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Autore: grandR    23/09/2015    4 recensioni
“Non puoi passare il Natale da solo, R,” insiste Courfeyrac.
“E chi lo dice?”
“Io lo dico.” Enjolras, che è stato in silenzio durante tutto lo scambio, gli rivolge un'occhiata decisa, come quelle che fa quando trova una nuova causa per cui lottare. “Vieni da me.”

[It's like daylight, only magic #5, Hogwarts AU]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire, Les Amis de l'ABC
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'It's like daylight, only magic'
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Let it snow
parte seconda

 

 
I genitori di Enjolras fanno a turno per abbracciarli entrambi. L'ultima volta che Grantaire li ha visti era il primo settembre di quell'anno, quando è andato a salutarli prima che il treno partisse per Hogwarts. Ricorda il calore nei loro occhi, l'affetto nei loro abbracci, e il suo sorriso si amplia quando si accorge che nulla è cambiato.
“Mi dispiace piombare da voi all'improvviso,” si costringe a dire. Enjolras alza gli occhi al cielo, proprio mentre sua madre fa lo stesso, e la somiglianza tra loro è improvvisamente cento volte più evidente.
“Siamo così felici di averti con noi, Grantaire,” dice lei.
“Dovresti saperlo ormai.” Il padre di Enjolras fa un sorriso gentile.
I genitori di Enjolras hanno un aspetto ordinario. Sua madre ha i capelli di un biondo molto chiaro, lisci, l'espressione morbida ma acuta. Enjolras le somiglia. Ha preso da lei i suoi occhi. Suo padre invece è un uomo alto con occhiali rettangolari, visibilmente abituato a sorridere spesso. Da lui irradia sempre una calma rilassante.
Salutano di nuovo i loro amici, insieme ai i genitori di Combeferre, quelli di Courfeyrac e il padre di Cosette – il quale viene furtivamente occhieggiato da tutti gli studenti a causa delle storie che circolano su di lui a scuola, storie che Cosette alimenta quotidianamente con un sorriso beffardo – e poi i quattro si dirigono verso l'uscita della stazione. Il padre di Enjolras ignora le proteste di Grantaire e insiste per prendergli il baule, lasciandogli solo la gabbia di Atena; Grantaire risolve aiutando Enjolras a portare il suo.
Salgono su un'auto simile a quelle babbane del Ministero. Una volta dentro, la madre di Enjolras si gira a guardare la civetta con curiosità dal sedile anteriore. “Come si chiama?”
“Atena,” risponde Grantaire.
“Ma certo,” dice il padre di Enjolras mentre mette in moto la macchina. Annuisce con convinzione, poi gli fa l'occhiolino dallo specchietto.
Enjolras sbuffa. È un suono vagamente esasperato. “Papà, il tuo lato da storico nerd è sempre più evidente,” dice mentre si immettono nel traffico della città. Poi, rivolto a Grantaire, “Non stare ad ascoltarlo. È un professore di Storia babbana ed è fissato con tutte le mitologie ma esistite. Da quando sono entrato a Hogwarts, legge i libri di Storia della Magia prima di me.” Scuote la testa, come se sia una cosa da pazzi.
Grantaire alza le spalle. “Mi piace la mitologia. Ho letto parecchi libri babbani l'estate scorsa. All'inizio l'ho fatto per distrarmi, ma poi mi sono appassionato davvero,” butta lì.
“Ma è fantastico,” commenta il padre di Enjolras.
Enjolras gli dà un'occhiata curiosa. “Hai letto libri del mio mondo?” chiede. Nella sua voce c'è qualcosa che Grantaire non riesce a cogliere pienamente, una sorta di stupore, di meraviglia mista a quella che non è possibile sia ammirazione.
“Beh, sì,” risponde lui, senza capire. “Tu leggi libri del mio, no?”
Il sorriso di Enjolras è accecante. Rimane in silenzio per un po', osservando la città scorrere lentamente fuori dal finestrino, poi parla di nuovo. “Allora,” dice diretto ai suoi genitori, “Ci fate il terzo grado adesso o quando arriviamo a casa?”
“Pensavamo di aspettare almeno fino a cena,” dice suo padre. Dal suo tono si capisce che sta sorridendo.
“Potresti mostrare la casa a Grantaire mentre noi ordiniamo la cena, farlo sistemare. Spero non ti dispiaccia mangiare la pizza stasera, Grantaire,” aggiunge la madre di Enjolras.
“Assolutamente no, sono secoli che non la mangio.”
