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Autore: Phoenix Mars Lander    09/09/2015    6 recensioni
Da quando si è trasferito nel suo Bilocale A Prova Di Studente Universitario, Harry Styles non ha dato molto peso al muro decisamente poco spesso che separa il proprio appartamento da quello accanto.
Comincia a rendersene conto in modo alquanto brusco quando la sua vicina di casa muore, portandosi via con sé i pettegolezzi del tè delle cinque e lasciando al proprio posto la presenza ingombrante di Louis Tomlinson, un ragazzo che organizza troppe feste con tanto di musica troppo alta, canta a squarciagola sotto la doccia, si sveglia troppo tardi e ha il pessimo vizio di fumare sui gerani di Harry.
(Ovviamente Larry.
Il rating potrebbe cambiare nei prossimi capitoli.)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Primo capitolo
All the small things
(that I can't stand about you)






 

Quando Nonna Julia era morta, spegnendosi nel sonno dall'altra parte della parete, Harry non si era fermato a pensare che qualcuno, prima o poi, sarebbe arrivato a prendere il suo posto, a sostituire le sue azioni di ogni giorno e rimpiazzarle con il proprio ritmo quotidiano.
Non l'aveva nemmeno preso in considerazione, a dire il vero.
Non erano davvero parenti, Julia e Harry, ma quella donna dalla pelle quasi trasparente era stata ciò che di più simile a una nonna lui avesse mai avuto, nonostante si fosse trasferito in quel monolocale a inizio estate e i due avessero avuto soltanto pochi mesi per conoscersi e legare.
Lei l'aveva sempre trattato come un nipote a cui riservare tutto il proprio affetto e le proprie cure e per questo ad Harry non era mai importato niente del fatto che il muro che separava l'appartamento di Nonna Julia dal suo fosse decisamente più sottile del normale.
Dopo il decesso della donna, c'era stato un silenzio innaturale che si era prolungato per un po' di tempo, per quasi due settimane e mezzo, e che aveva inghiottito ogni momento libero del ragazzo.
Si era spento tutto quanto: le voci squillanti dei personaggi delle soap opera delle due del pomeriggio, i pettegolezzi delle amiche di Julia del tè delle cinque volutamente pronunciati a volume più alto, il chiacchiericcio di sottofondo che era solito andare avanti per ore quando Julia riceveva la visita di un figlio.
Harry tornava nel suo Bilocale A Prova Di Studente Universitario – come lo chiamava l'amministratore del condominio – ogni pomeriggio e c'era solo silenzio.
Finché non arrivò Louis Tomlinson.
Harry lo riconobbe dalla voce, durante uno dei suoi martedì sera dedicati alla lettura, e per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
Morire soffocati col viso piantato in un libro di Palahniuk sarebbe stata una cosa abbastanza ironica.
Si alzò in piedi in un millesimo di secondo, correndo ad avvicinare l'orecchio destro al muro.
«-adere la Playstation ti ammazzo, Malik.»
«Parla quello che mi ha sfasciato la macchina.»
«Ancora con quella storia?»
«Te la rinfaccerò finché avrò fiato in corpo.»
«Allora sarà meglio che ti compri una scorta infinita di sigarett- hei!»
