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Autore: giulji    20/09/2015    1 recensioni
*Storia corretta e rivisitata nei primi capitoli, in modo tale che adesso, anche a coloro che non hanno letto la saga di Hunger Games, risulti una lettura comprensibile*
Questa fanfiction, ambientata in un survivial game, avrà come protagonisti la maggior parte dei personaggi presi dalla saga dello zio Rick, ricollocati sotto forma di tributi/sacrifici.
Il tutto averrà attraverso più punti di vista (POV).
Chi sarà il vincitore finale ? Chi morirà durante i giochi ?
In che circostanze ? Quali saranno le alleanze ?
Dal testo :
"... Nonostante la sua enorme voglia di lasciarsi cadere tra le braccia di Morfeo, affogando in un sonno privo di memorie, che lo avrebbe momentaneamente esonerato dalle tenebre che gli offuscavano perennemente il cuore, Nico non era invece riuscito ad addormentarsi nemmeno per un ora di seguito e le occhiaia violacee che gli contornavano lo sguardo già corrucciato ne costituivano una prova.
Sapeva che quella mattinata, non rappresentava infatti, l'inizio di un giorno comune, bensì quella maledetta giornata portava con se la consapevolezza che di li a poche ore ci sarebbe stata la fatidica mietitura per il distretto 13 dello stato di Panem..."
Genere: Azione, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Hazel Levesque, Leo Valdez, Nico di Angelo, Percy/Annabeth, Talia Grace
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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POLLUCE
 

Polluce non aveva mai avuto un esistenza facile o felice, eppure era sicuro di non aver mai toccato livelli così bassi nel corso della sua esistenza.

In quel momento si ritrovava a vagare istericamente nei boschi, in preda ad una crisi d'astinenza da alcool.

Sapeva perfettamente che nella situazione vacillante tra la vita e la morte, in cui si trovava, non poteva ritrovarsi a pensare a cose secondarie come quella sua dipendenza.

Anche lui era capace di udire lo scoppio lontano dei cannoni che rimbombavano di tanto in tanto nel cielo, e anche lui, come tutti, a quegli avvisi di tenebre si sentiva spaventato.

Eppure il suo corpo sembrava avere priorità differenti, il suo stomaco si contorceva ripetutamente per via della mancanza di quelle maledette e determinate sostanze e la sua mente pareva supplicarlo di soddisfare quella sua necessità di bere, la sensazione era quella di un martello pneumatico che pressava su di lui, senza interruttori di spegnimento, ed il ragazzo non riusciva a sopportarlo.

In quei giorni si era spostato più volte nei boschi dell'ovest, arrancando senza una meta, tra quella secca vegetazione spoglia, inciampando più volte sui sassi rossicci, non riuscendo minimamente, in quel suo stato di crisi, a rendersi silenzioso o quanto meno poco rumoroso.

Si era ritrovato costretto, per più notti, a dormire in maniera completamente scoperta sotto degli alberi, quasi dimenticandosi della situazione in cui si trovava, accasciandosi in bella vista sulla prima parete reggente che incontrasse nel suo vacante cammino.

Nemmeno il freddo torrido di quella zona riusciva a distrarlo dai suoi pensieri ossessivi, tanto il suo cervello stava rischiando di cedere da un momento all'altro.

A mala pena si nutriva con le bacche ed i vari frutti che trovava sul percorso delle sue camminate, riuscendo almeno a riconoscere perfettamente le piante nocive da quelle commestibili, questo accadeva grazie ai numerosi ricordi dovuti a tanti anni prima, quando durante un passato più felice si ritrovava tutte le mattine costretto a svegliarsi presto per coltivare le varie serre del distretto dieci.

La cosa peggiore del non poter affogare per un ennesima volta nell'alcool, era il dolore immane che gli causava il tornare a ricordare tutti i suoi scheletri nell'armadio, quando invece l'unica cosa che la tua sanità mentale gli chiedeva era di dimenticare.

Polluce era nato in un caldo giorno risalente a quindici anni prima, nell'ospedale del confusionario distretto dell'agricoltura, insieme a suo fratello gemello Castore.