Quando è a casa, di solito Grantaire cena in cucina, il suo elfo domestico come unica compagnia. Non ricorda l'ultima volta che ha condiviso un pasto con entrambi i suoi genitori. Forse durante l'ultima noiosa, pomposa cena con i colleghi di suo padre a cui lo hanno costretto a partecipare, due anni fa?
Enjolras e i suoi genitori vivono in una grande casa di mattoni rossi in una bella zona di Londra. È uguale a tutte le altre ville del quartiere, ma il fatto che sia di Enjolras la rende speciale agli occhi di Grantaire.
La madre di Enjolras dice loro di entrare e che scaricheranno i bauli dopo cena e Enjolras prende la mano di Grantaire, quasi trascinandolo oltre il cancelletto, verso la porta di casa, senza nemmeno dargli il tempo di guardarsi intorno. Suo padre prende la gabbia di Atena e apre la porta, sorridendo di fronte all'impazienza di suo figlio. Grantaire sente un rossore colorargli le guance.
Senza lasciargli la mano, Enjolras lo porta oltre l'ingresso, mentre i suoi genitori appendono i cappotti e proseguono oltre. “Questa è la sala,” dice, mostrandogli una grande stanza dall'aspetto caldo e confortevole piena di strani aggeggi babbani. Grantaire riconosce solo la televisione. Poi lo porta in cucina, dove sua madre è già al telefono e suo padre sta apparecchiando la tavola.
“Posso dare una mano,” offre Grantaire, un secondo prima che Enjolras lo trascini via, su per le scale. La risata di suo padre li accompagna fino al secondo piano.
“Qui c'è... oh, Pierre!” Enjolras si separa da lui, andando incontro al gatto rosso che è appena apparso da una stanza. “Ehi,” mormora. Lo accarezza finché non lo sente fare le fusa, poi lo prende in braccio. “'Taire, lui è Pierre. Uhm,” arrossisce senza smettere di far scorrere le dita sulla testa del gatto, “In realtà si chiama Robespierre, ma lo abbiamo sempre chiamato Pierre.”
“Non sapevo aveste un gatto,” fa Grantaire, avvicinandosi a loro.
“L'ho trovato sotto casa nostra quando vivevamo nella vecchia casa. Avevo nove anni,” racconta Enjolras. “Sai quando... quando sei piccolo e usi la magia senza rendertene conto, o senza poterla controllare?” Quando Grantaire annuisce, abbassa lo sguardo, come se sia indeciso su cosa – e quanto – dirgli. “Beh, quel giorno era... insomma, mi sentivo triste. Solo. Avevamo litigato di nuovo in classe, tutti i miei compagni mi detestavano. Stavo tornando a casa da scuola e pioveva, e improvvisamente davanti al nostro cancello è comparso Pierre. Un momento non c'era, e quello dopo eccolo lì, tutto bagnato. È apparso dal nulla. Era piccolissimo, 'Taire, era tutto arruffato, e quando mi ha visto si è messo a miagolare.” Enjolras sorride al ricordo. “Quindi l'ho preso con me e l'ho portato in casa senza pensare. C'era solo mio padre, la mamma era ancora al lavoro. Mi ha aiutato ad asciugarlo, a dargli da mangiare, e poi come se niente fosse mi ha chiesto come volevo chiamarlo, e io ero così felice.” Questa volta nel suo sorriso c'è una risata. Grantaire nota che ha gli occhi lucidi. Non sa cosa dire, quindi anche lui inizia ad accarezzare il pelo rosso e soffice di Pierre.
“Tesoro?” dice una voce dietro di loro. La madre di Enjolras è in cima alle scale. Li sta osservando con espressione morbida. “Stavo giusto cercando Pierre. È ora di cena anche per lui.”
Dove Grantaire si sarebbe voltato dall'altra parte, tentando di nascondere la sua debolezza davanti ai suoi genitori, Enjolras rimane impassibile. Posa un bacio sulla testa di Pierre, rimettendolo a terra. Pierre segue di buon grado la madre di Enjolras giù per le scale.
“Allora,” riprende Enjolras, come se niente sia successo. “Qui c'è lo studio di mio padre.” Apre la porta di una stanza che profuma di cuoio e di libri, con i mobili di legno bianco. Le pareti sono occupate da una libreria ininterrotta e davanti alla finestra è posizionata una scrivania colma di pile ordinate di quelli che sembrano documenti e compiti in classe. C'è anche uno strano oggetto ronzante con lo schermo nero che Grantaire non conosce. Escono dalla stanza ed entrano in quella che si trova al lato opposto del corridoio. “Questo invece è lo studio di mia madre,” dice Enjolras. Lo studio è molto simile all'altro. È arredato di legno scuro e sulla scrivania, questa volta di vetro, è posato solo un arnese ronzante come quello che si trova nell'altro studio, oltre che a una tazza di caffè ormai freddo.
