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Autore: Mina_Blake    18/09/2015    2 recensioni
Strani avvenimenti accadono intorno a Livia Manto, studentessa prossima alla Maturità. Le Ombre - così vengono definite dalla ragazza le entità presenti nella propria vita da quando riesce a ricordare - sembrano essere tornate, e ‘stavolta sarà impossibile ignorarle.
Intanto, l’intero Giappone sembra essere preda della più strana catena di omicidi mai registrata prima: Kira.
Due faccende completamente separate, se non fosse che da un po’ Livia senta una delle Ombre parlare di questo serial killer come una sorta di aspirante Dio sulla Terra …
… La stessa Ombra che sembra manifestarsi ogni qualvolta ci sia Light Yagami nei dintorni.
Intanto il Caso Kira viene preso in mano da L, uno dei migliori detective privati del mondo, di cui nessuno conosce il volto, né il vero nome.
Quando L deciderà di giocare a viso scoperto, forte dei suoi sospetti su Light Yagami, s’imbatterà per caso in Livia: sin dalla prima occhiata con la ragazza, il detective si ritroverà risvegliato gradualmente a un passato che lui stesso non credeva di aver vissuto …
… E che la giovane Manto aveva cercato con tutti i mezzi di dimenticare per sempre.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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Trama della fanfic:
Strani avvenimenti accadono intorno a Livia Manto, studentessa prossima alla Maturità. Le Ombre - così vengono definite dalla ragazza le entità presenti nella propria vita da quando riesce a ricordare - sembrano essere tornate, e ‘stavolta sarà impossibile ignorarle.
Intanto, l’intero Giappone sembra essere preda della più strana catena di omicidi mai registrata prima: Kira.
Due faccende completamente separate, se non fosse che da un po’ Livia senta una delle Ombre parlare di questo serial killer come una sorta di aspirante Dio sulla Terra …
… La stessa Ombra che sembra manifestarsi ogni qualvolta ci sia Light Yagami nei dintorni.
Intanto il Caso Kira viene preso in mano da L, uno dei migliori detective privati del mondo, di cui nessuno conosce il volto, né il vero nome.
Quando L deciderà di giocare a viso scoperto, forte dei suoi sospetti su Light Yagami, s’imbatterà per caso in Livia: sin dalla prima occhiata con la ragazza, il detective si ritroverà risvegliato gradualmente a un passato che lui stesso non credeva di aver vissuto …
… E che la giovane Manto aveva cercato con tutti i mezzi di dimenticare per sempre.



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                                      DEATH NOTE - Awakening



                                                                                                                    L’umano il cui nome sarà scritto su questo quaderno morirà.

                                                                                                                                                            [DEATH NOTE - Istruzioni per l’uso]




                                                                                   Introduzione: That  Strange  Girl. 

 
Immagino dovrò spendere qualche parola prima di cominciare, giusto il minimo indispensabile per non vedere nessuno mettersi le mani nei capelli nel leggere una storia che potrebbe apparire, ahimè, giusto un filino intricata.
Non sono una scrittrice ma, come disse Ryuzaki, durante una delle nostre solite partite a dama,  ‘‘Verrebbe fuori un bel romanzo, con tutto ciò che è accaduto fin’ora… Anche se non ci crederebbe nessuno.

Accidenti, mi hai fregato di nuovo.’’.
 

E’ il solo motivo per cui ora ho in mano questa penna che, comprata meno di un’ora fa, ha già il cappuccio tutto mordicchiato.
Ti racconterò ciò che mi è successo.
E quel che ho combinato.

 
 
Non ho idea di chi siano i miei genitori, né da dove provenga. I ricordi riescono ad arrivare al buio del vicolo freddo che Miss Adler decise di usare come scorciatoia per tornare a casa. Là dove cominciavano ad arrivare le luci della strada principale, nella fretta mi venne quasi addosso: una bambina che avrà avuto al massimo sei anni, vestita di una larga maglietta che nei suoi giorni migliori doveva essere stata bianca e un paio di jeans forse di una taglia di troppo.
Per mia fortuna la Adler era la sorella minore della Direttrice di un orfanotrofio del posto, House qualcosa: non chiedermi di essere precisa, è passato davvero troppo tempo per poter ricordare tutto nei minimi dettagli.
Un orfanotrofio. La donna che allora avrà avuto i suoi quarant’anni mi ci portò tenendomi per mano, riuscendo quasi con il suo tono dolce a convincermi che da quel momento tutto sarebbe andato per il meglio. Ogni tanto mi viene da chiedermi cosa in me abbia potuto spingerla a darmi un tetto, dei vestiti decenti, pasti assicurati e un’istruzione - che nella vita fa sempre comodo …

 
 