La sua situazione familiare, a partire dal suo primo istante di vita, si trovava ad essere già piuttosto complicata.

Suo padre, infatti, era sempre stato un ubriacone, una di quelle persone che non si era mai premurata di ciò che accedeva intorno a se, uno di quegli individui che preferiva rintanarsi in una vita fittizia fatta di svago e falsi ricordi, piuttosto che affrontare la realtà.

Nessuno nel suo distretto sapeva da quando avesse cominciato a bere, come nessuno sapeva le sue ragioni, eppure nemmeno per sbaglio, qualcuno aveva mai provato a capirlo od a stargli completamente vicino, era un anima sola e consumata, abbandonata a se stessa.

Un giorno, però, Isabel, una comune contadina proveniente da una famiglia benestante, ricevette con somma sfortuna, il privilegio d' innamorarsi follemente di lui, dando vita successivamente a due splendidi gemellini.

Isabel, aveva incontrato quell'uomo per la prima volta, all'interno di un locale notturno, uno di quei postacci che puzzavano solamente di malattia e di sudore, brulicanti di gente poco raccomandabile che si recava in quei luoghi per commettere traffici illegali ed incontrare individui loschi e ricercati.

Per il padre di Polluce, era solito recarsi in quegli infimi luoghi, gli capitava spesso di restarci anche fino all'alba, o per lo meno, fino a quando veniva sbattuto fuori a calci nel fondoschiena dai proprietari di quei fatidici posti, ed a quel punto, spesso era costretto ad addormentarsi sullo sporco ciglio della strada.

Isabel, invece, non era mai entrata in un locale del genere, e mai ci sarebbe voluta entrare.

Il fattore che l'aveva spinta a compiere quel gesto, era che in un freddo giorno invernale, mentre stava andando a consegnare una lettera nella scatoletta postale della nuova casetta di sua nonna, si perdette tra le vie marroni della sua città, e l'unico negozio che sembrava ancora aperto e si troava sulla sua traiettoria, che per altro notò solo per via delle luci scariche che lampeggiavano sull'insegna sganghera e luminosa, sembrava proprio quello.

Decise di avvicinarsi, nonostante percepisse lei stesa l'aura negativa che emanava quel postaccio, con l'obbiettivo di chiedere informazioni stradali, così da riuscire a rimettersi sui passi della calda abitazione del suo parente.

Il caso volle che alla sua genuina e confusa visita all'interno di quella specie di locanda, un malintenzionato si alzò dal bancone e le si avvicinò, provando immediatamente ad aggredirla.

Fortunatamente, lei venne prontamente ed eroicamente salvata dallo stesso uomo, di cui, da lì a poco, si sarebbe innamorata.

Con una “finezza” immane, da ubriaco fradicio qual'era, questi scatenò una rissa contro il viscido personaggio che stava importunando Isabel, ricevendo un sacco di botte ma riuscendo comunque ad uscirne vincitore.

Fu dunque in uno squallido bar che avvenne il loro primo contatto, che tutto poteva sembrare fuorché romantico, ma che si rivelò comunque importante.

Da quel giorno infatti, i due cominciarono a vedersi ripetutamente, entrambi trasportati da una specie di colpo di fulmine, che li spingeva ad avvicinarsi sempre di più l'uno all'altra.

La loro relazione fu parecchio travagliata, Isabel soffriva molto per la condizione di quel ragazzo che nonostante tutti gli sforzi che provasse a fare non era mai riuscito ad uscire da quella condizione di dipendenza da alccol, che lo teneva prigioniero di uno stupido circolo vizioso, e lo riduceva sempre più uno straccio.

Comunque l'uomo, nonostante il suo grave vizio, paragonabile ad una malattia, nel preciso momento in cui si riusciva a conoscerlo in maniera abbastanza approfondita, strabordava di doti positive, si notava quanto la sua indole fosse fondamentalmente buona, semplice, festaiola, allegra; caratteristiche appartenenti ad un uomo che non avrebbe potuto fare mai e poi mai del male a qualcuno.

