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Autore: Triz    09/09/2015    1 recensioni
Questa raccolta contiene tutte le storie che ho scritto su John e Harold per gli eventi del gruppo facebook We are out for prompt. Buona lettura!
Good morning, Harold - {I passi di John Reese e l'odore del tè caldo svegliarono Harold Finch di colpo.}
Il tempo di Harold - {Non capiva per quale motivo la Macchina ci stesse mettendo tanto.}
Sperare - {Era veramente impossibile lavorare con uno come Dean Johnson. | Nessuno aveva avuto mai di che lamentarsi del nuovo bibliotecario dell'università.}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harold Finch, John Reese
Note: Cross-over, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We are out for prompt'
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Starburst

Prompt: Doctor!Harold/Companion!John. Il Dottore porta John a vedere la nascita di una stella solo per guardare la luce riflessa sul suo volto.

Evidentemente, John Reese non era destinato a conoscere gente normale.
L'ultima persona che aveva considerato "normale", un multimiliardario genio del computer di nome Harold Finch, si era rivelato essere in realtà un alieno vagabondo con due cuori appartenente a una razza di cui si erano perse le tracce da secoli, quella dei Signori del Tempo: a quanto pareva, infatti, aveva deciso di smettere di viaggiare e, per non farsi venire nuovamente l'idea di tornare sulla sua nave e ripartire per chissà dove, aveva cambiato la propria biologia in quella umana, mettendo i propri ricordi di Signore del Tempo in un orologio da taschino e assumendo l'identità di Harold Finch prima di creare la Macchina. Harold non avrebbe recuperato mai i suoi ricordi e John non avrebbe saputo nulla se, durante una Guerra dei Mondi in piena regola a New York, non avesse trovato il TARDIS in una discarica e non avesse scoperto chi era Finch in realtà: le sue numerose facce, i precedenti compagni dei suoi viaggi nello spazio e nel tempo e le leggende di tutto l'universo che ruotavano intorno alla misteriosa figura del Dottore.
Perché lui - John non aveva avuto più il coraggio di chiamarlo Harold - era conosciuto come il Dottore, la Tempesta Imminente e il Distruttore di Mondi ed era questa versione di lui che tutti quanti - dagli alieni che avevano appena invaso la Terra a Kate Stewart della UNIT - stavano cercando a New York, calpestando le vite di migliaia di persone innocenti: forse a quel misterioso Dottore non sarebbe importato un granché, ma a Harold Finch sì e fu a lui che John Reese schiaffò in mano l'orologio da taschino che aveva trovato nel TARDIS, supplicandolo di aprirlo.
«John, io non sono quello che queste persone credono» esitava Harold rigirandosi nervosamente l'orologio tra le dita: «Ammettilo, me lo ricorderei se fossi un... come lo hanno chiamato? Un Signore del Tempo?».
«Harold, ho visto il TARDIS, ho parlato con i tuoi ex compagni di viaggio e...».
«I suoi compagni, vorrai dire, ma li hai sentiti? Questo Dottore è inaffidabile, mente di continuo e ne parlano come se fosse la Morte in persona!».
«Finch...».
«Io non voglio assolutamente essere come lui» lo aveva interrotto Harold scuotendo la testa e aveva rimesso l'orologio nelle mani di John: «Se quello che hanno descritto sono veramente io, allora non voglio tornare indietro».
«Harold...».
«Ho... ha avuto le sue buone ragioni, se non ha voluto farsi trovare» disse allora Harold, buttandosi esausto a sedere sulla scrivania e togliendosi gli occhiali. John lo guardò strofinarsi gli occhi e sospirare continuando a scuotere la testa e si ricordò di non averlo mai visto così abbattuto e disperato come quella volta.
«Harold, ascolta, se potessi lo farei io al tuo posto, ma con me non funziona» disse aprendo e chiudendo l'orologio per poi fare un mezzo sorriso privo di gioia. Si chinò abbastanza perché Harold, togliendosi la mano dal viso, potesse guardarlo dritto negli occhi e fece una cosa che mai, nei tre anni in cui si erano conosciuti e avevano lavorato insieme, avrebbe pensato di poter fare: gli diede una pacca rassicurante sulla spalla, aprì una sua mano e mise l'orologio al centro del palmo, per poi far chiudere quell'oggetto tra le sue dita. Rimase per qualche secondo con il pugno di Harold stretto nella sua mano, poi disse: «Fa' quello che puoi, Harold, ma fallo per me» e se ne andò senza aggiungere altro per portare tutto il suo arsenale di armi pesanti a Root e Shaw, che lo aspettavano con la Stewart per dare man forte alla UNIT in una missione suicida contro gli alieni.
Finch arrivò più tardi, piombando con la cabina blu davanti ai carri armati della UNIT, e per qualche tempo fu come se non fosse cambiato niente: era solo un altro numero della Macchina, pensò John mentre lo accompagnava con tutti gli altri verso la sala di comando dell'astronave dell'imperatore alieno, un'altra missione in cui Harold avrebbe trovato un espediente al computer con cui avrebbe potuto aiutarlo a risolvere la situazione.
Ma quando, davanti all'imperatore e a decine di soldati armati, lui disse: «Io sono il Dottore e proteggo queste persone» John Reese comprese di aver perso Harold Finch per sempre.
Alla fine tutto andò per il meglio - gli alieni se ne andarono dopo che il Dottore distrusse la loro principale arma di distruzione di massa - e John addirittura sorrise vedendo il Signore del Tempo che non sapeva come reagire all'abbraccio collettivo dei soldati della UNIT, ma dentro si sentì come se quell'orologio, cancellando per sempre Harold Finch, avesse distrutto anche una parte di sé ed era dalla morte di Jessica che non si sentiva così.
Se ne andò in silenzio pochi istanti prima che il Dottore riuscisse a liberarsi dell'abbraccio di Clara.

