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Autore: gattina04    16/09/2015    7 recensioni
Due tempi, due storie: un futuro neanche troppo lontano e un presente.
Cosa accadrebbe se all’improvviso comparisse una bambina convinta di essere la figlia di Emma e Killian? Come reagirebbero i due scoprendo che presto la loro vita cambierà drasticamente?
E se dall’altra parte due genitori fossero alla disperata ricerca della loro piccola scomparsa? Cosa faranno per ritrovarla, come potranno reagire di fronte a quella che sembra una missione impossibile?
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. I sentimenti più veri in un orsetto di peluche
 
Present day
Tenevo le ginocchia strette al petto in un vano tentativo di calmarmi. Gli occhi mi bruciavano ma non avrei pianto, non sarei stata debole fino a quel punto. Non mi sarei ritrovata come una ragazzina a piangere da sola in camera dopo un brutto litigio. Però quello era stato molto peggio, e sapevo che era stata solo colpa mia.
Appoggiai la fronte sulle ginocchia cercando di non pensare allo sguardo che Killian mi aveva lanciato prima di andarsene o alle sue ultime parole. Non era mai stato così con me e vederlo in quel modo mi aveva fatto capire quanto troppe volte l’avessi dato per scontato.
Comunque, per quanto mi sforzassi, continuavo a vedere i suoi occhi che mi fissavano infuriati ma soprattutto feriti. Cercai allora di ascoltare i rumori intorno a me per riuscire a distrarmi da quell’unico pensiero che tornava ad assillarmi senza sosta. Sentii le voci di mio padre e di mia madre provenire dal piano di sotto.
«Tu hai idea di cosa sia successo?», stava chiedendo David.
«So solo che hanno litigato e che poi Killian se ne è andato con la bambina», rispose l’altra.
«Secondo te sta piangendo? Perché se è così vado ad uccidere quel dannato pirata».
«Non lo so, ma non credo che lui se la passi meglio. Non avevo mai visto Hook così… era sconvolto». Giusto, era sconvolto e solo grazie a me.
«Pensi che dovremo andare a parlarle?».
«No, penso che ora la cosa migliore sia lasciarla un po’ in pace». Smisi di ascoltare, visto che neanche quello riusciva a distrarmi. Dato che la mia mente mi impediva di pensare ad altro decisi di ferirmi fino in fondo e esaminai la nostra terribile lite.
Scoprire che Edith era la nostra futura figlia mi aveva sconvolto, soprattutto sapendo quanto imminente fosse quella gravidanza. Avevo avuto paura, questo lo sapevo, ma la cosa che mi aveva destabilizzato era il fatto che in fondo Killian fosse contento. Mi ero aspettata che anche lui scappasse a gambe levate all’idea di diventare padre così presto; invece era stato sorpreso, sicuramente un po’ impaurito dall’enorme responsabilità di diventare genitore, ma era felice dell’idea. Ed io avevo perso la testa.
Mi ero impuntata sul fatto di non voler avere figli, di avere già Henry e avevo detto la cosa più brutta che avessi potuto dire: che non aveva importanza che la bambina fosse nostra, mia e sua, io non l’avrei voluta comunque. Era ovvio che non fosse vero e che io l’avessi ferito con quelle parole. Killian mi aveva sempre amato e sostenuta anche nei momenti peggiori ed io invece ero stata crudele. Mi ero accorta troppo tardi di quello che avevo combinato e la sua reazione era stata del tutto comprensibile.
Come avrei fatto a farmi perdonare per un’affermazione del genere? Come avrei potuto giustificarla? E lui avrebbe potuto guardarmi ancora come faceva prima? Non avrei potuto incolpare altri che me stessa se l’unica relazione sana e stabile della mia vita si fosse rovinata irrimediabilmente.
Era poi davvero così terribile l’idea di avere una figlia con lui? Non avevo mai osato immaginare un futuro tranquillo in cui io e Killian avremo potuto costruirci una famiglia, non con tutti i guai che accadevano a Storybrooke. Sembrava però una cosa normale l’idea di avere una famiglia, dei figli. Era sicuramente troppo presto, ma lui me l’aveva detto: non sarei stata sola, non sarebbe stato come quando aspettavo Henry.
