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Autore: coldnight    10/09/2015    7 recensioni
Austin Reed ha imparato ad amare la musica sin da quando era un marmocchio; sin da quando camminava a gattoni e gemeva tentando di dire parole senza senso. La musica era il suo sole, il venticello fresco che scompigliava i capelli e l'aria buona che entrava nelle sue narici.
Non temeva la pioggia, i tuoni od i lampi, ma non gli piacevano le nuvole. Grigie o bianche che fossero. Non le amava specialmente se erano lattee o sembravano lucide. Gli ricordavano le mozzarelle, e lui odiava le mozzarelle.
Austin Reed ha diciannove anni e infondo vorrebbe saper sognare. Sa parlare - fin troppo - e si regge sulle proprie gambe meglio di quanto egli stesso possa credere. Ama il sole, il vento, la pioggia. Ma si ritrova ancora ad odiare le mozzarelle e le nuvole, quelle nuvole fastidiose che non gli permettono di vedere.
[Momentaneamente sospesa]
Genere: Fluff, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Non so come io possa presentarmi, dopo svariati mesi, ancora qui.
Però ci sono. Spero solo che la delusione non sia troppa.
Mi scuso anticipatamente per il ritardo.

Per chi non ricordasse: nello scorso capitolo Rachel ha rivelato ad Austin il motivo della sua chiusura e sofferenza, ovvero suo fratello Aaron.
Da adesso in poi i ragazzi dovranno affrontare gli esami e la vita nuova che aspetterà loro con ansia.



 
Capitolo undici:
Memories and bravery.
 
           Gli esami si avvicinavano sempre più velocemente, insieme all’estate. L’aria fresca seguita dal venticello gli scompigliava i capelli, mentre tutti stavano seduti intorno a lui; Rachel al suo fianco che poggiava la testa su una sua spalla. I capelli neri gli solleticavano il collo, facendogli sentire il buon profumo di lei. Le cose sembravano andare leggermente meglio per entrambi, dopo la famosa chiacchierata. Mangiavano in silenzio, ogni tanto interrotti dal masticare rumoroso di Nathan. Era una bella giornata, il sole per quanto possibile era alto in cielo, qualche nuvola lo decorava e i fiori sbocciavano a vista d’occhio negli alberi e nel prato. Il ciliegio si riempiva di gemme, e Austin non vedeva l’ora di ritrarlo. Sentì un fastidio alle mani, quasi sentissero la mancanza dei carboncini e dei fogli. Sorrise. Si sentiva tranquillo, nonostante tutto. Stava studiando parecchio per l’ultimo anno. Doveva darsi da fare, altrimenti non ne avrebbe cavato piede. Dedicava il suo tempo ai libri in modo quasi maniacale: ripeteva mentre si lavava, faceva ginnastica, tentava di accordare lo strumento.
              Non si poteva dire la stessa cosa di Nathan che, dal canto suo, se la spassava. Susan cercava perennemente di ricordargli degli esami, ma lui stava in un mondo tutto suo e avrebbe fatto all’ultimo, arrovellandosi il cervello fino allo sfinimento. E gli avrebbe reso la vita impossibile, ovviamente, chiedendogli di interrogarlo e di passargli l’infinità di appunti che aveva accuratamente preso mentre lui se la dormiva. Sbuffò mentalmente. Gli era passato tutto il buon’umore. Però sarebbe andato tutto bene, in un modo o nell’altro se la sentiva. Inoltre aveva deciso di prendere parte al saggio di fine anno non solo da chitarrista. Più guardava le nuvole e più pensava all’espressione serena di suo padre. L’arrivo in quella scuola, la spiegazione dei vari plessi, gli strumenti. Tutto sembrava essere già affar suo, nonostante fosse stato un piccolo marmocchio. Suo padre aveva così tanta fiducia in lui, e infondo non lo aveva mai abbandonato. Rachel aveva ragione: si stava comportando da codardo. Non avrebbe mai voluto smettere di suonare. Eppure più ci pensava, più il dolore si faceva sentire nel petto. Era un dolore sordo, ma allo stesso tempo assordante. Sicuramente non sarebbe stato facile da superare, ma pian piano si poteva fare tutto. Doveva. Per lui, per la sua mamma, per Heather.
                  La campanella suonò, e fu il turno di alzarsi e raggiungere le proprie aule. Grazie al cielo che poteva avere un’ora di tranquillità: il professore di metrica mancava. Andò in segreteria con il cuore che saliva fino in gola. Non sapeva proprio che cosa fare. Non poteva tirarsi indietro, ma più si avvicinava alla porta verde, più sentiva le gambe appesantirsi e i piedi fatti di piombo. Che fosse troppo anche per lui? Strinse forte i pugni, cercando di regolarizzare il respiro. Era la sua battaglia e l’avrebbe vinta. Bussò, per poi entrare. «Buongiorno» bisbigliò. «Prego» la segretaria picchiettò con le unghie smaltate di un viola accesso sul bancone, mentre masticava a bocca aperta una gomma da masticare. Gli stava per venire il voltastomaco. Intanto il cielo cominciava a coprirsi in modo più fitto, e le nuvole stavano per formare una lunga distesa grigiastra. Sospirò pesantemente, sbattendo le mani sul banco e per poco non fece prendere un infarto alla signora. «Senta, io devo partecipare al saggio di fine trimestre come violinista» buttò fuori, con gli occhi chiusi all’inverosimile. L’aveva detto. Ce l’aveva fatta. «Impossibile, ragazzo. Ormai è un po’ tardi, non credi? La scuola è iniziata sei mesi fa, avresti dovuto pensarci prima» disse quella, schioccando con la lingua nel palato.
                   «Lo so che è strano, ma devo partecipare per forza. La professoressa sarà d’accordo» sbottò, allargando le braccia. «Allora fammi parlare con la professoressa e poi segneremo il tuo inizio delle lezioni come violinista» lo mandò via con una mano, e Austin non poté far altro se non mandarla al diavolo. Uscì non senza sbattere la porta, per poi cercare Sebastian in lungo e in largo. Lui avrebbe fatto parte di quel corso e nessuno glielo avrebbe vietato. Soprattutto ora che si era finalmente convinto.
 
