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Autore: Letsneko_chan    18/09/2015    0 recensioni
Fa male pensare questo.
Fa male vedere la tua città in rovina, data in pasto alle fiamme.
Fa male pensare che lo splendore di Irr, seppure così recente, sia solo un lontano ricordo.
Ripenso a quelle ultime righe: dovrei piangere? Piangere come hanno fatto loro, gli abitanti di Irr? Eppure, il mio sorriso si trasforma in un ghigno. Provo quasi una gioia nel vedere tutto quel sangue scorrere sotto ai miei piedi. È strano, lo so, ma non posso fare a meno.
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Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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irr

La penna del destino

 

La vittoria è loro.
Di nuovo.
Ancora una volta diventeremo schiavi di uno dei regni vicini.
Non possiamo fare altro, eccetto pregare: prima gli dei, poi gli invasori.
Una, due, tre, innumerevoli ondate di nemici hanno invaso i nostri confini per conquistare il tesoro della fortezza di Irr.
Un tempo questa era una terra ricca, potente e temuta.
Ma adesso... adesso non sappiamo nemmeno più cos'è l'onore. Strisciamo a terra, ai loro piedi, come vermi. Perché è questo che siamo: vermi pieni di arroganza che combattono fra loro, incapaci di reagire contro gli invasori. Ci nascondiamo sotto terra, evitando volontariamente il destino.
Il tesoro è perduto, diviso tra nazioni cui non dovrebbe appartenere.
Nessuno vuole tentare di riprenderlo: che senso avrebbe, dopo anni passati a lottare fra noi, coalizzarci per conquistare qualcosa che non ci appartiene più?
Nessuno.

 Appoggio quei fogli bruciacchiati sul tavolo: l'invasione è cessata e di Irr, come tutte le altre volte, non rimane niente. L'esercito di Adir è lontano, è tornato in patria dopo aver depredato la città. Devo ammettere, però, che è stato un bello spettacolo.
A leggere quelle poche righe, tracciate sicuramente in fretta, un sorriso mi si allunga sul volto: in fondo, chiunque le abbia scritte, ha detto la verità. Siamo un covo di vermi arroganti, a Irr. Soltanto la parte più debole prova pietà. I più forti ricercano zuffe e tafferugli. È l'unico modo per passare il tempo in questa landa desolata. Ed io appartengo a questa seconda categoria.

Fa male pensare questo.
Fa male vedere la tua città in rovina, data in pasto alle fiamme.
Fa male pensare che lo splendore di Irr, seppure così recente, sia solo un lontano ricordo.

Ripenso a quelle ultime righe: dovrei piangere? Piangere come hanno fatto loro, gli abitanti di Irr? Eppure, il mio sorriso si trasforma in un ghigno. Provo quasi una gioia nel vedere tutto quel sangue scorrere sotto ai miei piedi. È strano, lo so, ma non posso fare a meno. Lancio i fogli sul pavimento: si sparpagliano, ma una cosa mi salta agli occhi: su uno di essi, in un angolo, vi è il simbolo di una famiglia nobile decaduta anni or sono. Adesso sono poveri, o meglio, lo erano, ma ciò non ha impedito all’ultimo capofamiglia di onorare Irr.
Accarezzo il tavolo, dirigendomi poi verso la porta. Rivolgo un'ultima occhiata alla stanza: la confusione regna sovrana, sembra quasi che ci sia passata quella casinista della dea responsabile di ogni disordine al mondo.
Fogli e oggetti sono sparsi ovunque, i mobili rovesciati. Sospiro, chiudendomi poi alle spalle la porta con un tonfo.
Le fiamme si alzano ancora alte in cielo e tra non molto anche quelle stanze a soqquadro saranno divorate dalle fiamme.
Probabilmente sono l’unico essere ancora vivo in questa desolazione.
Ogni strada è attraversata da un rigagnolo rosso: i cadaveri sono ovunque, la maggior parte donne e bambini.
Posso solo guardare, senza poterli aiutare.
Un vecchio ha gli occhi sbarrati: avvicinandomi, noto il terrore della morte ancora impresso sul suo viso.
Continuo per la mia strada: provare pietà è inutile. I morti sono morti, non possono tornare in vita: è bene lasciarli dove sono, sotterrati tra le macerie, con i corpi orrendamente mutilati e quasi irriconoscibili.