Eppure un giorno, mentre si trovava in uno di quei soliti baretti scadenti e puzzolenti in cui puntualmente si recava, intento a trangugiare un ennesimo bicchiere di rum, incontrò una persona talmente inaspettata, che riuscì a far sfasare totalmente il suo equilibrio mentale.

A quanto pareva, quest'individuo, era un suo vecchio amico, o probabilmente parente, una persona con cui lui aveva trascorso l'infanzia, uno di quei pochi che conosceva la sua misteriosa storia ed il suo ambiguo passato.

Quest'ultimo, era diventato con il tempo un pezzo grosso della capitale, l'assistente di un importante politico, una persona con cui uno come quell'ubriacone misero non aveva più niente da spartire.

Quella sera, alcuni testimoni, per quanto la loro lucidità potesse permettergli di capire cosa stava succedendo, affermarono di aver visto questa facoltosa persona avvicinarsi all'uomo, intenta a schernire e provocare quella sua vecchia conoscenza, rammentandogli alcuni fatti che lui non voleva in alcun modo ricordare.

Nessuno in quella sera era riuscito a capire precisamente che cosa i due si fossero detti, ne perché ad un certo punto l'alcolista abbia avuto un così forte impulso di rabbia verso quell'uomo.

Un impulso isterico così forte che lo spinse a commettere un gesto terribile, quale l'uccidere quel fantomatico signore, spaccandogli una grossa bottiglia di vetro sulla nuca.

Subito dopo, l'uomo venne arrestato dai Pacificatori, che non tardarono ad arrivare in quel luogo chiamati dal barista, che come tutti in quel posto era oramai in preda al panico ed allo stupore generale. Questi ultimi lo prelevarono, senza ascoltare ragioni ne dare spiegazioni a nessuno.

Da allora, alcun individuo ebbe più sue notizie, nemmeno Isabel.

Alcuni sostenevano che le guardie l'avessero ucciso, altri che fosse diventato un senza voce al servizio dei capitolini, altri che stesse lentamente marcendo in una qualche cella di Panem, ma tutto ciò che si udiva, erano solo voci, non si seppe mai una precisa verità.

La donna si ritrovò così, sola ad affrontare un così triste destino, avendo da accudire gli ultimi due bellissimi regali che gli aveva offerto il suo amato, ossia Castore e Polluce.

Non fu facile per lei crescerli da soli, le tasse del governo erano sempre più alte e lei fu costretta a farsi aiutare nel lavoro dai suoi figli, a cui spiegò la loro situazione critica, fin da quand'erano in tenera età.

Comunque i due dimostrarono un ampia maturità già nella loro infanzia, ed assecondarono la madre nel suo lavoro d'agricoltura nelle riserve.

I due presto a diventarono più grandi, in tutti i sensi, rimanendo costantemente affiatati tra loro, offrendo una mano volentieri alle persone che ne avevano bisogno, diventando due ragazzi dai ferrei valori morali e dall'implacabile senso di dovere e giustizia.

Affrontavano con la testa alta le malevole prese in giro che gli arrivavano dai loro coetanei e dagli adulti invidiosi del distretto, che li accusavano ripetutamente di esser figli non desiderati, frutti offerti da un sudicio omicida, e che scommettevano che un giorno ambedue sarebbero diventati degli sporchi ubriaconi, proprio come era stato lui.

Certo tutte queste discriminazioni e tutti questi pregiudizi li facevano soffrire, soprattutto a Polluce, che tra i due era il più sensibile, ma qualunque cosa gli venisse detta o fatta, arrivava prontamente Castore a tirarlo su di morale ed a farlo smettere di piangere, e così accadeva in viceversa.

Polluce voleva veramente tanto bene al suo fratellino, la sola sua vicinanza lo faceva sentire bene; Adorava strofinargli i lunghi capelli biondicci sulla fronte, in un gesto d'affetto, tanto quanto adorava litigarci e prendersi a zuffe per una qualunque fesseria.

I due crebbero sempre più tenaci e coraggiosi, non trascurando però il loro impellente lato caratteriale festaiolo e vitale, alternando precisamente i momenti di divertimento a quelli di serietà.