Ma diciamolo francamente, non era quello che mi spaventava. Mi terrorizzava l’idea di essere così strettamente legata a qualcuno. Killian mi amava e avevo impiegato del tempo per aprirmi al fatto che lui non mi avrebbe più lasciato andare; lui avrebbe lottato per me, perché io, ed io soltanto, ero il suo lieto fine. Però un conto era quella promessa di amore eterno, un’altra era rendere concrete quelle parole. Quella bambina ci avrebbe unito per sempre. Forse se non fossi cresciuta in orfanotrofio non sarei stata spaventata dall’idea di stabilità che Killian mi stava offrendo, ma ero fin troppo abituata a cavarmela da sola. Avevo paura che se mi fossi abbandonata all’idea di condividere gioie e dolori con lui e al fatto che avremo passato tutta la vita insieme, alla fine se qualcosa fosse andato storto sarei rimasta ferita. Era troppo bello per essere vero ed io ne ero terrorizzata.
Mentre rimuginavo e mi maledivo per quello che era successo, scese la notte e presto anche quella passò per lasciar comparire i primi raggi di sole. Ero rimasta ferma nella stessa posizione, raggomitolata come per impedire a me stessa di andare in mille pezzi.
All’improvviso sentii la porta di camera aprirsi. Ero voltata di spalle ma sapevo esattamente chi fosse e perché fosse entrata.
«Ti ho portato una cioccolata calda». La voce di mia madre mi confermò che avevo ragione. «Con la cannella». Si sedette accanto a me, porgendomi una tazza. La presi ed assaporai un primo sorso.
«Ti va di dirmi cosa è successo? Non devi se non te la senti».
«Io e Killian abbiamo litigato», dissi soltanto. Bevvi un’altra sorsata cercando conforto in quella bevanda dolce e calda.
«Questo l’avevo capito».
«È stata colpa mia, ho detto delle cose che non pensavo».
«Succede quando due persone litigano, è normale».
«No», sussurrai. «Gli ho detto delle cose orribili, è naturale che se ne sia andato portando via Edith. Sono stata crudele».
Mi posò una mano sulla spalla. «Qualunque cosa tu gli abbia detto sono sicura che non sarà irreparabile».
«Davvero?», risposi sarcastica. «Anche se gli ho detto che non voglio questa bambina e che non fa la differenza il fatto che sia sua figlia?».
«Oh». Era rimasta senza parole, di sicuro non si era aspettata una cosa del genere.
«Beh io credo», riprese dopo la sorpresa iniziale, «che se gli spiegherai che ti sei pentita, che stai male per quello che è successo, Hook ti perdonerà. Ti ama troppo per non farlo». Era proprio quello il punto: sapevo che aveva ragione, ma dopo il mio comportamento sapevo anche di non meritare un uomo come lui.
«Killian mi ama così tanto ed io sono stata così orribile nei suoi confronti». Sentii le lacrime iniziare a scorrermi sulle guance; non ero più riuscita a trattenermi e alla fine ero scoppiata a piangere contro la mia stessa volontà.
Mary Margaret asciugò le mie lacrime con la mano. «Lo vedi? Sei pentita per ciò che hai detto, devi solo farglielo capire. Facciamo così: adesso ti calmi, bevi la tua cioccolata e poi vai a parlargli, d’accordo? Sono sicura che porterà Edith da Granny per la colazione».
Annuii cercando di tranquillizzarmi, almeno quel tanto che bastava per riuscire a bere la cioccolata. Mia madre aveva ragione, l’unica cosa che potevo fare era tentare di chiedergli scusa con la più salda convinzione che avrei dovuto fare molto per meritare un uomo simile.
 
Come Mary Margaret aveva ipotizzato trovai Killian seduto con Edith ad un tavolo da Granny. Lo fissai dalla vetrina per qualche istante prima di prendere coraggio ed entrare.
Quando la porta si richiuse alle mie spalle, quasi percependo il mio sguardo, Hook alzò la testa e mi vide. Notai i suoi occhi scurirsi per poi tornare a concentrarsi sulla piccola, seduta di fronte a lui.
Mi avvicinai lentamente al tavolo facendo un profondo respiro. Alcune persone si voltarono a guardarmi: sapevo di avere un aspetto terribile. Avevo gli occhi rossi, le occhiaie per la notte insonne e anche un po’ i capelli scompigliati.
«Mamma!». Edith esultò quando si accorse della mia presenza. Chissà cosa le aveva raccontato Killian per spiegarle la mia assenza.
«Ciao», sussurrai. La mia voce uscì più roca di quanto avessi previsto.
«Ciao». Il suo saluto fu freddo e non alzò neanche la testa per guardarmi negli occhi.
