Capitolo
12
-
Sei impazzito? Se volevi
liberarti di me, non avevi che a dirlo! – ansimò,
mentre si tirava a sedere
sull’asfalto ruvido facendo leva sui palmi delle mani.
Gli
sarebbe venuto un
infarto di quel passo, poco ma sicuro. Una tragica morte precoce, tutto
per
colpa di quelle che tecnicamente era il suo migliore amico.
Non
solo Eric era partito
come un razzo verso i binari, ma lui aveva avuto anche la brillante
idea di
seguirlo. Di che diamine aveva paura? Che qualche mal intenzionato lo
sequestrasse come se fosse una ragazzina? Era più probabile
che fosse il
contrario, eppure non aveva pensato neanche per un istante di lasciarlo
andare
da solo; non in quelle condizioni e dopo quella serata disastrosa
almeno.
Si
passò una mano tra i
capelli, che restarono ritti e sconvolti a causa del sudore, e si
trascino con
le braccia, strusciando il sedere per terra, fino a un basso muricciolo
dove
appoggiò la schiena.
La
superficie era ruvida e
irregolare a contatto con la maglia fradicia di sudore, ma non gli dava
particolarmente fastidio. Era freddo, e quel freddo gli dava un
po’ di sollievo
dopo quella corsa. Lui non aveva le stesse gambe lunghe di Eric, e non
amava
particolarmente correre… preferiva un bel combattimento o
passare qualche ora
al poligono a sparare.
In
compenso, il compagno
sembrava aver perso la lingua.
-
Eric? – lo chiamò,
sporgendosi con il busto in avanti.
-
Nessuno ti ha chiesto di
seguirmi. – gli rispose l’altro, ancora disteso a
terra e con il respiro
leggermente accelerato, come se gli avesse letto nel pensiero: quando
lo
anticipava in quel modo era un po’ inquietante.
Sean
si appoggiò nuovamente
al muricciolo alle sue spalle. – Forse dovresti
scusarti… – mormorò, sperando
quasi che l’altro non lo avesse sentito.
Eric
si mise in piedi e andò
a sedersi sul muricciolo a cui era appoggiato e dall’alto del
quale gli lanciò
un’occhiata scettica, – Sentiamo la cazzata delle
23.47. – disse, dopo aver
guardato l’orologio.
Sean
si raddrizzò. – Non ne
ho idea. L’opzione “striscia come un verme fino
alla Residenza” mi pare un po’
eccessiva tutto sommato, considerando che anche lei ci mette del suo.
– provò,
girando la testa e guardando verso la testa scura di Eric, una
quindicina di
centimetri sopra la sua.
-
Magari potreste evitare di
risolvere tutti i vostri problemi scopando e andare a mangiarvi
qualcosa da
qualche parte… fare un giro e vedere di trovarvi
d’accordo. –
Non
gli sembrava una brutta
idea…
Lo
sentì sghignazzare,
mentre lo vedeva passarsi le mani insanguinate sul viso.
L’espressione
di Sean
divenne sempre più stranita, mentre Eric scoppiava in una
risata priva di
allegria, quasi isterica.
Incrociò
le braccia
scocciato, mentre aspettava che l’amico si calmasse e
smettesse di ridersela.
Che cosa avesse da ridere o cosa trovasse di divertente in tutto quello
che era
successo, restava un mistero.
-
E poi cos’altro potremo
fare? – gli chiese, togliendosi le mani dagli occhi e
fissando il cielo, la
voce intrisa di finta ilarità. – Tenerci per mano
e mandarci i bacini da una
parte all’altra del Pozzo? – commentò,
prima di riprendere a ridere.
Ah-ha.
Molto simpatico, davvero.
Eric
sembrò avere un guizzo
energetico e si sedette sul muricciolo con un colpo di reni, prima di
buttare
le gambe accanto a lui e guardarlo dall’altro in basso.
Non
sembrava molto in sé;
sicuramente meno del solito e l’espressione divertita che
aveva sulle labbra,
cozzava in modo decisamente inquietante con la scintilla di follia che
aveva
negli occhi.