Presto i ragazzi si ritrovarono davanti alla verità che attanagliava tutta Panem, si interessarono ai problemi sociali, all'egoismo del governo ed alla povertà e la fatica dei distretti, e ne rimasero sempre più disgustati e contrariati.

Questi abominevoli fatti, legati al loro già presente spirito combattivo, li spinsero ad unirsi a un emergente gruppo di rivoltosi che si stava andando a creare nel proprio distretto.

Cominciarono a partecipare, ogni settimana, per quasi due mesi, a degli incontri camuffati, che venivano ogni volta scelti in gran segreto, ove individui ribelli appartenenti ad una sommaria fascia d'età, si riunivano per discutere di una possibile rivoluzione contro la capitale.

Questa organizzazione però, venne presto smascherata durante uno dei suoi raduni, probabilmente per via di una spia che si era abilmente infiltrata tra i partecipanti.

I Pacificatori, quel giorno, irruppero violentemente nel loro covo, cominciando a dare il via ad una strage senza scrupoli, che si scusava fintamente con l'obbiettivo di dover “ristabilire l'ordine”.

Cominciarono a picchiare con i duri e pesanti manganelli tutti coloro che erano presenti in quel luogo, senza fare scrupoli per vecchi, bambini o infermi.

Ovviamente alcuni degli individui presenti, cercarono di ribellarsi e di reagire, non volendo perdere in quell'affronto inferto dai capitolini, e tra questi orgogliosi partecipanti vi erano i due gemelli dalla chioma bionda e riccioluta.

Il tutto comunque, non servì a niente.

Castore in quel combattimento ardente ed ingiusto, morì, sotto gli occhi shoccati del fratello.

Il gemello lo guardava, mentre veniva ammazzato da percussioni, e si contraeva al suolo, sputando sangue sul pavimento e tenendosi lo stomaco.

Cercò di intervenire e di fermare quell'uccisione, ma venne bloccato prima da un altro Pacificatore, che lo mandò momentaneamente K.O. con i suoi colpi ben assestati.

Quando Polluce riprese conoscenza, per suo fratello era oramai troppo tardi.

Il suo corpo da ragazzino giaceva violaceo sul suolo, esanime, il suo respiro era assente ed i suoi occhi violacei fissavano spalancati in una morsa di dolore un punto imprecisato sopra di lui.

Il suo labbro era spaccato, così come il suo naso e molte delle sue ossa, la sua maglietta sporca di sangue, e le sue mani erano fredde e rigide.

Polluce tentò di svegliarlo, lo pregò per ore, gli fece il respiro bocca a bocca, cercò di ristabilire il battito, ma capiva anche lui che non c'era più nulla che avrebbe potuto salvarlo.

I giorni che seguirono furono terribili, Polluce scappò di casa e si ritrovò a dormire nel ciglio della strada come faceva un tempo il suo genitore, sentendosi smarrito.

Tornò un ultima volta nella sua dimora, per vedere sua madre, durante l'occasione maledetta dettata dal funerale del suo amato fratello.

Fu in quel momento che vide un Isabel, così trasandata che a stento identificò come sua madre, con gli occhi così spenti ed il cuore cotanto spezzato, intenta a seppellire nella sua amata terra un suo adorato figlio, costringendolo ad estinguersi per l'eternità in una tomba senza vita e ricordi.

Quella visione fu troppo insopportabile per il ragazzo, che si limitò ad andarsene in preda alle lacrime, senza presenziarsi agli occhi scuri della madre. Eppure ancora si ritrovava costretto a subire degli incubi terribili risalenti a quella giornata, e sopratutto indirizzati verso quella lapide marmorea che adesso si ergeva tra il verde sconfinato e sereno delle piantagioni.

Scappò definitivamente da casa, cominciando una vita concentrata nel vagare per le strade del distretto come un barbone, ottenendo qualche spicciolo per campare, solo ed unicamente grazie a qualche piccolo lavoretto illegale che gli veniva commissionato di tanto in tanto.

