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Autore: Avenal Alec    11/09/2015    4 recensioni
La storia comincia alcune settimane dopo il termine della puntata 2x16 ed è incentrata sui personaggi di Bellamy e Clarke.
Bellamy e Clarke non sono più sottoposti alla tensione della sopravvivenza a tutti i costi. Dovranno affrontare non solo i fantasmi del loro passato ma la consapevolezza che la Terra è realmente la loro nuova casa e dovranno scegliere come vivere in questo nuovo mondo. . A complicare il tutto, la "quiete" in cui vivono li porterà a fare i conti con il tipo di legame che li lega :)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'The 100 - Welcome to the new world'
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PARTE TRE - DUBBI

CAPITOLO 11
9 gennaio

Clarke stava andando in refettorio dopo l’ennesimo massacrante turno nella piccola clinica del campo quando seppe che gli altri erano arrivati. Lo avvertì nell’aria, nel brusio delle chiacchiere, alcuni si stavano già alzando lasciando a metà il cibo nei piatti.
Tutti nell’arca sapevano che Bellamy e gli altri stavano portando con loro due giovani del clan delle barche, stavano portando con loro la speranza e la certezza di aver finalmente trovato un luogo che avrebbero potuto chiamare casa.
Non ci pensò un’istante lasciò lì il vassoio mezzo vuoto e come gli altri si diresse verso l’ingresso della navetta.
Quando li vide avvicinarsi alle porte del campo avrebbe voluto correre loro  incontro, abbandonarsi nell’abbraccio di Bellamy e sentirsi protetta. 
Nella sua mente immagini e sensazioni si ricorsero, le braccia di Bell attorno al suo corpo, il suo sguardo, il suo sorriso, quasi sicuramente l’avrebbe chiamata principessa, poi avrebbero subito parlato di tutte le novità accadute in quelle settimane dimentichi per un istante delle persone attorno a loro. 
Poi, come capitava così spesso nelle ultime settimane, il blocco alla bocca dello stomaco e l’angoscia serpeggiare nel suo corpo, molto era cambiato.
Lei era cambiata. 
Avrebbe voluto rientrare, non voleva vederlo eppure il suo sguardo corse alle figure che si stavano avvicinando cercando istintivamente Bellamy. 
Lo vide subito, sentì subito il cuore fermarsi per l’emozione, finalmente lo rivedeva dopo settimane eppure non si mosse, non gli andò incontro. Non doveva farlo e doveva rimanere ferma nel suo proposito.  
Accanto a lui notò una ragazza, era la guaritrice del popolo delle barche, capì immediatamente.
Non era solo per l’estraneità del suo vestiario ma la sua camminata sciolta, sembrava che nei suoi passi ci fosse un ritmo che solo lei sentiva. 
 La vide sussurrare qualcosa a Bellamy che rispose con un gesto d’assenso.
L’ansia che aveva sentito in quegli ultimi giorni divenne ancora più forte e la realtà di ciò che stava succedendo si abbattè su di lei: un nuovo clan si sarebbe mescolato con loro, una nuova minaccia, un popolo sconosciuto che avrebbe promesso salvezza ma che avrebbe imposto la sua etica e la sua morale. 
Clarke non riusciva più ad accettare di dover dipendere da altri per la loro sopravvivenza, non voleva rischiare nuovamente la vita dei suoi.
Avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco e non si sarebbe fidata, se voleva proteggere i suoi non avrebbe più fatto lo stesso errore fatto con Lexa. 
All’inizio aveva pensato che contattare il clan della barche fosse una buona idea ma con il tempo aveva capito che era solo un modo per ripercorre gli errori del passato. Si era affidata a Lexa per combattere quelli di Mount Weather ora si affidavano al popolo delle barche per proteggersi dagli altri clan, cosa c’era di diverso? Era un circolo vizioso dal quale non sarebbero mai usciti se non avessero capito che l’unico modo per sopravvivere era dimostrare la loro forza e che potevano vivere in quel mondo quanto gli altri clan.
