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Autore: Edith Edison    11/09/2015    2 recensioni
Newtmas||Long||AU!HighSchool
« Newt! » Newt roteò gli occhi e sbuffò scocciato, osservando Thomas che correva nella sua direzione. [...]
Era un tipo solitario, lui: non gli piaceva stare in compagnia, specie dei suoi coetanei. [...]
Eppure Thomas non si era mai lasciato intimorire, sembrava voler diventare suo amico a tutti i costi.
***
Il fatto che avesse lasciato entrare quel ragazzo sempre troppo pimpante e curioso nella sua vita non significava che improvvisamente fosse diventato socievole. Continuavano a piacergli la solitudine e la tranquillità, però adesso parlava con qualche compagno a scuola, persino con qualche femmina.
Eppure l'unico a cui faceva vedere i suoi disegni era Tommy. L'unico che avesse mai invitato a casa sua era Tommy.
L'unico a cui avesse mai fatto un regalo era Tommy.
***
Quando Thomas se n'era ormai andato da venticinque minuti esatti, Newt si accorse di sentire ancora la sensazione delle sue braccia intorno al proprio esile corpo; ce l'aveva marchiato sulla pelle, quell'abbraccio.
***
« Speravo... » Intervenne Thomas e Newt riconobbe un leggero accento americano. « ...che potessi chiudere un occhio per un tuo vecchio amico. » Concluse posando lo sguardo sul biondo.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Minho, Newt, Teresa, Thomas, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Remember how we were, shuckface?



Capitolo 2: What happened to you when I wasn’t there?
 

Presente

Quello era solo il secondo giorno e già Thomas non ne poteva più.
Non ne poteva più di fingere sorrisi e rispondere cordialmente alle persone che lo riconoscevano per strada e gli chiedevano della sua famiglia.
Era stanco.
Terribilmente.
Avrebbe voluto rintanarsi nella sua stanza e restare accoccolato tra le coperte del suo letto, senza pensare ai minuti che scorrevano.
O alla scuola.
Thomas sbuffò rumorosamente.
Stava seriamente valutando l'idea di marinarla quel giorno, probabilmente nemmeno quella notizia sarebbe riuscita a perforare la maschera di mutismo che aveva adottato suo padre.
Poi però si ricordò delle prove per la squadra di atletica e si sentì un po' meglio: gli avevano concesso una possibilità e non aveva alcuna intenzione di sprecarla. 
Soprattutto se avrebbe potuto rivelarsi la sua personale distrazione, un modo per sfuggire alla realtà soffocante nella quale si ritrovava a vivere giorno dopo giorno.
Aveva bisogno di evadere.
E correre, sentire il vento fresco sferzargli il viso, le gocce di sudore che solcavano lente la sua pelle, il cuore che cominciava a pompare il sangue più velocemente lo aveva sempre fatto sentire stranamente vivo.

Fece una doccia e si vestì di fretta e furia perché aveva trascorso fin troppo tempo a letto a riflettere e presentarsi in ritardo a scuola dopo solo un giorno non era esattamente uno dei modi migliori per dare una buona impressione.
La casa che avevano affittato non aveva nulla a che vedere con quella in cui viveva a Los Angeles o con l’immobile che possedevano anni prima a Londra ed avevano venduto quando si erano trasferiti: si sviluppava tutta su un solo piano e, pur non essendo esageratamente grande, le camere da letto erano molto spaziose e luminose; nonostante ciò, vi era un solo bagno e la cucina dava l’impressione di essere piuttosto angusta. Ma, tutto sommato, non era poi così male.
Si avvicinò al frigorifero con l’intenzione di bere qualcosa di fresco prima di andare via e notò un post-it arancione fluo attaccato alla superficie in alluminio.
Diceva solo:

 

Emergenza in ufficio,
ci vediamo stasera.
Ti voglio bene
                              Papà


Thomas sospirò, indossò la giacca ed afferrò al volo la borsa a tracolla nera; avrebbe fatto colazione per strada.
Mentre si chiudeva la porta di casa alle spalle, non poté fare a meno di chiedersi quanto amore ci fosse in quel ‘ti voglio bene’.


***

Thomas osservò la porta dell'ingresso secondario spalancarsi per lasciare entrare un Newt visibilmente incazzato e una ragazza dai lunghi capelli corvini proprio dietro di lui.
Lui manteneva un passo veloce, ma strascicato e quella fu la prima volta che Thomas notò che nel suo modo di camminare c'era qualcosa di sbagliato.
Perché Newt zoppicava.
E non poteva di certo essere una malformazione congenita visto che ricordava perfettamente le giornate passate a rincorrersi anni prima. 
Ricordava il suo sorriso spavaldo quando si voltava verso di lui dopo aver tagliato il traguardo che avevano stabilito momentaneamente.
Ricordava quei momenti talmente tanto bene, gli risultavano limpidi a tal punto che vedere Newton zoppicare gli provocò un dolore sordo al petto.
Un dolore che Thomas proprio non seppe spiegarsi.
Ma che comunque passò in secondo piano di fronte all'immagine dell'inglese che si dirigeva spedito verso un ragazzo biondo e dai capelli corti che stava ridendo insieme ad un altro paio di ragazzi accanto agli armadietti.
Lo afferrò per il colletto della camicia a quadri che indossava e lo fissò minaccioso, incurante della piccola folla che si stava andando a creare intorno a loro. Thomas si ritrovò ad avvicinarsi, curioso di comprendere cosa stesse accadendo.
« Non ho idea di quello che tu le abbia fatto. » Sputò glaciale. « Ma avvicinati un'altra volta a lei e non risponderò delle mie azioni. » 
La ragazza dai capelli neri e gli occhi azzurri posò una mano sulla spalla di Newt. « Smettila, Newt. »
A questo punto, intervenne anche il ragazzo dai capelli biondi e corti. « Che cosa gli hai raccontato?! » Le urlò spietato.
Newt lo sbatté con violenza contro gli armadietti, l'impatto provocò un rumore poco rassicurante che fece strizzare gli occhi ad alcuni ragazzi che stavano assistendo alla scena. « Non ti azzardare a trattarla male. Mai più, Gally, hai capito?! »
La ragazza si fece da parte - doveva essere la fidanzata del suo vecchio migliore amico, pensò Thomas - tentando di nascondere un'espressione palesemente tormentata, mentre Newt e Gally si guardarono negli occhi per un lungo lasso di tempo. Alla fine fu proprio quest'ultimo ad annuire distogliendo lo sguardo e così permettendo a Newt di calmarsi e voltargli le spalle.

