Piccola nota prima di cominciare: questa sottospecie di parto fatto fic ha visto la luce un anno fa e nonostante mi fossi ripromessa di non postarla mi stanno costringendo a farlo, quindi eccomi qua XD quindi niente, nonostante un terzo della fic sia già dedicata a lei, intendo dedicare questo primo capitolo alla Sari - tutta per te, sciura! Salutami le tende nuove :*
Disclaimer: i personaggi non sono miei ma la storia lo è; ci terrei però a mettere in chiaro con una cosa: in alcune caratterizzazioni dei personaggi o in alcuni riferimenti a luoghi/avvenimenti penso di aver ripreso le fanfiction di Savannah - dico penso perchè chi ha letto entrambe le fic dice che non è vero. Comunque, ho già parlato con Savannah <3 e ho risolto col mettere questo disclaimer invece di riscrivere tutta la storia. Ecco, niente, prima che mi si accusi di plagio (pf, plagiare io? Ci sono ancora plagi alle mie fic che girano, per la cronaca) volevo mettere le cose in chiaro.
A Sara, che tifa
per Atria e Castor, e ad Alice, che ama
la mia bacchetta, per quanto osceno questo possa sembrare.
E a Chiara,
perché è solo grazie a lei se il mio genio si è riversato in questa fic. MeAllaSeconda.
Je ne sais pas si je vous aime, mais je
sais que je me plais prés de vous, que votre regard m’est doux et que votre
voix me caresse le cœur.
Du jour où vous
auriez obtenu de ma faiblesse ce que vous désirez, vous me deviendriez odieux.
Le lien délicat qui
nous attache l’un a l’autre serait brisé.
Il y aurait entre
nous un abîme d’infamies.
Restons ce que nous
sommes.
Et... aimez-moi si
vous voulez, je le permets.
(Misti ; Guy de
Maupassant)
“What’s
polyphony?”
“Nothing
sexual, Preppie.”
Why
was I putting up with this? Doesn’t she read the Crimson? Doesn’t she know who I am?
“Hey,
don’t you know who I am?”
“Yeah,”
she answered with kind of disdain. “You’re the guy that owns Barrett Hall.”
She didn’t know who I was.
“I
don’t own the
Barrett Hall,” I quibbled. “My great-grandfather happened to give it to
Harvard.”
“So
his not-so-great grandson would be sure to get in!”
That
was the limit.
“Jenny,
if you’re so convinced I’m a loser, why did you bulldoze me into buying you
coffee?”
She
looked me straight in the eye and smiled.
“I
like your body,” she said.
Part
of being a big winner is the ability to be a good loser. There’s no paradox
involved. It’s a distinctly Harvard thing to be able to turn any defeat into
victory.
Of
course, an out-and-out triumph is better. I mean, if you have the option, the last-minute score is
preferable. And as I walked Jenny back to her dorm, I had not despaired of
ultimate victory over this snotty Radcliffe bitch.
“Listen,
you snotty Radcliffe bitch, Friday night is the Darthmouth hockey game.”
“So?”
“So
I’d like you to come.”
(Love
Story; Erich Segal)
Capitolo
Primo
In cui
si possono trovare poltrone, sigarette e promesse d’amore mantenute.
Dammi dell’aria,
Dammela a bere,
Dammi dell’aria che
non fa male
Come sai tu.
(Giuliano Poi Sta
Male; Negramaro)
La Sala Comune, notò Harry facendosi strada insieme a Ron ed Hermione nel centro della stanza rotonda, non era cambiata di una virgola; continuava ad essere un tripudio di tendaggi di raso color cremisi, drappeggi d’oro, tavoli alquanto traballanti di mogano, poltrone e divani mollicci e spellati e caminetti in pietra sempre accesi, qualunque fosse la stagione. Un po’ in ogni dove il blasone Gryffindor, finemente scolpito, intagliato o dipinto che fosse. Era sempre la solita vecchia cara Sala Comune Gryffindor, che aveva passato l’estate a sognare mentre era inchiodato nel suo letto d’onore al San Mungo.