Un tonfo rimbombò nell'appartamento di Harry, seguito da un lamento e una risata.
Il ragazzo appoggiò la fronte alla parete, sospirando.
Dimmi che non è vero, gemette interiormente, dimmi che quel Tomlinson non si sta davvero trasferendo a quindici centimetri di distanza dal mio letto.
Come a volerlo prendere definitivamente per il culo, la voce di Louis tornò a farsi sentire.
«Ti conviene cominciare a rispettarmi, amico, altrimenti ti esilierò per sempre dal mio appartamento.»
Harry non captò la risposta dell'altro, troppo occupato a sbattere la testa contro il muro per l'esasperazione.
«Woah, hai sentito?»
Harry raggelò sul posto, trattenendo persino il fiato.
«Heilà, nuovo vicino! Un po' sottili queste pareti, eh?»
Il ragazzo non rispose, le labbra sigillate e i neuroni che lavoravano freneticamente con lo scopo di trovare un modo per insonorizzare la casa o suicidarsi senza soffrire troppo o anche solo sbattere Louis Tomlinson fuori da quel condominio.
Possibile che gli fosse capitato proprio lui, con tutte le persone che c'erano al mondo?
Già aveva dovuto sopportare la sua faccia al liceo, quando l'unica cosa che Harry voleva era superare indenne e in tutta tranquillità e invisibilità quegli anni di scuola e Tomlinson non faceva altro che andarsene in giro con le sue ragazze e dare rumorosissime e popolarissime feste.
Era stato durante una di queste che, qualche mese prima del suo diploma, era venuto fuori che il ragazzo era gay e nessuno si era fatto il minimo problema, neanche i fusti palestrati della squadra di football che spingevano Harry contro gli armadietti a causa della sua presunta omosessualità; anzi, da quel momento Louis aveva cominciato ad essere idolatrato più di prima e a sostituire le ragazze coi ragazzi del venerdì sera.
Harry non lo sopportava, non sopportava il modo in cui trattava le persone e il modo in cui sembrava essere un modello per tutti solo perché i suoi erano dannatamente pieni di soldi e gli lasciavano stanze e piscina liberi per i suoi dannatissimi party.
Per questo Harry aveva esultato internamente quando Tomlinson e la sua combriccola si erano diplomati ed erano partiti alla volta dell'Università di Biologia, lasciandosi dietro una scia di persone col cuore spezzato e persone in cerca di altri cretini da adorare senza un vero motivo.
E non è che Harry ci fosse rimasto proprio benissimo, due anni dopo, quando era arrivato tutto sorridente per il primo giorno del suo corso di Letteratura inglese e si era ritrovato Malik e Payne, due dei migliori amici di Louis, che camminavano con nonchalance nel campus della sua facoltà, che alla fine si era rivelata essere imprevedibilmente vicina, se non attaccata, a quella di biologia.
Ci era passato sopra e aveva semplicemente ignorato la cosa per più di un mese, perché lui era una persona matura e totalmente in grado di non considerare coloro che non meritavano considerazione, ma ora come diamine si sarebbe dovuto comportare?
Prese un respiro profondo, la fronte ancora poggiata al muro, e decise che avrebbe semplicemente continuato a ignorarlo.
Tanto ormai ci era abituato, no?
Sì, sarebbe stato facilissimo.