***

Da che ne aveva memoria, Thomas aveva sempre frequentato AP Biology.*
In realtà, aveva sempre frequentato corsi avanzati e mai gli erano sembrati troppo complessi o impegnativi come gli altri suoi compagni ci tenevano a vantare.
Gli avevano sempre detto di essere portato, più di una persona aveva idolatrato le sue capacità logiche e, in particolar modo, scientifiche, a tal punto che Thomas si era portato avanti negli studi anche per conto suo, imparando ad amare ogni piccola sfaccettatura della scienza. 
Nel bel mezzo di un'importante quanto affascinante spiegazione, la porta dell'aula 56 si spalancò per lasciare spazio ad una figura minuta dal viso provato. 
« Signorina Agnes, non ci speravo quasi più. » Disse la professoressa Vernon annotando alla lavagna l'argomento della lezione di quel giorno. « Non arriva mai in ritardo. »
 E fu allora che Thomas riconobbe la ragazza: era quella dai capelli corvini e vaporosi che aveva visto quella mattina al fianco di Newt, quella per cui lui e Gally avevano litigato.
« Già, mi scusi. » Rispose lei esaminando attentamente l'aula e verificando che l'unico posto libero rimasto fosse accanto a Thomas nella terza fila.
Si sedette accanto a lui senza proferire parola, semplicemente sfilò il libro ed un quaderno dalla borsa che portava con sé, prese una penna fra le mani e cominciò a scribacchiare qualche appunto.
In ogni caso, Thomas avvertì con esattezza il momento nel quale la ragazza smise di scrivere e si perse nei suoi pensieri, seppe che non stava ascoltando una parola della lezione, per questo, quando la professoressa fece il suo nome per invitarla a continuare a leggere dal punto nel quale il suo compagno si era interrotto, Thomas gli indicò distrattamente la parola sul suo libro. 
Lei gli sorrise grata. 
Suonò la campanella e la ragazza, incurante del fatto che il moro stava raccogliendo le sue cose con l'intenzione di concludere al più presto quella giornata straziante, gli tese la mano piccola ed elegante e si presentò.
« Piacere, sono Teresa. » 
‘Teresa’, pensò Thomas. ‘Quindi è cosi che si chiama la ragazza di Newt.’
« Io sono Thomas. »
Lei aprì la bocca per dire qualcosa, ma sembrò ripensarci, così la richiuse pur non riuscendo a mascherare una luce di comprensione che si era stabilita nei suoi grandi occhi azzurri.
Lui capì al volo. « Sì, sono 'quello nuovo'. »
Teresa arrossì fino alla punta dei capelli.
« Non preoccuparti, so come funzionano le cose al liceo. Arriva qualcuno di nuovo e tutti si chiedono chi sia, perché si sia trasferito e tutte quelle piccole domande che non nascondono un reale interesse. » Sospirò. Stava blaterando, lo sapeva. Tentò di fermarsi, perché probabilmente quella ragazza lo avrebbe preso per matto, però la sua bocca sembrava non volerne sapere di collegarsi al suo cervello e poi guardò fuori dalla finestra e… « Oh, andiamo! Perché piove sempre qui a Londra? Odio questo tempo. »
E lo odiava sul serio: era sempre così umido e nuvoloso lì, quello era un dettaglio che non era mai riuscito a dimenticare. Los Angeles, d’altro canto, era in pratica la patria del sole; scavò nella sua mente con l’intento di scovare una giornata in cui non avesse usato gli occhiali da sole – che per altro, portava sempre con sé.
Fece scivolare le braccia lungo i fianchi – non solo aveva parlato a vanvera, ma si era persino messo a gesticolare, enfatizzando ogni singola parola avesse pronunciato – e scandagliò il viso della ragazza.
Di contro ad ogni propria aspettativa, Teresa lo stava guardando con le braccia conserte all’altezza del petto e un’espressione mezza divertita sul volto.
« Credo che tu abbia bisogno di un caffè. Che lezione hai adesso? » Gli disse semplicemente e Thomas era talmente tanto stralunato da quella risposta inaspettata che rimase per qualche secondo in silenzio contemplando le lentiggini sparse sul naso e sulle guance leggermente arrossate della ragazza di Newt.
Del suo ex-migliore amico Newt.
Lei e lui stavano insieme.
E Thomas doveva decisamente smettere di fissarla e di soffermarsi sul modo in cui i suoi capelli neri si arricciassero alle punte, perché sì, era dolorosamente bella con la pelle diafana – non pallida, diafana – e le labbra rosa sottili, ma sarebbe stato sbagliato provarci con lei.
Comunque ciò non significava che non avrebbe potuto bere un caffè con lei. O magari offrirglielo.
« AP Chemistry.* » Concluse con un’alzata di spalle noncurante, tentando di ignorare il fatto che l’avesse osservata imbambolato come un pesce lesso.
Quella sorrise. « Bene, anche io. Il professore oggi è assente, quindi abbiamo un’ora libera. » Gli diede le spalle e si diresse verso l’uscita.
Quando si accorse che il moro non la stava seguendo, si voltò nella sua direzione, un sorriso furbo dipinto sul volto e… « Allora, questo caffè? »
A Thomas non restò che raggiungerla.