Si conoscevano tutti, a Irr.              
La città è piccola, arroccata su un monte. Ma ciò non l’ha protetta dalle invasioni: è stata conquistata e distrutta più volte, il tesoro depredato fino alla sua completa scomparsa. Ma ogni volta è stata ricostruita.
Alzo gli occhi al cielo: il drago che custodiva il tesoro insieme al suo cavaliere ha sorvolato la città per l’ultima volta prima della battaglia. Poi è sparito, diretto verso i cieli dell’Est, verso la terra degli avventurieri.
Continuo a camminare senza una meta, ma i miei passi vanno verso la grotta in cui era custodito il tesoro.
L’ho visitata già in passato: me la ricordo piena d’oro, con gemme preziose che straboccavano da ogni parte.
Mi fermo sull’ingresso: la veste macchiata di sangue si muove appena, sospinta dal vento. Mi volto appena e noto che una tempesta si avvicina all’orizzonte: se niente potrà lavare i nostri peccati, l’acqua almeno pulirà le strade dal sangue.
Raccolgo una moneta, forse l’unica rimasta, e la osservo controluce: gli ultimi raggi del tramonto la illuminano, lanciando bagliori sulle pareti scure di roccia.
Siamo soli: io e lei, uno spirito e una moneta, testimoni – e forse responsabili silenziosi – di una strage.
Chiudo gli occhi: nelle orecchie sento ancora il clangore delle spade, negli occhi continuo a vedere i duelli.
La battaglia si è finita da poche ore, ma la piana è coperta di cadaveri e il fiume è tinto ancora di rosso.
Il sangue di Irr è stato versato un’altra volta.
Le pietre intorno alla rocca sono impregnate del nostro sangue: guerre civili e scontri con i popoli vicini le hanno nutrite di un cibo infame. Alcuni dicono che la particolare colorazione rossiccia delle rocce sia dovuto a questo. Chissà che non sia vero: d'altra parte, all'inizio, questa città era conosciuta come Irr la Bianca proprio perché era costruita di marmo bianco. Ed io me lo ricordo bene quello splendore accecante. Erano gli anni migliori di Irr, ma quelle ricchezze portarono alla lenta e irreversibile rovina della città e degli animi.
Stringo la moneta nella mano.
La nebbia si è ormai diradata: stamattina avvolgeva entrambi gli eserciti e solo a tratti gli stendardi erano visibili dalla torre della rocca. Ero lassù, da solo. Avrei voluto essere protagonista della battaglia, non spettatore.
Un brivido mi attraversò la schiena: paura mista a rabbia e delusione. Erano tanti, i sentimenti che si agitavano nel mio animo.
Alzai la testa, osservando il drago allontanarsi verso Est, abbandonandoci al nostro destino.
Senza la sua protezione, Irr sarebbe crollata presto. E così è stato.
È stato uno squillo di tromba a dare inizio alla battaglia: ha squarciato il silenzio e quelle note hanno vibrato nell'aria a lungo.
Poi è giunto il cozzare delle spade sugli scudi.
Osservavo quasi divertito le donne ammassarsi sulle merlature, lanciando grida e strappandosi i capelli.
Avrei dovuto proteggere gli abitanti di Irr, tuttavia godevo nel vedere la loro sofferenza alzarsi fino al cielo.
Non c'era vento e solo a tratti potevano cercare di scorgere i loro amanti, mariti, figli, fratelli nella mischia.
Si vedeva solo un'indistinta massa grigia che andava sfumando in rosso.
È facile immaginare come si sentissero i combattenti: stremati dalla stanchezza e impauriti dalla morte.
Poi, la nebbia si è alzata e per un attimo tutto è stato silenzioso.
Ma è durato poco.
La rosa nera in campo dorato, simbolo di Irr da tempi immemorabili, giaceva – e giace tutt'ora – insanguinata sul terreno. A vederla, solo per quello, mi si strinse il cuore. La mano, da tempo immobile sull'impugnatura della spada, si chiuse su di essa finché le decorazioni dorate non si conficcarono nella carne. Il giallo dell’oro si macchiò così di rosso. Strano destino: sembrava che ricalcasse quello della rosa.
Tutt'intorno, ci sono cadaveri orrendamente mutilati e squarciati. L’aspetto della piana e quella della città adesso è lo stesso.
Dopo aver buttato giù la porta, i nemici hanno avuto strada facile per arrivare fino alla rocca. Nessuno ha opposto resistenza.
Ho osservato la strage: la mia spada era addormentata nel fodero e doveva restare immacolata. Avrei voluto combattere, ma la volontà di obbedire agli ordini ha vinto. Sarò anche un guerrafondaio testardo e impulsivo, ma sono ligio al dovere. Gli ordini sono ordini e se arrivano dall'alto non vanno messi in discussione. E quando è il padre di tutti gli dei a ordinarti di restare immobile a osservare la distruzione della tua città c’è poco da fare. Mi ero chiesto se fosse possibile ingannare il destino: adesso ho la risposa.