Ignorare Louis Tomlinson si stava rivelando più difficile del previsto.
Soprattutto perché il ragazzo giocava ai videogiochi per ore con tanto di effetti sonori al massimo del volume e faceva un casino assurdo tutti i giorni perché era sempre in ritardo e aveva una sveglia insopportabile che riusciva a far innervosire Harry di prima mattina e a crollare da sola dal comodino ogni dannatissima volta ma che non era in grado di svegliare Louis in tempo per permettergli di prepararsi in tutta calma, che era quello che Harry adorava fare e che al momento si stava rivelando una pratica alquanto impossibile a causa di un pazzo iperattivo che di notte era più incline a entrare in coma che a dormire e che viveva dall'altra parte della parete.
Ah, e che cantava sotto la doccia.
A squarciagola.
Era passata una sola settimana e Harry già meditava di fargli trovare davanti alla porta una torta avvelenata.
Comprata al supermercato.
Non avrebbe scomodato neanche una delle sue abilità culinarie per quel ragazzo.
Erano le nove di mercoledì sera quando Tomlinson pensò bene di spingere al limite la pazienza di Harry, interrompendo la telefonata che il ragazzo stava avendo con sua sorella con una canzone sparata al massimo del volume da quelle che dovevano per forza essere casse enormi e costose e adatte più a una discoteca che a una diamine di casa posta nel bel mezzo di un centro abitato.
Harry chiuse gli occhi, cercando in tutti i modi di controllare l'irritazione, e urlò nella cornetta «Gems? Ti richiamo domani, scusa!»
Non riuscì neanche a sentire la risposta della ragazza, tant'era alta la musica.
Sbuffò innervosito, guardando il muro in cagnesco, come se avesse potuto farlo esplodere col solo potere dello sguardo e farlo crollare direttamente sulla testa di Tomlinson.
Harry provò a far finta di niente, sul serio, ci provò, ma certe cose superano semplicemente il limite massimo di sopportazione umana.
È così e basta.
Harry era sicuro ci fosse anche qualche spiegazione scientifica dietro la capacità di Tomlinson di sbriciolare la sua pazienza.
Magari si trattava di una malattia, una malattia gravissima e incurabile e, insomma, Louis aveva il diritto di esserne consapevole.
Per questo Harry si ritrovò a bussare ossessivamente alla porta del suo appartamento, con una sfilza originalissima d'insulti nascosta nel palato e al tempo stesso una gran voglia di tornarsene a letto.
Gli ci vollero due minuti buoni per riuscire a farsi sentire, ma alla fine qualcuno gli andò ad aprire e Harry si ritrovò davanti due occhi azzurrissimi e piuttosto lucidi – non fu difficile indovinarne il motivo, dato che il ragazzo stringeva una bottiglia di birra pressoché vuota in mano.
Harry raggelò per un secondo.
Tomlinson non era cambiato quasi per nulla: aveva ancora quella maledetta faccia da schiaffi e quei capelli un po' lunghi davanti e arruffati e quegli zigomi troppo pronunciati.
Harry si disse che non sarebbe mai potuto uscire con qualcuno con quegli zigomi e poi si chiese perché diamine stesse pensando ai suoi appuntamenti futuri mentre aveva quello spocchioso davanti.
«Hei, bellezza» biascicò Louis con un sorrisino. «Sei amico di Liam?»
«No» rispose Harry incrociando le braccia al petto con fare aggressivo. «Sono quello che chiamerà la polizia se non ti dai una mossa ad abbassare la musica.»
Louis inclinò la testa, palesemente confuso dalla minaccia, e poi strabuzzò gli occhi spalancando la bocca.
«Amico, sono le nove di sera!»
Harry inarcò un sopracciglio.
«C'è un orario prestabilito per farmi venire il mal di testa?»
L'altro si fece scappare un verso d'indignazione.
«La musica non fa venire mal di testa» ribatté. «Ma la frustrazione sì» aggiunse, le labbra che si aprivano in un ghigno, avvicinandosi a Harry con intenzioni che sembravano tutto tranne che innocenti.
Il riccio portò in fretta le mani avanti, come per difendersi, e fece un passo indietro.
«Non ci provare nemmeno» disse, secco. «Alle undici non voglio più sentire il minimo rumore.»
E con questo se ne andò, attraversando in fretta il pianerottolo e chiudendosi delicatamente la porta di casa alle spalle, come se non fosse successo niente.
Il casino andò avanti fino alle undici e un quarto, ma poi scemò pian piano e Harry, mezzo addormentato nel suo letto, riconsiderò quasi l'idea di rivalutare il suo nuovo vicino.
Quasi.
Perché poi successe quello.
Erano le quattro del mattino, più o meno, e Harry si stava godendo il suo beneamato e meritatissimo sonno, quando un colpo al muro s'insinuò nei suoi timpani andando a disturbare Morfeo.
Mugugnò, rigirandosi fra le coperte, con tutta l'intenzione di sprofondare di nuovo nella sua adorata fase REM.
«Dio, sì, Louis.»
Harry spalancò gli occhi, irrigidendosi di botto.
No, non era possibile, non stava accadendo davvero.
Due gemiti sfuggiti da due gole diverse risuonarono dall'altra parte della parete, come a volerlo prendere per il culo definitivamente.
Harry si portò le mani a coprirsi le orecchie, il viso in fiamme, ma non servì a un granché perché continuò a sentire tutto chiaramente.
«Oh mio dio, prendetevi una stanza!» urlò nel buio della sua camera da letto.
Ci furono due colpi secchi al muro, poi la voce affannata di Louis gridò di rimando «Questa è la mia stanza!»
Harry grugnì, esasperato.
«In un motel
Un grido soffocato e un gemito più forte dei precedenti gli fecero capire che probabilmente non l'avevano neanche ascoltato, occupati com'erano nei loro... sport notturni di turno.
Ci fu un altro colpo e Harry seppellì con forza la testa sotto al cuscino.