Si incontrarono di nuovo in un bar nel Colorado diversi giorni dopo.
Ora che le cose erano cambiate in modo così drastico, per Reese era diventato strano, se non addirittura triste, continuare a salvare i numeri della Macchina senza la voce di Harold nell'auricolare che gli dava le ultime informazioni che aveva ottenuto in modo poco legale dal suo computer e per questo aveva lasciato che fossero Root e Shaw a occuparsene. Non passava giorno in cui, almeno una volta, non si chiedesse in quale punto dello spazio e del tempo fosse finito Harold, per poi ricordarsi che non era mai esistito nessun Harold Finch e che sicuramente il Dottore aveva dimenticato tutto di quando era umano, compreso John.
Ma su quest'ultimo punto si sbagliava, come gli disse il Dottore dopo essere uscito dal TARDIS parcheggiato nel bel mezzo del locale sotto gli occhi attoniti di clienti e barista: non aveva dimenticato il giorno in cui si erano conosciuti al Queensboro Bridge, o di quando era stato rapito da Root e John aveva attraversato due Stati per trovarlo e sicuramente ricordava ancora tutte le volte in cui si erano salvati a vicenda. E di questo, anche se non lo disse apertamente, John ne fu molto felice.
«Riprenderai i tuoi viaggi?».
«Purtroppo non ne posso fare a meno, sono fatto così» aveva risposto il Dottore alzando le spalle: «E suppongo che tu non voglia tornare a New York per aiutare i numeri della Macchina».
«Non per il momento, no» ribatté John, poi guardò fuori dalla finestra opaca e aggiunse: «Non credo che tu sia qui solo per chiacchierare, dico bene?».
Il Dottore abbassò gli occhi, colto sul fatto, e si mise una mano in tasca estraendone l'orologio da taschino che aveva dato inizio a tutto quanto: prese una mano dell'altro e la aprì, poi gli diede l'orologio e richiuse le dita su di esso, esitando un po' prima di lasciare il pugno stretto di John Reese.
«Funziona come un normale orologio, ora» spiegò il Dottore mentre, stupito, John si rigirava tra le dita quell'oggetto: «Pensavo che ti sarebbe piaciuto averlo».
Senza lasciare a John il tempo di ringraziarlo, il Dottore si alzò e si diresse zoppicando verso la cabina blu, ma quando aprì la porta parve ripensarci e si voltò: «Ah, e volevo chiederti se ti andava di accompagnarmi alla mia prima destinazione, John».
«E se ti rispondessi di no cosa mi farai? Mi legherai a letto e mi costringerai a sentire urla strazianti?» chiese John ironico e il Dottore sorrise.
«Non questa volta, sei liberissimo di rifiutarti».
John si accigliò e si ricordò di quando, tre anni prima, Harold Finch gli aveva dato la possibilità di fare un passo indietro di fronte alla Macchina e ai suoi numeri: poteva ricominciare una nuova vita altrove, ma quel giorno Reese scelse di rimanere con lui e, pur incontrando una strada piena di alti e bassi, non si era mai pentito di quella decisione. In quel momento John aveva di nuovo la possibilità di vivere una vita normale lontana da un genio dal nome sconosciuto e dalla sua astronave blu, ma se quella volta avesse scelto di non seguirlo - rifletté infilandosi l'orologio in tasca ed estraendo il portafogli - John era sicuro che se ne sarebbe pentito per il resto della propria vita.
Quando la cabina blu scomparve dal bar del Colorado, al tavolo occupato in precedenza da John Reese c'erano solo i soldi per una birra ancora intatta.

