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Autore: somewhere over the rainbow    20/09/2015    3 recensioni
– Non c’era niente di alterato in tutta quella storia perché le cose non sarebbero mutate. Che lo volesse o meno, Magnus sarebbe sempre stato circondato dalla morte e avrebbe visto cadere, nell’oblio del sonno eterno, altre persone così come avrebbe assistito impassibile al decadimento di altre epoche. –
| 2459 parole |
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Carstairs, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ciao a tutti <3
Questa piccola OS nasce dopo la rilettura di ‘The Mortal Instruments’ e la primissima lettura di ‘The Infernal Devices’, lo so, sono una persona orribile dato che ho aspettato così tanto tempo prima di leggere le Origini, ma come si dice: meglio tardi che mai!
Questa piccola storia non è niente di speciale, ma appena mi è venuta in mente questa idea sentivo che dovevo metterla per scritto. Colgo anche l’occasione per ringraziare la dolcissima skyeward is life che mi ha fatto da beta - reader, grazie mille per la disponibilità e la pazienza!!
E per finire vorrei dedicare questa one-shot a sei magnifiche ragazze che come me amano il mondo che ha creato la Clare e con le quali amo sclerare non solo su Shadowhunters, ma anche su tantissime altre cose!
Emma, Rebs, Lucrezia, Giada, Arianne e Edward: questa storiella di sette misere paginette è per voi! <3
Ringrazio chiunque dedicherà qualche minuto del suo tempo alla lettura di questa storia e spero di tutto cuore che possa piacervi!

Buona Lettura! 


 

– Is It Just Smoke and Mirrors? –

 

Londra, 2023


 

