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Autore: Bec Hale    10/02/2009    12 recensioni
Non avevo mai badato molto a San Valentino.
Era una festa per innamorati, e io non avevo mai avuto nessuno con cui festeggiarla.
{Dominique Weasley/ James Potter }
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, James Sirius Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It’s San Valentine?


[...]Non avevo mai badato molto a San Valentino.
Era una festa per innamorati, e io non avevo mai avuto nessuno con cui festeggiarla.
Dominique Weasley




San Valentino, per me, era sempre stata una festa di poco valore.
Era bella, sì, ma per chi aveva qualcuno con cui festeggiarla. Non per chi è solo come un cane lasciato fuori casa una piovosa notte di Novembre.
Per questo non avevo mai pensato di festeggiarla.
Ma, quell’anno, dovevo saperlo, forse qualcosa sarebbe cambiato.
Oltre ai classici cioccolatini che mangiavo per non rendere triste e deluso nessuno, oltre ai bigliettini che leggevo e poi gettavo nel fuoco non appena ne avevo la possibilità, oltre a un sacco di smancerie varie che ricevevo per la mia bellezza e non per il mio io interiore, quasi speravo che mi arrivasse qualcosa di più serio.
Eppure io non avevo mai badato molto a San Valentino. Era una festa per innamorati, e io non avevo mai avuto nessuno con cui festeggiarla.
Ma quell’anno, dentro di me, qualcosa era cambiato, ne ero certa.
Sospirai, continuando a scrivere il mio temo sulla Rivolta dei Folletti del Diciassettesimo secolo con voglia sempre decrescente, attratta com’ero dal guardare le nuvole grigio ferro contorcersi in vista di un temporale. Osservai con malinconia le coppie avviarsi di corsa, mano nella mano, ad Hogsmeade, per festeggiare in santa pace quella festività - magari da Madama Piediburro.
Ricordai - mentre una ferita avvelenata nel mio cuore si riapriva - che James - mio cugino - c’era stato, una volta, con una sua ragazza, e che aveva raccontato con orrore che era tutto troppo sdolcinato e romantico per i suoi gusti, cioè quelli da vero uomo.
All’epoca avevamo solo quindici anni, e di lui non mi importava granché.
Ora sì.
Rabbrividii, temendo che lui fosse fra quelle coppiette con la sua nuova fiamma. La cosa bastava a gelarmi più della pioggia ghiacciata che sarebbe caduta di lì a poco.
Bella giornata, per una festa come San Valentino. Si addiceva.
Furono questi, più o meno, i miei pensieri sarcastici, mentre, con un ghigno da far invidia a Scorpius Malfoy in persona, ripresi a scrivere il tema.
Ero l’unica povera babbea in tutta la Biblioteca. Chiunque fosse rimasto ad Hogwarts, invece di andare ad Hogsmeade, si trastullava nelle Sali Comuni o in qualche altro posto dove spassarsela.
Ma io, siccome ho sempre avuto un’indole masochista, preferivo torturarmi con Storia della Magia.
Grugnii, ripensando con irritazione che avrebbe dovuto farmi compagnia Rosie - che in realtà mi aveva fatto un bidone, scusandosi più di mille volte per lasciarla sola. In realtà, dietro l’irritazione, c’era anche una lieve comprensione; era normale che volesse passare il San Valentino con il suo ragazzo, piuttosto che con me.
Sbuffai nuovamente, ricancellando per la millesima volta la stessa frase. Quel tema non poteva scriversi da solo, e visto che io non ero molto collaborativa, ero più che sicura che sarebbe rimasto incompleto.
“La Guerra è finita esattamente cento anni dopo, Dominique”, osservò una voce con una punta di critica e un’altra di soddisfazione alle mie spalle.
Sobbalzai sulla sedia e ci mancò poco che rovesciassi l’intera boccetta d’inchiostro sulla mia camicia immacolata.
“Ciao, James”, commentai, inarcando un sopracciglio e fissandolo un po’torva di sottecchi.
“Allora”, chiese lui, leggero, sedendosi al mio fianco,“che fai di bello?”