E poi la vide, il respiro che si faceva frammentario mentre le si avvicinava e si sedeva su di lei, saggiando con le mani il tessuto ricco e ruvido che la ricopriva, i cuscini si erano naturalmente affossati per accogliere la sua figura, facendolo sprofondare un poco; con un gesto lento e pieno d’affetto poggiò la testa sullo schienale, carezzando educatamente il bracciolo ed emettendo un basso ronzio soddisfatto. Era a casa.
- Harry si sta facendo sbattere da una poltrona
o è una mia impressione? -
Sì, riflettè aprendo pigramente gli occhi e
puntandoli in quelli divertiti di Seamus, era decisamente a casa.
***
And I believe
This may call for a proper introduction
And well
Don’t you see?
I’m the narrator and this is just the prologue.
(The Only Difference Between Martyrdom and
Suicide Is Press Coverage; P!ATD)
Un’altra cosa che gli era decisamente mancata, oltre alLa Poltrona, era il dormitorio, per la precisione la stanza che condivideva dal primo anno con Neville, Seamus, Dean e Ron. Anche se cambiavano di anno in anno, le stanze da letto erano fondamentalmente tutte uguali: ampie, a pianta circolare, i baldacchini con le colonne di legno intarsiate, le coperte scarlatte ed i cuscini a strapiombo, soffici come una Puffola Pigmea.
Squadrò con occhio critico i cinque letti,
cercando il favore che aveva chiesto a Silente quando l’uomo era andato al San
Mungo a trovarlo. Harry ricordava fin troppo bene la risata cristallina del suo
Preside nel sentirsi dire “se fosse possibile mi piacerebbe avere ancora il
materasso che ho avuto quest’anno”.
E poi eccolo, tronfio come un Gargoyle e saldo
come la presa di un Lupo Mannaro. Il Materasso.
Con un balzo degno di una Cioccorana al culmine
della sua carriera di saltatrice si buttò sul letto, sdraiandosi e rinnovando finalmente il voto fatto alla
fine dello scorso anno scolastico: ti ritroverò, fosse l’ultima cosa che
faccio.
Durante il sesto anno Il Materasso - il
cui precedente fruitore, per quanto Harry poteva dedurre dalle iniziali scritte
con la china, era stato Fabian Prewett JR - aveva preso la forma del suo corpo,
creando una nicchia confortevole sul lato sinistro, quello che dava sul
comodino; Harry mosse inconsciamente la mano a cercare il piccolo bitorzolo
costituito da quattro piume, tutto quello che rimaneva del suo - alquanto
fallimentare - tentativo di studiare la trasfigurazione degli oggetti inanimati
in animali. Il coprimaterasso faceva egregiamente il suo lavoro nascondendo
alla vista le piume gialle che sarebbero dovute appartenere ad un canarino, ma
Harry sapeva che erano lì, silenziose, a dargli il loro bentornato a casa,
rassicurandolo che il peggio era passato, ormai niente li avrebbe divisi:
niente più Oscuri Signori a tormentare il loro idillio notturno.
Una delle molle emise un “boing” sordo e gli si
conficcò nelle reni. Harry ridacchiò.
Stava quasi per addormentarsi sopra le coperte,
circondato dal vociare sommesso dei suoi compagni intenti a sistemare le loro
cose quando bussarono, per poi aprire senza neanche aspettare una risposta.
Harry aprì un occhio e vide Castor Moon che si ergeva in tutto il suo metro e
novanta nel vano della porta, il viso sorridente ed in mano un pacco di
qualcosa che dall’odore dovevano essere dolci. Aprì la confezione, sollevando
una palletta profumata simile ad un muffin.
- Qualcuno è interessato a dei Calderoni
Ripieni? -
Seamus inarcò un sopracciglio, facendo una
smorfia divertita. - Non abbiamo dodici anni! -
Harry combatté furiosamente il rossore che si stava diffondendo sul viso e che era sicuramente visibile anche alla luce tenue delle lampade a foggia di grifone: lui continuava a mangiare i Calderoni Ripieni nonostante avesse diciassette anni.