***

Teresa lo aveva guidato per le strade di Londra finché non giunsero in un piccolo bar dall’aria calda e familiare, non molto lontano dalla scuola a dirla tutta, il che era un bene visto e considerato che avrebbero dovuto sorbirsi un’altra ora di lezione prima di tornare a casa o – come nel caso di Thomas – dedicarsi ad attività extra quali la squadra di atletica.
Si accomodarono in un tavolino vicino alla finestra, l’uno di fronte all’altra ed ordinarono due caffè, lei macchiato di latte, lui semplicemente nero.
Thomas cominciò a guardarsi intorno: il soffitto era di legno scuro, così come i tavolini sparsi per tutto il locale, il quale era arredato sui toni del rosso e del verde muschio, una combinazione che gli fece molto pensare al periodo natalizio, ma che in quel posto doveva essere all’ordine del giorno. Lucernari rustici che emanavano una luce giallastra e soffusa erano stati posizionati sui posti a sedere e sopra il lungo bancone bar in mattoni, dietro il quale si poteva ammirare una vasta collezione di alcolici. In fondo era stato sistemato un pianoforte nero a mezza coda e Thomas pensò che probabilmente di sera dovesse trasformarsi in un piano bar, piuttosto che rimanere un antro tranquillo all’angolo della strada.
« Ti piace? » Chiese cordialmente Teresa, poggiando il mento sulle mani intrecciate.
Il moro annuì semplicemente, non trovando nulla da aggiungere all’assenso.
Lei sospirò e si fece più seria. « Sono stata la nuova arrivata in seconda media e per quanto fossi terrorizzata, non è stato poi così disastroso. Anzi, ho subito conosciuto il mio attuale migliore amico e altre persone con cui sono tuttora molto vicina. »
Thomas si ritrovò ad ascoltarla particolarmente interessato e a domandarsi quando avesse conosciuto Newton. Quasi scosse la testa nel tentativo di scacciare quel pensiero ricorrente dalla sua mente.
« Sono nata a Sunderland e lasciarla è stato un po’ come abbandonare una parte di me. » Lui annuì e lei lo prese come un invito a continuare. « Però adoro Londra, adoro questi piccoli bar sparsi per la città e l’umidità che respiro ogni giorno camminando per strada. Ormai la sento ‘mia’. » Concluse sorridendo teneramente, appoggiando la schiena alla poltrona di pelle bordeaux ed abbassando lo sguardo.
Thomas si rese improvvisamente conto che Londra era realmente la sua città natale, eppure non la considerava ‘sua’ da parecchio tempo ormai. Il fatto era che a Los Angeles non aveva lasciato solo una parte di sé stesso.
E non avrebbe potuto recuperare ciò che aveva perso. Mai più.
Si passò una mano tra i capelli e un po’ si sorprese nel momento in cui notò che Teresa aveva seguito quel gesto per la sua intera durata, senza perdersi nemmeno un millesimo di secondo. Si sarebbe anche concesso un ghigno soddisfatto se solo l’immagine di Newt non avesse nuovamente fatto capolino nella sua mente.
‘Dannazione’, si ammonì per l’ennesima volta in quei pochi minuti.
I loro caffè arrivarono giusto prima che il silenzio che si era instaurato fra loro due potesse diventare irrimediabilmente imbarazzante, cancellando l’atmosfera confortevole che si era andata a creare.
Dopo aver ringraziato la cameriera, Thomas si affrettò a prendere la parola. « Io sono nato a Londra. »
Teresa si corrucciò all’istante, ma non disse nulla, in attesa che il ragazzo potesse spiegarsi meglio, così avvolse la tazza turchese con le mani e si protese impercettibilmente in avanti.
« All’età di otto anni mi sono trasferito a Los Angeles. E adesso sono tornato. » Il moro scartò una bustina di zucchero e si perse ad osservare come il liquido scuro seguisse il movimento circolare dettato dal cucchiaino in acciaio. « In nessuno dei due casi ho avuto una brutta esperienza, sono solo… » Si fermò un attimo, riflettendo sul termine giusto da utilizzare e quasi si stupì quando si rese conto di quanto fosse – sembrasse - banale quella parola e di quanto quotidianamente venisse utilizzata da tutti. « …stanco di crearmi una vita per poi lasciarmela alle spalle come se niente fosse. »
Ripensò alle lacrime che Chuck aveva versato quando lo aveva salutato per l’ultima volta prima che partisse e gli si strinse il cuore: quel piccoletto era diventato come un fratellino per lui, se avesse potuto lo avrebbe portato con sé a Londra.
Thomas si riscosse solamente quando percepii un peso caldo posarsi delicatamente sul dorso della propria mano e stringerla in una morsa comprensiva; il ragazzo modificò la traiettoria del suo sguardo e scoprii che non si trattava altro che della mano di Teresa, la quale gli stava sorridendo con tutta l’intenzione di apparire incoraggiante.
Il moro apprezzò il tentativo – davvero, lo fece -, così ricambiò il sorriso.
Ma non si dovrebbe sorridere solo quando si è felici?
Un sorriso non dovrebbe far sentire più leggeri?
E allora perché a Thomas sembrava di star portando sulle spalle un carico fin troppo pesante? Perché sentiva di spegnersi sempre di più ogni volta che prendeva coscienza del fatto che nessuno avrebbe potuto pienamente comprenderlo?
« Non hai vecchi amici qui a Londra che puoi chiamare per avvertirli del tuo ritorno? » Gli domandò la ragazza dagli occhi azzurri e Thomas proruppe in una risata ironica.
Perché quella situazione era fottutamente ironica e il karma doveva seriamente smetterla di giocare con lui.
« Il tuo ragazzo era praticamente il mio migliore amico prima che mi trasferissi in America. » Silenzio.
Teresa ritirò la mano come scottata e corrugò le sopracciglia, allucinata. Poi sembrò di colpo diventare triste.
Era perché gli aveva ricordato il suo fidanzato? Cosa c’era di sbagliato? Avevano forse litigato?