No. Non è possibile. Ciò che è stato deciso non può essere cancellato. La penna del fato traccia una linea diretta verso il futuro.
Tutti quelli che hanno incontrato sul cammino – donne, vecchi e bambini – sono stati passati da parte a parte con le spade.
Grida angoscianti si solo levate ben presto: tuttavia, in quel dolore restavo impassibile.
Ero un fantasma tra loro, lo sono sempre stato. Li vedevo, ma loro non scorgevano me. Li ho osservati: conoscevo ogni gesto, ogni aspetto del carattere di ognuno.
La mia tunica si sporcò ben presto di sangue: gli schizzi di quella strage mi macchiavano, anche se non ero io a volerla o a compierla.
Fronteggiare la morte, pur sapendo di non poter morire, mi è sempre piaciuto. Chissà se oggi giungerà anche per me il momento della temuta ultima ora.
Ogni colpo mortale ricevuto dagli abitanti di Irr feriva anche me, ma non in modo grave.
Ma altre macchie più scure e meno visibili, andavano allargandosi sulla mia anima.
Agli innumerevoli sbagli che ho compiuto, si aggiunge questo. Se avessi disobbedito agli ordini e fossi sceso in battaglia a fianco dei miei soldati, probabilmente adesso sarebbe Adir quello che s’interroga sul destino, piangendo i suoi morti.
Faccio dondolare le gambe nel vuoto mentre gioco con la moneta: la lancio per aria, facendola atterrare sul palmo o sulla veste.
“Sapevo che ti avrei trovato qui.”
Stringo la moneta nella mano, reclinando poi la testa all’indietro, in modo da vedere chi è arrivato.
Non era difficile indovinarlo: anche se il suo esercito se ne è andato, era molto probabile che lui, Adir, fosse rimasto qui a Irr.
Non è cambiato molto dall’ultima volta che ci siamo incontrati: lunghi capelli viola e occhi arancioni.
Come per me, o come per tutti coloro che incarnano lo spirito di una città, l’aspetto rimanda allo stemma cittadino. E lui, avendo come simbolo due stelle arancioni su campo viola, è normale che sia in quel modo.
Questa zona è sempre stata divisa in città stato: Adir ha sempre avuto molto interesse verso il tesoro di Irr. Forse troppo, ripensandoci adesso. O forse il tesoro era solo una scusa per invadere i confini e arrivare a me. Lo sanno quasi tutti che tra noi non c'è solo odio. È una faccenda tra me e lui, non tra le città: se i popoli si odiano a morte, le loro rappresentazioni non disdegnano appartarsi da qualche parte e scambiarsi baci.
Penso che l’intento di Adir sia uccidermi: tiene la spada sguainata, poco importa che sia ancora macchiata con il sangue dei miei soldati. Noi spiriti possiamo morire solo se nessuno è rimasto vivo in città. In questo modo scompariamo per sempre, poiché nessuno può ricostruire la città. E non penso che a Irr sia sopravvissuto qualcuno. Un brivido – è paura, questa? – mi percorre la schiena.
Mi si siede accanto, posando il braccio che regge l’arma sul ginocchio. L’altra dondola nel vuoto.
“Non ti ho visto prima, laggiù nella piana. È strano vederti lontano dalla mischia, Irr.”
“Ordini superiori. Dovevo assistere, non combattere.”
“Che assurdità tenere lontano un guerrafondaio come te dalla battaglia. Il padre degli dei deve avere delle ragioni serie” sghignazza Adir.
Annuisco ridendo.
Gli abitanti di Irr sono sempre stati pronti a scannarsi: che fosse tra di loro o con qualche popolo vicino poco importava. Bastava vedere il sangue scorrere ed io non facevo certo eccezione. E il fatto che nessun umano potesse vedermi ha sempre reso i giochi più interessanti.
Rimaniamo in silenzio, osservando con aria distratta l'orizzonte.
Poi, all'improvviso, Adir getta la spada nel vuoto: l'arma rimbalza su alcuni speroni di roccia, finendo poi in un precipizio.
Lo guardo allibito. Adir non si sarebbe separato mai dalla sua arma preferita.
“Che c'è? Ti chiedi perché abbia buttato via la mia amatissima spada?”
“Sì” rispondo secco.
Adir scoppia a ridere – devo ammetterlo: mi mancava la sua risata calda – per poi abbracciarmi di slancio.
Mugolo appena per la botta ricevuta alla schiena.
“L'ho raccolta sul campo di battaglia. Volevo solo spaventarti a morte. E a quanto pare ci sono riuscito: la tua espressione terrorizzata era a dir poco fantastica!”
Gli tiro un leggero pugno sul petto, cercando di farlo smettere di ridere.
“Ti odio” borbotto incrociando le gambe e dandogli le spalle.
Adir mi abbraccia da dietro, iniziando a lasciare una scia di baci sul collo. Rabbrividisco: odio ammetterlo, ma sa come farmi capitolare.
Poi, come ogni volta, succede tutto troppo in fretta. 
I nostri corpi sudati sono avvinghiati, le mie unghie conficcate nella sua schiena tesa mentre la mia s’inarca, intanto che il piacere avvolge entrambi.
Una sua mano mi accarezza i capelli con estrema dolcezza, soffermandosi a lungo su quel ciuffo ribelle che si alza sulla nuca.
Gemo il suo nome, avvinghiandomi sempre di più a lui: mi fa impazzire ogni volta con quei movimenti lenti e precisi.
Tra gli ansimi, sussurra qualcosa.
Il loro significato mi distoglie dall'oblio del piacere.
“Non sei solo, a Irr.”