“Faccio un tema, lo stesso che dovresti fare anche tu”
“Davvero eccitante”
Non risposi. Sospirai e basta, scuotendo piano la testa.
“So meglio di te che come programma per San Valentino fa schifo, sai?” chiesi con voce smorta. “Ma non ho altro da fare. Sono sola. Lo sono sempre stata e sempre lo sarò” La mia voce assunse un tono depresso e, improvvisamente, ebbi l’irrefrenabile voglia di abbracciare James, fare chiarezza sui miei sentimenti [sbagliati] per lui e piangere, finalmente, liberare tutte quelle lacrime che avevo sempre tenuto dentro.
Ma non potevo.
Non potevo, e quindi mi strinsi nelle spalle, come a proteggermi, e feci un paio di respiri profondi. Sentii che James si muoveva sulla sedia, ma non immaginai che fosse per stringermi nel più caldo e rassicurante degli abbracci.
“Non dirlo”, mormorò. “Non pensarci neanche. Io ci sono e ci sarà sempre”
Mi aiutò a districarmi dall’abbraccio e mi sorrise, smagliante.
Ricambia con una punta di incertezza, insicura su quali parole pronunciare, ma lui mi precedette.
“Ho qualcosa per te” disse allegro. Questo bastò ad illuminarmi e al contempo rabbuiarmi. Io non avevo nulla di nulla per lui. Mi sentii una cretina e feci una smorfia contro me stessa.
“Non dovevi disturbarti, James. Io … io non ho preso nulla per te. Sono un’idiota. Non mi merito niente”, mormorai, a occhi bassi.
James mi prese la mano, delicatamente, e con l’altra mi intrappolò il mento con le dita pallide ma calde, guardandomi accigliato negli occhi.
“Non importa. Neanche io ho preso nulla. Non è niente di materiale … devi solo seguirmi” disse deciso, mollando la presa sul mio viso e alzandosi in piedi. Non smise di guardarmi negli occhi o stringermi la mano - lungi da me, poi, il desiderio di dirgli di lasciarmi.
“Ok”, acconsentii, curiosa, seguendolo senza pensarci due volte.
James, attraverso a corridoi e strade secondare, mi portò allo spogliatoio maschile della squadra di Grifondoro.
Era vuoto. Solo una scopa, solitaria e malinconica, era appoggiata alla parete in tutta la sua bellezza e eleganza.
Capii subito cosa voleva fare.
“Oh, no, no!” esclamai, decisa. “Non salirò su quell’aggeggio, James, anche se è il tuo regalo”
James mi prese il viso fra le mani - forse non accorgendomi di come rabbrividii al suo tocco caldo - e mi guardò negli occhi, di nuovo, implorante.
Non ci fu bisogno neanche che aprisse bocca. Sospirai sconfitta, e cedetti - non riuscivo mai a resistere ai suoi occhi nocciola, grandi e imploranti.
Per tutta risposta mi sorrise, tenendomi ancora per mano,e afferrò la scopa posata alla parete, conducendomi fuori, nel campo da Quidditch. Stando in Biblioteca, non mi ero accorta che fosse così tardi. Le stelle cominciavano a spuntare da dietro le nubi, che si erano spostate, lasciando una scia di azzurro chiaro che pian piano si sostituiva con il blu della sera. Era una bella visione, ma mai quanto quella che avevo al mio fianco.
“Dai, salta su”, disse, offrendomi la sua Firebolt. Lo guardai arricciando il naso e la presi. Avevo timore di non sapere neanche come prenderla.
Lui roteò gli occhi, divertito, e me la tolse di mano. “Mi metto su prima io, così per te sarà più facile”, spiegò. James si sedette a cavalcioni sulla Firebolt, parecchi centimetri più indietro rispetto al normale, e si voltò a guardarmi.
“Be’, sali, no?”
Annuii e feci per mettermi dietro, ma lui mi prese il polso e con veloci e abili movimenti mi fece sedere davanti a lui, le gambe tutte d’un lato - posizione che mi sembrava alquanto pericolosa, non riuscendo a tenere la scopa con fermezza con entrambe le mani. Tremai mentalmente.
