― c a p i t o l o
s e c o n d o ―
I don’t know what you do, but
you’re unbelievable
I don’t know how you get over, get over
Someone as dangerous, tainted and flawed as you
♦
SETTE
PROIETTILI E DIECI BOSSOLI
Shikamaru si sfilò la sciarpa dal collo, appoggiandola
malamente sul bancone. Di fianco a lui, Sai provvedeva a nascondere il blocco
degli appunti nella giacca e Choji richiamava
l’attenzione di una delle bariste.
«Guarda chi si vede» la voce di Temari arrivò pungente alle sue orecchie, strappandolo
dalla stanchezza che lo aveva improvvisamente avvolto dopo la terza nottata in
bianco per colpa del caso Uchiha. «L’Ispettore Nara e
i detective, eh?» e si appoggiò al tavolo con un gomito mentre puliva un
bicchiere dall’aria pesante, «Che vi porto, ragazzi?».
«Un caffè, grazie» sorrise Sai, tamburellando
sul bancone, Choji si appoggiò a lui e indicò con le
dita il numero due.
«Tre caffè» esordì Shikamaru,
estraendo dalla tasca del pantaloni un pacchetto di sigarette, offrendole ai
compagni, che non rifiutarono. Prima che potesse rimetterle via, Temari allungò le dita rovinate e dal detersivo e sfilò
l’ultima stecca, infilandosela dietro l’orecchio.
«Tre caffè ai signori al bancone, arrivano
subito» ridacchiò, facendo l’occhiolino a Shikamaru
prima di allontanarsi per andare a preparare le tazze.
Choji mugugnò, tenendo il gomito sulla spalla di
Sai, «Quando ti rubo io l’ultima sigaretta t’incazzi sempre però».
«Almeno lei la fuma davvero» rispose Shikamaru, passando l’accendino agli altri due, per poi
allungarsi dall’altra parte del bancone a recuperare un posacenere libero, «Non
fa come te che ne fumi metà e poi la butta via».
Sai ridacchiò, «O semplicemente è perché non
vi staccate gli occhi di dosso» disse provocante, alludendo alla loro quasi-non-più-riservata
relazione, e Choji rise.
«Non siamo qui per questo» borbottò Shikamaru, agitando la sigaretta con la mano.
Choji sospirò, «Secondo me sei troppo stressato, Shikamaru» suggerì, e di fianco a lui Sai annuiva
vigorosamente.
«Faccio solo il mio lavoro, a differenza di
voi due» provocò l’Ispettore, e Choji lo guardò
offeso.
«I vostri caffè» li interruppe Temari, facendo scivolare sul bancone le tazze dei due
detective, posando con più delicatezza quella di Shikamaru
davanti al cliente. Poi, prima di andarsene, si guardò a destra e a sinistra,
sorrise all’Ispettore ed estrasse dalla tasca del grembiule una piccola
boccetta, stappandola e versandone il contenuto trasparente nella tazzina.
«Non dovresti fare questo davanti ad un agente
della polizia» le sussurrò Shikamaru, sfiorandole la
mano.
«Ci sono un sacco di cose che non dovrei fare
davanti ad un agente della polizia, ma le faccio comunque, no?» sorrise, «E poi
tu sei quello degli omicidi, non quello dell’alcol illegale», un altro cliente
la chiamò dall’altra parte del bancone e lei fuggì prima che Shikamaru potesse risponderle.
«Hai l’aria stanca, comunque» commentò Sai,
interrompendo il continuo cozzare dei cucchiaini contro la ceramica spessa
delle tazzine, riprendendo il discorso di prima.
«Asuma mi tiene alla
centrale quasi tutta la notte» borbottò Shikamaru,
aspirando dalla sigaretta e passandosi la mano sugli occhi. Era davvero stanco,
e il fatto che fosse svogliato di natura e pigro non aveva niente a che vedere
con il suo desiderio di toccare il cuscino, e rimanerci attaccato per le
prossime dodici ore.