La notte gelida e il vento pungente avevano convinto gran parte della popolazione inglese a rintanarsi nel calore confortevole delle proprie case, per evitare che quel gelido inverno oltrepassasse la soglia delle loro abitazioni.
Erano poche le persone che si avventuravano sulle strade coperte di neve, perlopiù impiegati notturni costretti dai loro lavori a raggiungere la loro destinazione. Altri ancora portavano a passeggio i loro cani, ansiosi di fare ritorno a casa e sprofondare nell’abbraccio accogliente dei loro letti.
C’era anche qualcun altro però che riteneva quel freddo un espediente perfetto per neutralizzare scomodi pensieri. Come l’uomo che, mani in tasca e infagottato nel suo giaccone scuro, vagava per le strade ghiacciate senza una precisa destinazione.
I suoi capelli neri erano coperti da una leggera spruzzata di fiocchi di neve e l’impercettibile fiato che usciva dalle sue labbra andava a formare delle impalpabili nuvolette nell’aria mentre i suoi occhi studiavano con maniacale attenzione ogni singolo dettaglio lo circondasse, quasi cercasse di riconoscere una via già percorsa o una casa già conosciuta.
Lo faceva sempre, ogni volta che ritornava a Londra dedicava una delle sue nottate a percorrere le desolate vie della città, anche se sapeva che non gli avrebbe portato quel senso di pace che ormai ricercava da anni e che agognava raggiungere con ogni fibra del suo essere.
La città che lo aveva accolto alla giovane età di dodici anni restituiva a Jem una versione troppo moderna e innovativa di se stessa.
Non era un mistero che ad una parte di lui mancasse la sua tanto amata Londra vittoriana, con la luce soffusa dei lampioni a gas, il nitrire dei cavalli e anche, difficile da credere ma vero, lo sgradevole odore di umidità stantia che caratterizzava i sudici vicoli nel 1878.
Erano passate diverse ore da quando aveva cominciato a camminare senza sapere dove dirigersi.
Ogni volta che si lasciava alle spalle la magnificenza dell’Istituto e il leggero mormorio sconclusionato di Jessamine non sapeva mai da dove avrebbe avuto inizio il suo percorso, e quali parti della città avrebbe visitato per l’ennesima volta, ma in compenso sapeva perfettamente dove si sarebbe concluso.
Il Blackfriars Bridge si stagliava imponente davanti agli occhi di Jem e per un attimo i suoi piedi si rifiutarono di proseguire oltre.
Rimase immobile per quelle che gli sembrarono ore, ma era perfettamente consapevole del reale trascorrere del tempo.
Era una cosa che aveva appreso nei suoi centotrenta anni di silenzio e oblio, ma quella sensazione di pura staticità non se l’era mai dimenticata.
Poteva quasi risentire il lento avanzare delle lancette di un orologio immaginario, eterno monito di quello che era e di quello che credeva sarebbe sempre stato.
Riprese a camminare senza rendersene quasi conto, deciso a superare quell’ostacolo che per lui rappresentava un’infinita girandola di emozioni contrastanti, quando un suono imprecisato attirò la sua attenzione e lo costrinse a fermarsi.
Poco lontano da lui un’ombra sfocata si stagliava solitaria contro lo scuro sfondo del cielo notturno. Avvicinandosi ulteriormente, Jem non tardò a capire che quella figura indistinta era in realtà un uomo.
Stava appoggiato al parapetto, con le mani a nascondere il viso ed era la perfetta rappresentazione della desolazione.
Jem si rilassò di riflesso, le spalle che si erano irrigidite all’improvviso per la tensione, credendo che l’ombra a pochi metri da lui fosse un demone. Ma ad uno studio più accurato non impiegò molto a riconoscere la persona che gli stava davanti.
“Cosa bisogna fare per essere lasciati in pace in questa città? Sono perfettamente consapevole di essere affascinante, ma voi inglesi dovreste cercare di contenervi.”
La voce carica di sarcasmo del suo interlocutore arrivò a Jem smorzata dal vento.
Il ragazzo non aveva ancora spostato le mani che gli coprivano il volto, ma aveva chiaramente sentito l’avvicinarsi dei suoi passi.
“Magnus.”
Pronunciò quel nome cautamente e con tutta la delicatezza di cui era capace, per poi prendere posto accanto a lui, appoggiandosi a sua volta contro il parapetto.
Magnus non lasciò trapelare nessuna emozione, quasi si fosse aspettato di vederlo comparire da un momento all’altro. Subito dopo si limitò a spostare le mani dal viso, per nasconderle nelle tasche del lungo cappotto nero che indossava.
“Ah, sei tu. Se dovevo proprio essere disturbato speravo che lo scocciatore fosse il tizio che vende le noccioline.”
Jem si voltò verso di lui studiando attentamente il suo profilo alla tenue luce della luna e con un’impercettibile scrollata di spalle decise di ignorare il commento dello stregone.
“Fa un certo effetto vedere Magnus Bane in queste condizioni. Non è da te.”
“Alexander è morto.”
Jem sentì la gola serrarsi e il cuore saltare un battito.
Quelle poche parole furono pronunciate come una definitiva condanna a morte, con una durezza glaciale e un tormento logorante.
Parole taglienti come lame affilate, insostenibili da sentire e insostenibili da sopportare.