Aveva pensato che raccontare tutto al proprio migliore amico sarebbe stata una mossa saggia, un modo attraverso cui poter ricevere comprensione e solidarietà e anche un po' di compassione, magari incorniciata da un abbraccio e un paio di biscotti al cioccolato.
Inarcò un sopracciglio e si strinse le braccia al petto, mentre Niall soffocava per le risate al suo fianco.
«Sei un amico fallimentare, sappilo» borbottò Harry con lo sguardo incollato alla lavagna in fondo all'aula universitaria.
«Io non-» cominciò il biondo, venendo però bruscamente interrotto dall'ennesima ondata d'ilarità che lo fece piegare sulla sedia, la mano destra sulla pancia e l'altra ad asciugarsi le lacrime.
«Attento a non morire» lo prese in giro il riccio con voce dura mentre il professore entrava.
Niall cercò di ricomporsi con qualche colpo di tosse e raddrizzando le spalle.
«Dimmi solo una cosa, Haz» sussurrò, le labbra ancora piegate in un sorriso. «Sei invidioso o geloso?»
Harry strabuzzò gli occhi, voltandosi a guardarlo con uno sguardo che spaziava fra lo sconvolto e l'omicida.
«Sono stanco morto!» sbottò infastidito.
«Styles, magari se ha voglia di dormire dovrebbe restarsene a casa, invece di disturbare la mia lezione.»
Harry arrossì fino alla punta delle orecchie, girandosi di nuovo verso il professore.
«Mi scusi» mugugnò sprofondando nella sedia e pensando che forse l'unica malattia che aveva Tomlinson era un karma alquanto incazzato che però non si riversava su di lui ma sul suo vicinato.
Ne ebbe la conferma quella sera stessa, quando tornò a casa dopo una giornata a dir poco pessima trascorsa tra le allusioni di Niall, lezioni che erano state una più irritante dell'altra e un tour in biblioteca che avrebbe dovuto essere completamente dedicato allo studio e che invece era diventato una corsa al Non Farsi Vedere Da Payne E Malik Che Proprio Oggi Hanno Deciso Di Imparare A Leggere E Girare Tra Gli Scaffali Come Due Bibliofili In Calore.
Inutile dire che il tutto si era concluso con un moonwalk abbastanza improvvisato da parte di Harry, che era andato a colpire accidentalmente un minuscolo scaffale rovesciando a terra decine di volumi e piantando un casino bestiale nel bel mezzo della sala silenziosissima.
Davanti agli occhi di decine e decine di studenti.
E di Malik e Payne.
E della bibliotecaria.
Non era stato un bel momento.
Harry sbuffò, lanciando la borsa sul divano e andando in camera da letto.
Si sfilò la giacca di pelle, legandosi i capelli.
Era in procinto di lasciare la stanza e recarsi in cucina per cucinare qualcosa in fretta e furia, quando una sfumatura rosa nel cielo catturò la sua attenzione.
Harry sorrise – il primo vero sorriso del giorno – e corse ad aprire il primo cassetto del comò, tirandone fuori la sua adorata Canon.
Si fiondò sul balcone, l'aria fresca di metà ottobre che gli s'insinuava sotto la camicia bordeaux, ma che non lo faceva desistere dallo scattare quante più foto possibile a quel tramonto straordinario.
Aveva ancora il sorriso stampato in faccia quando sentì qualcuno schiarirsi la gola alla sua sinistra.
Si voltò verso l'autore di quel suono e incontrò la figura di Louis Tomlinson placidamente addossata alla ringhiera grigia, con solo una maglietta a maniche corte, i pantaloni della tuta e una sigaretta accesa fra le labbra.
«Stai fumando sui miei gerani» lo informò Harry con tono piatto, occhieggiando la cenere pericolosamente vicina ai suoi vasi.
«Hah, Styles, sei una perfetta donna di casa» lo sbeffeggiò l'altro con un sorrisino.
Harry abbassò le braccia, premendosi la macchina fotografica contro la pancia.
«Come fai a sapere il mio cognome?»
Louis fece un tiro dalla sigaretta, voltandosi completamente verso Harry e appoggiando i gomiti alla ringhiera sormontata da fiori colorati che separava i due balconi.
«Ho hackerato il tuo sistema informatico, sono entrato nel tuo pc, ho sorvolato sulle immagini porno e sulle cartelle dedicate a Robert Downey Jr e ho trovato tutti i tuoi dati. Sei un uomo estremamente ricattabile, Styles.»
Harry si limitò a inarcare un sopracciglio, per nulla turbato, e Louis alzò gli occhi al cielo sbuffando.
«Ho guardato sulla buca delle lettere» confessò infine. «Il dubbio era fra Harry Styles e Reginald Parsons, e speravo davvero che non ti chiamassi Reginald Parsons. Non è per niente sexy, ti pare? Harry, invece...»
Pronunciò il suo nome con voce suadente, un ghigno malizioso che gli attraversava la bocca da parte a parte.
A quel punto, Harry si sporse verso il ragazzo.
«Tomlinson» cominciò con voce roca, avvicinandosi sempre più al viso dell'altro.
«Leva quella roba cancerogena dai miei gerani.»
Poi girò i tacchi e tornò dentro, lasciando Louis solo, al freddo e completamente sconvolto.