« Teresa, cosa c’è che non va? Ho detto qualcosa che ti… »
Lei non gli fece neanche terminare la frase. « Nulla, Thomas. » Si affrettò a chiarire e lui tirò un sospiro di sollievo, non ci teneva ad allontanare o addirittura ferire l’unica persona che stesse mostrando uno straccio di genuino interesse nei suoi confronti. « E’ solo che io e Gally non siamo mai stati fidanzati. Siamo solo… »
« Aspetta, cosa? » Stavolta fu il turno del ragazzo interromperla ed aggrottare la fronte, confuso. Gally? Chi diamine era Gally? « Io intendevo Newt. »
Ed inaspettatamente, come un fulmine a ciel sereno – probabilmente Thomas comprese il significato del paragone in quel preciso istante -, Teresa scoppiò a ridere.
Talmente tanto rumorosamente che alcuni si voltarono per accertarsi di cosa stesse accadendo; rise finché una lacrima non le lasciò una scia bagnata lungo il viso.
« No, Tom! » Sentii il sangue affluirgli all’altezza delle guance. Gli aveva dato un soprannome e solo gli amici si davano soprannomi a vicenda. « Newt è mio fratello! »
Teresa – se possibile – rise più forte nel vedere Thomas letteralmente sgranare gli occhi alla sua esclamazione, leggeva la confusione nei suoi bei occhi ambrati e non poteva non divertirla da morire quell’espressione da Bambi smarrito che aveva stampata in faccia. Era esilarante.
Tentò di darsi un contegno e si schiarì la gola, aveva intenzione di spiegargli chiaramente come stessero le cose. « Non è veramente mio fratello. E’ il mio migliore amico, il ragazzo con cui ho subito stretto amicizia in seconda media. Non potrei mai fidanzarmi con lui, sarebbe un incesto per me o roba del genere… » Si lasciò andare ad un’ultima risata. « Mi hai migliorato la giornata, sai, Tom? Sei davvero simpatico. »
Thomas avrebbe voluto fermare il flusso dei suoi pensieri per fare tesoro delle sue parole e magari ammiccare con un sorriso – dopotutto non era la ragazza del suo ex-migliore amico, di conseguenza, non vi era nessun ostacolo che gli impedisse di provarci con lei – e lo avrebbe fatto, se solo non fosse stato impegnato a spingersi contro la poltrona del bar con forza, desiderando ardentemente che questa lo risucchiasse e lo facesse scomparire.
‘Oh. Mio. Dio.’, si ripeteva. ‘Che figura di merda.’
« Lo hai pensato per stamattina? » Non gli restò che annuire. Avrebbe dovuto valutare l’idea di esprimersi a gesti, appurato che con le parole fosse un disastro.
« Ieri sera sono uscita con Gally. » Prese a raccontare Teresa e il ragazzo capii finalmente a chi si stesse riferendo poco prima. Gally era il ragazzo dai capelli biondi e corti con cui Newton aveva quasi fatto a botte quella stessa mattina. « Ma lui era brillo e abbiamo litigato e… » Deglutì e si fermò.
Aveva gli occhi lucidi, notò Thomas. E dava l’impressione di aver visto un fantasma. Si toccò distrattamente il polso e fu allora che notò che portava un polsino. Sarebbe stato anche normale, se, nel momento in cui le sue dita vi si poggiarono al di sopra, il viso non le si fosse contratto in una smorfia addolorata.
Quello che fece dopo fu del tutto automatico. Si allungò sul tavolo, stando ben attento a non rovesciare il caffè e combinare un pasticcio e sostituì le dita della ragazza con le proprie. La scandagliò, si soffermò sulla bocca socchiusa e sullo sguardo perso, cercandovi un qualche tipo di permesso a proseguire, ma Teresa era troppo pensierosa e il moro sapeva che voleva aprirsi con lui e che, allo stesso tempo, non ci sarebbe riuscita senza un piccolo aiuto.
Thomas le sfilò piano il polsino, stando attendo a non farle male e una strana rabbia montò in lui quando vide come quei segni violacei marchiavano la pelle diafana della ragazza. Percepii distintamente le mani prudergli dalla voglia di picchiare Gally e conosceva Teresa da poco meno di due ore, figurarsi quello che aveva dovuto provare Newt.
« Gally non era in sé, non è un cattivo ragazzo, lo so. »
Thomas continuava a rigirarsi davanti agli occhi l’arto e a saggiare il modo in cui i lividi rappresentassero approssimativamente la forma di dita umane.
« Ti ha picchiata? »
Teresa scosse la testa vigorosamente e ritirò il braccio al petto, indossando nuovamente il polsino. « Ha solo stretto con troppa forza. Ma poi mi ha urlato in faccia e mi ha guardata in quel modo…spaventoso. Ero sconvolta quando sono andata da Newt. » Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli sembrò fragile a tal punto che Thomas si chiese come fosse possibile fare del male ad una creatura del genere, ubriachi o non. « Newt è molto protettivo e, sì, in un primo momento mi ha calmata. Ma stamattina ha dato di matto ed io non voglio farlo innervosire in questo modo. Non vorrei mai che stesse male di nuovo, quando è arrabbiato mi ricorda… » 
La ragazza spalancò gli occhi - Thomas avrebbe giurato che le stessero fuoriuscendo dalle orbite, se non fosse stata un’opzione totalmente assurda – e scattò in piedi all’improvviso. « Mi dispiace, mi sono appena ricordata di dover sbrigare una commissione urgente. Ci vediamo in giro, Thomas. » Poi scomparve dalla sua vista in un battibaleno.
E Thomas le avrebbe anche creduto, se solo avesse ignorato tre semplici dati di fatto.
1. Non lo aveva guardato negli occhi neanche per sbaglio, nonostante avessero mantenuto il contatto visivo per gran parte della loro lunga conversazione.
2. Pochi minuti dopo sarebbe iniziata la loro ultima lezione della giornata – a proposito, era incredibilmente in ritardo.
3. Si era bloccata nel bel mezzo di un discorso e gli aveva dato l’impressione di aver detto troppo o di aver persino rivelato qualcosa di strettamente intimo e personale.