Con il passare del tempo e con l'inscurirsi della sua persona, finalmente cominciò a realizzare il fatto che tutto quello che era accaduto in quel covo ormai distrutto, corrispondeva a verità, che mai più avrebbe potuto piangere sulla spalla di suo fratello, che non ci sarebbe stato mai più per aiutarlo nei campi o magari per accompagnarlo ad una festa, che non avrebbe più potuto abbracciarlo ne vederlo.

A quel punto restava solamente il vuoto e la solitudine.

Quella sera stessa Polluce si recò nel suo primo locale notturno e cominciò a seppellire tutto il suo dolore in dei bicchieri di alcolici, proprio come faceva suo padre quando era ancora in vita, tanto che con il passare dei giorni non ne seppe più fare a meno.

Polluce in quell'istante inciampò su dei rami troncati a metà, probabilmente spezzati dalla furia che il vento aveva scatenato durante la nottata passata.

Scosse più volte la testa, cercando di cacciare per un ennesima volta le sequenze oscurate che racchiudevano il suo travagliato passato che gli stavano nuovamente riaffiorando, rompendo le barriere impenetrabili che aveva eretto nella profondità del suo stomaco.

In quel momento c'era decisamente altro a cui avrebbe dovuto pensare, la vera priorità era la sopravvivenza, stava vagando in dei boschi isolati dal mondo ma stracolmi di pericoli mortali, ma nonostante questo, era convinto che l'arma più letale risiedeva ancora all'interno della sua psiche.

Cominciò a proseguire il suo cammino fra la steppa grigiastra, dirigendosi a sua insaputa, nel luogo ove poco prima Clarisse e la sua alleanza avevano alloggiato.

Il freddo era soffocante, e riusciva a mozzare qualunque respiro, Polluce si era ritrovato parecchie volte a rimirare con disappunto la sua visibile pelle d'oca.

La foschia continuava ad aleggiare tra gli ampi alberi morti di quella zona ancora piana e sgretolata, rendendo più indefinito e fraintendibile l'ambiente circostante.

Il sole era appena sorto nel cielo, eppure sembrava già stanco ed offuscato, come se volesse restare immerso nel suo sonno, con il caldo letto costituito dal tepore che offriva il buio.

Il ragazzo portava con se solamente il grande borsone verdognolo che era riuscito ad acciuffare durante l'approdo nel campo.

Un tempo, quello zaino si era rivelato estremamente utile, dato che vi aveva trovato dentro un ampia scorta di cibo, eppure adesso che l'aveva oramai terminata, gli fungeva solo ed unicamente da contenitore per le varie piante ed i vari frutti che trovava occasionalmente in giro, ed il fatto che dovesse continuare a trasportarlo gli arrecava un discreto fastidio.

La sua mente era molto incasinata per via dei flashback lancinanti che aveva appena dovuto subire, e questo ostacolava ulteriormente il pieno delle sue capacità fisiche, tanto che si ritrovava a barcollare con le gambe molli sul freddo suolo spoglio di quel posto senza speranza, aggrappandosi meramente, di passo in passo, ad i ruvidi rami che sporgevano dai vari alberi.

Ad un erto punto, all'interno della quiete mattutina, accompagnata solamente dal canto degli uccellini e dallo strascicare del vento, Polluce, riuscì ad udire dei passi estremamente lievi ed attutiti provenire da una certa lontananza.

Si voltò di scatto, andando in contro ad un improvviso capogiro, eppure per via della nebbia biancastra che circondava quella zona di fitta altura, non riuscì a distinguere nessun essere vivente, ma solamente delle sbiadite sagome appartenenti ad elementi della natura, quali le possenti rocce che creavano la parete naturale di nord.

I passi continuarono a proseguire, sempre più intensi, finché Polluce cominciò a chiedersi se stesse effettivamente impazzendo o se quella sensazione di pericolo che percepiva fosse effettivamente reale.

Ad un certo punto, per pochi istanti, riuscì a carpire la direzione nel quale si concentravano quei rumori,e successivamente si affrettò ad avvicinarsi verso quella posizione, facendo una grande attenzione nel non farsi scoprire per primo.