“Che lavoro fa tua madre?” domanda Grantaire, quando si rende conto che non ne ha idea.
“È pediatra.” Allo sguardo vuoto di Grantaire, Enjolras tenta di spiegarsi meglio. “Diciamo che... è una dottoressa per i bambini?”
“Sembra interessante.”
“Lo è. E poi lei è bravissima, la chiamano sempre a fare conferenze in giro per il Paese,” risponde Enjolras, orgoglioso. “Lì c'è il bagno, lì c'è la camera dei miei genitori,” indica poi. Si avvicinano alle due porte in fondo al corridoio. “Questa è la stanza degli ospiti, che adesso è tua.”
La camera è semplice: un letto a due piazze, un armadio, qualche scaffale, una piccola scrivania. È molto diversa dalla camera che Grantaire ha a casa dei suoi genitori, l'unico posto in cui si sente libero di essere se stesso; la sua stanza lì è molto grande, con lunghe tende scure, un letto a baldacchino simile a quelli di Hogwarts, centinaia di disegni appesi alle pareti. La sua libreria è piena da anni, quindi ha dovuto impilare i libri alla meglio sul pavimento, e le pile sono sempre più alte e pericolanti. Ci sono oggetti magici sparsi ovunque, e la sua finestra dà sull'ampio giardino all'inglese dietro la villa.
“Che ne dici?” chiede Enjolras, guardandolo mordendosi il labbro inferiore.
Grantaire reprime un sorriso in risposta al nervosismo dell'amico. “È ovvio che mi piace, Enjolras. È qui.” Lo segue fuori dalla camera, fino alla porta che si trova davanti a essa.
“E questa è la mia stanza,” dice Enjolras, aprendo la porta, e Grantaire sente che è di nuovo nervoso.
Non sa cosa aspettarsi dalla camera di Enjolras, ma ciò che si apre ai suoi occhi è una soluzione ovvia a qualcosa che la sua mente non è mai riuscita a immaginare con accuratezza.
La prima cosa che nota è che è ordinata, esattamente come lo è Enjolras. È arredata sui toni del rosso, con un tappeto soffice che copre gran parte del pavimento, una scrivania di legno su cui è appoggiato lo stesso oggetto che c'è negli studi, questa volta chiuso, e un armadio dall'aspetto massiccio di fronte al letto. Sugli scaffali ci sono oggetti babbani e oggetti magici: Grantaire riconosce lo Spioscopio che Courfeyrac gli ha regalato al terzo anno per Natale – ne aveva ricevuto uno anche lui – e la Ricordella che gli ha donato lui stesso l'anno prima, e anche una vecchia Penna Autocorreggente che gli aveva dato Jehan, insieme a cornici con vecchie foto sviluppate nel modo babbano. Grantaire sorride quando ne vede una di un undicenne Enjolras, emozionato davanti al numero del binario dell'Espresso di Hogwarts, insieme ai suoi genitori.
Enjolras rimane in silenzio mentre Grantaire passeggia lentamente per la stanza, assorbendo tutto ciò che può. Come da lui, ci sono libri ovunque: impilati sul pavimento, sulla scrivania, nell'ormai traboccante libreria. Libri di scuola, centinaia libri di narrativa sia babbana sia magica, libri di storia.
La parete in fondo è occupata da fotografie. Ce n'è una grande di tutti loro insieme davanti al treno, prima dell'inizio del loro quarto anno, anche quella sviluppata secondo i modi babbani.
“Non ci credo,” mormora Grantaire, avvicinandosi.
Ci sono decine di fotografie magiche appuntate accanto a quella più grande. Fotografie di Enjolras a Hogwarts. Ce ne sono tante di lui insieme a Combeferre e Courfeyrac, seduti al parco del castello o in biblioteca, e molte di più di tutti loro insieme. Ce n'è una di Bahorel mentre mette un braccio attorno alle spalle di Feuilly, scompigliandogli i capelli rossi. In una Jehan è intento a scrivere sul suo taccuino. In un'altra, Joly e Bossuet stanno ridendo a crepapelle in Sala Grande. Combeferre che studia nella sua Sala Comune. Marius che sorride con il mento appoggiato alle braccia conserte, gli occhi brillanti. Courfeyrac che fa il solletico a Jehan. Grantaire si riconosce in tante foto: si vede abbracciato a Cosette, o mentre ride con Musichetta, Joly e Bossuet. In una foto sta parlando con Éponine, annuendo, mentre in un'altra sta giocando a Quidditch, forse al terzo anno. Non ci sono molte foto di lui insieme a Enjolras. Solo una di loro due che studiano insieme, l'espressione concentrata, e una in cui lui, Enjolras e Courfeyrac ridono.