Il mio nome è Livia.
Fino all’età di otto anni però stentavo a ricordare come mi chiamassi, tanto avevo fatto l’abitudine agli appellativi affibbiatomi dagli altri orfani. Quella Strana, la Svitata.
Come sono crudeli i bambini, uh? Ma quelle frecciatine non mi hanno mai raggiunta, anche perché, detto fra noi, gli strani erano loro: incapaci di vedere e, soprattutto, di sentire.
Non vedevano le Ombre che se ne stavano sedute presso i finestroni sempre tirati a lucido, questo quando non misuravano a grandi passi il corridoio che portava ai dormitori, senza saper bene cosa fare …
... E soprattutto non sentivano una sola parola degli interminabili discorsi su quanto la vita sulla Terra non fosse un granché, ma pur sempre meglio dello starsene in mezzo alla sabbia a giocare coi dadi tutto il tempo.
   E’ risaputo che i bambini siano mossi da un’insaziabile curiosità, senza parlare del fatto che non abbiano la piena concezione del pericolo.
Sbagliato. Avevo eccome la mia concezione, e fu proprio a causa del timore che mi auto infusi che non rivolsi mai direttamente la parola a quelle, diciamo,  presenze. Lasciarmi andare, ovviamente nelle loro vicinanze, ad esclamazioni del tipo Chissà se in questo posto ci sono davvero dei fantasmi, ci parlerei volentieri! fu più che sufficiente ad attirare l’attenzione di quegli esseri perennemente annoiati.
Inutile dire che fu fantastico lo scoprire che avrei potuto interagire con loro, e non dovermi invece limitare a osservarli come dei film alla TV.
A volte rivolgevano qualche domanda diretta, mi giravano intorno per ore; arrivai a vedermi sventolare davanti al viso mani d’ombra che puntualmente finsi di non vedere.
Dopotutto non sapevo come avrebbero potuto reagire. Nelle favole che avevo letto in biblioteca  i bambini protagonisti venivano spesso ammoniti sul far capire alle Fate che potevano vederle, onde evitare il vedersi strappare i bulbi oculari da queste creaturine così carine, ma così gelose del loro mondo.
Che razza di libri vengono propinati ai bambini, dici? In effetti in quel posto era tutto un po’ strano.
   Ad ogni modo, nessuno mi cavò gli occhi durante quei due anni di permanenza alla House, né successe nulla di interessante … Per cui, passata l’iniziale euforia al pensiero di avere forse il dono di vedere i morti, ripresi la mia vita pensando ad altro e dedicandomi più che altro allo studio mentre le Ombre continuavano a vagare fra - e attraverso - le pareti immacolate dell’orfanotrofio.
Poi non le vidi più. Così, di punto in bianco.
Le loro voci gutturali invece rimasero; a un certo punto non feci caso nemmeno più a quelle. Di tanto in tanto le sentivo mescolarsi agli strilli e alle risate degli altri bambini, ma avevo altro a cui pensare: lo studio, i miei disegni, i libri - troppo difficili per una mocciosa della mia età - che mi ostinavo a far scivolare via dagli scaffali della biblioteca.
E così, immersa in quella mia quotidianità, non mi resi conto che le Voci andavano affievolendosi di giorno in giorno, fino a che la loro familiare presenza non venne rimpiazzata da un freddo, totale silenzio.
Invece i sogni continuarono imperterriti, notte dopo notte.

 
Ah, che distratta. Te l’ho detto che con le parole non ci so fare. Ho dimenticato di parlarti dei sogni, una delle cose più importanti, forse.
Beh … Cosa il subconscio propinasse ai miei compagni, onestamente non me lo sono mai chiesto. Immagino che boccioli di rose come Sally Wright e Donna Montgomery vedessero venir loro incontro i maestosi unicorni (di cui tanto amavano parlare) anche di notte, così come scommetto che Peter Draven si vedesse suggeriti da Vlad III di Valacchia in persona (o anche Conte Dracula, se preferisci) i dispetti crudeli di cui ogni giorno qualcuno diventava il bersaglio.
Per quanto riguarda la sottoscritta, il mio sogno ricorrente, eppure diverso ogni volta, era molto meno originale. Stare stesa sull’erbetta del cortile a godersi il sole di primavera, giocare a nascondino oppure, se vogliamo andare nel complicato, discutere dell’eterna lotta fra il bene e il male sulla Terra. Qualunque fosse lo scenario, comunque, lui non mancava mai.
Folti capelli corvini, perennemente in disordine e con la tendenza a ricadere sul paio di iridi color titanio, rese inquietanti non tanto dalle occhiaie scure che parevano evidenziarle ancor più, quanto dal modo in cui ti fissavano, a volte non del tutto presenti … Per non parlare della sua particolare concezione dello stare seduti, rannicchiato come uno di quegli animaletti pronti a balzarti contro durante la visita allo zoo.
   Le mie facoltà intellettive  diminuirebbero del 40% se mi sedessi nella posa corretta- tanto per citare la risposta che ricevetti l’unica volta in cui, al limite della curiosità, gli chiesi cos’avesse contro l’allungare le gambe come tutte le persone normali.
Con il bambino a cui avevo ormai affibbiato il soprannome Honey (lui invece mi chiamava Chérie, roba da diabete fulminante insomma.) era empatia allo stato puro, e così reale da spingermi a scartare a priori anche la sola idea di avere a che fare con nient’altro che il mio Io. Il nostro era un rapporto così speciale, del genere che forse con i bambini della House non sarei riuscita a instaurare nemmeno in un millennio. Che tristezza, uh? Non pensarci nemmeno, nessuno stava meglio di me. Però adesso non è il momento di addentrarsi in particolari che rimanderebbero di un’altra ora almeno la storia vera e propria.
 
Reiko. Lei fu il titolo di un nuovo capitolo nella mia vita che coincise col compimento dell’ottavo anno di età.
Venne a tirarmi fuori da quell’agglomerato di mattoni in una piovosa mattina di novembre, con i suoi trent’anni a malapena dimostrati e alle spalle una famiglia di cui non voleva sapere più niente.
Come per il caso di miss Adler, ancora non mi spiego perché quella ragazza volle a tutti i costi portarmi con sé. Posso dire solo che gliene sono tutt’oggi grata: se avessi sprecato anche solo un altro anno nella House ora non sarei qui a scrivere …
…  E, soprattutto, avrei perso per sempre la persona per cui mi sono ritrovata a mettere in moto – anche se non del tutto consapevolmente - questa assurda faccenda.













                                                                                        
 
   
 
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