Perciò, la domanda che adesso Thomas doveva porsi era: cos’era successo a Newton mentre lui era a Los Angeles?

***

un anno prima

Winston gli passò la sigaretta e Thomas la prese fra le dita ridendo ancora alla battuta di Rachel.
Quel pomeriggio lo stavano trascorrendo nel garage di Winston, spaparanzati sul vecchio divano consunto parlando delle sciocchezze più assurde riuscissero a tirare fuori.
Prese una boccata di nicotina e si ritrovò a tossire come un imbecille alle prime armi: non che Thomas fosse un accanito fumatore – a differenza di quel dark di nome Winston che aveva come amico -, ma quella non era certo la prima sigaretta che provava. Aveva la squadra di atletica a cui pensare, dopotutto.
Si aprì in una smorfia disgustata, mentre Aris nascondeva un sorrisetto soddisfatto; quante volte gli aveva detto che fumare faceva male?
« Queste schifezze puoi fumarle solo tu, Win. »
Winston rise terribilmente divertito alle parole del moro. « Sei solo uno stupido pive. »
Thomas alzò gli occhi al cielo ed ignorò l’insulto, poi si sistemò meglio sul divano e fece un altro tiro. Quella volta andò molto meglio.
« Sapete di essere un pessimo esempio per Chuck, giusto? »
Chuck era il più piccolo del gruppo; mentre Thomas, Aris e Rachel condividevano tutti la stessa età – avevano sedici anni, erano nel pieno della loro vita adolescenziale – e Winston fosse un anno più grande di loro, il ragazzino riccioluto aveva la bellezza di tredici anni.
Perché frequentava quegli scalmanati?
Perché quando Chuck aveva conosciuto Thomas due anni prima, aveva pensato che fosse in assoluto la persona più figa che avesse mai avuto il piacere di incontrare. Non era come tutti i ragazzi della sua età, presuntuoso, ma essenzialmente tutto fumo e niente arrosto: Thomas era vero, intelligente e di buon cuore.
Per questo motivo il ragazzino lo aveva preso a modello e quale miglior modo di conoscerlo alla perfezione se non quello di frequentarlo e divenire suo amico?
Così era in pratica diventato la sua ombra.
« Chuckie è un bravo bambino, giusto piccoletto? » Winston gli fece un occhiolino e gli mandò un bacio con la mano.
Quello per tutta risposta gli lanciò uno sguardo di sufficienza e si voltò dall’altro lato, gonfiando le guance ed arricciando le labbra in un broncio offeso.
« Non è un bambino. » Accorse in suo aiuto Thomas, sorridendo. « Giusto, Chuck? »
Il ragazzino sembrò rianimarsi. Annuì vigorosamente e ricambiò il sorriso, regalandogliene uno a trentadue denti.
Il filtro della sigaretta fu di nuovo tra le labbra del moro, al ché Winston inarcò un sopracciglio e gli chiese: « Devo dedurre che non la riavrò più? »
« A-ha. » Affermò Thomas pur sentendo lo sguardo truce di Aris su di sé.
Aris era il suo migliore amico: si erano conosciuti esattamente quando si era trasferito a Los Angeles e da allora non si erano più separati. Avevano instaurato un profondo rapporto di amicizia in brevissimo tempo, talmente poco che nemmeno lo stesso Thomas sentiva di averci capito qualcosa. Non sapeva proprio spiegarsi come lui e Aris fossero giunti a raccontarsi ogni singola cosa capitasse nelle loro vite, anche la più sciocca e banale. Forse era stato che avevano percepito di possedere un’affinità particolare, forse era che all’epoca entrambi adoravano costruire vulcani di cartapesta per poi escogitare un modo sempre diverso e funzionale di farli eruttare, forse era che a nessuno dei due aveva mai fatto troppa impressione Fringe ed erano finiti per guardarne gli episodi in prima serata alternativamente a casa dell’uno e dell’altro.
Fatto sta che non esisteva persona al mondo che lo conoscesse meglio di Aris.
Winston fece spallucce e si accese un’altra sigaretta, provocando uno sbuffo irritato del migliore amico di Thomas.
« Considerato il tempo che trascorro in vostra compagnia e la spropositata quantità di nicotina che consumate voi due insieme, morirò di cancro ai polmoni. A causa del fumo passivo. Grazie, amici. » Il moro scoppiò a ridere tenendosi la pancia, estremamente divertito, mentre il dark non fece una piega.
« Allora non passare tutto questo tempo con noi. » Rise più forte; sapeva che Aris si stava trattenendo dal tirargli un pugno in volto. Quei due avevano un rapporto complicato: apparentemente sembrava che non potessero tollerarsi a vicenda, ma Thomas sapeva in quante situazioni si fossero aiutati e che ci sarebbero stati sempre per l’altro.
Semplicemente loro erano così, un gruppo fuori dal comune, composto da persone dai caratteri diametralmente opposti che non si sarebbero potute completare meglio.
« Perché non parliamo della festa di domani? » Introdusse il discorso dopo essersi calmato e aver riacquistato un minimo di contegno – che comunque non gli sarebbe servito visto che, andiamo, quelle teste di caspio lo avevano visto e assistito nei suoi momenti peggiori – e schiacciò la sigaretta contro il vetro del posacenere.
« Io non voglio andarci. » Sentenziò Rachel, l’unica ragazza sulla faccia della terra che riuscisse a sopportarli ventiquattro ore su ventiquattro.
« Perché? » Chiese curioso Chuck.
« E’ stata Beth ad invitarci. O, meglio, ad invitare Thomas. » Precisò Winston.
Rachel non aveva mai sopportato Beth, la capo-cheerleader della squadra della loro scuola. Avevano litigato durante il primo anno di liceo e da allora non si erano più rivolte la parola, quindi era piuttosto ovvio a tutti che Rachel non volesse partecipare alla sua festa di compleanno.
« Non ha invitato solo me. » Balbettò il moro, in imbarazzo. Immaginava dove volessero andare a parare i suoi amici.
« Sì, invece. » Lo contraddisse prontamente la ragazza. « Sei popolare e le sue amiche adorano ricordarle quanto tu sia sexy dopo un allenamento di atletica. »
« Intendi quando sono completamente sudato? » Domandò scettico indicandosi con la mano.
« Disgustoso. » Sputò Aris con una smorfia a deformargli i lineamenti del viso.
« Certo! Ascolta me, Thomas, quella non vede l’ora di… » E si bloccò, arrossendo da capo a piedi e sgranando gli occhi, rendendosi conto di ciò che stava per dire.
Thomas rimase a fissarla in attesa che completasse la frase, sinceramente curioso riguardo a ciò che Rachel voleva spiegargli.
Winston sospirò. « Ok, ho capito, lo dico io. Quella vuole scopare con te, Thomas. »
« Winston! » Esclamò Rachel. « C’è Chuck! »
« Non fare la puritana, adesso. Il pensiero era tuo. » Anche lui spense la sua sigaretta e si alzò per versarsi un bicchiere d’acqua fresca.
« Io avrei scelto delle parole più…appropriate. » Concluse balbettando ancora imbarazzata dall’uscita spontanea dell’amico.
« Ricordate? Non sono un bambino. » Si intromise Chuck, ma tutti lo ignorarono e neanche Thomas quella volta riuscì a sentirsi male per lui.
Il moretto era troppo impegnato a riflettere sulle parole di Winston; non era propriamente scandalizzato, si trattava più di imbarazzo, però non poteva dargli torto: ricordava bene gli sguardi maliziosi che Beth gli lanciava e il modo in cui si arrotolava i capelli biondi intorno alle dita mentre lo invitava alla festa a casa sua.
« Disgustoso. » Ripeté Aris. « Che poi una volta non erano i ragazzi a voler portare le ragazze a letto? »
« Che differenza fa? L’importante è… »
Ma Thomas lo interruppe sovrastandolo con la sua voce, prima che Winston potesse dire qualcos’altro di sconveniente. « In ogni caso, non andrò a letto con lei. Rachel ci saranno talmente tante persone invitate che non noterà nemmeno la tua presenza. Andiamo per divertirci, passare una serata diversa, che dite? »
I suoi amici si scambiarono delle brevi occhiate fra di loro, poi lo guardarono ed annuirono.