“Ti piace?” chiede Enjolras, accanto a lui. “L'ho fatto l'estate scorsa. Mi sono fatto mandare foto da tutti, e poi ho passato un pomeriggio a sistemarle qui.”
“È bellissimo,” risponde Grantaire, perché lo è davvero. “A casa non ho foto di noi, solo disegni.”
Enjolras sorride. “Ci sono anche quelli.” Indica l'altro lato della parete.
Grantaire quasi trattiene il respiro. A sinistra della foto grande ci sono gli altri scatti, ma a destra la parete è quasi interamente occupata da disegni. Dai suoi disegni. Ogni scarabocchio che ha fatto, ogni schizzo di cui si è dimenticato, ogni ritratto che ha tracciato distrattamente, tutti appuntati al muro rosso. È come se sia un angolo interamente dedicato a lui. “Enjolras,” sussurra, ma poi non dice altro, perché non ci riesce. Ha così tante parole nella testa, vorrebbe dire così tante cose, ma dalle sue labbra non esce nulla. Riconosce tutti i suoi disegni. Alcuni li ha dati spontaneamente a Enjolras, ma gli altri deve averli presi lui, dopo che Grantaire li ha lasciati sui tavoli, sulle sedie, sull'erba, sul pavimento, dimenticandoli. Mentre li osserva i ricordi cominciano a riaffiorare, provocandogli brividi. Ne hanno passate così tante insieme. Tutti loro. Non riesce a trattenere una risata soffocata quando vede un semi-ritratto di Combeferre, Enjolras e Courfeyrac rappresentati come animali: Combeferre è un gufo dagli occhiali rettangolari che agita piano le piume, Enjolras è un leone dall'aria solenne, Courfeyrac è un polpo che abbraccia gli altri due con i suoi tentacoli. È il primo disegno che ha fatto per Enjolras, quello che ha marcato l'inizio della loro amicizia. Grantaire fa scorrere il dito sulle tre figure, sentendo il vecchio tratto della piuma sotto il polpastrello.
“Ho iniziato a raccoglierli da quel momento,” dice Enjolras, spezzando il silenzio.
“Non posso credere che tu...” Grantaire scuote la testa. Si rende conto di avere gli occhi pieni di lacrime e fa una risata.
“E ho iniziato ad appenderli qui quando mi sono accorto che non ho molte foto di noi due insieme. A proposito, Cosette me ne ha date altre prima che scendessimo dal treno, oggi.” Enjolras estrae dalla tasca dei pantaloni un piccolo fascio di fotografie magiche. Sono tutte di quell'anno, tutte scattate da Cosette, e quasi tutte, nota Grantaire, sono proprio di lui e Enjolras.
“Oh,” è l'unica cosa che riesce a dire. In una si stanno sorridendo, fianco a fianco. In un'altra stanno di nuovo studiando insieme, solo che questa volta sono appoggiati l'uno all'altro e condividono una poltrona della loro Sala Comune. Quando Enjolras arriva all'ultima, arrossiscono entrambi. È di qualche giorno fa, quando si sono addormentati insieme mentre Cosette e Courfeyrac chiacchieravano. Enjolras ha la testa sulla sua spalla, mentre quella di Grantaire è posata contro i suoi capelli – e Grantaire ha anche un braccio attorno a lui, nota. Hanno entrambi un'espressione serena, pacifica. Ricorda di essersi svegliato nel cuore della notte con un peso caldo contro il suo corpo e di aver pensato di star sognando. Aveva accarezzato distrattamente i capelli di Enjolras, ancora profondamente addormentato, indeciso sul da farsi, ma alla fine lo aveva cautamente svegliato ed erano entrambi saliti a dormire nei loro letti.
“Sono delle belle foto.” Enjolras sta ancora arrossendo.
“Già,” mormora Grantaire. Guarda ancora la foto in cui sono addormentati. La loro è una posizione intima, una posizione che solo qualcuno che si conosce bene assumerebbe. Un osservatore esterno potrebbe anche dedurre che stanno insieme, dal modo in cui Grantaire lo abbraccia, o dal sorriso dolce e sereno sul volto di Enjolras.
Qualcuno bussa alla porta aperta della stanza, spaventandoli.