«E ci vai anche stanotte?» domandò l’altro,
che si era già scolato la sua dose di caffeina.
«No, oggi no» sospirò Shikamaru.
«Quindi mi posso aspettare un invito a cena,
Ispettore Nara?» Temari comparse nuovamente davanti a
loro, scuotendo il ragazzo dal torpore che minacciava di farlo crollare sul
bancone ogni minuto che passava, «Magari semplicemente passo io da te, agente»
propose poi, comprendendo la mole di lavoro che gravava sulle spalle del
fidanzato.
«Va bene» assentì semplicemente, finendo il
proprio caffè, lasciando che la ragazza recuperasse le tazzine vuote e andasse
a lavarle.
«A quanto pare il tuo superiore è un altro,
eh, Ispettore?» cantilenò Choji.
«Avete parlato con i presenti alla festa?»
domandò Shikamaru, spostando l’attenzione da sé al
vero motivo di quella riunione: il caso Uchiha.
Sai tossicchiò, aggiustandosi la giacca, «Le
foto sono da sviluppare» commentò, iniziando a parlare con quel suo tono
professionale che colpiva tutti, alla polizia, «Abbiamo interrogato quelli
della città che sappiamo erano alla festa: liceali, universitari, c’era pure
qualche marinaio, figurati…».
«E gli Uchiha»
aggiunse Choji.
«E gli Uchiha» gli
fece da eco Sai, «Così come tutti quelli della baia, c’era pure una dei Senju» informò, «In tutti i casi i loro sospetti ricadono
sono sugli Hyuuga, dubitano fortemente delle altre
famiglie di Peconic Bay».
«Oh, sì!» si intromise Choji,
«Il vecchio Uchiha era furioso, non ti dico!
Continuava a dire che Hiashi era un figlio di puttana
e che lui e la sua famiglia non sanno fare altro che reagire male alle cose»
annuì, incrociando le braccia, «Non l’ho mai visto perdere così tanto la
pazienza. Ha detto più insulti Fugaku in questi tre
giorni che Asuma in tutti gli anni di servizio che ha
fatto fin’ora».
Shikamaru sospirò, spegnendo la sigaretta nel
posacenere e ignorando tutte le notizie futili che gli avevano dato, «E con gli
Hyuuga ci avete parlato?».
«Asuma ha detto che
voleva farlo di persona dopo aver esaminato a fondo tutte le prove» commentò Choji, «Per avere qualcosa con cui metterli in difficoltà,
aveva detto».
Sai sospirò, «Il Capo si sta impegnando un
sacco per questo caso, vero?».
Shikamaru storse le labbra, «Diciamo che impegnarsi a
fondo è la cosa migliore che il Capo del Dipartimento possa fare, se si tratta
di una delle famiglie di Peconic Bay»
spiegò, e questo bastò a tutti per capire cosa intendesse, «In tutti i casi Asuma non ha niente in mano per incastrarli» mormorò a voce
alta Nara, «Quindi quando andrà da loro farà un buco nell’acqua, anzi, è
probabile che faccia andare fuori di testa Hiashi».
«Hiashi è sparito
dalla circolazione» pensò Choji a voce alta, «Dici
che sta tramando qualcosa?».
Shikamaru sospirò, «Dico che sta cercando di
controllarsi. Lui non esce di casa, ma il fratello, il nipote e la figlia sono
stati visti da Jiraya».
Choji batté una mano sul tavolo, «Quel posto non è
ancora chiuso! Non dovrebbe essere chiuso?» chiese, ma la sua domanda non
ricevette risposta.
«Ma Asuma ci andrà
comunque» Sai si chinò sul bancone, appoggiando i gomiti su questo, «Così come
ha detto che avrebbe parlato con tutte le famiglie della baia. Ha già parlato
con gli Inuzuka, nonostante sia successo in casa
loro, non sembrano essere i colpevoli…».