Con una stizzatina d’occhi Castor entrò nella
stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
- Ripieni di firewhisky. -
- Allora buttamene un paio, compare. - Seamus si
sedette sul letto, ricevendo al volo due Calderoni e sorridendo grato
all’altro.
Harry addentò il suo calderone, lasciando che il
liquore gli bruciasse giù per la gola e ripensando con etilica gioia al momento
in cui Castor, per un tacito accordo post Esercito di Silente, si era unito al
loro gruppetto, portando una ventata di freschezza e firewhisky nelle loro
vite.
Seamus continuava a ripetere che avevano fatto
un vero affare (il padre gestiva il novanta percento delle enoteche magiche
della Gran Bretagna ed era ad un buon punto della conquista di quelle Babbane)
e lui era d’accordo anche per il fatto che Castor si era spesso rivelata una
persona piacevole, con la quale si poteva anche parlare di cose private senza
correre il rischio che l’intero castello ne venisse a conoscenza.
Effettivamente Castor era un Gryffindor un po’
atipico, ma finché continuava a portare loro alcolici - e una media di 90 punti
a partita, come un Cacciatore professionista - a nessuno importava se faceva un
po’ di fatica a sbottonarsi sulle sue questioni private.
- Miseriaccia, Castor, ma quanto è forte ‘sto
firewhisky?! - Ron strabuzzò gli occhi e nonostante il suo commento ingurgitò
un altro calderone, dando prova di uno stomaco foderato di pelle di Dorsorugoso
Norvegese.
- Abbastanza da costarmi tre mesi di punizione
se mio padre scopre che l’ho sottratto alla sua scorta personale, se capisci
cosa intendo... - Harry fissò brevemente Ron, giusto il tempo di vedere il suo
sguardo vacuo e l’espressione beata che aveva in volto. Evidentemente non aveva
capito cosa l’altro intendesse, ma tra poco non avrebbe capito proprio più
niente.
Dieci minuti dopo Ron era sdraiato sul letto a
russare sonoramente, dopo venti Castor salutava tutti e tornava nella stanza
adiacente alla loro sbadigliando, altri trenta ed Harry stava rimboccando le
coperte dei suoi compagni di stanza profondamente addormentati, uno sbadiglio
piantato in gola senza apparente intenzione di uscire fuori.
Cinquanta minuti dopo Harry era sotto le
coperte, a fissare il baldacchino ad occhi sbarrati. Il firewhisky con lui
aveva il potere di fare da eccitante invece che da rilassante muscolare e
cerebrale.
Morale della favola, mai sottovalutare un
Calderone Ripieno del Firewhisky del padre di Castor.
Un’ora dopo, Harry prendeva il mantello
dell’invisibilità e sgusciava fuori dalla Torre Gryffindor.
***
Don’t you hide your eyes
from me
Open
them and see me now.
Can
you see me now?
(Clowns;
t.A.T.u.)
Alla fine del quinto anno aveva cominciato a
fumare.
Ron
diceva che gli conferiva un’aria da “Eroe vissuto” e le ragazze - tranne
Hermione, che però dopo un anno era arrivata allo stadio della rassegnazione
saltando quello dell’accettazione - erano intrigate dal fatto che un viso così
pulito avesse dei polmoni così sporchi.
Accese la sigaretta, mentre un discreto profumo
di latte e biscotti si diffondeva nell’aria, e chiuse gli occhi, sistemandosi
meglio sul davanzale di una delle finestre del dipartimento di Divinazione -
mesi di scappatelle alla nicotina gli avevano insegnato che se cercavi un posto
dove fumare in santa pace, in qualsiasi ora del giorno e della notte, quello
era il dipartimento di Divinazione, dove chiunque passava imputava il fumo e
l’odore acre agli incensi della professoressa Cooman; verso maggio dell’anno
precedente, inoltre, i Ravenclaw avevano ovviato al problema del puzzo
incantando ogni sigaretta perché profumasse in maniera differente ed
assolutamente naturale in base a chi la fumava, pubblicizzandole con l’arguto
slogan di “la Bacchetta sceglie il mago, la Sigaretta anche”.