“Lo so. Dopo la Guerra Oscura ho chiesto espressamente al Conclave di informarmi se mai vi fosse capitato qualcosa. Negli anni ho visto susseguirsi generazioni di Herondale, Lightwood, Carstairs, Blackthorn e Fairchild, e mi sono sempre preoccupato per loro. Di certo non ho smesso di farlo adesso solo perché non sono più un Fratello Silente.”
“Non sei venuto al funerale.”
Non c’era nessuna accusa nella voce di Magnus, solo autentica curiosità.
“Il mio dolore per la morte di Alexander Lightwood non può essere minimamente confrontato con la sofferenza che state provando voi. Sarebbe stato inopportuno da parte mia irrompere nel vostro cordoglio.”
Jem aveva preso in seria considerazione l’idea di farsi autorizzare dal Conclave l’apertura di un portale per Idris, così da poter partecipare al funerale di Alec, ma non aveva trovato il coraggio di farlo.
Quello che aveva appena detto a Magnus era vero, ma non era tutta la verità.
Un terrore acuto e penetrante lo aveva invaso al solo pensiero di trovarsi davanti Jace. Era sicuro che guardandolo dritto negli occhi avrebbe visto riflesso lo stesso identico aspetto che avrebbe dovuto avere lui alla morte di Will.
Alla morte del suo parabatai.
E Jem sapeva di non essere ancora pronto per vedere quel dolore farsi strada nel cuore di una qualsiasi altra persona.
Forse, in fin dei conti, non lo sarebbe mai stato.
La voce di Magnus, velata di angoscia e inquietudine, lo risvegliò dai suoi pensieri.
“Smetterà mai? Questo dolore insopportabile che ti corrode ogni singolo organo, lasciandoti senza fiato, si estinguerà?”
“Dovresti saperlo. Avevi già conosciuto la potenza dell’amore e il dolore della perdita.”
“Non con questa intensità e devozione. Nessuno sarà mai come Alec e io mi chiedo se riuscirò mai a superare la sua morte.”
“Potrei dirti che andrà meglio, ma entrambi sappiamo che sarebbe una bugia. Un giorno ti sveglierai e ti renderai conto che i piccoli particolari che custodivi così gelosamente della persona che tanto amavi cominceranno a perdersi nei meandri della tua mente. Farai fatica a ricordare ogni minimo dettaglio del suo viso e la voce che eri abituato a sentire ogni giorno diventerà un suono disturbato, come se il tuo udito ricevesse una frequenza diversa rispetto alla quale viene trasmessa la voce.”
“Non potrei mai dimenticarlo. Non Alec.”
“Succederà. Non saremmo dei semplici mondani, ma il trascorrere del tempo non risparmia nessuno, non fa distinzioni.”
“Come ci riesci? Come fai a sopportarlo?”
Non serviva che aggiungesse altro.
Il nome di Will aleggiava tra di loro come una spada di Damocle sopra le loro teste, pronta a colpire entrambi con spietata freddezza.
Con un sospiro stanco, Jem rivolse lo sguardo alle stelle che punteggiavano luminose il cielo notturno e prima di potersi bloccare diede voce ai suoi pensieri.
“Ho sempre pensato che per tutti noi ci saranno altre vite. Sono sicuro che un giorno, camminando su una strada affollata, alzerò distrattamente lo sguardo e i miei occhi incroceranno quelli di un altro uomo. Non importa l’aspetto che avrà, non importa se sarà giovane o vecchio, se avrà i capelli biondi come il più splendente dei soli o neri come il buio più intenso; oppure se i suoi occhi ricorderanno il verde penetrante degli smeraldi, l’azzurro infinito del cielo, il marrone vivido della terra smossa o il grigio metallico di un mare in tempesta. Accennerò un sorriso malinconico in sua direzione, di cui lui non capirà il reale significato e poi, con il cuore grondante di sollievo e allo stesso tempo sanguinante di dolore, gli volterò le spalle e continuerò per la mia strada. E sono tanto disperato da pensare che a distanza di anni l’uomo si ricorderà di quello strano sconosciuto che, un giorno di tanto tempo prima, gli aveva rivolto quell’inspiegabile sorriso. E oso sperare che riconosca in me James Carstairs nelle stesso modo in cui io ho riconosciuto in lui William Herondale. Saremmo persone diverse, con storie diverse, separati dal tempo e dalle circostanze, mai destinanti a condividere di nuovo quello che una volta avevamo, ma in fondo ai nostri cuori saremmo sempre e solo Will e Jem.”
Lo stregone rimase in religioso silenzio, ipnotizzato dal continuo frusciare delle onde del Tamigi.
Il fiume sotto di loro imperversava nella sua furia, un vortice indistinto di oscura devastazione.
Jem sapeva meglio di chiunque altro che nessuna parola al mondo avrebbe potuto porre rimedio al cuore spezzato di Magnus, ma soprattutto capiva quanto potesse essere difficile accettare quella improvvisa consapevolezza di abbandono e perdita.
“E se non ci credessi? Io non sono come te, Jem. Non ho mai creduto al fatto che la vita sia un’inarrestabile ruota che continua a girare e non posso riporre le mie speranze in una così fragile illusione.”
La disperazione nella voce di Magnus gli procurò una fitta dolorosa al petto, in corrispondenza della runa parabatai, ormai sbiadita dal tempo e dalla morte.
Anche lui avrebbe voluto esternare l’atroce dolore che lo aveva attanagliato alla morte di Will, ma si era limitato a rinchiudersi nel mutismo perpetuo dei Fratelli Silenti, relegando il dolore in uno scomparto nascosto nel profondo del suo cuore.