               «Così. Ottimo lavoro, Heath. Di questo passo per il mese prossimo avrai finito anche questo brano e per la festa di fine anno potrai portarne almeno tre» le accarezzò una spalla con fare amorevole, mentre la vedeva sorridere soddisfatta. Una cosa che colpiva tantissimo Rachel, era proprio il modo tranquillo e gentile di Heather. Sembrava essere sicura di ogni cosa che faceva. E, soprattutto, riusciva a fare il tutto nel modo giusto. Ci metteva costanza ed impegno, raggiungo sempre il suo obiettivo. Stare insieme a lei era sempre un piacere, soprattutto quando le raccontava certi aneddoti di lei ed Austin da bambini. Per esempio quando lui piangeva perché la mamma gli imboccava le mozzarelle di proposito. Perché ad uno come lui, con mancanza di calcio – e lì cercava proprio di imitare la voce di sua madre – i latticini facevan solo del bene. Quindi doveva sforzarsi e mangiarli. Eppure lui no, non le digeriva. Si immaginò un piccolo bimbo dai capelli rossi gonfiare le guance e sbattere i piedi a terra mentre negava la testa da una parte all’altra per evitare l’accesso della mozzarella nella sua boccuccia. Le scappò una risata.
                  «Dici che riusciamo a fare un quattro mani? Mi piacerebbe tantissimo, soprattutto se insieme a te. Mi hai aiutata così tanto» la vide stringere le mani nella gonna della divisa, mentre si voltava verso di lei. Un’altra cosa particolare di Heather era che cercava sempre di dirigere lo sguardo verso il suo interlocutore. S’impegnava con tutta sé stessa per cercare di far notare il meno possibile il suo handicap, e questo non poteva che farle onore. La trovava molto coraggiosa. Austin era molto fortunato ad avere lei come pilastro. A volte avrebbe voluto avere la sua stessa tenacia per aiutare Sebastian durante il suo periodo di chiusura. Ma la verità era che lei aveva il suo stesso problema, se non peggiore. Vedeva suo fratello appassire al suo fianco, non rendendosi nemmeno conto di quanto lei stessa stesse male. Ed era proprio a causa di quel malessere che non era riuscita ad aiutarlo. Troppo concentrata sulla perdita, sul vuoto che sembrava non voler cessare. Era la sensazione più brutta che avesse mai provato. Vedere il lettino vuoto, dover immaginare quel piccolo sorriso che le regalava tante soddisfazioni. Aaron.
                          «Va tutto bene, Rachel?» Heather le prese una mano, incespicando un poco sulla sua coscia prima di riuscire ad afferrarla. «Certo, e mi piacerebbe un sacco suonare con te» le sorrise, sperando che riuscisse almeno ad immaginarselo. Non pensava di riuscire a legare tanto con lei o con Natalie. Erano due persone fantastiche, piene di luce. Così solari e carine. Non si rese nemmeno conto della lacrima solitaria che percorreva il suo viso. Si ritenne fortunata. Ringraziò mentalmente Austin, ricordano il bel disegno che era perennemente impresso nella sua memoria. Finalmente quello squarcio bianco si stava allargando, espandendosi su tutto il foglio; su tutta la sua vita. «Ti va di suonarmi qualcosa?» chiese Heather, alzandosi in piedi. Aveva ancora gli occhi aperti. Non si era ancora abituata a quello strano candore che colorava i suoi occhi. Un’ennesima cosa strabiliante di Heather era quella di non avere paura di mostrare la sua cecità. Sì, cercava di sminuirla, ma non se ne vergognava. Tanto che, ogni qualvolta decideva di sedersi e toccare la tastiera, li teneva aperti, come se stesse realmente seguendo le note dello spartito. Le metteva i brividi, eppure era una cosa così bella.
                   Rachel annuì, prendendo il suo posto. Cercò qualcosa tra i fogli, per poi trovare una vecchia melodia che ascoltava sempre qualche anno prima. Era dolce, ma allo stesso tempo calda. Quando l’ascoltava – specie d’inverno, sotto le coperte – sentiva come se qualcuno la stesse abbracciando fortissimo. Era una sensazione piacevole. Così si svegliava, andava in camera di Sebastian, si creava il suo spazio nel letto nonostante le lamentele dell’altro, e gliela faceva ascoltare, per poi abbracciarlo di getto. Le possenti braccia, lei, le aveva. Sorrise nostalgicamente. Ora non avrebbe mai fatto un qualcosa di simile. Il loro rapporto era diventato più freddo e scostante. Non avrebbe mai smesso di trattarlo come il fratello noioso e irritante, ma era sempre il suo fratellone. Senza di lui non sarebbe andata da nessuna parte. Pensò proprio a lui, oltre che ad Aaron – come suo solito fare, mentre toccava i tasti del pianoforte. La mescolanza tra il nero e il bianco era una sensazione più che piacevole. Quando suonava sentiva il cuore batterle fortissimo, era un’emozione che non riusciva mai a controllare, nonostante ormai fosse sua abitudine. Cercava di dare sé stessa, mentre suonava. All’esterno sembrava quasi che si fondesse con lo strumento, e non c’era cosa più bella. Premere con decisione i tasti ma dare l’impressione di starli sfiorando.
                    Emettere quelle note così dolci, ma cariche di tutte quelle parole mal celate e quelle espressioni che non sfuggivano agli occhi. Si ritrovò con le palpebre serrate, mentre i ricordi si facevano vivi e la sensazione delle due braccia forti a stringerla ancora viva in lei. Mosse un poco il bacino, per dare lo slancio alla melodia in fase di conclusione. Ogni volta suonare era un’esperienza quasi del tutto nuova. Poteva essere il medesimo pezzo, ma l’emozione cambiava sempre. Perché quel pentagramma diventava cosa viva, fra le sue dita, e non c’era convinzione più piacevole. Sentiva il mondo farsi un po’ più grande solo per lei, mentre arcuava i polsi e stendeva le braccia. Illuminarsi, mentre le nuvole del suo cielo sparivano quasi completamente. Quello strumento era qualcosa di meraviglioso.
                       «Mi sono commossa, al solito» Heather batteva delicatamente le mani, mentre l’ombra di qualche lacrima appariva nel suo pallido viso. Gli occhi ormai chiusi, l’espressione felice e il tenero sorriso la rendevano più piccola di quel che era. Sembrava così indifesa, ma al contempo così forte. «Sono contenta che ti sia piaciuta» sorrise di rimando. «Come potrebbe essere altrimenti?» la sentì ridere. La prese a braccetto, per poi accompagnarla verso l’aula dove avrebbero svolto la lezione di matematica. Per la loro felicità. Sbuffarono entrambe, per poi ridacchiare.
 