James, che sembrò interpretare bene ciò che mi passava per la mente, mi diede un bacio veloce sulla testa - io arrossii - e mi strinse con un braccio la vita e con l’altro tenne stretta la scopa. Era abbastanza bravo da poter credere che riuscisse a volare anche così, quindi mi fidai, sotto sotto un po’sospettosa.
“Pronta?”, mi sussurrò all’orecchio, facendomi rabbrividire.
“Sì” risposi, stringendo il manico talmente tanto forte da far sbiancare le nocche.
E fu così che la Firebolt prese il volo.
All’inizio, trattenni un gemito di terrore. Non avevo mai volato prima. Ma poi il terrore si trasformò in incanto.
Da bambina, il mio sogno era sempre stato quello di volare in cielo, raccogliere tutte le stelle e tenerle per me, custodirle gelosamente. Ridacchiai a quel ricordo, e sentii lo sguardo di James su di me.
“Visto che bello?” disse felice. “Spero ti vada bene, come regalo”, aggiunse virando e puntando verso l’alto. Sembrava speranzoso, ma anche preoccupato. Sapevo bene che non era lo stesso regalo che un ragazzo fa una ragazza - noi non eravamo insieme. Non potevamo, eravamo cugini -, ma la cosa mi rese entusiasta lo stesso.
“Sì, ovvio” Mi voltai per ringraziarlo con un sorriso, ma vedendo il suo volto - le sue labbra - così vicine alle mie sussultai e mi rivoltai. Non ero sicura che sarei riuscita a trattenermi. Strinsi le labbra in una morsa ferrea, mentre il vento freddo mi scompigliava la faccia. Avevo dimenticato il cappotto, come James, ma lui non sembrava patire il freddo - anzi, era piuttosto caldo. James era un termosifone umano.
“Da piccola ho sempre desiderato possedere una stella …”, mormorai senza neanche accorgermene. Lui mi strinse più forte, virando.
Volavamo sulla Foresta Proibita, ora, e lo spettacolo era ancora più bello, perché si era fatto completamente buio, nonostante fossero le sei del pomeriggio.
“Te ne prenderei volentieri una … farei di tutto, per te.” affermò James. Sollevammo entrambi lo sguardo verso il cielo scuro, una macchia d’inchiostro con luccicanti puntini bianchi - piccoli gioielli stellati - e senza neanche volerlo poggiai la testa sulla spalla di James, portando il busto all’indietro. Lui prese saldamente il manico con entrambe le mani, e, con incredibile abilità, continuò a volare senza farci schiantare, nonostante fosse impegnato a guardarmi.
Non era il solito sguardo, ironico o sarcastico. Era serio e profondo, e mi ci persi. Entrambi avvertimmo a malapena la leggera pioggerellina che ci appiccicava gli abiti addosso, troppo impegnati a fissarci.
Non sapevo cosa volesse dire quello sguardo. Poteva dire una parola come mille.
James, poi, preso il coraggio a due mani, sempre tenendo d’occhio dove stavamo andando, avvicinò il suo viso al mio, mozzandomi letteralmente il fiato.
Portò le sue labbra all’altezza delle mie e poi mi baciò, lento e delicato, per non so quanto tempo. E, mentre mi baciava, fece atterrare lentamente la scopa - eravamo tornati al campo da Quidditch. Con le mani, finalmente libere, mi strinse al petto.
Le stelle attorno a noi danzavano, quasi felici per noi, lucenti. Il mondo continuava, girava ininterrottamente, ma in quel momento c’eravamo solo noi, finalmente insieme.
James, con mio grande dispiacere, si staccò senza smettere di stringermi.
“Buon San Valentino, Dominique”




Angolo Autrice
Non chiedetemi perchè l'ho postata prima del dovuto - anzi, chiedetemelo, così vi dico che l'ho postata prima perchè, forse, per un po' di giorni starò via e il 14 avrò una specie di raduno, quindi...
Be', spero solo che vi sia piaciuta.
  
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