Fu così, proprio mentre seguiva il suo istinto allertato, che ritrovò davanti ai suoi sottili occhi color nocciola, l'estesa e slanciata figura di Ethan Nakamura.

Il ragazzo aveva la chioma scura e la divisa dei giochi gocciolanti, probabilmente si era appena immerso in una qualche fonte di acqua, che momentaneamente non sembrava appartenere a quella zona del campo.

Manteneva i sottili ed affilati occhi grigi puntati sul chiarore dell'alba, ed aveva un aria assente.

Nel palmo destro, impugnava saldamente una pericolosa katana scura, che si abbinava perfettamente a quella sua aura di terrore.

Nei ricordi paralizzati di Polluce cominciarono ad affiorare alcune memorie, ma questa volta furono risalenti a stralci di vita molto più recenti.

Si ricordava di aver visto il ragazzo, proprio qualche giorno prima, solo che momentaneamente aveva seppellito queste sue constatazioni, e se non era riuscito a ricordarsi di quel particolare, fino a quel determinato momento, poteva significare solo che le circostanze in cui aveva incontrato Nakamura erano state così traumatizzanti che il suo cervello aveva preferito rimuovere quei dati dalla sua memoria a breve termine.

Eppure in quel momento qualche immagine risalì a galla, in maniera così lenta da risultare estenuante.

Si ricordava che il giorno in cui aveva avvistato quel ragazzo, era notte fonda, e lui, come al suo solito, si ritrovava a proseguire sgraziatamente sula foresta della zone ovest, tentando di non cedere in una crisi di rabbia.

Il suo umore era mal calibrato ed il suo respiro era affannoso, tutto girava sconclusionatamente, mostrando gli ambienti del posto dove si stava recando sempre più indecifrabili, probabilmente quella reazione esagerata del suo corpo era sempre legata alla sua astinenza da sostanze alcoliche.

Ad un certo punto il ragazzo si appoggiò ad un masso, sentendo le gambe cedere, e così facendo riuscì addirittura a calmare leggermente il battito del suo cuore e l'incessante scorrere della sua adrenalina, riacquistando un minimo di lucidità.

Si affacciò oltre la superficie di quella pietra, distendendo il suo addome intorpidito su quella ruvida e ghiacciata superficie.

Nell'oscurità di quella nottata, riuscì a scorgere una figura, che si specchiava rasserenata in un lago.

La fioca luce lunare era il suo unico mezzo di vedetta, e gli ci volle un po' di tempo per riconoscere in quella sfocata sagoma china, il volto della coraggiosa ed ingenua Rachel Elizabeth Dare, uno dei tributi del dieci.

Polluce sentì il cuore più leggero a quella vista, si sentì confortato nell'aver incrociato un partecipante che si sarebbe potuto rivelare potenzialmente suo alleato, o per lo meno troppo debole per fungere da suo nemico.

Rizzò immediatamente la schiena, intenzionato ad avvicinarsi alla piccola ragazzina dalle lentiggini sgargianti, eppure un rapido movimento, accompagnato da un orribile suono sordo, lo interruppe appena qualche attimo prima.

Una possente figura era balzata dalle ombre della foresta, e si era scagliata agilmente, munita di una pericolosa arma da taglio, sopra il corpo della fragile ragazzina dalla chioma rossastra.

Quel rumore accapponante che aveva udito poco prima, proveniva dall'impatto che aveva avuto il massiccio bastone della ragazza sul velenoso occhio del suo assalitore, colpo talmente ben assestato che probabilmente aveva spappolato qualche nervo all'interno di quell'organo.

In quel momento di alta tensione, Polluce poté rimirare una follia sovra umana prendere il sopravvento nel corpo latteo del ragazzo, che si trasformò metaforicamente, in una bestia omicida dal sangue freddo.

Le sue mani maneggiarono più volte quella tagliente arma di ferro, perforando più e più volte l'innocente corpo della ragazzina.

Poi, il cannone sparò, e quel mostro che aveva perso ogni briciolo di umanità si allontanò con una calma inquietante da quel corpo sbudellato, togliendosi di dosso i vari grumi di sangue ed i pezzi di organi un tempo appartenuti alla ragazza.