                Si sentì sbattere contro l’armadietto, per poi sentire il panico investirlo tutto in un colpo. Si rilassò quando vide il viso familiare di Austin scrutarlo attentamente. «Hai visto Sebastian?» aveva il fiatone, doveva aver corso. Negò con la testa. «Non l’ho visto da nessuna parte. Ehi amico, perché sei così agitato?» lo sentì imprecare. Era proprio fuori di testa. Eppure non sembrava così in preda all’ansia, a pranzo. «A quanto pare non deve proprio succedere, eh» questa volta sbuffò, facendogli davvero saltare i nervi. «Si può sapere che succede?» «Succede che devo trovare a tutti i costi Sebastian per chiedergli dove cazzo è la sua insegnante di violino» sbatté un piede a terra, in preda ad un accenno attacco d’isteria. Gli venne da ridere a vederlo così. Poi realizzò. Insegnante di violino. Stava davvero per? «Oh cazzo, Micio» sussurrò, per poi gettarglisi al collo. Quell’altro per poco non soffocò. «Ecco perché non volevo ch-che lo sapessi» tossì, impacciato e rosso come non mai. «Andiamo a cercare l’uomo morto, foorza!» cantilenò, prendendosi Austin a braccetto e facendolo svolazzare da una parte all’altra alla ricerca di Sebastian.
                      Il rosso, dal canto suo, pensò che se non sarebbe riuscito a diventare un violinista la colpa sarebbe andata per certo al suo migliore amico, causa: soffocamento in preda ad un attacco acuto di vivacità. «Morirò» sussurrò frustrato. 









