di cosa potesse fare uno Stregone
Oscuro nel sonno e a giudicare dai discorsi dell’amico la sera prima,
probabilmente non lo sapeva neanche lui.
«E
Simon dov’è?»
«In
bagno.»
«Allora
mi toccherà aspettare che esca.»
Nella
stanza scese un attimo di silenzio. Lucy stava finendo di preparare la
colazione e Kevin, non ancora del tutto sveglio, stava cercando di
riorganizzare un po’ i mille pensieri che gli avevano agitato il sonno e il
dormiveglia.
In
quel momento Simon entrò nella stanza, perfettamente sveglio: «Buongiorno.»
Lucy
gli sorrise: «Ciao, Simon! Tutto bene?»
Il
ragazzo annuì, sedendosi a tavola: «Sì, il letto era meno scomodo di quanto
sembrasse a una prima occhiata.»
Kevin
si limitò a fargli un cenno di saluto e si fiondò in bagno. Si buttò dell’acqua
fredda sul viso cercando di svegliarsi del tutto, poi, appoggiandosi al
lavello, respirò profondamente facendo appello a tutte le sue energie. Gli
stava toccando un compito tutt’altro che adatto a lui. Si sentiva in colpa, era
diventato praticamente uno stalker per tenere così sotto controllo il suo
migliore amico, ma cosa poteva fare? I due promessi sposi non erano nelle
condizioni migliori per poter tenere sotto controllo una situazione a dir poco
esplosiva. Simon se ne rendeva conto da solo, Lucy sembrava fin troppo
tranquilla, probabilmente rassicurata dalle parole del suo fidanzato, come se
solo le buone intenzioni fossero sufficienti da sole per risolvere il problema.
Kevin
si sentiva schiacciato da una responsabilità enorme. Gli sarebbe bastato abbassare
la guardia nel momento sbagliato e teoricamente avrebbe condannato il mondo
intero. Era tutt’altro che sicuro di farcela, ma non aveva altra scelta.
Accettando il patto con Simon si era preso il compito di giudice e controllore
delle azioni dell’amico, e non poteva sottrarsi. Non aveva altra scelta che
uscire da quella porta e affrontare la giornata.
Quando
anche lui si fu seduto al tavolo, Lucy servì il caffè. Sovrappensiero, Kevin
afferrò la confezione del burro, senza notare che Simon aveva già a sua volta allungato
la mano per prenderlo.
«Ehi!»
Il
ragazzo, una volta accortosi dell’amico, non resistette e gli fece un
occhiolino malizioso: «Di prima mattina non abbiamo i riflessi così pronti,
eh?»
Simon
gli restituì un sorriso furbetto: «Parla l’eterno insonne che poi crolla a metà
giornata... almeno io ho
più autonomia!»
Si
guadarono per un attimo con aria di sfida, poi scoppiarono a ridere. Per un
attimo sembrava essere tornato tutto alla normalità, come se fossero a casa
durante una colazione qualsiasi.
Un
attimo, però, perché proprio dopo la colazione Kevin si rese conto che la
situazione era tutt’altro che normale. Decisamente non era da Simon, né da
Lucy, mettersi a fare i piccioncini in sua presenza. Gliel’avevano promesso anni
prima, nel momento in cui si erano fidanzati, e fino a quel momento non avevano
mai mancato la parola. Kevin si rifugiò nel corridoio, mordendosi un labbro e
trovando come unica via di fuga il bagno. No, non era l’infrazione della
promessa il problema, neanche lontanamente. Quello che lo preoccupava era
quanto dovessero aver sofferto i suoi amici per arrivare a infrangerla senza
neanche rendersene conto. Li aveva aiutati nel modo migliore o avrebbe potuto
fare qualcosa di più? E come doveva comportarsi da lì in avanti?
Tutte
domande senza risposta, che gli opprimevano la mente e il petto, e a cui, lo
sapeva benissimo, avrebbe dovuto trovare una soluzione completamente da solo.
Il
pranzo si svolse senza particolari problemi e, dal modo in cui Simon e Lucy gli
rivolgevano la parola, chiedendogli pareri su qualunque argomento, Kevin capì
che si erano resi conto di averlo fatto sentire il terzo incomodo e che stavano
cercando in ogni modo di rimediare. Questo lo sollevò leggermente, forse il
momento di crisi era passato.
Tuttavia,
dopo pranzo, Lucy lo sorprese di nuovo con una richiesta inaspettata, che lo
prese in contropiede.
«Sei
sicura di voler fare tutto da sola? Possiamo aiutarti, non mi dà alcun fastidio
e credo neanche a Simon... vero?»
«Infatti.»
Ma Lucy
sorrise: «Andate, tranquilli! Abbiamo promesso di tenere pulita questa casa e
lo faremo. Oggi lo faccio io, e magari un altro giorno ci dividiamo i compiti,
ok? Andate a farvi una passeggiata, e mentre siete fuori comprate un po’ di
pane per cena, va bene?»
Kevin
sospirò, molto dubbioso. Simon le prese una mano.
«Sei
sicura? Non mi piace l’idea di lasciarti da sola...»