“La pizza è arrivata,” li informa il padre di Enjolras.
“Uhm, arriviamo.”
Lui fa per andarsene, ma poi li fissa, la fronte aggrottata. “Come mai avete ancora i cappotti addosso?”
Enjolras e Grantaire si osservano, poi scoppiano in una risata che ha un non so ché di forzato. “Abbiamo dimenticato di toglierli,” risponde Enjolras.
Quando sono di nuovo soli, Grantaire si sforza di rilassarsi. In fondo non è nulla. Sono solo foto. Loro sanno la verità.
“Beh, queste le appendo dopo. Andiamo a mangiare?”
Si dirigono di sotto, fermandosi ad appendere i cappotti nell'ingresso. La casa è luminosa nonostante fuori il buio stia approdando rapidamente.
Durante la cena, i genitori di Enjolras iniziano con le domande.
“Che cosa avete intenzione di fare in questi giorni?”
I due si guardano. Enjolras deglutisce un morso di pizza, poi risponde, “Non lo so. Non ne abbiamo parlato molto. Perché?”
“So che Grantaire non ha mai visitato la Londra babbana,” dice sua madre. Guarda Grantaire come per conferma e lui fa un cenno affermativo. “Potresti portarlo in giro, la stazione della metropolitana è qui vicino.”
Grantaire non è sicuro di sapere cosa sia la metropolitana, anche se l'ha già sentita nominare.
“So che tutto ti sembrerà strano o diverso,” gli dice il padre di Enjolras, con il tono di chi sa di che cosa sta parlando, “Ma il nostro mondo – il mondo babbano, cioè – non è così male.”
Grantaire si limita ad annuire. Non vuole parlare e rischiare di dire qualcosa di sbagliato.
“Ora, parlando di cose serie: come va a scuola finora?”
Enjolras stringe gli occhi alla domanda di sua madre. “Bene,” dice con attenzione. Finisce la pizza, pulendosi le mani con il tovagliolo. “Tutto come al solito. I professori ci mettono un po' ansia con i G.U.F.O, ma-”
“Anche tu metti ansia con i G.U.F.O a tutti noi,” lo interrompe Grantaire, senza riuscire a trattenersi. “Sei peggio di Combeferre e Joly messi insieme, Enjolras, sinceramente.” Arrischia uno sguardo verso i due adulti, che però stanno sorridendo con aria consapevole.
“Ma non dobbiamo che studiare e impegnarci per superarli,” finisce Enjolras, ignorandolo con espressione determinata, e Grantaire reprime una risata.
“Quindi...” La madre di Enjolras si allunga verso il mobile dietro di lei, prendendo un foglio di pergamena con lo stemma di Hogwarts “Quando avete – e cito testualmente – scorrazzato per il parco di proprietà del castello in sella a un manico di scopa che cosa stavate facendo, esattamente?” Dà una gomitata al marito, che sta tentando di mascherare una risata con un colpo di tosse.
Enjolras e Grantaire avvampano. “Se può valere a qualcosa,” dice Enjolras, “Non sapevamo che sarebbe andata a finire così.”
Sua madre si prende il viso tra le mani. Non sembra propriamente arrabbiata, nota Grantaire con sorpresa. “Quante punizioni avete preso in questi mesi, tutti e due?”
“Tre,” mormora suo figlio.
“Quattro,” lo corregge Grantaire. “Dimentichi sempre la punizione per non esserti presentato a una punizione.”
“E tu quante ne hai prese, Grantaire?”
“Tre.” Una con Enjolras per la faccenda del volo sulla scopa, una insieme a tutti gli altri per aver organizzato una manifestazione nei corridoi della scuola di prima mattina, svegliando l'intero castello, e l'altra ancora per aver risposto in modo saccente a un professore.
Il padre di Enjolras prende un altro plico di fogli, tutte lettere dalla scuola. “Ah, eccole. Abbiamo la scorrazzata con il manico di scopa, la manifestazione alle sei del mattino, la punizione per esserti presentato alle lezioni con un'uniforme usualmente indossata dalle ragazze rifiutandoti di toglierla, e infine la punizione perché hai deciso di non andare alla punizione.”
Cade il silenzio. Enjolras non sembra nervoso o preoccupato, forse perché la reazione dei suoi genitori non gliene dà motivo.
“Chi vuole del gelato?” domanda improvvisamente la madre di Enjolras. Senza aspettare risposta, si alza e prende un barattolo di gelato da un congegno babbano.
“È un frigorifero,” spiega il padre di Enjolras, notando lo sguardo curioso di Grantaire. “Ci aiuta a mantenere i cibi freddi. O meglio, quello sopra è il frigorifero, quello sotto è il freezer, che invece mantiene i cibi congelati.”