«Possiamo parlare ti prego», lo supplicai. La piccola mi fissò perplessa ma non aggiunse altro, probabilmente percependo la tensione che si era creata tra noi.
«Se non l’avessi notato adesso stiamo facendo colazione». Il suo tono era freddo e distaccato.
«Per favore Killian». La nota disperata nella mia voce era evidente.
«Penso io alla piccola». Ruby, che doveva aver sentito la nostra conversazione, si avvicinò al tavolo. Hook la fulminò con lo sguardo, ma non ebbe altra scelta che alzarsi e seguirmi sul retro.
«Allora cosa vuoi?», mi domandò quando fummo soli.
«Chiederti scusa», sospirai prendendo coraggio e fissandolo negli occhi. Anche lui aveva delle evidenti occhiaie, segno che non ero stata l’unica a passare la notte in bianco.
«È un po’ troppo tardi non trovi? Ormai hai messo in chiaro quello che pensi».
«Ti prego Killian perdonami. Io non volevo dire quello che ho detto».
«Questo non cambia i fatti. Sei stata molto chiara ieri».
«Io non lo penso davvero», mormorai. «Non l’ho mai pensato e capisco che tu possa essere arrabbiato…».
«Io non sono arrabbiato Emma», mi interruppe. «Cioè un po’ lo sono, ma non è sicuramente quello il sentimento che prevale in questo momento».
«E qual è?», domandai titubante, immaginando già quale fosse la risposta.
«Mi ha fatto male sentire quelle cose Emma, soprattutto sentirle dire da te». Mi ritrovai di nuovo sull’orlo delle lacrime, ma le ricacciai indietro con uno sforzo disumano.
«Lo so. Non potrò mai scusarmi abbastanza per ieri sera, però Killian non c’è niente di vero in quello che ho detto».
«E quale sarebbe la verità?». Il suo sguardo mi scrutò nel profondo: era sempre severo ma almeno mi guardava negli occhi.
«Ho paura Killian, sono terrorizzata all’idea di avere un figlio adesso e soprattutto di averlo da te».
«Perché?».
«Perché io ti amo tantissimo», buttai fuori tutto di un fiato. «So che può sembrare assurdo ma ho paura che se mi lascio anche solo trascinare dall’idea che vivremo per sempre felici e contenti, con la nostra famiglia, io finirò per soffrire quando tutto andrà in frantumi».
Fece un sospiro e notai il suo sguardo addolcirsi. «Tesoro perché pensi che dovrà finire per forza?». Si mosse verso di me, diminuendo la distanza tra noi.
«Perché nella mia vita è sempre stato così, non c’è mai stato niente di duraturo».
«Beh Swan devi abituarti all’idea che non finirà e che se noi avremo Edith sarà solo un modo per dimostrarti che tra di noi non potrà mai finire». Come faceva a trovare ogni volta le parole giuste, esattamente quelle che avevo bisogno di sentire?
Non resistetti più e mi fiondai tra le sue braccia, stringendolo forte a me. Ricambiò il mio abbraccio appoggiando la guancia sulla mia testa.
«Killian è ovvio che fa la differenza il fatto che Edith sia tua figlia», sussurrai contro il suo petto. «Non ho mai pensato al nostro futuro, ma credo che sarebbe naturale se noi un giorno avessimo un bambino. Però averlo adesso è davvero troppo presto».
«Lo so. Non sarà facile ma saremo insieme».
«Sai sarebbe stato diverso se fossi stata messa davanti al fatto compiuto, se avessi scoperto di essere incinta. Avrei dato di matto ma non così; invece è arrivata questa bambina e ci ha detto che saremo stati così incoscienti da concepirla nel giro di un mese e…».
«Ho capito Emma», parlò tra i miei capelli.
«Mi dispiace Killian».
Il suo uncino mi alzò il mento in modo tale da incontrare i suoi occhi. «Lo so». Il mio oceano personale mi fissava di nuovo con quella intensità che mi lasciava ogni volta senza fiato. Sul suo viso era disegnato un leggero sorriso.
Annullai la distanza che ci separava, baciandolo con passione. Assaporai le sue labbra, che mi sembravano più dolci di quanto lo fossero mai state. Gli passai le dita nei capelli, mentre lui mi stringeva più forte alla vita, annullando qualsiasi distanza potesse esserci tra i nostri corpi. Non mi era mancato mai così tanto come in quella sola notte di separazione.