«E dove vorresti portarmi, di preciso?» aveva chiesto John senza smettere di rimanere allibito dalla grandezza del TARDIS. Il Dottore si sistemò gli occhiali sul naso e si aggirò zoppicando intorno alla console che faceva quel rumore assordante.
«Lo vedrai quando saremo arrivati, e cioè adesso» rispose il Signore del Tempo e si avvicinò alla porta del TARDIS. Fece cenno a John di avvicinarsi, aggiungendo che doveva fare solo un po' di attenzione una volta aperta la porta, e l'altro esitò solo per un momento prima di aprire la porta e affacciarsi, rischiando subito dopo di prendersi un accidente.
Il TARDIS fluttuava dolcemente nello spazio aperto, mentre davanti agli occhi di Reese una nuvola di polveri circondava una forte luce gialla che pulsava sempre più velocemente, come un cuore ancora vivo: e meno male che il Dottore gli aveva detto di fare attenzione!
«Avevi intenzione di uccidermi?» chiese dopo aver chiuso in fretta e furia la porta del TARDIS.
«Gli scudi del TARDIS ci permettono di respirare anche nello spazio aperto, John» lo rassicurò il Dottore, tranquillo anche di fronte a un'occhiata infuocata del suo compagno. Reese sperò per la salute di entrambi che il Dottore avesse ragione e insieme all'alieno aprì di nuovo le porte del TARDIS: «Non dovrebbe mancare molto» mormorò il Dottore con finta nonchalance dopo qualche minuto di silenzio.
«Mancare molto a cosa?».
La risposta la diede la luce gialla, che esplose in tutta la sua potenza spazzando via la nube di polveri intorno a sé e un frammento grande come un pugno si polverizzò contro lo scudo del TARDIS a pochi centimetri dal viso stupito di John.
«Questa è...».
«La nascita di una stella, esatto».
A bocca aperta, John fissava con tanto d'occhi quella sfera gialla che stava bruciando, senza riuscire a credere di poter assistere realmente a quello che stava accadendo.

Non sarebbero bastate le nascite di cento stelle a cambiare le cose.
Il Dottore lo sapeva fin troppo bene e, mentre con un mezzo sorriso memorizzava nella sua mente ogni piccolo dettaglio del volto stupefatto di John Reese, non riusciva a non sentirsi in colpa nei suoi confronti. Il Dottore mentiva sempre - l'irritante regola numero uno - e John Reese era l'ultimo uomo sulla Terra a meritare le sue sfacciate menzogne: era per questo motivo che, quando era ancora Harold Finch, il Dottore gli aveva promesso che mai e poi mai gli avrebbe mentito, neppure per salvargli la vita. Ma era stato molto prima di scoprire che la sua vera identità, nonché i ricordi legati a essa, erano sigillati in un orologio dentro al TARDIS abbandonato per trent'anni in una discarica, ma secondo il Dottore ciò non sarebbe bastato a giustificare il fatto di aver mentito a John, anche se inconsapevolmente. Se John Reese si fosse rifiutato di seguirlo, il Dottore lo avrebbe capito e, pur essendone dispiaciuto, sarebbe stato convinto di esserselo meritato.
Ma per una qualche strana ragione, John aveva accettato e i suoi occhi chiari che fissavano la stella che bruciava furono il più bel regalo che il Dottore potesse aspettarsi di ricevere.
Il Signore del Tempo indietreggiò di un passo per lasciare che John si godesse da solo la vista della stella neonata e fece per avvicinarsi in punta di piedi alla console del TARDIS: aveva delle riparazioni da fare e, in fondo, trent'anni in stato di abbandono avevano cominciato a pesare sulla sua macchina del tempo.
«Dove credi di andare?» chiese John trattenendo il Dottore per un braccio e si sedette a gambe penzoloni sulla soglia del TARDIS.
«Pensavo che volessi rimanere solo, John».
«Perché, Harold, non vuoi goderti il panorama con me?» disse John con un sorriso, poi si ricordò del lapsus che si era lasciato sfuggire e provò a correggersi: «Dottore».
«Puoi continuare a chiamarmi Harold Finch, se ti fa piacere» mormorò Finch prendendo posto accanto a Reese e insieme rimasero a contemplare la stella.
Il TARDIS aveva aspettato trent'anni per una sistemata, avrebbe potuto benissimo attendere ancora un po'.

 
(2043 parole)













Note dell'Autrice
Questa storia è stata revisionata in occasione del contest Your best - slash - shot indetto da DonnieTZ.
Se avete letto la precedente versione di questa one shot - "leggermente" più breve di questa - ricorderete che la storia è ambientata in un universo alternativo dove Person of interest è inglobata in Doctor Who e dove Harold Finch sarebbe il Tredicesimo Dottore. Ci sono parecchi riferimenti a entrambe le serie tv, in particolare alla 1x01 di Person of interest e agli episodi 3x08 e 3x09 di Doctor Who. Il titolo potrebbe non c'entrare niente con la storia, ma è il nome attribuito al fenomeno astronomico del finale e, a tal proposito, mi scuso se la descrizione non è esatta al 100%.
Concludo le note ringraziando Cracked Actress per il prompt su cui si è basata la one shot, DonnieTZ per aver indetto il concorso e soprattutto voi che avete letto la storia, sperando che vi sia piaciuta almeno un po'.
Alla prossima,
Triz
  
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