Certo la sua virilità era seriamente stata messa
in dubbio dal profumo che si era sollevato dalla prima Sigaretta Magica che
aveva acceso. Latte e biscotti. Il profumo dei bambini, in pratica, ma a
lui non era importato tanto il profumo quanto quello che poteva significare. La
notte di Natale Babbana, un bimbo intento a posare sul tavolo della cucina un
piatto di biscotti fatti a mano ed una tazza di latte caldo mentre i genitori
vegliano sull’operazione col sorriso sulle labbra, oppure una fredda sera di
novembre, sempre lo stesso bambino davanti al caminetto a giocare a Scacchi
Magici col padre, concedendosi di tanto in tanto un biscotto al miele ed un
sorso di latte, o ancora una madre che sorride guardando il figlio che mangia
latte e biscotti la mattina del primo settembre, prima di prendere l’Espresso
per Hogwarts. Tenerezza.
Quando aveva esternato i suoi dubbi a Ron quello
era scoppiato a ridere e aveva chiesto se Harry volesse un abbraccio, così,
tanto per placare la “voglia di coccole, puccipù!”
Il tutto era culminato con Harry che sferrava un
gancio destro da manuale al suo migliore amico e dopo il provvidenziale
intervento di Hermione la discussione era caduta nel dimenticatoio, insieme a
quel sentimento di sottofondo, quel desiderio muto di un abbraccio, che
strideva così tanto con l’immagine che, in quanto Sedicenne Neosalvatore Dei
Mondi, la gente aveva di lui.
Harry poggiò la fronte contro il vetro freddo
della finestra, inspirando un’altra boccata dalla sigaretta, per poi raggelarsi
al suono distinto di passi calmi e calcolati lungo il corridoio, sicuramente
uno dei Capiscuola di ronda nonostante l’orario improbabile - dopo anni sapeva
riconoscere il passo di Gazza e quello dei professori e l’andatura non gli
ricordava nessuno. Spense in fretta la sigaretta e si mise il mantello,
addossandosi al muro quanto più poteva.
Draco Malfoy emerse dall’angolo, illuminato dal
chiarore opalescente della sua bacchetta. Il ragazzo si fermò, annusando l’aria
come un animale che odora la sua preda, poi scandagliò con lo sguardo il
corridoio, tenendo la bacchetta dritta davanti a sé per concedere all’Incanto
Lumino maggiore raggio d’azione; quello che vide parve soddisfarlo, perché
rilassò percettibilmente le spalle ed annusò nuovamente l’aria, chiudendo gli
occhi. Sorrise, il viso disteso e rilassato, la pelle pallida che pareva
prendere colore - ma forse è solo l’effetto delle torce, si disse Harry
- e la bacchetta che si abbassava.
- Nox. -
Harry rimase fermo per ben mezzora a fissare imbambolato il punto buio dove era scomparso Malfoy, prima di decidersi a tornare al suo dormitorio per evitare che gli si congelasse eccessivamente il sedere.
***
Look up at the sky
It’s
not a bird or a plane
It’s
the sweetest crime fighter
That
I’ve ever seen.
(Save
The World; Orson)
La cosa che lo divertiva di più del suo ritorno
ad Hogwarts tuttavia non era la mobilia della Sala Comune o la facilità
impressionante con cui si potevano eludere le difese del castello, bensì il
fatto che la gente non lo guardava più. Aveva passato sei anni a camminare
abbastanza circospetto per i corridoi della scuola, alcune volte intimidito ed
altre - molte altre - infastidito dal vociare che lo seguiva costantemente
dovunque andasse, poi finalmente era riuscito a sconfiggere l’Oscuro
evitando miracolosamente spargimenti (eccessivi) di sangue e massacri di
Babbani, aveva agito a suon di atti eroici meritandosi effettivamente
l’appellativo di Ragazzo Che Ha Pluffe e Contropluffe ed improvvisamente aveva
perso ogni interesse sociale.