Lucy
annuì: «Sicurissima. Andate, non vi piace stare chiusi in casa, lo so.»
Il
ragazzo si morse un labbro e le lasciò la mano: «Va bene... ma non staremo via
molto.»
«Mi
troverete qua al vostro ritorno, non vi preoccupate.»
Kevin
aprì la porta: «Allora a dopo.»
Lucy
li salutò con la mano e con un bel sorriso: «Buona passeggiata.»
Non
appena la porta si richiuse, fra Simon e Kevin scese un’atmosfera di puro
imbarazzo. Non erano mai rimasti da soli dall’inizio di quella storia.
Simon
rivolse il suo sguardo dall’altra parte: «Scusa per prima. Siamo stati un po’
inopportuni nei tuoi confronti.»
Kevin
fece un mezzo sorriso. Aveva avuto ragione.
«Non
ti preoccupare, lo capisco, era da tanto che non avevate un po’ di tempo per
voi.»
Dopo
una piccola pausa, in cui inutilmente aspettò che il suo migliore amico dicesse
qualcosa, il ragazzo continuò con una classica frase di circostanza, giusto per
smorzare un po’ l’imbarazzo: «Allora, dove andiamo di bello?»
Simon
ridacchiò amaramente: «Caschi male, Kevin, non so nulla di questa città,
l’esperta qua è Lucy.»
«E
allora andiamo ad esplorarla, che ne dici?»
Il
ragazzo alzò le spalle: «Non mi pare che ci sia molta altra scelta.»
Camminarono
per un po’ in silenzio. Fra i due era calata un’atmosfera d’imbarazzo, cosa che
non capitava loro da molto, moltissimo tempo. Kevin ricordava una sensazione
simile solo i primissimi tempi in cui si era unito alla loro squadra, quando,
venendo da un mondo totalmente diverso, fatto di violenza fisica e psicologica,
quasi sempre non sapeva cosa dire e alzava un muro fra sé e il mondo. Quel muro
era stato smontato, giorno dopo giorno, mattone dopo mattone, dai sorrisi
incoraggianti di Lucy e, soprattutto, dal modo di fare di Simon, che oltre che
con le parole sapeva esprimersi con la musica e con i suoi gesti, giorno dopo
giorno. Nei primi giorni alla Shibusen l’aveva profondamente
ammirato per questo, e quell’ammirazione si era poi trasformata in sincera
amicizia. Ora, per la prima volta da quando lo conosceva, era Simon ad avere
eretto un muro, e lui non era certissimo di avere la stessa capacità dell’amico
di smontarlo. Ci avrebbe provato con
tutte le sue forze, ma temeva profondamente che il suo atteggiamento avrebbe
finito per sfondarlo, invece, e non
era sicuro di cosa avrebbe potuto trovare in quel momento dall’altra parte.
I
loro piedi, intanto, li avevano portati su una via piuttosto trafficata e
movimentata, e tuttavia più silenziosa di quanto si aspettassero. In un paese
che si reggeva in gran parte sull’omertà degli abitanti, ognuno si faceva gli
affari propri, guardandosi in giro sospettosamente e stringendosi nelle
giacche, spesso cercando di non farsi notare.
Kevin
si sentì a disagio. Gli ricordava anche troppo bene il gruppo di kishin con cui aveva viaggiato anni prima, anche se
l’architettura della città non era poi così dissimile da quella di Death City,
e l’accostamento di due parti della sua vita così contrastanti erano per lui un
pugno nello stomaco.
Fece
ancora qualche passo sovrappensiero, poi si rese improvvisamente conto che
Simon non era più alla sua sinistra. Preoccupato, tornò sui suoi passi fino a
ritrovare l’amico, dietro l’angolo di una casa, a fissare una rissa fra gente
sconosciuta. Fece per chiamarlo, ma si fermò. Oltre a non essere una buona idea
attirare l’attenzione dei contendenti, c’era un altro dettaglio che lo stava
preoccupando non poco: il colore dei capelli di Simon si era fatto
improvvisamente più scuro. Il ragazzo osservava la scena attentissimo, senza
nemmeno sbattere le ciglia, e l’ansia s’impadronì per un secondo di Kevin. Un
secondo, però. Se Simon stava cedendo al suo lato oscuro, doveva fermarlo,
subito!
Gli
appoggiò una mano sulla spalla proprio nel momento in cui l’amico aveva fatto
un passo verso il gruppetto. Quasi immediatamente Simon mise anche la sua mano
sopra la sua, con una presa forte e decisa, come se volesse spezzargliela.
«Qui
non c’è nessuna panetteria, Simon. Andiamocene.»
Non
era stata la sua uscita migliore, d’accordo, ma non gli era venuto in mente
niente di meglio per distrarre l’amico che ricordargli quello che Lucy aveva
chiesto loro di fare.
Simon
si voltò di scatto. I suoi occhi erano ancora azzurri, ma con un luccichio di
perfidia che normalmente gli era alieno. Kevin lo guardò con tutta la
determinazione che aveva in corpo. Non aveva paura dello Stregone Oscuro, si
erano già confrontati faccia a faccia una volta, poteva farlo ancora.