***

Presente

Minho lo aveva strigliato per bene.
Aveva iniziato con un corsa di velocità per duecento metri e, se inizialmente l’asiatico aveva un’espressione tremendamente annoiata, quando aveva visto il tempo segnalato dal cronometro, aveva sgranato gli occhi e la sua bocca aveva assunto rapidamente la forma di una “o”.
Thomas aveva ghignato e fatto scoccare la lingua sul palato, spavaldo.
« Non pensavi di avere a che fare con un pivello, giusto, capitano? »
Quello si era ricomposto e aveva risposto con un sorriso beffardo ed un’alzata di spalle.
« Vediamo un poco cosa sai fare, velocista. »
Ed affermare che Thomas gli avesse dato filo da torcere sarebbe stato un eufemismo.
Aveva messo tutto se stesso in quel “test” – se così si poteva definire -, si era concentrato a tal punto da non percepire nulla a parte la sfida che gli era stata posta dinanzi, aveva incanalato tutte le sue emozioni – positive o negative che fossero – nelle azioni che si apprestava a compiere.
In quella ora non aveva pensato al trasferimento e a tutti i suoi problemi, non era stato “il ragazzo nuovo”, non lo aveva nemmeno sfiorato l’idea che lo sguardo critico di Minho lo stesse attentamente valutando, quasi come se avesse dovuto scommettere su di lui e stesse tentando di stimare il suo effettivo valore; era stato solo Thomas Edison, il ragazzo determinato e testardo che sua madre gli aveva sempre assicurato di essere – a volte anche in preda alla rabbia, perché era consapevole di come suo figlio spesso e volentieri ignorasse i consigli che gli venivano impartiti dagli altri per seguire solo i suoi ragionamenti -, quello che amava la corsa con ogni particella del proprio essere e faceva pazzie pur di ottenere ciò che desiderava.
Thomas era stato se stesso.
Ed aveva funzionato.
Mentre Minho parlava al telefono con il coach della squadra, Thomas si era concesso del meritato riposo seduto sugli spalti del campo di atletica, con una bottiglia d’acqua quasi vuota fra le mani – la sensazione che gli provocava il liquido fresco scorrendo nella sua gola secca e bruciante era un’altra delle cose che gli ricordavano perché amasse tanto l’atletica leggera – ed un asciugamano intorno al collo.
Dopo aver dato una veloce occhiata in giro, il moro si era rassegnato a seguire l’allenamento dei pivelli condotto da Newt.
‘Avanti, Thomas!’ si disse fra sé e sé. ‘Non raccontare balle. Tu stai fissando Newt.’
Ed era la verità.
Thomas stava spudoratamente fissando Newt da qualche minuto ormai.
Gli occhi ambrati erano scivolati su tutta la figura del suo vecchio amico, sui pantaloni grigio scuro della tuta e la canottiera nera che lasciava le braccia scoperte.
Newton era sempre stato gracile, uno scricciolo; anche adesso era estremamente magro, eppure era piuttosto alto, osservò Thomas, probabilmente quanto lui stesso, ed erano abbastanza evidenti dei muscoli seppur non troppo pronunciati – dopotutto era un bene non appesantire eccessivamente il fisico un atleta.
Si soffermò sui capelli biondi, leggermente umidi a causa del sudore, sull’espressione mutevole del suo volto: seria ed accigliata quando impartiva un ordine agli altri ragazzi, pensierosa ed attenta negli attimi nei quali li valutava, gentile nei momenti in cui li aiutava a migliorare le loro prestazioni.
Era perfetto.
Quel pensiero si materializzò nella mente di Thomas pian piano, ascoltando il suo accento inglese – pareva quasi che accarezzasse le parole, non poteva semplicemente ‘pronunciarle’. Gli altri le pronunciavano, Newt le accarezzava -, le battute che faceva per non rendere l’allenamento pesante e noioso, la sua risata cristallina che stuzzicava piacevolmente il proprio nervo acustico, dandogli l’impressione di isolarla dai suoni che percepiva intorno a sé, e che lo faceva sorridere di risposta.
E non avrebbe potuto, in nessun caso, negarlo. Non c’era nulla da negare, perché quella era la pura ed intoccabile verità.
Decise di avvicinarsi; il biondino era arrivato poco dopo Thomas, il quale stava già eseguendo le prove che Minho aveva programmato per lui, di conseguenza non avevano avuto la possibilità di salutarsi. Inoltre, quel giorno non avevano parlato per niente: quella mattina aveva preferito non disturbarlo visto lo scontro con Gally, a pranzo non lo aveva scorto nemmeno in lontananza e, come se non bastasse, non avevano avuto nemmeno una lezione in comune.
Newt lo notò e si scusò con i ragazzi. « Facciamo una pausa di cinque minuti, dopo continuiamo con qualche altro esercizio e infine il defaticamento. »
« Com’è andata? » Gli chiese subito, senza troppi convenevoli.
« Bene, credo. » Thomas si morse il labbro inferiore. « Sembrava sorpreso. E’ un buon segno? »
Il biondo rise e gli diede una pacca sulla spalla. « Non tutti riescono a sorprendere Minho. » Gli sussurrò come se gli stesse rivelando un segreto e gli fece l’occhiolino.
Sorrise e scartò il pensiero che gli stesse piacendo fin troppo il calore che il braccio di Newt adagiato su entrambe le proprie spalle - quasi a circondarlo – irradiava.
Poi si accorse che si stavano muovendo in direzione di Minho, il quale non stava più parlando al telefono. Alla fine, era uno stupido braccio, un gesto da amici. Anche lui lo faceva con Aris e Winston, a volte.
« Sembrate due compari. » Sbottò l’asiatico inarcando un sopracciglio, vagamente divertito.
« Ti ha fatto il culo, non è vero? »
Thomas ridacchiò confuso quando Minho sbuffò ed incrociò le braccia all’altezza del petto, quasi scocciato dalle parole dell’amico. Dopo infilò una mano nella tasca del pantalone e porse a Newt un foglietto.
Thomas intuì che doveva trattarsi dei propri tempi e si sporse per dare una breve occhiata anche lui: beh, sembravano degli ottimi tempi.
Il biondo sgranò gli occhi proprio come aveva fatto l’asiatico dopo la sua prima corsa, forse con meno stupore, ma pur sempre con eguale enfasi.
« Cacchio, Tommy, immaginavo fossi bravo, ma non così tanto. »
Si ritrovò a sorridere esattamente come un ebete alle sue parole – al soprannome che aveva utilizzato nuovamente senza accorgersene - e a seguire con attenzione le sue pupille muoversi e fermarsi sui numeri segnati con l’inchiostro nero, le labbra arricciarsi di tanto in tanto e le sopracciglia aggrottarsi quando non capiva bene un appunto.
Quando alzò gli occhi marroni dal foglio, un sorrisetto saccente aveva già fatto capolino sul suo volto ed era senza alcun dubbio rivolto a Minho.
« Avevo ragione. » Cantilenò derisorio. « Ho vinto. »
L’asiatico non si trattenne dallo sbuffare una seconda volta.
« Tutte, Minho. Le cancelli tutte quelle dannate foto. »

