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Autore: Bolide Everdeen    17/09/2015    1 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 1, Emerald Goldspace.]
Il suo mondo era quello del padrone. Quello delle persone che vorticavano in mezzo a lui era quello dei servitori, e niente avrebbe potuto variare la situazione, semplicemente perché lui la adorava, si approfittava di essa. Era padrone nel momento in cui saliva per le scale di casa sua in modo da spronare l'ammirazione con qualche altra banalità, e la gente replicava con continui fischi e acclamazioni; era padrone nel momento in cui recitava il suo ruolo, con una spada in mano o senza; era padrone quando i ragazzini si aggiravano senza conclusione attorno a lui e gli domandavano un eventuale bisogno di qualche bibita. E lui si serviva di tutto.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Un'altra volta

«Su! Un'altra volta!» Le urla inferocite della folla degli amici di Emerald amplificavano la potenza del ragazzo, il desiderio di imitare le sue ovvie azioni, non concludere mai con i suoi scarti ed i suoi affondi, annegare nella sua popolarità fino a quando non l'avrebbe potuto mondare definitivamente. E lui, si limitava a replicare. Impugnava la spada con più determinazione, e si esibiva nella sua furiosa grazia dinnanzi agli altri. E la preghiera di un'altra esibizione si manifestava, esuberante, e lui continuava ad esserne schiavo. Come al solito. Schiavo di tutto, eppure padrone del mondo. Questa era la sua sensazione.

Il suo avversario era un fantoccio di ologramma, uno sfavillio color grigio che, nel momento in cui la lama svolgeva correttamente il suo compito, si devastava e falliva al terreno in milioni di minuscole scaglie. Nel distretto 1, quella era la novità più immediata in tema di tecnologia e divertimento, ed Emerald ne era uno dei radi possessori. D'altronde, essendo lui l'onore della sua famiglia, come avrebbero potuto rifiutare questo metodo per accentuare la sua fierezza? Allora, la casa si era accresciuta di quel minuscolo congegno dorato, il quale emanava scintille blu che poi confluivano in quell'avversario immaginario. La spada con cui gareggiava contro ulteriori vette era reale, eppure nessuno temeva. Era specializzato nelle sue azioni, non sarebbe dirottata, nessuno dei suoi amici (o conoscenti intimi) i quali si trovavano lì avrebbe imprecato di terrore a causa di qualche laceramento. No, non sarebbe accaduto, semplicemente perché quello era il territorio di Emerald Goldspace, il mitico, il bellissimo, il re dell'Accademia del distretto. Le ragazze si esibivano in languide occhiate di ammirazione, i maschi provavano ad accostarsi a lui tramite osservazione cauta e sbalordita. Non conoscevano, però, la strada che aveva reso Emerald così. Non avevano ricevuto il privilegio di frequentare l'accademia da quando aveva cinque anni, fortificare il suo corpo, temprare la sua potenza. Lui doveva essere offerto agli stessi dei i quali avevano governato il suo destino, avevano predetto la sua esistenza, affinché divenisse il loro scudiero. Affinché la potenza lo permeasse, e giungesse a loro.

Era a conoscenza del nome di circa metà della trentina di ragazzi nella sua voluminosa stanza, adatta per essere la soglia di un confronto, di una lotta, di una sfida in cui lui sarebbe stato il certo vincitore; però, era decisamente migliore se qualche persona ignota avesse potuto narrare senza preconcetti la magnificenza di ciò che aveva visto. Accoglieva tutti, tutti coloro che lo potessero notare. Quel giorno, suo padre era assente; perciò aveva programmato il numero più consistente di intrusioni concesse dall'abitazione come la loro. C'era sua sorella, ma si sarebbe segregata nella sua camera a compiere chissà quale delle sue scemenze asociali. E sua madre, per fortuna, giaceva in una tomba da almeno quattordici anni, donando in eredità come pegno del fastidio che avrebbe donato quella creatura che appunto era la giovane Goldspace. Se anche lei fosse deceduta durante il parto, tutti sarebbero vissuti in un modo più lodevole. Emerald non sapeva che era impossibile ottenere ogni briciola del terreno del mondo, ogni goccia d'acqua, ogni scorcio di una nuvola. E perciò, questo, per lui, era naturale. Il giudizio della morte era nelle sue capacità.