«Non
vorrai far preoccupare Lucy, vero? Ci sta aspettando a casa ed è quasi ora di
rientrare.»
L’espressione
smarrita che per un istante aleggiò sul volto di Simon non appena udì il nome
di Lucy rassicurò Kevin. Anche questa volta era riuscito a far indietreggiare
lo Stregone Oscuro.
Il
ragazzo abbassò lo sguardo e s’incamminò con passo più veloce del solito: «Sì,
hai ragione. Andiamo.»
Kevin
lo seguì, dispiaciuto. Forse era stato un colpo un po’ troppo basso, ma sapevano
entrambi che non c’era stata altra scelta. In ogni caso, non poteva più
permettersi di abbassare la guardia.
La
cena fu silenziosa, tremendamente silenziosa, di un silenzio rotto solo dal
rumore delle posate in cui le parole timidamente accennate da Lucy e a cui
Kevin rispondeva per educazione stridevano come un gesso sulla lavagna. Simon
non disse neanche una parola, fino a quando non s’alzò dal tavolo: «Scusatemi,
ho un po’ di mal di testa, vado a stendermi un po’.»
Lucy
lo guardò preoccupata: «Passo più tardi a portarti qualcosa?»
«No!»
Kevin
cercò di fare finta di niente, ma non gli era affatto sfuggito il tono
allarmato con cui l’amico aveva pronunciato l’ultima parola, prima di prendere
un profondo respiro e continuare: «No, Lucy, ti ringrazio, mi serve solo una
buona dormita.»
La
ragazza annuì: «Va bene, allora. Buonanotte.»
«Buonanotte.»
Kevin
non aveva aperto la bocca per tutta la discussione, e non lo fece fino a che Simon
non si fu chiuso in camera.
«Non
sta bene.»
La
ragazza sorrise conciliante: «Lo ha detto anche lui. È un periodo stressante
per tutti, un po’ di mal di testa è normale.»
Come
faceva Lucy a dare una risposta del genere? Era cieca, stupida o bugiarda?
«Sai cosa intendo.»
Lucy
si alzò portando via le stoviglie, ma non rispose.
No,
non era né cieca, né stupida né bugiarda. Era disperata, e a quanto pareva non aveva trovato altre soluzioni che
fingere di non vedere i problemi.
Sospirò.
«Vado
in bagno.»
Ne
approfittò per bagnarsi il viso, ma senza mai smettere di tendere l’orecchio
per cercare di cogliere qualsiasi suono proveniente dalla camera di Simon. Gli
unici rumori che sentì furono quelli dei piatti che stava lavando Lucy. Uscendo
dal bagno, si fermò per un attimo di fronte alla porta della stanza dell’amico.
Nulla, neanche il più piccolo respiro. Un’ansia all’apparenza ingiustificata lo
prese alla bocca dello stomaco e lo portò a chinarsi e a guardare dal buco
della serratura. La mascella gli cadde nel vedere quali devastazioni Simon
stava compiendo alla sua camera, uno sfogo in piena regola di pura magia
oscura, uno spettacolo affascinante e raccapricciante allo stesso tempo, da cui
non riuscì, neanche volendo, a distogliere lo sguardo, nemmeno quando l’amico
si mise a quattro zampe e si trasformò in un enorme lupo nero, diventando
ancora più aggressivo e feroce. Kevin rimase immobile, paralizzato non tanto
dalla paura, quanto dall’indecisione. Cosa doveva fare? Sfondare la porta e
cercare di fermarlo? E se in quello stato non lo avesse riconosciuto e lo
avesse ucciso? Senza contare che a pochi metri di distanza c’era anche Lucy,
ignara di tutto...
Improvvisamente
il lupo si fermò, come esausto, e riprese l’aspetto di Simon. Il ragazzo si
guardò intorno, poi, con pochi semplici gesti, rimise la camera esattamente
com’era prima, senza lasciare la minima traccia di quello che era accaduto.
Kevin osservò tutto attentamente, sentendosi contemporaneamente più rilassato e
più preoccupato di prima. Più rilassato, perché a quanto pare Simon non aveva
perso totalmente il controllo, anzi; più preoccupato, perché se l’amico sentiva
il bisogno di sfogarsi in quel modo dopo due soli giorni, probabilmente la sua
fragilità psicologica era ancora più grave di quanto avesse immaginato.
Kevin
prese un profondo respiro. No, non doveva abbassare la guardia, mai. Ora, più che mai, tutto dipendeva
da lui e dalla sua capacità di essere l’ago della bilancia.
Kevin: E ora che fa? Prende
la chiave e...
Soul Eater,
Richiamo di sangue, 17° capitolo: L’ultima cosa che avrei voluto vedere! Una
giornata di ordinaria follia?
Lucy: Kevin! Che hai fatto
all’occhio?
Kevin: Si è trovato nel
posto sbagliato al momento sbagliato... hai una bistecca, per caso?
Ed ecco a voi il bivio che avete scelto! Cosa succederà quindi
nella “tranquilla” cittadina in cui i nostri eroi sono andati a cacciarsi? Lo scoprirete
nel prossimo capitolo!
CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Hinata 92