***

Dopo aver atteso che Newt terminasse l’allenamento ed essersi fatti una doccia e cambiati, lui e Minho avevano insistito per dargli un passaggio a casa, così si era ritrovato nella Toyota dell’asiatico.
Gli aveva raccontato della risposta positiva del coach e il biondo gli aveva battuto il cinque sorridendo: Thomas era ufficialmente nella squadra di atletica.
A dispetto di quella stessa mattina, Newt pareva parecchio di buon umore.
« Quindi, questa testapuzzona qui presente… »  Continuò a raccontare ridendo di tanto in tanto, soddisfatto. « …ha pensato di scommettere con me. Perché – testuali parole -‘andiamo, Newt, sarà un pive!’. »
Il moro lanciò un’occhiataccia a Minho. « Non posso crederci che non avresti scommesso su di me. Questo non è un buon modo per iniziare la nostra amicizia. »
Quello scosse la testa e ridacchiò. « Mi dispiace, Mr. Thomas. » Lo guardò brevemente, dopotutto stava guidando e tutte le volte che distoglieva lo sguardo dalla strada Newt irrigidiva le spalle e gli urlava di stare attento – Minho gli rispondeva con uno sguardo dispiaciuto, quasi mortificato e Thomas non poteva fare a meno di domandarsi il motivo. « Rimedieremo diventando bff. » Concluse con un’alzata di spalle.
Scoppiò a ridere. « Bff? »
« Minho, in realtà, è una ragazzetta della peggior specie. » Lo prese in giro il biondo sorridendo apertamente. « Ed anche un fan-girl repressa, ma questo è un altro discorso. »
« Chiudi quella fogna. » Sbottò il ragazzo in questione. « Ammettilo che saresti geloso marcio se io e Thomas fossimo bff. »
Newt roteò gli occhi e si sistemò meglio sul sedile dell’auto. « Più che altro sarei dispiaciuto per lui. Sei così insopportabile, Min! » Concluse con teatralità, gesticolando animatamente e marcando ulteriormente il suo accento inglese.
L’asiatico gli riservò un sorrisetto sghembo. « Ah, sì? Bene, Thomas, sei ufficialmente il mio nuovo bff. »
« Non potrei mai prendere il posto di Newt. »
« Prenditelo pure. » Borbottò il biondino.
« Avanti, Newtino…lo sai che nel mio cuore ci sei solo tu. » Gli diede un buffetto sulla guancia al quale l’altro rispose con uno sbuffo apparentemente scocciato.
Ma la verità era che Newt era divertito: lo poteva vedere dal sorriso che minacciava di prendere il possesso delle sue labbra, dagli occhi marroni che davano l’impressione di essere più chiari e dalla posa rilassata del suo corpo.
Di nuovo, Thomas pensò alla furia che quella mattina aveva riversato su Gally. Ed automaticamente pensava a Teresa, a ciò che gli aveva raccontato, ai lividi che spiccavano sulla pelle del polso e sentiva la rabbia montare dentro sé.
Avrebbe voluto parlargliene, confrontarsi con il ragazzo e farsi raccontare di più su questo Gally che tanto detestava pur non conoscendolo realmente.
Eppure non era certo del fatto che la ragazza dagli occhi azzurri avesse detto proprio tutto a Newt: ricordava le parole che il biondino aveva pronunciato.

Non ho idea di quello che tu le abbia fatto.

E poi c’era anche Teresa; sembrava così preoccupata per Newt, che gli potesse accadere qualcosa.