«Dai, dai, dai! Sei grande! Un'altra volta!» Emerald premette di nuovo il pulsante di avviamento dell'ologramma, nonostante un'ombra avesse percorso la sua mente, screziata per un promemoria. Ancora un'altra volta, come loro ingiungevano per la grazia dei loro occhi, e poi si sarebbe esibito nel culmine della sua scenografia. Avvistò la creatura grigia, rafforzò la sua morsa sull'elsa, si avventò spiegando la sua lama contro l'avversario, e quello si concesse con semplicità alla sua morsa. Senza alcuna contrapposizione. Che peccato, avevano dissipato tutto il divertimento in quel modo. Il ragazzo osservò con disappunto lo scintillio fallire a terra, però sotterrò il suo disprezzo nelle grida ancora festose degli altri. Sorrise, e si volse verso di loro. Era il momento. Doveva rivelare il suo destino.

Non aveva abilità nel parlare, ma un certo fascino per dominare le sue frasi sì. E il dialogare, quando c'era un pubblico a sovrastarlo, era interessante, era un'altra azione verso la quale nutrire la medesima adorazione la quale intrideva gli altri, per lui. Pregò ai ragazzi di affievolire le proprie urla, con un gesto cauto delle mani, spiegando ancora la spada, e imponendo al suo volto un sorriso di spavalderia. Li possedeva, ormai. Ogni sguardo. Era il suo turno.

«Ragazzi, ragazzi, un attimo di silenzio, per favore» esordì, solo per assorbire un brivido di potenza, perché gli altri si erano già posti in una mutezza a lui dedicata. Constato l'assenso della natura, iniziò con serietà:«Da poco tempo ho diciotto anni, e quindi ho poco tempo per partecipare agli Hunger Games. E quest'anno ci saranno anche i giochi speciali, ho ancora due volte per partecipare. Però credo che fra un mese sarò ufficialmente un tributo del distretto 1, pronto per la vittoria. Ragazzi, il mese prossimo mi offrirò volontario per l'edizione del 500 degli Hunger Games!»

La sua spada si gettò verso l'altro, in un gesto di esaltazione, con una propulsione proveniente dal braccio, e in essa concesse di fluire tutte le sue emozioni, in modo che si manifestassero nello scintillio del riflesso. E, evidentemente, lo sguardo degli spettatori doveva aver assorbito quelle caratteristiche. I loro occhi volavano dalla luce della lama, al viso dell'annunciatore. Perciò, lui, sarebbe stato veramente lui il prossimo vincitore del distretto 1? Questo non era oggetto di stupore; Emerald pareva coltivato per questa funzione, lo stupore deriva dal frequentare la sua casa.

Erano nella casa di Emerald Goldspace. Cosa altro avrebbe potuto privilegiare la loro vita così da renderla più lustra? Ora conservavano solo un obbligo: quello di esaltarlo, in modo indiretto, da esaltare anche loro all'interno del distretto. Da tutte le parti, ognuno sfogava le sue maggiori capacità di festeggiamento, così da rendersi i favoriti del favorito, i migliori fra i migliori. Non c'era spirito, in quel posto. Solo la capacità di assimilarlo da altre persone. E ogni giorno, quella idea così tipica del distretto si consolidava. E si consolidava con le urla dei ragazzi. “Ti amo, Emerald!” “Sei il mio idolo!” “Vinci per noi!” E queste euforie si susseguivano, senza mai divenire monotone nei confronti dell'eroe, o della sua arma. Lui rimaneva in questo modo, stoico, evitando di dimenticare la sua posa statuaria. Quello sarebbe stato il suo ricordo agli occhi dei ragazzi, il metodo per essere da loro rimembrato. La visione proposta in ogni intervista, quando Capitol City sarebbe divenuta sua.