Fu
certo, nonostante il
buio, di scorgere come una scintilla di consapevolezza attraversare il
viso di
Eric, che per un momento sembrò preoccupato. Quasi un
po’ spaventato.
Poi
riprese a ridacchiare,
senza allegria. - Non è divertente?
–
chiese strusciando le mani sui pantaloni pieni di tasche e fissandolo
con le
labbra stirante in un sorriso.
-
No, non credo sia
divertente. E penso che non ti stia divertendo neanche tu! –
disse, alzandosi e
mettendosi seduto anche lui.
Si
guardarono per un lungo
attimo, durante il quale Eric sembrò sempre più
sull’orlo di una crisi di nervi
in piena regola che sul punto di scoppiare a ridere; ed era piuttosto
strano,
considerando che avrebbe dovuto già essersi sfogato a
sufficienza.
Eric
si alzò si scatto e
iniziò a fare avanti e indietro, ad ogni falcata
più agitato.
-
Non capisci, eh? Jeanine come
si tiene in contatto con me, secondo te? – gli chiese con la
stessa espressione
folle e divertita intrisa d’inquietudine.
Sean
si grattò la testa,
chiedendosi il perché di quella domanda. Intanto si era
alzato un leggero
venticello che sembrava ancora più fresco e frizzante contro
la pelle sudata.
Si passo rapidamente le mani sulle braccia per reprimere un brivido di
freddo.
-
Con il Cercapersone? Ma
che c’entra Jeanine? Credevo che la prossima riunione per
“tu sai cosa” fosse
tra qualche giorno! – esclamò.
Eric
sorrise un po’ e
incrociò le braccia sul petto, guardandolo con
accondiscendenza, come se
dovesse spiegare qualcosa di molto semplice a un bambino
particolarmente duro
di comprendonio.
-
Il Cercapersone è nel
giubbotto. – disse. Non era una domanda, era una
constatazione di fatto.
E
quindi? Dove dovrebbe essere altrimenti?
Lo
guardò senza capire, le
sopracciglia inarcate e l’espressione confusa, esortandolo a
proseguire e
dargli delucidazioni.
-
Il mio giubbotto ce l’ha
Kaithlyn! – sbraitò Eric, prima di ricominciare a
ridere in modo quasi
isterico, rompendo il silenzio teso che si era venuto a creare.
Oh.
Oh
merda.
Ecco,
quello era un
problema.
Frugò
nella borsa scura per
qualche secondo e ne estrasse un mazzetto di chiavi; infilò
la chiave con
l’impugnatura azzurra nella serratura ed entrò,
cercando di concentrarsi il
meno possibile sul dolore che provava dietro la scapola e sullo zigomo
dolorante. Forse le era rimasto un sassolino nella ferita, mentre per
quanto
riguardava lo zigomo si aspettava un bell’ematoma per il
giorno successivo.
Fece
qualche passo
all’interno dell’ingresso-salotto avvolto
nell’oscurità prima di sfilarsi i
tacchi e tornare alla sua consueta altezza. Fece scattare
l’interruttore sulla
parete adiacente alla porta e si diresse verso la finestra per far
passare un
po’ d’aria: c’era odore di chiuso.
Restò
con i palmi appoggiati
al davanzale per qualche secondo, beandosi della superficie fresca
sotto le sue
mani, prima di rendersi conto di avere ancora, ripiegata
sull’avambraccio, la
giacca nera di Eric.
La
sollevò all’altezza del
viso, ispezionandola attentamente prima di mettersi a frugare nelle
tasche; era
proprio curiosa di vedere cosa avesse lasciato a giro
quell’idiota di Turner.
Estrasse
il Cercapersone da una
tasca interna, situata vicino a uno dei fori per le braccia e lo
appoggiò sul
davanzale, stando ben attenta a non lasciarlo cadere.
Continuò
la sua ispezione
con calma, trovando il portafoglio nella tasca opposta e le chiavi
dell’appartamento di Eric in una tasca in basso.
Be’,
sicuramente sarebbe
dovuto tornare a riprendersela, perché lei non aveva la
minima intenzione di
riportargliela.