Mi staccai per riprendere fiato, però restai con il viso ad un centimetro dalle sue labbra. Appoggiai la fronte contro la sua, fissandolo negli occhi. Quello era il nostro gesto, l’esatto momento in cui ognuno scrutava nell’anima dell’altro e in cui riuscivamo a comprenderci anche senza parlare.
«Adesso credo che sia giunto il tempo di andare a fare colazione», suggerì. «Con la nostra futura figlia». Sospirai: dovevo ancora abituarmi all’idea, ma sapevo che con Killian avrei potuto farcela.
«Beh credo che sia giunto anche il momento di parlarle», gli ricordai. «Che ne dici Capitano sei pronto a spiegare come stanno le cose alla…». Feci un respiro profondo e prendendo coraggio lo dissi: «alla nostra bambina?».
Mi sorrise. «Sì Swan sono pronto». Ancora non avevo capito come potesse essere già così affezionato a quella bimba e soprattutto perché, ma una cosa l’avevo compresa. Per lui Edith era importante, e allora l’avrei fatta diventare importante anche per me. Era quello il primo passo per divenire la donna che Killian meritava.
 
Future time 
Non potevo ancora credere di stare varcando la porta di casa. Era un vero e proprio controsenso: come potevo cercare di riposarmi quando mia figlia era dispersa nel tempo? Come avrei potuto dormire con quella opprimente verità che pendeva sulla mia testa?
Nonostante questo sapevo che mio padre aveva ragione. Non potevamo fare niente in una notte; non sarebbe cambiato nulla e per poter salvare Edith dovevamo essere lucidi. Inutile affannarsi quando non c’era niente altro da fare se non agire con calma e riflettere a mente fresca sulla situazione.
«Cercate di riposare un po’», aveva detto mia madre. Beh sicuramente riposare non era una parola che volevo sentire in quel momento.
Killian accese la luce, illuminando il nostro appartamento che sembrava così vuoto senza la mia bambina a riempirlo di giochi e risate.
«Ti va di mangiare qualcosa?», mi chiese dirigendosi verso la cucina.
«No, ho lo stomaco chiuso». Non sarei riuscita neanche a mandare giù mezzo boccone.
«Lo so», sospirò sparendo nella stanza. Mi avviai verso la camera, non riuscendo ancora a capacitarmi del fatto che avessi accettato di tornare a casa. Ma cosa avrei potuto fare di più di ciò che per quella sera avevo già fatto? Avevamo capito dove si trovava Edith ma non era una cosa semplice riportarla a casa. L’impossibilità di raggiungerla mi faceva impazzire.
Camminai lentamente lungo il corridoio e mi bloccai di fronte alla porta della sua camera. Era tutto così vuoto senza di lei: i pupazzi sistemati sul letto, le sue bambole sedute ordinatamente al piccolo tavolino in un angolo, i pennarelli dentro l’astuccio, niente fogli con i suoi disegni vivaci sparsi per terra, nessun oceano che mi guardava sorridendo.
Il mio corpo si mosse da solo andando a sedersi sul suo letto. Guardai le pareti colorate della sua cameretta cercando di ricacciare indietro le lacrime. La mia mano si mosse istintivamente sulla mia pancia. Solo in quel momento mi ricordai dell’enorme miracolo che il mio corpo stava creando anche in quel preciso istante.
Come potevo avere un altro figlio con Edith dispersa in un passato abbastanza vicino, ma sempre troppo lontano per essere raggiunto? Mi stupivo di come il mio corpo potesse continuare quel disumano lavoro di creare un’altra vita con tutto il dolore a cui era stato sottoposto quel giorno.
E soprattutto come avrei potuto dare a Killian quella lieta notizia in mezzo a quella tremenda tragedia? Avevo aspettato di essere certa, ma sicuramente la tempistica non era stata il mio forte. Avevo pensato di dirglielo a cena, ma poi era successo tutto e l’avevo addirittura scordato io stessa, fino ad allora.
Ero stata così felice della notizia e non volevo che per Hook quella felicità fosse offuscata dalla tristezza che aleggiava su di noi. Ripensandoci, però, non era stato un male averglielo taciuto. Se Killian avesse saputo della gravidanza si sarebbe preoccupato anche per me, mi avrebbe impedito di stancarmi o di cercare mia figlia liberamente come potevo invece fare in quel momento.
Gliel’avrei detto una volta riabbracciata Edith, per rendere la sua gioia davvero assoluta.
“Noi la ritroveremo e la porteremo a casa presto”, mi dissi per convincermi.