Niente più indici che si alzavano senza ritegno
per indicare lui e la sua cicatrice, niente più pettegolezzi del calibro di
“Potter ha sbadigliato mentre c’era lezione di Difesa Contro le Arti Oscure!”,
niente più riflettori.
Harry somigliava a qualcuno che era stato (tristemente) famoso per un po’ ed ora era passato di moda.
E Godric solo sapeva quanto si stesse godendo
quella condizione di Comune Mortale. Da una settimana se ne girava bello
tranquillo per i corridoi, andava a lezione, ad allenarsi al campo da Quidditch
con la squadra, vegetava in Sala Grande per un tempo che Hermione soleva
definire “oltraggioso” e, soprattutto, si godeva la vita, probabilmente
per la prima volta in vita sua. Niente tragedie da affrontare, niente profezie
terribili da assimilare, niente più pressione inconsulta attorno alla sua
persona.
L’unica cosa che era rimasta era il Complesso
dell’Eroe, che lo spinse ad intromettersi in una rissa tra studenti del terzo
pur non essendo minimamente qualificato per farlo, col semplice intento di separare
i due contendenti, Charles Manson, Slytherin, parente stretto del suo omonimo,
e Benjamin Vance, primogenito della compianta Emmeline e soldo di cacio del
Gryffindor; tutto normale, fino a che da un punto imprecisato della folla che
assiepata attorno ai tre era spuntato William “Big Foot” Warrington, che aveva
colpito - apparentemente senza alcun motivo fondato - Harry.
Era precisamente così che si era improvvisamente
scatenata la rissa d’ordinanza, che decretava l’ufficiale apertura dell’anno
scolastico: Gryffindor versus Slytherin.
Ed era precisamente così che Harry si era
ritrovato nell’ufficio della McGranitt già la prima settimana di settembre
(quando secondo gli standard non tanto Gryffindor quanto Potteriani avrebbe
dovuto aspettare almeno verso novembre per palesarsi privatamente alla sua
Capocasa), in compagnia dei soliti Irriducibili del Gryffindor: Seamus
Finnigan, Dean Thomas, Ron Weasley e Castor Moon.
- Dire che sono oltraggiata e sconcertata
dal vostro atteggiamento è usare un blando eufemismo, signori... immischiarsi
in una rissa - Harry notò con una certa apprensione l’improvvisa perdita
di colore della donna al solo pronunciare quella parola - Con Slytherin, per di
più! I trascorsi non vi hanno insegnato nulla? Unità, signori, unità.
Ecco ciò che dovete imparare; rafforzare l’unità, non squartarvi senza il
minimo ritegno. Nel dipartimento di Trasfigurazione, per giunta! -
E poi la professoressa scoccò la sua freccia
avvelenata, l’unica che ebbe davvero il potere di colpire Harry.
- Mi avete profondamente delusa. - anche senza
alzare gli occhi, Harry seppe che la professoressa si stava soffermando con lo
sguardo su di lui - Salterete il primo sabato ad Hogsmeade. Ora andate. -
Ron aprì la bocca per ribattere qualcosa, ma
Seamus gli sferrò un possente calcio negli stinchi, così l’altro chiuse la
bocca, rabbuiandosi. Uscirono in silenzio dall’ufficio, e sempre in silenzio
fecero le scale che dal dipartimento di Trasfigurazione portava a quello di
Pozioni, dove, tanto per alleggerire l’atmosfera, avevano un doppio con gli
Slytherin - alcuni dei quali erano reduci dalla loro stessa rissa, ma
sicuramente non dalla stessa punizione.
La parzialità di Severus Piton era
tristemente nota a tutti.
Castor scosse freneticamente la testa, rompendo
il silenzio, che ad Harry era parso pesante come piombo fino a quel momento. -
Io non capisco, non è stata colpa nostra, stavamo solo... ahem... insomma...
non è stata colpa nostra! -
Da dietro le loro spalle uno sbuffo, che li fece
voltare tutti e cinque in blocco. Sally-Anne Perks era appoggiata con grazia al
muro di pietra, accanto ai bagni delle femmine. Harry non seppe cosa pensare
del fatto che l’avessero oltrepassata senza neanche notarla - e non che fosse facile
ignorare Sally-Anne Perks, se non altro per l’innegabile verità che era “un
gran pezzo di Veela”, come amava chiamarla Ron.