Angolo autrice:
volevo premettere le mie più risentite scuse all'inizio della pagina, nonostante questo non significherà niente.
Sono mesi che non aggiorno e mi dispiace, perché avevo promesso di non farlo. Non con questa storia, che rappresenta molto per me. Mi sono affezionata ai personaggi, ai loro avvenimenti, alle loro storie.
Mi sono affezionata a voi, che mi sopportate perennemente.
Se ci sarà un calo di recensioni lo capirò perfettamente. Non sono stata costante, mi dispiace tantissimo. Spero potrete perdonare questo lunghissimo ritardo.
Venendo al capitolo, inizio con il dire che gli spazi bianchi sono delle ellissi. Poi, il giovane Austin ha deciso di tirare fuori le balle e ricominciare. Vuole dare il tutto per tutto e affrontare questa vita, questi esami, questa sfida che lo attende. Solo lui e il violino, niente di più. Riuscirà a trovare Sebastian? Probabilmente.
Ho voluto mettere anche uno squarcio fra Rachel e Heather, che mi sembrano adatte per fare una bella accoppiata. Vorrei sentire anche il vostro parere.
So che come capitolo è molto corto, ma l'orario è quello che è e non avevo possibilità di farlo più lungo.
Spero riusciate a superare il ritardo e ricominciare insieme ad Austin e a me in questo cammino che ci porterà alla conclusione di questa storia.
Grazie a tutti, dal primo all'ultimo.
Un bacione,
Haruka-chan.

(Perdonate eventuali errori)
   
 
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