«E di Aburame e Yamanaka non si sospetta minimamente» disse Shikamaru.
«Alla fine sembra davvero che siano stati gli Hyuuga» concluse Sai, consapevole di non poter sostenere la
sua tesi con nessuna argomentazione, «Se non troviamo nulla per incastrarli e
dichiariamo scomparso Itachi cosa succede?».
«Che Fugaku si
arrabbierà moltissimo» mormorò, dannandosi di aver lasciato che Temari prendesse l’ultima sigaretta.
«Ma tutto quello che abbiamo detto lo sapevi
già!» s’intromise Choji, «Perché ce lo hai fatto
raccontare?».
«Di solito quando lo dice un’altra persona
riesco a cogliere un qualche particolare che mi è sfuggito, ma questa volta
niente».
Sembrava che il vento avesse ucciso e rubato Itachi Uchiha.
♦
Sakura si portò il bicchiere alle labbra,
fissando il suo fidanzato percorrere il soggiorno avanti e indietro,
continuando a blaterare cose riguardo agli Hyuuga.
Sapeva che quella non era una semplice visita
di cortesia, lo aveva capito da come si era precipitato in casa senza neanche
salutarla, ignorando completamente il fatto che erano tre giorni che non si
faceva vedere o sentire.
Non era venuto per vedere lei, o per cercare
conforto dopo che la polizia aveva dichiarato la presunta morte di suo
fratello.
«Non lo hanno cercato» disse, accendendosi poi
un’altra sigaretta, l’ennesima, oramai aveva perso il conto di quante ne avesse
fumate da quando aveva incominciato a camminare ininterrottamente davanti al
camino. «Mio padre ha chiesto che fossero fatti degli interrogatori agli Hyuuga, ma hanno risolto tutto in due giorni» continuò,
aspirando dal filtro e bloccandosi davanti a lei, fissandola come se potesse
vederle attraverso.
Stava praticamente parlando da solo, non
valeva nemmeno la pena di aprir bocca.
«Sono sospettato anche io, lo sai?» chiese
retorico, lasciandosi andare poi in un’amara risata, aspirando un’altra boccata
di fumo.
Sarebbe andato fuori di testa se avesse
continuato così.
Sakura gli prese il polso, strattonandolo un
poco verso il basso per invitarlo a sedersi accanto a lei. Gli tolse il
cappello, posandolo sul tavolino, e poi gli lasciò in mano il bicchiere del
whiskey, accarezzandogli la guancia.
«Hai mai pensato al fatto che forse non siano
stati gli Hyuuga?» gli domandò, e in un secondo lo
sguardo del ragazzo mutò, diventando ancora più pensieroso.
Non voleva fare la pianta grane, ma non capiva
perché tutti avessero immediatamente pensato a loro. Certo, sapeva dell’eterna
rivalità di quelle due famiglie, in due anni aveva imparato che ogni scusa era
buona per vederli discutere e azzuffarsi, ma non le sembravano il genere di
persone in grado di fare una cosa simile.
Sasuke si spense per qualche secondo, lasciando che
la sigaretta morisse fra le sue dita e il liquore oscillasse un poco nel
bicchiere. Lui non sapeva dell’esistenza di nessun nemico di suo padre al di
fuori di Hiashi Hyuuga, ma
questo non significava che non ce ne fossero.
«E se il bersaglio fosse stato un altro?»
parlò poi, fissando la legna che scoppiettava nel camino, «Ma non avrebbe
senso, perché altrimenti non avrebbero portato via il corpo» si rispose da
solo, cercando di fumare la sigaretta oramai spenta.
«Quindi volevano lui» la voce di Sakura fu
seguita dal suono dell’accendino che scattava, «Forse per un ricatto, mi sembra
la cosa più logica e plausibile» aggiunse, alzandosi dal divano e sistemandosi
la maglia bianca nei pantaloni lunghi a zampa larga, «O per un regolamento di
conti».