Ripiegò
l’indumento in due e
con calma si diresse verso la cucina dopo lo appoggiò allo
schienale di una
delle quattro sedie accomodandosi su quella opposta. Aveva ancora il
vestito
rosso, ma le faceva una gran fatica levarselo e cambiarsi,
così appoggiò la
testa sui palmi delle mani e restò lì, a fissare
il vuoto per qualche secondo.
La
spalla le bruciava
dolorosamente, ma non poteva medicarsi da sola e non aveva voglia di
andare in
infermeria; forse avrebbe chiesto a Jason l’indomani, come
compenso per
ascoltarlo straparlare di Clarisse per ore.
Ripensando
a Eric e alla
piega che aveva preso il loro rapporto nelle ultime dodici ore si
sentì
invadere dalla rabbia e dalla frustrazione che riuscirono a rompere
istantaneamente quel momento di calma; si alzò bruscamente,
facendo strusciare
in modo quasi fastidioso le gambe della sedia sul pavimento e si
diresse verso
la stanza che usava come sgabuzzino e nel quale aveva sistemato anche
una
lavatrice. Aprì il cestino azzurro chiaro dei panni sporchi,
fece rapidamente
una cernita di capi scuri, che comunque rappresentavano la maggioranza,
e lì
infilò nell’oblò
dell’elettrodomestico che richiuse violentemente. Prese un
misurino di detersivo e lo mise nel contenitore apposito, poi premette
“avvio”.
Come
una furia, sempre più
arrabbiata, si diresse verso la camera e tolse tutte le lenzuola con
rabbia,
gettandole a terra. Tolse le federe ai cuscini e li buttò
sulla cassettiera,
mentre la biancheria da letto finiva tutta a terra.
Si
diresse a passo di marcia
verso l’armadio e spalancò le ultime due ante,
prima d’infilarcisi con il busto
e prendere da un ripiano in basso della biancheria pulita.
Mise
il coprimaterasso
matrimoniale e sistemò le lenzuola bianche e immacolate, poi
si diresse verso la
cassettiera e infilò le federe ai quattro cuscini con
rabbia, come se fossero
loro i colpevoli del suo malumore.
Chiuse
accuratamente i bottoncini
delle federe, prima di impilarli nuovamente sul mobile mentre finiva di
rifare
il letto.
Quando
ebbe finito li
risistemò con cura e tirò su la coperta blu
scura, rimboccandola sotto i
cuscini con precisione quasi maniacale.
Si
passò le dita tra i
capelli rossi ancora sciolti e si avviò verso il bagno dove
iniziò a sistemare
tutto ciò che trovava fuori posto o che non era
perfettamente ripiegato.
Quando
ebbe sistemato a una
velocità impressionante tutto l’appartamento,
tornò verso la cucina e si
sedette di nuovo, nervosa.
Doveva
trovare qualcosa da
fare: era una vecchia abitudine che aveva preso da sua madre quella di
fare le
pulizie e tenersi impegnata quando aveva qualcosa per la testa. Sua
madre lo
faceva sempre, soprattutto quando discuteva con suo padre o si
arrabbiava con
lei o i suoi fratelli più grandi. L’unica
differenza è che sua madre faceva le
cose con calma e con metodo canticchiando come se non avesse niente.
Diceva
che, se avesse sempre tenuto a mente tutto quello che loro le
combinavano,
sarebbe rimasta vedova molto prima della sua nascita; se si aveva
qualche
problema, era meglio fare qualcosa per distrarsi, piuttosto che
alimentarne la
fiamma e peggiorare le cose. Diceva anche che rimettere in ordine tutta
la
casa, sistemare le loro stanze e quella che divideva con il marito era
anche un
modo per rimettere in ordine le proprie idee e trovare la soluzione
migliore ai
problemi che si erano venuti a creare, evitando ulteriori discussioni.
“Il
torto appartiene al passato. Lascialo lì e
dimenticalo.”
Parlava
bene sua madre, da
ex- Pacifica. Sempre così tranquilla ed equilibrata, sempre
con le idee chiare.
Un
vero peccato che lei assomigliasse a suo padre, vero?
Lei
non era sua madre, e non
riusciva a usare quel trucchetto per recuperare la calma. Per lei era
semplicemente un modo per riavere il controllo della situazione.