Cosa?
“Durante l'invasione ho nascosto un neonato. È sulla torre della rocca, dove ti ho visto per un attimo.”
Eh? Ma stai scherzando? Sono morti tutti.
“Ho ottenuto il permesso di farti venire con me ad Adir. Sarai il mio prigioniero personale, nessun altro ti toccherà.”
Questo potevo benissimo immaginarlo.
“Ma dato che anche Adir è prossima al crollo, quel bambino sarà la salvezza di entrambi.”
Adir... Non dire idiozie. La tua città è la più ricca e importante della zona. D'accordo, avrà molti nemici, ma le sue torri resisteranno per secoli...
“Sarà nostro figlio, Irr.”
Quelle ultime parole mandano a puttane ogni mio pensiero logico.

Un bambino... Un figlio adottivo. Il nostro.
Gli prendo il viso tra le mani e lo bacio fino a farci mancare il fiato.
Adir non dice niente quando mi stacco da lui: si limita a stringermi a sé, trasmettendomi quel familiare senso di protezione.
Sono io a rompere quel silenzio surreale che avvolge Irr.
Mai, mai è stata così silenziosa.
“Perché?”
“Perché non potrei sopportare la tua scomparsa.”
Il vento si fa improvvisamente più violento, segno che la tempesta è ormai prossima.
“Adesso andiamo.”
Adir si alza, risistemandosi i vestiti; faccio lo stesso e, mano nella mano, ci incamminiamo verso la rocca.
Solo adesso mi si riempie il cuore di tristezza a vedere le case bruciate. Ora c'è il fumo che sale alto nel cielo, ultimo testimone della strage.
Arriviamo sulla torre e la prima cosa che noto è un fagottino in un angolo.
Lascio la mano di Adir, correndo verso di lui. Lo prendo in braccio, stringendolo al petto.
Una, due, tre lacrime mi scendono lungo il viso.
Non è il figlio del re o di un nobile. Suo padre era povero, ma nella battaglia ha dimostrato un grande valore. Non è fuggito, non ci ha nemmeno tentato. Alcuni l'hanno fatto, ma sono stati raggiunti dalle frecce. Lui, suo padre, è stato tra gli ultimi a cadere. Ha amato la sua città come pochi: tra le bende ho trovato un piccolo medaglione con inciso un simbolo. Lo stesso era disegnato in un angolo dei fogli che ho trovato in quella casa prima che fosse bruciata. Quell’uomo ha detto la verità su Irr.
È un circolo vizioso: l'amore di un padre per il figlio è pari a quello di un cittadino per la patria. Né io né quel bambino possiamo uscirne.
Gli accarezzo il viso, guardandolo dolcemente.
Adir sghignazza.
“Chi l'avrebbe mai detto che un guerrafondaio come te si commuovesse davanti a un bambino?”
Non gli rispondo nemmeno, anche se so che mi prenderà in giro per anni per quel sorriso da ebete che ho stampato in faccia.
Adir mi si avvicina, mi abbraccia da dietro e appoggia il mento sulla mia spalla. Non lo guardo nemmeno, continuo solo ad accarezzare quel bambino.
Il vento soffia violento, scompigliando i capelli e facendo svolazzare vesti.
Non ci interessa della pioggia che sta iniziando a cadere: siamo soli, noi tre, contro la forza della natura, contro il destino.
Possiamo solo continuare a tracciare la nostra linea d’inchiostro verso la fine del foglio, senza curarci né degli errori passati né di quelli futuri.

   
 
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