Si avvicinò a sua volta a quel lago maledetto, sciacquandosi allegramente il volto, riflettendo un ghigno malvagio sulla superficie tremolante di quel laghetto.

Fu in quel momento che Polluce riuscì a riconoscere in quella figura grottesca, lo storto viso del giovane tributo del sette.

Dopodiché lui, non sapendo cosa fare, si limitò a fuggire a gambe levate, con la nausea che premeva più del solito dentro la sua gola, e con una voglia sempre crescente di bere.

La mattina seguente da quell'avvento, si svegliò tranquillamente tra qualche albero e qualche rovo, perdendo momentaneamente ogni ricordo risalente all'accaduto spaventoso a cui aveva assistito durante la sera precedente.

Oramai però, dato che aveva potuto rimirare con i suoi stessi increduli occhi, a pochi centimetri da lui, la figura di quell'imperdonabile diavolo che aveva massacrato così ardentemente la povera Rachel, le sue barriere interiori non avevano potuto far nient'altro per continuare a fargli mentire a se stesso, nascondendo nei meandri del suo io i ricordi di quell'orrido fatto avvenuto.

Polluce si portò lentamente le mani tra la chioma riccioluta, stringendola solidamente in un segno di terrore e rassegnazione.

Il suo cuore scalpitava, impedendogli di ragionare, non trovava neppure la forza di respirare.

Cercò di azzardare qualche passo in retromarcia, con lo scopo di allontanarsi il più lontano gli fosse parso possibile da quella postazione, proprio come aveva fatto qualche notte prima.

Però, non ebbe, nemmeno per un istante, il coraggio di staccare i suoi tremanti occhi da quelli così magnetici e penetranti dell'altro, cercando così di muoversi alla cieca, basandosi sulla percezione dei suoi altri sensi, escludendo a priori la vista.

Fu proprio per questa sua disattenzione, che tra i vari passi che avanzò nel terreno dietro di lui, calpestò rumorosamente una pila di rametti, attirando immediatamente l'attenzione dell'assalitore su di se.

Ethan individuò in un batter d'occhio quel corpo estraneo alla natura, puntando il suo occhio felino sulla sua “prossima preda”, oscurato in gran parte dal biancore onnipresente della foschia.

Scrutò rapidamente il ragazzo biondo, che adesso era immobile,e che poté constatare con maggior paura l' illuminarsi progressivo ed il ravvivarsi nello sguardo dell'altro.

Poi, Ethan, avanzò qualche passo strascicante, munito della sua fedele lama giapponese ed accompagnato da un sorrisetto sarcastico e sadico, che si preannunciava divertito.

Il corpo di Polluce era come immobilizzato, ed il ragazzo non riusciva più a recepirne gli impulsi elettrici, il suo respiro continuava a restare in una apnea selettiva, e la pressione osava degli sbalzi immani.

Il ragazzo poté solo spingere più saldamente la presa fra la sua chioma dorata, ripensando per quella che forse sarebbe stata l'ultima volta, al viso così angelico ed ingiustamente danneggiato che un tempo era appartenuto al suo amato Castore.

 

Nda: Heeylà!

Sto postando oggi perché domani temo di non averne il tempo, perciò penso sia meglio anticipare che ritardare, o no? Mhh...

Questa settimana è stata super impegnativa, ho un istituzione chiamata “scuola” alle calcagna, che, vi giuro, sta tentando di farmi fuori, AIUTATEMl...sigh.

Comunque, questo capitolo è stato introduttivo per quanto riguarda il personaggio del signor D, che ebbene non è sparito, ma comparirà presto, magari chiarendo la sua storia passate e ciò che è accaduto dopo il prelievo dei Pacificatori.

Infine, povero Castore, e povero Polluce, che gemellini sfortunati. D:

Il biondino riuscirà a cavarsela con Ethan, magari trovando un metodo per farlo fuori una volta per tutte o quel pazzoide gli farà fare la medesima fine di R.E.D? Chissà.

Alla prossima <3

   
 
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