«E questo ci riporta agli Hyuuga»,
tutto urlava la loro colpevolezza, a partire dal fatto che il giorno prima lui
e Itachi avevano rotto una finestra della loro villa
giocando a polo.
Suo padre non li aveva difesi, ovviamente, ma
aveva discusso a lungo con il Signor Hyuuga anche per
quello.
Non era un movente credibile, però.
«Se fossero stati loro lo avrebbero già
trovato» la voce di Sakura era sicura e dolce, si vedeva che non voleva
contraddirlo, stava solo cercando di farlo ragionare. «Avete sentito gli spari
venti minuti dopo la mezzanotte, e poi il rombo del motore di una macchina che
si allontanava» spiegò, fissando l’enorme e vecchia cartina di Long Island che
aveva sopra il camino. Era lì da quando l’aveva conosciuta, e forse anche da
prima, probabilmente non aveva cambiato nulla dell’arredamento di quel cottage
che aveva affittato per poter studiare e lavorare a Brooklyn. «Se avessero
voluto che nessuno li sentisse avrebbero potuto farlo allo scoccare della
mezzanotte, durante lo spettacolo pirotecnico» continuò, la mano poggiata sul
fianco mentre continuava ad osservare la cartina, «Quindi volevano che qualcuno
sentisse la macchina allontanarsi dalla casa degli Inuzuka».
Sasuke si illuminò, «Così la polizia avrebbe messo
dei posti di blocco sulle strade attorno alla villa, lasciando scoperto il mare
sulla baia», aveva senso, mentre li cercavano sulla terraferma, loro si
nascondevano fra la nebbia di Peconic Bay.
«Ma setacciare la baia richiede tempo» gli
fece notare lei, girandosi a guardarlo, «E mi dispiace dirtelo, ma da futuro
medico posso dire che su dieci bossoli sono stati ritrovati solo tre
proiettili, e se era ferito probabilmente sarà gi―».
Sasuke sbatté il pugno sul tavolo, bloccandola prima
che potesse concludere la frase, «Non dirlo» la sua voce non era irritata,
piuttosto rotta e ferita da quel pensiero realistico, «È vivo…» mormorò,
cercando di ricomporsi subito dopo, scostandosi indietro alcune ciocche
ribelli.
«Va bene…» lo assecondò, voltandosi di nuovo
verso la mappa geografica, «Supponiamo che questo individuo avesse conoscenze
mediche e che lo abbia medicato» disse, recuperando una penna e dei fogli,
incominciando a scrivere, «Se hanno portato via il corpo, di sicuro era ancora
vivo, e quindi non lo hanno colpito in dei punti vitali» continuò, mentre la
penna scorreva sul foglio. «Quindi…» aggiunse, aprendo uno dei cassetti del
mobile in legno che costeggiava il soggiorno, estraendone un sacco di
cianfrusaglie prima di sorridere soddisfatta, trovando quello che stava
cercando. Aprì la scatolina di metallo che stringeva fra le mani, e ne estrasse
degli spilli da cucito, puntando il foglietto contro la cartina, esattamente
sopra la villa degli Inuzuka. «Sette proiettili,
dieci bossoli, la macchina, e la presenza del sangue» ricapitolò velocemente,
«Se fossero stati gli Hyuuga bisognerebbe perquisire
la loro barca, o perquisire tutte quelle della baia» gli fece notare mentre lui
si alzava, avvicinandosi a lei, «Ma noi non possiamo farlo, è sfortunatamente
illegale, e l’ultima cosa che voglio è essere arrestata, fatico già a studiare
così, figurati dietro le sbarre» scherzò, cercando di strappargli un sorriso
con scarsi risultati. Gli sfiorò il dorso della mano, lentamente, salendo verso
l’osso del polso, «Potresti parlare alla polizia, convincerli a cercare nella
baia, e intanto indagare sui nemici di tuo padre» gli consigliò con un sorriso
mentre lui intrecciava le dita con le sue, stringendosela piano al petto.