“E riescono a farlo senza la magia?” dice Grantaire, impressionato.
La madre di Enjolras si siede di nuovo, distribuendo cucchiai. Posa il gelato al cioccolato al centro del tavolo. “Allora,” inizia, “La faccenda della scopa ve la facciamo passare, ma solo per questa volta. Detto sinceramente, penso sia la prima punizione che prendi per qualcosa che non c'entra nulla con le cause sociali, Enjolras.”
“Dimentichi quella volta in cui lo hanno beccato su una torre in piena notte, cara. Riguardo alla manifestazione, vi suggerirei di trovare qualche alleato. Sai che crediamo in ciò che fate, Enjolras, ma avete bisogno di un supporto se volete davvero cambiare le cose.”
Grantaire fissa i genitori di Enjolras a bocca aperta, ma Enjolras non batte ciglio, anzi annuisce con un sospiro, come se non sia la prima volta che affrontano questa conversazione.
“Parlando dell'ultima punizione...” La madre di Enjolras sospira, sporgendosi oltre il gelato per accarezzare il viso del figlio. “Siamo molto orgogliosi di te.”
Enjolras si schiarisce la gola. “Grazie. Cioè. Lo so?”
Grantaire prende un po' di gelato, pensieroso, mentre Enjolras si tuffa in una tirata su come il suo professore di Antiche Rune fosse rimasto scandalizzato quando lo aveva visto entrare in classe con calze, gonna, camicia e maglione, proprio il professore che tre giorni prima aveva fatto commenti che nessuno, in classe, aveva apprezzato. Gli aveva dato una punizione, che Enjolras aveva contestato. Non ascoltato, non si era presentato alla punizione, e nemmeno alla punizione per non essere andato alla punizione; il professore aveva allora mandato a casa di Enjolras una lettera in cui raccontava della sua insubordinazione. Grantaire aveva trovato l'intera faccenda piuttosto divertente – Enjolras naturalmente non aveva gradito.
I genitori di Enjolras sono forse le persone più meravigliosamente bizzarre che abbia mai incontrato, ma Grantaire si abitua presto a loro e al ritmo delle loro vite.
La mattina lui e Enjolras si svegliano tardi, scendono a fare colazione – sempre preparata dal padre di Enjolras, che è in vacanza e che è un autentico mago in cucina – e poi escono. Un giorno decidono di fare un giro per il centro città, usando la metropolitana, che Grantaire trova assolutamente incredibile; poi Enjolras porta Grantaire a Camden, dove si perdono tra le bancarelle e le centinaia di turisti che le visitano; il giorno dopo Camden Market vanno al British Museum, e Grantaire ne rimane talmente affascinato che fa promettere a Enjolras che ci torneranno ancora; il giorno prima di Natale vanno a Hyde Park e quasi per gioco cominciano a tirarsi delle palle di neve, ma quando i bambini si uniscono a loro, i due si rendono conto di aver scatenato una vera battaglia. Grantaire inizia ad affezionarsi al mondo babbano, un mondo semplice e complicato al tempo stesso, dove si trova sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
La mattina di Natale Grantaire viene svegliato da dei forti colpi alla porta. “'Taire!” urla Enjolras dall'altra parte. Grantaire non si muove, sperando che se non riceve risposta, Enjolras se ne andrà, e sapendo, allo stesso tempo, che non accadrà mai. Quando la porta si spalanca decide di ignorarlo e si volta dall'altra parte.
“'Taire,” dice Enjolras, molto più vicino.
Lo sente salire sul letto, ma non accenna a muoversi.
'Grantaire.”
“Mmh?”
“È Natale! Mamma e papà sono usciti, ma hanno detto che quando tornano facciamo colazione tutti insieme e poi apriamo i regali!”
Grantaire geme, voltandosi verso di lui. Non accenna ad alzarsi. Apre piano gli occhi, battendo le palpebre alla luce improvvisa.
Il viso di Enjolras compare di scatto nel suo campo visivo. “Buon Natale, 'Taire.”
“Buon Natale,” mormora Grantaire, ancora non del tutto coerente. “Ti abbraccerei, ma ho troppo sonno.”