Clarke si concentrò nuovamente sulla ragazza, vedendo in lei un nemico, si era scostata da Bellamy e aveva rallentato il passo lasciandosi così superare da Lincoln e Octavia che camminavano affiancati tenendosi per mano.
Ora non riusciva più a scorgerla e focalizzò la sua attenzione sul gruppo del campo Jaha che si era diretto verso i compagni di ritorno dalla spedizione.
Sua madre era fra loro. 
Quando si incontrarono ci furono abbracci, strette di mano poi notò Bellamy presentare i nuovi arrivati.
Vide così per la prima volta anche il guerriero che accompagnava la guaritrice.
Era alto, molto alto, superava di alcune spanne anche Lincoln e anche a quella distanza sembra imponente. Come molti altri guerrieri aveva capelli lunghi e intrecciati, erano castani chiaro, quasi biondi, la carnagione chiara del viso era nascosta da tatuaggi tribali.
Sapeva di dover raggiungere subito il gruppo per dar loro il benvenuto ma non riusciva a farlo,  il suo corpo sembrava bloccato. 
Non aveva il coraggio di sorridere ed essere felice dell’arrivo dei due giovani ma soprattutto non aveva la forza di avvicinarsi a Bellamy.
Nella sua mente si rincorrevano le immagini dei sogni che aveva cominciato a fare. Non aveva mai sognato Finn in quel modo e Bellamy era Bellamy.
Clarke si volse di scatto e rientrò confusa. Se doveva proteggere la sua gente doveva prendere le distanze da lui. In quelle ultime settimane aveva realizzato per la prima volta che Bellamy era la sua vera debolezza, non i sentimenti che aveva provato per Finn, non il legame che la legava agli altri ma Bellamy.
Aveva capito le parole di Lexa “l’amore è debolezza”, per la prima volta, 
Nelle settimane in cui Bellamy era stato via, i sogni che aveva fatto su di loro, lo sguardo d’accusa di Jasper, la diffidenza che ancora sentiva da parte degli altri, avevano aperto uno squarcio sulla realtà e quello che aveva visto l’ aveva atterrita. 
Se doveva affrontare il futuro, la minaccia dei grounder, di quel mondo ostile doveva essere in grado di prendere le distanze da loro. Amare la sua gente non significava amare ognuno di loro, ne andava di mezzo la loro stessa sopravvivenza.
In quel mondo quella era l’unica strada da percorre ma, se riusciva a prendere le distanze da tutti, non valeva per Bellamy.
Più cercava di allontanare il pensiero da lui più questo ritornava e la tormentava.
Avevano lottato insieme, aveva percorso un lungo cammino, lui aveva scelto di proteggerla, difenderla e fare ciò che lei stessa non era in grado di fare. 
Sentiva che senza di lui non era niente eppure questo non poteva e non doveva accadere più. Sapeva che scegliere lui, la sua vita, non le avrebbe permesso di prendere le giuste decisioni.
Era già successo e ne era uscita distrutta, aveva sbagliato ogni cosa e non poteva ripetere gli stessi errori.
Appoggiò la testa contro la porta della sua stanza.
Lacrime cominciarono a scorrere sul suo viso.
Lentamente si accasciò a terra.

Bellamy si era guardato interno, il suo arrivo al campo Jaha era stato salutato con gioia da tutti gli abitanti ma fra loro non aveva visto Clarke e questo lo aveva turbato.
Aveva razionalmente compreso che poteva essere impegnata in cose ben più importanti, si sarebbero incontrati più tardi eppure, con un gesto di stizza, aveva pensato che sarebbe stato bello ricevere almeno un saluto, un sorriso da parte sua. 
Erano amici, perché allora non era lì?