«Grazie…» le mormorò, scostandole una ciocca
di capelli dietro le orecchie.
«Ci saresti arrivato anche da solo se non
avessi avuto la mente annebbiata dagli Hyuuga»
ridacchiò poggiandogli la mano sul petto, allungandosi sulle punte dei piedi
per sfiorargli le labbra con le sue, «Ma adesso dovresti andare, prima che la
polizia lasci casa tua e ti tocchi andare fino a New York».
♦
Naruto posò i due bicchieri sul tavolo assieme alle
olive e si avvicinò ad Hinata, aiutandola a togliersi
di dosso la pesante giacca. La lasciò sedersi, osservandola mentre si sfilava i
guanti, delicatamente e lentamente, fissando il ghiaccio scintillare nel
cristallo, mosso dalle onde del whiskey. Sembrava distratta almeno quanto lui –
non aveva nemmeno tutti i torti, in realtà.
Fece strisciare la sedia e si accomodò di
fianco a lei, estraendo dalla tasca il pacchetto accartocciato di sigarette e
tirandone fuori due, poggiandole sul tavolo. «Speravo tu venissi, in realtà»
confessò lui, prendendo una delle due stecche e accendendosela, afferrando poi
il proprio bicchiere con la mano libera, facendo oscillare il liquore al suo
interno prima di sbuffare fuori il fumo e bere un sorso.
«Lo sai che sarei venuta» sorrise lei,
raddrizzando la sigaretta che lui le aveva offerto sul tavolo, prima stringere
il bicchiere tra le dita, «E poi…» continuò a voce più bassa, tenendo lo
sguardo sul ghiaccio, «Volevo vederti».
Naruto non la biasimava: con tutto quello che era
successo, era normale che Hinata volesse parlare con
qualcuno che, almeno secondo lei, le dava fiducia. E lui le credeva,
assolutamente, sapeva che Hinata non avrebbe mai
impugnato una pistola, se non fosse stata costretta. Se dubitava, dubitava del
resto della sua famiglia, di suo padre e degli altri numerosi Hyuuga sparsi per New York e per l’America.
«Hanno provato ad uccidere Jiraya,
stanotte» disse tutto d’un fiato, bevendo poi dal bicchiere e sospirando. Aveva
passato una notte d’inferno e le urla di Tsunade gli
facevano ancora male alla testa – meno male che lei aveva lavorato negli
ospedali dopo la guerra e che quel vecchio avesse la pellaccia. Ci mancava che
finissero anche loro sui giornali per una pallottola alla spalla. «Hanno
sparato due volte e colpito una» la informò.
Hinata si irrigidì, lasciò il bicchiere e prese la
sigaretta, cercando l’accendino nella borsetta Naruto
la precedette ed estrasse i fiammiferi dalla tasca, accendendole la stecca. La
vide inspirare e cercare di rilassarsi, appoggiandosi allo schienale della
sedia.
«Non sei stata tu, lo so» borbottò il biondo,
storcendo le labbra, «Cioè, è ovvio che non sia stata tu di persona. Volevo
dire che non credo sia stata la tua famiglia…».
La ragazza aspirò e le sue spalle si mossero,
prese da un brivido minuscolo, «Non siamo stati noi» sussurrò, appoggiando la
sigaretta sul posacenere, girandosi poi
a guardare Naruto, «Credimi Naruto, non siamo stati noi» e allungò una mano a sfiorare
quella di lui.
Le dita di Hinata
erano gelide, «Lo so» sussurrò, e girò la mano per stringere quella di lei
nella sua, «Jiraya non ha cattivi rapporti con gli Hyuuga» constatò, accarezzandole il piccolo anello con il
diamante che tiranneggiava sul suo indice.
«Chi può essere stato?» domandò, afferrando
nuovamente la sigaretta con la mano libera, «Forse aveva dei nemici che hanno
approfittato della scomparsa di Itachi per provare ad
ucciderlo…» propose.