La folla non si diradò, subito; attese altre urla, altri festeggiamenti, altri giochi con l'ologramma. E così, fino a non concludere più. Emerald soleva accontentarsi di quella gloria, però doveva conquistare qualcosa di più acuto, di ancora più possente. E quello, nel suo immaginario, erano gli Hunger Games. Nelle sue idee, nei suoi continui dialoghi con Caesar, nel metodo in cui avrebbe ammazzato la maggioranza dei tributi, calpestando i loro petti, scalini per la sua fama. Alcune ragazze lo pregavano di ricevere un bacio, e lui, con la sua lapalissiana esperienza, si chinava da loro per trasmettere anche in quella maniera la sua importanza. Vedi? Non ti conosco, eppure possiedo anche il tuo cuore, ragazzina. Sei mia, eppure non m'importa nulla di te. Chissà, forse una di loro sarebbe divenuta la sua compagna per due settimane, o per un mese, fino a quando non avrebbe concesse alle sue lacrime di scaturire, seppellendola. Ed allora lei si sarebbe aggirata ponendo ingiurie sulla sua scia, ma la coda sarebbe divenuta ancora più lunga.

Il suo mondo era quello del padrone. Quello delle persone che vorticavano in mezzo a lui era quello dei servitori, e niente avrebbe potuto variare la situazione, semplicemente perché lui la adorava, si approfittava di essa. Era padrone nel momento in cui saliva per le scale di casa sua in modo da spronare l'ammirazione con qualche altra banalità, e la gente replicava con continui fischi e acclamazioni; era padrone nel momento in cui recitava il suo ruolo, con una spada in mano o senza; era padrone quando i ragazzini si aggiravano senza conclusione attorno a lui e gli domandavano un eventuale bisogno di qualche bibita. E lui si serviva di tutto. Non sarebbe mai stato solo, secondo il suo punto di vista. E, comunque, non gli sarebbe importato di nulla, rispetto a quello che l'avrebbe avvolto. Meglio respirare continuamente aria differente, ed imporre tutte le energie tentando di volgerla in ossigeno, che condividere la stanza con una persona che già porge la dose di respirazione in modo già predisposto, e poi avrebbe gravato il suo fiato. Non era il suo modo.

«Emerald!» Ad un tratto, si sentì chiamare, dalla voce graziosa di una ragazza, sui diciassette anni, dai brillanti occhi azzurri. Il suo nome era Lucrex, o almeno gli pareva. Non era fondamentale. Emerald, fra l'ebrezza dell'istante e quella delle bevande che aveva assunto senza termine, si prodigò subito in un bacio neanche richiesto, a cui lei si affidò senza rimproveri per lui. E, quando si concluse, lei fu capace di sussurrare solo una frase:«Un'altra volta.»

Questo era il suo effetto. Provocare le grida, i sussurri, i tumulti sulle note di “Un'altra volta”. Replicare il desiderio, ampliarlo, perché la gente credeva che nel prossimo “Un'altra volta” si potesse localizzare il modo per trapelare nella sua mente. Diventare padroni del padrone.

D'altronde, cosa gliene importava a lui?

Anche lui era schiavo di una domanda identica a quella, la richiesta di “Un'altra volta”, un secondo in più di fama, un ulteriore sapore di vittoria.

Perciò, lui alloggiava nella sua lama. Perciò, non avrebbe mai potuto perdere.

O almeno, così credeva, senza neanche esserne consapevole.

 

Spazio autrice

Eccomi. Avevo detto di non poter pubblicare fino all'undici di settembre, eppure siamo al diciassette. Per qualche fraintendimento, la data delle mie vacanze è variata, perciò il momento è slittato fino ad esso. Ecco tutto.

Questa è la tredicesima one shot della serie “500 – Behind The Scenes”, che racconta scorci della vita dei ventiquattro tributi dell'edizione straordinaria del 500 accennata nel testo, raccontata (che originalità) nella storia “500”. Penso che ognuno di voi sia a conoscenza del concetto di “edizione straordinaria”, e non credo che qui sia valido spiegare come mai sia stata istituita. Il tributo qui è Emerald Goldspace del distretto 1, personaggio del quale la scheda era un po' scarna, in modo da delineare un certo carattere che è quello che ho tentato di esprimere.

Poi... è iniziata la scuola! Auguro a tutti coloro che abbiano iniziato un buon anno scolastico, e spero che questo dettaglio non possa inibire il mio tempo per scrivere. (Due parole: liceo classico.)

Detto questo, non ho niente da aggiungere. Alla prossima,

Bolide

 
  
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