Dopo le presentazioni di rito era riuscito a districarsi dal gruppo e ora si stava dirigendo verso l’alloggio di Clarke
Le ultime settimane erano state piene ma il ricordo di Clarke, dei suoi occhi, il suo sorriso non lo avevano lasciato in pace e ora l’unica cosa che desiderava era rivederla.
Sentiva che qualcosa era emerso negli ultimi tempi, forse era stato il sogno, forse le parole di Laudria, forse la consapevolezza che esisteva un futuro per tutti loro ma, ora, non più sospinti dall’urgenza del momento, dalle decisioni prese sul filo, desiderava conoscere l’altra Clarke, quella che aveva scorto in rare occasioni, quella che si era lasciata andare. Quella che era riuscita con un semplice contatto a fargli provare un fremito lungo la schiena.
Bussò esitante alla porta del suo alloggio, ci volle diverso tempo prima che si aprisse e rimase schioccato dalla vista della giovane.
Clarke sembrava stravolta, gli occhi spenti, occhiaie profonde le segnavano il viso e appariva emaciata.
Appena la giovane lo vide cercò di sorridere “Bentornato Bellamy, entra” spostandosi poi dall’uscio e voltandogli le spalle per andarsi a sedere “scusa se non vi ho raggiunto all’ingresso ma, come puoi vedere, non sono al massimo della forma”.
Bellamy si preoccupò subito
“cos’hai, devo chiamare Abby o forse meglio Laudria, di certo lei saprebbe come aiutarti”.
Clarke alzò la mano e con un cenno di diniego disse “Non è nulla, ci sono stati parecchi casi di influenza e infreddature varie. Il nostro sistema immunitario non era pronto per questo e la febbre ha letteralmente steso metà campo e, a quanto pare, l’ho presa anch’io, un po’ di riposo e fra qualche giorno sarò in piedi”
Bellamy non sembrava convinto. Abby aveva accennato all’epidemia d’ influenza, e la guaritrice si era resa subito disponibile a dare una mano ma, da come aveva parlato il cancellerie, non sembrava una cosa così pericolosa, molto diversa dall’epidemia che avevano dovuto affrontare appena arrivati sulla terra.
“Clarke sei sicura, hai una faccia orribile!”
“grazie” ribatté la ragazza con un mezzo sorriso “non avevo bisogno che tu lo sottolineassi, comunque niente che qualche giorno di riposo non curi anzi” continuò in sussurrò poggiando un’istante la mano sulla fronte “credo che sia il caso che tu vada, non voglio contagiarti e ho veramente bisogno di dormire”
Quelle parole furono come uno schiaffo per Bellamy, avevano già affrontato un’epidemia assieme e l’avevano superata, perchè questa volta lo stava allontanando in quel modo. 
Esitò un’istante, avrebbe voluto ricordarglielo ma desistette di fronte la faccia stremata della ragazza. Forse aveva ragione lei, il giovane si rese conto che aveva aspettato il loro incontro con trepidazione, certo di poter riconoscere negli occhi della ragazza la stessa connessione che lui stesso sentiva ma, ovviamente, non aveva fatto i conti con la realtà.
Sospirò poi si alzò in piedi seguito da Clarke.
Bellamy riuscì solo a dire alla giovane di riguardarsi e di riposare prima di uscire dalla porta.
Prima di andare si girò nuovamente “Se hai bisogno di qualcosa chiamami Clarke, per piacere!”.
La giovane annuì poi chiuse la porta.
Bellamy rimase alcuni istanti di fronte all’uscio ormai chiuso. 
Poggiò la mano sulla porta, un disperato tentativo di mettersi in contatto con Clarke, quell’incontro era stato freddo e impersonale e in cuor suo sapeva che non era dovuto alla malattia.

Bellamy non poteva sapere che Clarke, come lui, aveva appoggiato una mano sulla porta e nuove lacrime scorrevano sul suo viso. 
Non era stata la malattia a parlare per Clarke.
Se dovevano sopravvivere in quel mondo doveva uccidere quel sentimento che sentiva nascere dentro di lei. 
  
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