“Allora, nell’attesa, non pensare a come sarà l’avvenire senza Alec, ma ricorda com’era quando lui c’era. Tieni in vita la sua memoria e racconta alle generazioni future con quanta tenacia combattesse e con quanto ardore amasse. Onoralo con le tue parole e racconta di come un ragazzo dai lucenti occhi blu e dai capelli neri ha salvato un indisponente stregone in tutti i modi in cui poteva essere salvato.”
Magnus lasciò andare l’aria che aveva trattenuto nei polmoni fino a quel momento.
Si girò verso di lui e la vulnerabilità che scorse nei suoi occhi colpì Jem con la forza di una palla di cannone. Quasi riusciva a sentire il piombo scavargli la pelle, provocandogli dolori lancinanti e riducendolo ad un cumulo di sangue e ossa.
Al posto del Magnus che aveva imparato a conoscere in tutti quegli anni, rimaneva solo una sua pallida e sfocata imitazione che, in quel momento, gli stava restituendo uno sguardo velato di profonda sofferenza.
Senza i suoi glitter, anelli e vestiti cangianti a Jem sembrava di guardare Magnus attraverso una spessa lastra di vetro, come se il suo cervello registrasse un’immagine completamente distorta da quella reale.
Ma non c’era niente di alterato in tutta quella storia perché le cose non sarebbero mutate. Che lo volesse o meno, Magnus sarebbe sempre stato circondato dalla morte e avrebbe visto cadere, nell’oblio del sonno eterno, altre persone così come avrebbe assistito impassibile al decadimento di altre epoche.
Ma prima di poter dire qualunque altra cosa al fine di confortarlo, il suo amico cambiò espressione e ogni emozione negativa che lo aveva influenzato fino a quel momento lasciò il posto ad una maschera di rinnovata determinazione.
“Dove andrai?”
Jem non credeva di ricevere una vera e proprio risposta alla sua domanda, ma contro ogni sua previsione Magnus si sforzò di trovare qualcosa da dire.
“Non lo so. Potrei fare una capatina nel buon vecchio Perù.”
“Non eri stato bandito?”
Le sopracciglia di Jem si arcuarono per la sorpresa e per quanto ci avesse provato non riuscì a trattenersi dal ridere apertamente, provocando in Magnus un moto di pura irritazione.
“Beh, le autorità non hanno spiegato perché mai un onesto cittadino come me sia stato bandito da un accogliente paese come il Perù, quindi se non mi hanno dato una valida motivazione è come se non fossi stato bandito, giusto?”
“Da’ loro questa motivazione quando ti arresteranno, vedrai che saranno comprensivi.”
“Shadowhunters... moralisti di poca fiducia.”
Magnus accompagnò quelle parole sussurrate con un gesto stizzito della mano, come se stesse scacciando una mosca particolarmente molesta. Prese un profondo respiro e dando le spalle a Jem si avviò lungo il ponte, sparendo nel buio della notte.
Un leggero sorriso si formò sulle labbra del cacciatore.
Era tipico di Magnus dileguarsi, senza ottenere da lui un vero e proprio addio. Forse, evitando di pronunciare quel saluto definitivo, si illudeva che da qualche parte nel mondo le persone che aveva conosciuto nella sua vita continuassero ad esistere, anche se lui prima di tutti era perfettamente consapevole che quella fosse solo una menzogna. Ma se lo aiutava in qualche modo, Jem non poteva di certo fargliene una colpa.
Il vento gelido che aveva soffiato per gran parte della notte si era placato per lasciare il posto alla neve che, dopo una tregua di poche ore, stava ricominciando ad imbiancare la città.
Con il cuore in pace e la mente sgombra da qualsiasi pensiero che non fosse il suo ritorno a Los Angeles da Tessa, Jem era pronto per ritornare all’Istituto quando un luccichio grigiastro attirò la sua attenzione.
Sulla balaustra del ponte era stato posato un anello, nello stesso identico punto in cui Magnus era stato appoggiato fino a pochi secondi prima.
Con le mani intorpidite dal freddo, Jem afferrò il cerchietto d’argento, raffigurante dei segni che non tardò a riconoscere.
Delle fiamme incise sull’anello contornavano un’elegante lettera L.
Jem si voltò di scatto verso la direzione in cui lo stregone era da poco scomparso, ma sarebbe stato inutile cercarlo, sapeva già che la sua non era stata una semplice dimenticanza. Aveva lasciato intenzionalmente quell’anello nelle sue mani, una muta supplica perché Jem lo aiutasse a decidere il destino di quel simbolo che rappresentava una piccola parte di Alec.
Magnus si fidava abbastanza di lui da affidargli l’anello di famiglia dei Lightwood e sapeva che qualunque cosa avesse deciso di farci lo stregone avrebbe accettato la sua decisione senza battere ciglio.
Con un gesto deciso del braccio scagliò l’anello lontano, lo osservò cadere ed essere inghiottito dall’acqua inquieta del Tamigi. Lo vide scomparire sotto i suoi occhi, fermamente convinto che la marea lo avrebbe riportato a casa, dovunque essa fosse.
Ave atque vale, Alexander Gideon Lightwood.”
Il suo sussurro fu trasportato lontano dal vento e mentre si avviava verso l’Istituto si chiese distrattamente quando sarebbe arrivato il momento in cui quelle parole sarebbero state finalmente pronunciate in suo onore.

   
 
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