“Ma è Natale.” Enjolras si siede accanto a lui da sopra le coperte, appoggiando la schiena alla testata del letto. Non sembra intenzionato a lasciarlo in pace. “Non puoi avere sonno. Sarà fantastico. Apriremo i regali, poi probabilmente mio padre ci costringerà a cucinare il pranzo di Natale con loro – ma va bene, sarà divertente – e poi potremmo fare un pupazzo di neve nel giardino sul retro, oppure guardare uno di quei film che passano sempre a Natale in televisione-”
“Enjolras,” lo interrompe Grantaire, ancora sussurrando, “Faremo tutto quello che vuoi, solo... shhh.”
“Ma 'Taire-”
“Shhh.” Grantaire si muove nel letto fino a raggiungere Enjolras, arrancando goffamente sotto le coperte pesanti. “Shhh,” ripete, poggiando la testa sulle sue gambe.
Chiude gli occhi di nuovo.
Quando li riapre, fuori c'è il sole e sente dei rumori soffocati provenire dal piano di sotto. La dita di Enjolras sono tra i suoi capelli. Sta accarezzando i suoi ricci scarmigliati, grattandogli piano la nuca. Grantaire reprime l'improvviso desiderio di fare le fusa come Pierre, che sente appallottolato lì vicino. Ora capisce perché a Enjolras piaccia tanto quando lui gioca con i suoi capelli.
“Lo so che sei sveglio.”
“Lo so anche io,” risponde Grantaire. Si stropiccia gli occhi. “Scusa se mi sono addormentato, avevo dimenticato come diventi a Natale.”
Enjolras gli dà un colpetto sulla testa. “Non c'è problema, tanto hai dormito solo un'altra mezz'ora.”
Grantaire alza il viso e si ritrova Pierre a qualche centimetro di distanza. Lo sta osservando con interesse, gli occhietti concentrati su di lui.
Fa scorrere la mano sul suo pelo morbido in una carezza. “Buon Natale, Pierre.” Si alza in ginocchio con difficoltà nel suo vecchio pigiama verde. Enjolras è ancora seduto. I suoi capelli sono una nuvola bionda di disordine, ma il suo sguardo è lucido. “Buon Natale, Enjolras,” gli sussurra. Poi lo abbraccia. Sono in una posizione scomoda, ma l'abbraccio dura comunque molto più del necessario. Enjolras è caldo. Grantaire chiude gli occhi contro la porzione di pelle tra collo e spalla e ispira quel profumo che conosce così bene, il profumo di Enjolras.
“Buon Natale, Grantaire,” bisbiglia lui, stringendolo forte.
Prima di separarsi da lui, Grantaire sente, più che vederli, i brividi sulla pelle di Enjolras.
Quando scendono per la colazione i genitori di Enjolras abbracciano entrambi calorosamente. Il padre di Enjolras ha un bizzarro maglione arancione con ricamate quelle che dovrebbero essere renne azzurre.
“Che si fa oggi?” chiede Enjolras in tono impaziente. Addenta voracemente un toast.
“Potreste aiutarci con il pranzo dopo aver aperto i regali,” risponde suo padre.
Enjolras e Grantaire si scambiano un'occhiata furtiva. “Ci piacerebbe molto,” annuisce Grantaire.
“Dov'è il tuo maglione?” domanda la madre di Enjolras. Anche lei ne sta indossando uno simile a quello del marito, blu, le renne rosa in netto contrasto.
Enjolras mormora qualcosa di incomprensibile, poi si alza e va verso le scale. Quando scende di nuovo, sopra la maglietta si sta infilando un maglione rosso acceso con piccoli pupazzi di neve verdi. “Non dire niente,” dice a Grantaire, che ovviamente scoppia a ridere.
“Ti dona,” gli risponde, appena riesce a riprendere fiato. Si allunga per scompigliargli i capelli senza pensarci. Quando alza lo sguardo si accorge che i due adulti li stanno guardando con identici sorrisi sul viso.
La madre di Enjolras è la prima a finire di mangiare, perché vuole andare a salutare i suoi pazienti. Mentre passa dietro di loro dà un bacio sulla testa a Enjolras, poi fa lo stesso con Grantaire. Lui si sente arrossire. Non è più abituato a questi gesti, alle semplici, fugaci manifestazioni d'affetto quotidiane. Non lo è mai stato, perché non ne ha mai avuto motivo. Enjolras finge di fare una smorfia disgustata quando i suoi genitori si baciano sulle labbra, ma Grantaire nota che in realtà sta tentando di nascondere un sorriso nel succo d'arancia.
Una volta finita la colazione, Enjolras e Grantaire salgono per sistemare le rispettive camere. Grantaire non può credere a quanto gli piaccia stare lì, a quanto si senta il benvenuto nella loro famiglia. I genitori di Enjolras sembrano volergli bene davvero. Sono sinceramente contenti di averlo lì, lo trattano quasi come se sia un figlio loro. Grantaire non ha mai provato una sensazione simile a ciò che sente quando sono tutti insieme a cena, o la sera mentre guardano la televisione o discutono di fatti babbani e non.