- No, Moon, non è mai colpa vostra. -
l’espressione altezzosa e... schifata induriva notevolmente il suo viso,
e la crocchia in cui aveva raccolto i capelli neri la faceva somigliare
spaventosamente alla McGranitt. Harry pensò fosse meglio tacere su quel
particolare: la ragazza era seconda solo ad Hermione quando si trattava di
impugnare la bacchetta per attaccare.
Accanto a lui, Castor si irrigidì. Harry sapeva
benissimo che non avrebbe mai osato rispondere come si doveva ad una ragazza,
quindi il massimo di reazione che ci si poteva aspettare da lui era un broncio
da manuale, corredato da qualche grugnito di prima scelta - in breve, esattamente
quello che la Perks si aspettava.
Difatti, il ragazzo grugnì.
- Esemplare risposta, Moon, sono colpita. -
Harry fece per dire qualcosa di tagliente quando
dal bagno uscì Daphne Greengrass, decisamente seccata, che si lisciò la gonna
con le mani, per poi ravviarsi i capelli e guardare il gruppo di Gryffindor
come fossero stati Schiopodi sotto periodo di muta. - Io me ne vado, non ho
intenzione di mischiarmi a questa gentaglia un solo secondo di più. -
La Perks si diede una spintarella leggera per
staccarsi dal muro e le due li sorpassarono per entrare nell’aula di Pozioni.
Ron scosse la testa, - Dannate Slytherin. -
Gli altri assentirono.
***
Dance with me, pretty boy,
tonight
Dance
with me and you’ll be allright.
(Clap
your hands if you want some more.)
(Pull
Shapes; The Pipettes)
Spinto da non si sa bene quale forza magica,
Harry aveva aspettato che i suoi compagni di dormitorio cedessero alle
amorevoli braccia di Morfeo e, mantello in spalla e Mappa del Malandrino alla
mano, era uscito dalla Torre, mettendosi a correre per raggiungere il
dipartimento di Incantesimi, dove il puntolino Draco Crux Malfoy stava
pattugliando i corridoi.
Solo per punzecchiarlo, si era detto.
Sorpassò un’armatura ridacchiante e scelse una
delle finestre più ampie, dalle quali entrava tenue la luce della luna calante.
Ripromettendosi di scrivere a Remus per informarsi sulle sue condizioni di
salute, si sedette sul davanzale e si accese una sigaretta, nascondendo il
mantello ed infilandosi la mappa in mano, aspettando tranquillo.
Erano passati un paio di minuti quando dal
corridoio comparve Malfoy, che si irrigidì istantaneamente alla sua vista,
dipingendosi in viso un’espressione mortalmente tediata.
- Potter, non si può stare in giro per i
corridoi di notte. Tantomeno a fumare. Cinque punti in meno per
Gryffindor. -
Harry era un po’ sconcertato, anche se non
sapeva bene cosa si fosse aspettato. Scrollò le spalle, avvicinando ancora la
sigaretta alle labbra ed aspirando.
- Wingardium Leviosa - la sigaretta si
sollevò davanti ai suoi occhi, sfuggendo alla presa molle delle sue dita.
Inclinò leggermente il capo di lato, guardando Malfoy, la bacchetta alzata e
legata da un filo invisibile alla sua sigaretta. - Non si può fumare, Potter,
anche se il modo in cui continui ad appestare i corridoi con questo... odore
la dice lunga su quanto tu ti senta superiore a tutti i comuni mortali che
vanno a fumare in bagno e durante ore decenti. O forse sconfiggere il Signore
Oscuro ti ha garantito la possibilità di fumare dovunque? Evanesco. -
Harry aprì la
bocca per rispondere qualcosa di tagliente, ma l’altro se n’era già andato,
lasciandolo a chiedersi chi, effettivamente, avesse provocato chi.