«Ehi sei qui». Killian entrò nella stanza e si sedette sul letto accanto a me. Mi prese la mano con la sua e intrecciò le nostre dita in un gesto che non aveva bisogno di parole.
«Ti prometto che la riporteremo a casa», mormorò. «Non mi arrenderò finché non l’avrò raggiunta».
«Lo so». Presi un peluche che era appoggiato sul suo guanciale. Era il suo pupazzo preferito e anche il primo che avesse mai avuto. Fino a qualche mese prima non riusciva neanche a dormire senza, se lo portava sempre dietro; era la sua coperta di Linus. Solo nelle ultime settimane aveva cominciato a staccarsene perché visto che doveva andare alle elementari voleva comportarsi da “bambina grande”.
«Come farà senza il suo Mister Bobby?», sospirai stringendo l’orsetto tra le mani. «Ricordi quando l’abbiamo comprato?».
Sfiorò il peluche con l’uncino. «Certo Swan come potrei dimenticarlo?». Esatto: come poterlo dimenticare? Era un bel pomeriggio, eravamo appena usciti dalla visita di controllo. Camminavamo mano nella mano, ed eravamo felici.
 
«Mi sembra impossibile che con quel congegno si riesca a vedere fin dentro la tua pancia così da poter capire il sesso del nascituro, è magico», disse Killian entusiasta.
«Non è magia, è scienza e tecnologia Hook».
«Beh non mi importa cosa è. Noi avremo una bambina», esultò.
«Già, una femminuccia». L’idea di diventare madre mi spaventava, soprattutto perché era successo tutto all’improvviso e forse anche un po’ troppo presto; ma Killian riusciva a rendere tutto più semplice.
«Beh per prima cosa le insegnerò a governare la Jolly Roger», dichiarò.
«Scusa non avevi detto la stessa cosa quando ipotizzavamo che fosse un maschio?». Alzai un sopracciglio e lo guardai perplessa, aspettando la sua spiegazione.
«Io sono per le pari opportunità Swan, sarà un’ottima pirata anche se appartiene al sesso debole».
«Ah sì? Chi sarebbe il sesso debole? Devo ricordarti che ti ho battuto più di una volta a duello e che sono riuscita ad ammanettarti più volte?».
«Confessalo Swan in fondo ti piace ammanettarmi?». Arrossii e sentii le guance avvampare.
«Come puoi dire queste cose ad una donna incinta e per di più madre della tua futura ed unica figlia?».
«Perché ti conosco e lo so che ti piace quando ti lancio queste frecciatine». Sorrisi riconoscendo che non aveva tutti i torti.
«Quando sarà nata la piccola non potrai più fare questi discorsi». Ma Killian non mi stava più ascoltando. Stava guardando la vetrina dell’unico negozio dell’ospedale, davanti al quale ci eravamo fermati.
«Mettiti a sedere e aspettami qui». Mi guidò verso una panchina poco distante tirandomi per la mano.
«Killian non ho bisogno di sedermi», protestai.
«Fai come ti dico per una volta». Sbuffai ma mi sedetti, obbedendo al suo ordine.
Si allontanò per entrare nel negozio, dal quale uscì poco dopo con in mano una busta.
«Ecco», mi disse porgendomi il sacchetto. «Aprilo». Feci come mi aveva detto e tirai fuori un orsacchiotto di peluche vestito da pirata. Aveva una benda sull’occhio, il cappello da pirata e anche il teschio caratteristico sulla maglia.
«Credi che le piacerà?», mi domandò. Sentii le lacrime salirmi agli occhi: maledetti ormoni!
Sorrisi cercando di trattenere la commozione che quel gesto mi aveva procurato. «Certo! È bellissimo Killian».
«Bene. Questo è per la piccola e questi sono per la mamma». Mise la mano in tasca e tirò fuori una confezione di cioccolatini: esattamente quelli di cui avevo continuamente voglia in quel periodo.
«Dio! Ti ho mai detto quanto ti amo?».
 
Tornai con la mente al presente, accorgendomi solo allora che Killian mi aveva passato il braccio intorno alla vita per stringermi di più a lui. La sua mano stava sfiorando l’orsetto e il suo sguardo, era puntato come il mio verso quel giocattolo che tenevo tra le braccia.
«Mi sento così inutile e così impotente. Non sono riuscito ad impedire che accadesse».