Newt è molto protettivo e, sì, in un primo momento mi ha calmata. Ma stamattina ha dato di matto ed io non voglio farlo innervosire in questo modo. Non vorrei mai che stesse male di nuovo, quando è arrabbiato mi ricorda…

Avrebbe decisamente dovuto chiederle spiegazioni.
« Tommy? » La voce di Newt lo destò dai propri pensieri. Lo stava scrutando attentamente e Thomas si sentì quasi a disagio sotto il suo sguardo indagatore.
« Sì, scusa. Dimmi. »
Ma gli occhi marroni del ragazzo non accennarono al minimo movimento, parevano trovarsi nel bel mezzo di un'importante analisi: le sopracciglia erano aggrottate, contratte in un tipico cipiglio attento e l'espressione seria e vigile, pronta a cogliere qualsiasi microscopico cambiamento del suo volto.
Per questo motivo Thomas si scoprì a trattenere il respiro con l'intenzione di restare il più immobile possibile, quasi avesse qualcosa da nascondere.
'Ce l'ho?'. La domanda rimbombò nel silenzio della sua mente. 'Ho qualcosa da nascondere?'
E subito le sopracciglia di Newt scattarono verso l'alto - come se lo avessero letto nel pensiero - e il moro, sopraffatto, distolse lo sguardo.
Aveva avuto paura.
Già, paura.
Nessuno nella sua vita lo aveva guardato così intensamente, si era letteralmente sentito scavare dentro per tutta la durata di quel contatto visivo; ogni istante in cui quei laghi scuri e profondi indugiavano su di sé, Thomas percepiva una strana sensazione addosso, appiccicata sulla pelle, sui vestiti. 
Inquietudine? Imbarazzo? Fastidio? Tensione? 
Avrebbe tanto voluto essere capace di identificarla, ma non aveva la benché minima idea di cosa si trattasse, aveva l'impressione che nessun termine esistente e riportato sul vocabolario potesse calzare a pennello le emozioni che gli provocava.
'Non ho nulla da nascondere." Sentenziò definitivo nella sua testa.
Se fosse riuscito ad ingannare se stesso, convincendosi di non avere alcun segreto, allora Newton non avrebbe potuto scoprire nulla, non avrebbe letto le parole non dette di Thomas nei suoi occhi - perché sembrava sul serio in procinto di leggere, come se le lettere di quelle frasi nascoste brillassero nelle sue iridi e davanti avesse non una persona, ma un tomo da sfogliare per intero.
Solamente quando fu sicuro che il biondo non lo stesse più osservando, si voltò nuovamente verso i due ragazzi. 
Più che altro diede un'occhiata alle strade di Londra e al paesaggio che cambiava finché non furono vicini a casa di Thomas.
« Okay, continua per sei isolati. » Guidò l'asiatico con pazienza, il quale continuò a guidare tenendo d'occhio di tanto in tanto Newt con la coda dell'occhio. Il ragazzo, infatti, si era chiuso in se stesso: aveva poggiato il mento sulla mano e si era perso con lo sguardo - e con la mente - fuori dal finestrino, l'aria scherzosa e leggera ormai era scemata.
« È questa casa tua? » Minho indicò un immobile color prugna con un cenno del capo.
Thomas scosse la testa. « No. È quella dall'altro lato della strada. »
Il suo nuovo amico sorrise. « Carina. »
« Già. » Il moro sospirò; quando quell'ammasso di legno, cemento e vetri sarebbe sul serio divenuto casa sua? « Grazie per il passaggio, ci vediamo domani. »
I due lo salutarono, Minho più energicamente rispetto a Newton che era ancora distratto da qualunque cosa gli stesse frullando in testa.
Aprì lo sportello e scese dalla Toyota, attraversando la strada rapidamente e rintanandosi nell'entratina dell'immobile.

Ce l'aveva fatta. 
Era nella squadra.
 
Sapeva che avrebbe dovuto saltare ed urlare ed essere felice, magari chiamare suo padre ed informarlo della notizia, sorridere e mandare un messaggio sul gruppo WhatsApp che condivideva con Aris, Winston, Rachel e Chuck - 'The Gladers' -, fare qualche registrazione vocale e lasciarsi trasportare dall'entusiasmo che era sicuro i suoi migliori amici avrebbero dimostrato. 
Eppure i suoi pensieri confluivano in un unico soggetto, rifiutando di concentrarsi su qualcos'altro.
Newton.
Thomas si diede uno schiaffo sulla fronte, come se in quel modo avesse potuto farlo uscire dal suo cervello, nel quale oramai sembrava essersi insinuato senza rimedio.
Sarebbe impazzito. Newt lo avrebbe fatto impazzire. 













Ed eccoci al secondo capitolo!
Spero davvero che vi sia piaicuto :)
Ringrazio tutti coloro che l'hanno recensita ed inserita
tra le preferite e le seguite, ma anche i lettori silenziosi!
In ogni caso, ci sono delle cose che vorrei chiarire:
1.(*) AP Biology/AP Chemistry (Corso avanzato di biologia,
   corso avanzato di chimica); la sigla 'AP' sta, infatti, per 
   'Advanced Placement'. Si tratta di corsi avanzati che gli
   studenti americani tendono a frequentare, in particolar 
   modo durante l'ultimo anno.
2. No, non siete finiti in una Thomesa hahahaha questa è una  
    Newtmas al cento per cento, ho voluto comunque dare spazio
    al rapporto che si sta formando tra Thomas e Teresa, perché
    nel libro sono inevitabilmente legati e mi piacerebbe non
    stravolgere completamente questo lato della storia.
    In ogni caso, l'amicizia tra Newt e Teresa avrà un ruolo 
    fondamentale, perché...beh, non so, sono carini, mi sarebbe
   piaciuta tanto un'amicizia fra di loro nel libro!
3. Riguardo all'aspetto dei personaggi, li immagino esattamente
    come nel film, tranne Winston (che descriverò meglio nel quarto 
    capitolo, insieme al rapporto tra Aris e Rachel) che lo immagino
    un tipo tutto dark hahahaha:)
4. Quando Newt dice a Minho di cancellare tutte le foto si riferisce
     a quelle in cui è travestito da Link che ho citato nello scorso 
     capitolo. Thomas Brodie-Sangster è praticamente uguale!
Al prossimo capitolo!
    

   
 
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