Quando la mamma di Enjolras torna dalla clinica in cui lavora, tutti e quattro si siedono attorno all'albero di Natale. Lo hanno fatto insieme la mattina dopo l'arrivo da Hogwarts. Era stato strano non poter usare la magia e dover fare tutto manualmente, arrampicandosi sui divani per raggiungere i punti più alti dell'albero, ma Grantaire si era divertito immensamente – soprattutto quando Enjolras aveva perso l'equilibrio ed era atterrato pesantemente sui cuscini della poltrona, tra le risate generali.
Ci sono tantissimi regali per tutti, ma aprirli tutti insieme, come una famiglia, è una cosa nuova per Grantaire.
I genitori di Enjolras gli hanno regalato un maglione, che sembra essere una loro tradizione di Natale. È verde con piccoli fiocchi di neve rossi e Grantaire se lo infila subito prima di abbracciare entrambi per ringraziarli. Abbraccia anche Enjolras. Lui gli fa un sorriso sereno mentre apre il regalo di Combeferre, un grande libro dalla copertina riccamente decorata.
“È un'edizione antica di Storia di Hogwarts,” spiega di fronte al suo sguardo curioso, “Sapeva che volevo leggerlo.”
Grantaire scarta la Sensore Segreto regalatogli da Bahorel, poi un libro sulla storia del Quidditch da Combeferre, sorridendo quasi senza rendersene conto. Combeferre regala sempre dei libri a tutti loro, ogni anno. Sembra non voglia perdere l'occasione di farli leggere.
Marius ha regalato a entrambi una scorta infinita di dolci. Ne mangiano un po' tutti insieme, ridendo delle espressioni dei genitori di Enjolras quando assaggiano le Gelatine Tuttigusti+1, prima di essere risucchiati in cucina per preparare il pranzo di Natale. Il padre di Enjolras canta le canzoni della radio mentre affettano le verdure. La madre di Enjolras alza gli occhi al cielo, mascherando una risatina, ma poi si unisce al marito.
“È così che dovrebbe essere una famiglia, quindi?” si chiede Grantaire. Non intende dirlo ad alta voce, ma quando tutti si voltano verso di lui è troppo tardi per rimangiarsi le parole che gli sono uscite così spontaneamente.
“Ogni famiglia è diversa, tesoro,” risponde la madre di Enjolras. Ogni volta che lo guarda ha una certa luce negli occhi, la stessa che ha quando parla con suo figlio. È strano, essere guardato così. Ma non brutto o fastidioso. Solo diverso.
“Grantaire,” inizia il padre di Enjolras. Ha un'espressione attenta sul volto. Grantaire trattiene il respiro. “Non conosciamo la tua storia. Non conosciamo i tuoi genitori. Ma vogliamo che tu sappia che sei e sarai sempre il benvenuto qui da noi. Ormai sei della famiglia.”
Quando Grantaire solleva i suoi occhi lucidi su di loro, tutti e tre gli stanno sorridendo apertamente. E, per una volta, nemmeno lui nasconde le sue lacrime ai membri della sua nuova famiglia. 




-- note: Questa è stata la prima (breve) storia a capitoli della serie, non so se ne scriverò altre così. Purtroppo la scuola ha già iniziato a massacrarmi. Ma per ora beccatevi un po' di fluff natalizio. Tempi oscuri ci attendono
Come al solito, volevo ringraziarvi per le recensioni (penso di amarvi profondamente, siete pochi ma buoni uwu), per preferite/seguite/ricordate, e un grandissimo grazie a chi mi ha inserita tra gli autori preferiti. Se avete qualche critica costruttiva o qualche consiglio, non esitate a farvi avanti! 
Questo capitolo mi ha resa piuttosto nervosa, perché i genitori di Enjolras nella maggior parte di fics che leggo sono freddi, distanti, completamente l'opposto di Enjolras, in breve. Io non li ho mai visti così, spero vi siano piaciuti! Faranno altre apparizioni, in futuro uwu
E... abbiate pazienza. Pierre è il gatto che vorrei. 
Come ho detto, tempi oscuri ci attendono. Ma forse riesco a scrivere ancora qualcosa di tranquillo, prima di iniziare a parlare di cose serie. La domanda che mi fate tutti è, ovviamente, "Quand'è che li vedremo insieme?", e io vi dico, finalmente, presto.

 
   
 
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