Dopo cena, Niall si presentò a casa sua con un sorriso che urlava dai, perdonami da ogni poro e il cofanetto della serie tv Sherlock in una mano.
Harry accettò le scuse silenziose del suo migliore amico e passò ben tre ore in pace con se stesso, stravaccato sul divano col biondo che commentava ogni scena al suo fianco e Benedict Cumberbatch che migliorava il mondo anche solo stando fermo nello schermo.
La pace interiore durò finché non gli arrivò una notifica da Twitter.
Louis_Tomlinson ha twittato:
lol non capita anche a voi di volervi trasferire il più lontano possibile dal vostro vicino di casa paranoico?

Harry strinse il cellulare così forte che per un attimo temette di vederselo frantumare in mano.
«Come osa?» ringhiò, guadagnandosi uno sguardo allibito da Niall e affrettandosi ad aprire la tastiera.
Pochi secondi dopo, dall'altra parte della parete, Louis Tomlinson si fece scappare un verso di pura indignazione.
A parte quel leggero movimento di labbra, rimaneva immobile a fissare il telefono con sguardo da serial killer appena evaso, i caratteri neri che risaltavano nello schermo.
Harry_Styles ha twittato:
LOL, non capita anche a voi di dover rifiutare continuamente le avances di un maniaco disperato?

Liam si sporse sulla sua spalla, cercando di capire, e aggrottò le sopracciglia.
«Sei sul suo profilo Twitter? Seriamente?»
Louis non diede segno di volersi calmare, le dita serrate sull'iPhone.
«Certo» rispose. «Tieniti stretti gli amici e ancora più stretti i nemici.»
Zayn alzò gli occhi al cielo, alzandosi dal divano e buttandosi a gambe incrociate sul tappeto, dove stavano gli altri due.
«A parte il fatto che non è tuo nemico» cominciò. «Non lo stai tenendo stretto, lo stai praticamente stalkerando su un social network.»
Louis scrollò le spalle, neanche minimamente scalfito da quell'affermazione.
«Stessa cosa» mugugnò.
«Qual è il tuo problema con quel ragazzo?» chiese Liam con dolcezza.
«Si lamenta perché organizzo feste e perché faccio sesso e perché fumo sui suoi fiori. E, Dio, se li pota mai quei capelli?» borbottò andando di nuovo ad aprire il proprio profilo Twitter.
Dall'altra parte della parete, Harry fissava il cellulare a bocca spalancata.
Louis_Tomlinson ha twittato:
che tristezza le persone che si credono tanto interessanti da attirare l'attenzione degli altri

Harry sbuffò, infastidito, e si voltò verso il muro.
«Sei ridicolo!» urlò.
L'unica risposta che ricevette furono i suoni sempre più alti del videogioco a cui Louis, Zayn e Liam si stavano sfidando.
Niall alzò gli occhi al cielo.
«Siete due bambini» proclamò, proprio mentre Harry gridava «Abbassa quello schifo!»
Ovviamente, il rumore dei rantoli degli zombie provenienti dalle casse della televisione non fece altro che aumentare.
Con un ringhio, Harry afferrò il telecomando, alzando il volume.
Louis fece lo stesso e Harry alzò di nuovo, finendo subito placcato dal biondo, che gli rubò entrambi gli apparecchi elettronici che teneva in mano e mise il telefilm in muto.
Harry pensò che Payne e Malik probabilmente avevano fatto lo stesso, visto che l'unica cosa che proveniva dall'altro appartamento ora era un assoluto silenzio.
Niall aspettò che l'amico sbollisse il nervoso e riportò il volume a un valore accettabile, ma non gli restituì il cellulare.
Harry incrociò le braccia al petto e s'impose di finire di guardare in tutta serenità l'episodio, ma non ci riuscì affatto.
Mezz'ora dopo si esibì in un verso infastidito, perché se neanche la visione di Benedict Cumberbatch che suonava il violino riusciva a farlo sentire in pace con il mondo, beh, allora il suo problema doveva essere veramente grosso.