«Nessuno avrebbe potuto impedirlo. Vieni qui». Buttai in terra tutti i giochi che si trovavano sul lettino e mi distesi, trascinando Killian al mio fianco. Lui prese la coperta di cotone che si trovava ai piedi del letto e la tirò su per coprirci, prima di avvolgermi nel suo caldo e stretto abbraccio. Posai la testa contro la sua spalla e lasciai che le sue dita mi coccolassero accarezzandomi il braccio. Chiusi gli occhi cercando perlomeno di distrarmi da quello stato di tremenda ansia e sconforto in cui mi trovavo e da cui però non potevo uscire.
«Dobbiamo pensare ad un piano di azione», mormorai dopo un po’. «Tanto lo sappiamo entrambi che non riusciremo mai a dormire».
«Già, dormire è proprio l’ultimo dei miei pensieri. Stare qui, senza poter far nulla è… non dovevamo dare retta ai tuoi».
«Lo so, ma hanno ragione. Dobbiamo essere lucidi ed è per questo che ci serve un piano d’azione così domattina passeremo subito all’attacco».
«Va bene», mi assecondò. «Che cosa intendi fare?».
«Dobbiamo parlare con la fata Turchina, magari lei potrà aiutarci. Conosce la magia molto più di noi, magari c’è qualche incantesimo per riportare qui Edith».
«Bene. La fata Turchina sia», acconsentì. «Poi potremo interrogare Zelena deve dirci tutto quello che sa. È stata lei l’unica strega a riuscire ad aprire un portale temporale. È grazie a lei se noi siamo tornati indietro nel tempo».
«Giusto Zelena, è aggiunta alla lista». Se era stata in grado di aprire un portale una volta poteva farlo di nuovo, o almeno lo speravo.
«Poi? Ti viene in mente altro», mi chiese.
Ci pensai su: in effetti l’unica altra cosa che poteva esserci utile era la bacchetta con la quale io avevo riaperto il portale di Zelena. 
«Ci sarebbe la bacchetta che ho usato per riaprire il portale. Tremotino disse che era in grado di ricreare qualsiasi incantesimo lanciato. Se già una volta ci ha permesso di tornare a casa potrà di nuovo aprire un portale temporale. Poi basterà solo pensare al momento giusto in cui andare».
«Questa sì che è un’idea». Ebbe un moto di entusiasmo a quella prospettiva.
«Però», lo frenai, «credo che Gold abbia la bacchetta. Dovremo ancora rivolgerci a lui».
«Non importa, sarei disposto a strisciare ai piedi del Coccodrillo pur di stringere Edith tra le braccia». Annuii, tornando a confortarmi nel suo abbraccio.
«Secondo te starà bene?», gli chiesi all’improvviso.
«Non possiamo esserne sicuri ma io penso di sì, o almeno lo spero; sarà con l’Emma e il Killian del passato. Dobbiamo stare tranquilli almeno su questo».
«Tu credi? Conoscendomi avrò dato di matto, molto peggio di come ho reagito scoprendo della gravidanza».
«Peggio di quando mi hai urlato contro dicendo che era tutta colpa mia? Beh per fortuna io conosco me stesso e il fascino che quella bambina sa esercitare. È in buone mani».
«Già tu sei sempre stato molto più ragionevole», concordai, cambiando poi discorso. «Allora è deciso?».
Capì subito di cosa parlassi. «Certo ricapitoliamo: fata Turchina, Zelena e se non possiamo farne a meno Gold».
«Prima riusciremo a sconfiggere questa distanza temporale, prima potremo riabbracciarla».
«Edith tornerà a casa», affermò. «Non ci fermeremo finché non sarà di nuovo con noi». Era quello il coraggio di cui avevo bisogno.
Avevamo un obiettivo e saremo periti nel tentativo piuttosto che arrenderci e fallire.
 
Angolo dell'autrice:
Buon pomeriggio a tutti! Come mi avete chiesto, mi sono sbrigata e ce l'ho fatta a postare oggi!
Se nello scorso capitolo sono stata crudele con il Killian del presente spero di essermi fatta perdonare. Emma si è subito pentita di ciò che ha detto e ha capito i suoi errori, cercando in qualche modo di rimediare.
Nel futuro ho aggiunto un piccolo flashback: scusatemi per tutti questi salti temporali ma mi piaceva troppo la scena dell'oresetto.
Come sempre ringrazio tutti coloro che hanno recensito o che semplicemente stanno leggendo la mia storia.
Un abbraccio, a presto
Sara 
  
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