«Le cose non sono collegate, dici?».
«Forse no…» mormorò, «Il caso di Itachi era così… perfetto, capisci cosa intendo? Neanche
un’impronta o un libro fuori posto… da quello che mi hai detto, invece,
l’omicida non aveva neanche una buona mira» concluse, e si zittì con un sorso
di whiskey.
«Hai ragione» annuì Naruto,
guardandosi attorno come se potesse trovare qualche indizio sul colpevole nello
speakeasy vuoto.
«Ora sta bene?».
«Ora sta bene» e accennò un sorriso
rassicurante.
Hinata inspirò un ultima volta dalla sigaretta,
spegnendola poi nel portacenere, «Credo di dover andare, ora, Naruto» gli disse a malincuore, facendo scivolare la sua
mano lontana da quella di lui, prendendosi il cappotto per indossarlo.
«Aspetta, ti aiuto» propose, togliendole da
mano la mantella per aiutarla. Nel farlo, le sfiorò il collo con la punta delle
dita e dovette stare attendo a non rovinare il complesso intreccio di boccoli
che aveva sul capo. «Mi piacciono i tuoi capelli» le sussurrò, appiattendole il
collo di ermellino per lasciarle un bacio sul collo, dove la pelle sembrava
fatta di porcellana.
Il respiro caldo di Naruto
la fece rabbrividire. I suoi modi di fare rendevano tutto difficile,
tremendamente. «Io sono venuta qui per chiederti, da parte di mio padre, di
fare da servizio catering alla sua festa…» borbottò lei, cercando di
concentrarsi su qualcos’altro che non fosse Naruto
così vicino.
«Certo che saremo noi» disse, vicino al suo
orecchio, «Siamo sempre stati noi a fare da camerieri ed intrattenitori alle
feste di tuo padre» e si allungò in avanti, sfiorandole la guancia con le
labbra.
«Anche con Jiraya
ferito?» Hinata non resistette, trattenne il respiro
mentre si girava verso Naruto, senza dargli più le
spalle. Appoggiò le mani sul suo panciotto, seguendo con le dita i segni delle
cuciture. Naruto era bellissimo e Hinata
sapeva di potersi fidare di lui, che lui l’avrebbe sempre protetta e sarebbe
sempre stata dalla sua parte.
«C’è la nonna Tsunade»
affermò convinto, sorridendo, «E poi ci sono io. Jiraya
veniva alle feste solo per fare baldoria» e si chinò a lasciarle un bacio sulle
labbra, prima di lasciarla andare via.
Note
d’Autrici.
Siamo tornate! Ci scusiamo per il ritardo, ma
ci siamo prese una vacanza anche nel mondo delle fanfiction,
giusto per riposare per bene e tornare belle cariche. Non c’è molto da dire, in
realtà. Speriamo che i personaggi risultino comunque IC, soprattutto se si
tiene conto che l’ambientazione e alcuni avvenimenti (i genitori di Sasuke sono vivi, per esempio) influiscono in maniera piuttosto pesante sul
carattere dei personaggi. Di certo un Sasuke senza il
massacro, è un Sasuke meno introverso. O almeno, noi
la vediamo così. Ai tempi era un bambino solare che aveva una venerazione per
il fratello, e di certo se non ci fosse stato il massacro non sarebbe
impazzito. Per quanto riguarda il fumo, può sembrare che stiamo promuovendo la vedita di tabacchi,
ma all’epoca chiunque fumava, e abbiamo deciso di tenere anche questo
piccolo dettaglio del periodo storico.
Per il resto speriamo che sia tutto chiaro, e
che la trama vi incuriosisca.
Grazie a tutti quelli che hanno recensito,
risponderemo appena possibile! E grazie anche a chi ha inserito la storia fra
le seguite.
Siete dei bellissimi cupcakes.
~
Alla prossima!
papavero radioattivo