Il giorno seguente, Harry scappò all'università prima che Louis potesse anche solo alzare le tapparelle.
Trascorse una giornata incredibilmente tranquilla e, quando tornò a casa, si mise a cucinare un'Apple pie, intonando addirittura qualche canzone tra una procedura e l'altra.
Infornò la torta con un sorriso, fermandosi un attimo ad apprezzarne il profumo, e si sentì soddisfatto di se stesso.
All'improvviso, sentì un tonfo.
Sembrava che Louis avesse sbattuto violentemente una porta.
E naturalmente doveva arrivare lui a rovinare l'idillio pensò Harry con una smorfia.
Ma c'era qualcosa di strano, stavolta.
«Se sono venuto qui era perché non volevo che mi seguiste! Potreste andarvene fuori dai coglioni una volta per tutte?!»
Harry raggelò, le presine ancora in mano e lo sguardo incollato al forno.
Non aveva mai sentito Louis così arrabbiato.
«Vuoi che ce ne andiamo fuori dai coglioni?» tuonò una voce maschile che gli fece venire i brividi. «Benissimo, ma ci prendiamo questo con noi!»
Harry sentì distintamente un singulto strozzato, dei rumori come se qualcuno stesse combattendo e poi un colpo agghiacciante contro il pavimento, come qualcosa di estremamente grande che andava in pezzi.
«Oh, beh, almeno la smetterai di sprecare la tua vita occupandoti di quella merda.»
Il tono dello sconosciuto era così pregno di disprezzo e soddisfazione che a Harry venne voglia di andare di là e sferrargli un pungo, chiunque fosse.
«Non parlare così della mia musica!»
L'urlo di Louis fu accompagnato da passi veloci sulle scale e da un silenzio innaturale.
Harry rimase immobile per un attimo che parve infinito, le labbra che tremavano a causa di ciò che quell'ultimo grido gli aveva provocato.
Era stato orrendo.
Qualcosa nel suo corpo si sbloccò e il ragazzo corse fuori dall'appartamento, fermandosi sulla soglia della casa dell'altro, la porta spalancata che gli sbatteva in faccia il soggiorno dal pavimento ricoperto di pezzi metallici, casse e strumenti irrecuperabili.
Nel bel mezzo del caos c'era Louis, seduto per terra con la schiena appoggiata al muro e il respiro affannoso.
Si rese conto della presenza di Harry con la coda dell'occhio e deglutì piano.
«Non è un bel momento, Styles.»
Harry aprì la bocca per dire qualcosa di intelligente, qualcosa di rassicurante o divertente, qualunque cosa che potesse migliorare un po' quella situazione, ma l'unica frase che riuscì ad articolare fu: «Ti va una fetta di Apple pie?»
Louis lo guardò confuso per un istante e poi scoppiò a ridere, abbandonando la testa contro la parete.
«Diamine» rispose infine con un sorriso. «Muoio dalla voglia di chiedertene un pezzo ogni volta che sento quel profumo.»











Author's corner ~
Sappiate che tutto ciò è ispirato a un'esperienza personale.
Più o meno.
Diciamo che anche io e il mio vicino di casa abbiamo fra noi solo muri di cartapesta, ma lui ha tipo cinquantacinque anni e le uniche nostre interazioni consistono nei momenti in cui metto i Muse a palla e lui comincia a fischiettare allegramente mentre io faccio headbanging.
Purtroppo non ho né Harry Styles né Louis Tomlinson con cui condividere i gerani di mia madre. #sadness
Btw, sostanzialmente mi sono messa a scrivere questa cosa perché l'altra long che sto pubblicando mi fa soffrire e ho pensato che buttare giù le mie idee stupide sarebbe stato divertente e mi avrebbe tirato su il morale :'D
Devo dire che sta funzionando quindi yay, aspettatevi ancora un po' di capitoli *scappa dai pomodori che le stanno tirando*
E niente,  
All the small things è una canzone bella bella bella dei Blink-182 e la parte fra le parentesi ovviamente è un'aggiunta mia perché non ho resistito e in fondo ci stava quindi sì. (?)
Spero che quest'ammasso di nonsense vi sia piaciuto e che mi facciate sapere cosa ne pensate :3
Alla prossima! <3





 

 

 

  
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