Sistemare,
riordinare... le faceva sentire capace di riprendere le redini che le
erano
sfuggite di mano, ma non riusciva a calmarla.
Forse
non funzionava sempre:
forse serviva anche la volontà
di
lasciarsi le cose alle spalle e chiare con l’altro e lei non
era sicura di
volerlo fare, non in quel momento. Eppure voleva capire. Doveva
capire; anche a costo di scannarsi fino al mattino seguente,
di mandarsi al diavolo e maledire con tutte le proprie forza il giorno
che
avevano deciso di iniziare a frequentarsi con quell’idiota di
Eric Turner.
Le
venne quasi da ridere
quando si rese conto di avere ancora il vestito addosso, che invece di
stare su,
le era calato mostrando il reggiseno a fascia che indossava sotto.
Pazienza
tanto era sola.
Si
spostò due ciocche di
capelli dietro le orecchie e si alzò, innervosita dal rumore
delle lavatrice
che sembrava scandirle il tempo. Non aveva sonno e non voleva andare a
letto.
Il suo umore avrebbe potuto migliorare solo dopo aver tirato un altro
paio di
schiaffi a Eric e avergli fatto tornare in sede il cervello.
Ammesso
e non concesso che
funzionasse ancora.
Le
prudevano le mani solo a
pensarci; si risedette sulla punta della sedia pronta a schizzare in
piedi,
anche se non ne aveva motivo. Nonostante non fosse un’amante
del rumore, tutto
quel silenzio iniziava a darle sui nervi, così si
rialzò nuovamente e si
diresse in camera per infilarsi qualcosa di più comodo e
ripartire alla ricerca
di qualcosa da fare.
-
Okay, manteniamo la calma…
Eric? Eric! Maledizione torna qui! –
Sentì
le urla di Sean
arrivargli alle orecchie mentre si avviava a piedi verso la Residenza;
non
poteva aspettare neanche un fottuto secondo. Kaithlyn avrebbe potuto
aver già
letto tutti i messaggi e, come se non fosse già un problema
quasi
insormontabile, non aveva neanche la benché minima voglia di
discutere con lei.
Si
voltò vero l’altro,
continuando a camminare all’indietro e picchiettando con
l’indice sull’orologio.
– Forse non è chiaro, Sean: se Evenson legge i
messaggi, o per caso trova la
password del mio pc e le viene la malsana voglia di curiosare sono fottuto okay? Irrimediabilmente, fottuto!
Non ho tempo da perdere! – gridò in risposta.
Gli
arrivò alle orecchie un
verso esasperato, prima che sentisse i passi rapidi di Sean
raggiungerlo e una
mano stringergli un braccio e bloccarlo.
-
Appunto, idiota! Perché
diavolo pensi che abbia
appena chiesto a Mia di venirci a prendere in macchina?! –
domandò con ovvietà,
passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
Si
bloccò, smettendo
immediatamente di provare a divincolarsi. In fin dei conti non era una
cattiva
idea.
Scrutò
attentamente Sean:
dopo tutto non aveva alternative, e tra una cosa e l’altra ci
avrebbero
impiegato meno tempo in macchina che a piedi… anche se
correre un altro po’,
magari fino a stramazzare al suolo, gli avrebbe fatto bene e gli
avrebbe dato
modo di riflettere su cosa inventarsi nel caso Kaithlyn avesse scoperto
quello
che di lì a tre settimane sarebbe accaduto.
-
Sta già arrivando, guarda…
- proseguì Sean, estraendo il suo di Cercapersone e
mostrandogli lo scambio di
messaggi tra lui e la ragazza. - … e ora mettiti tranquillo
e pensiamo a cosa
raccontare a quella psicopatica della tua ragazza! -.
Si
lasciò trascinare
passivamente verso il muricciolo su cui si erano fermati prima e si
sedette,
appoggiando gli avambracci sulle gambe.
Iniziava
a sentire la testa
pulsare fastidiosamente, come gli accadeva dopo ogni attacco
d’ira. Provò a
massaggiarsi le tempie, invano.
Sentì
Sean sedersi accanto a
lui, nella sua stessa posizione. – Che cosa succede se lei
scopre quello che
sta succedendo? – gli chiese, dopo un po’.
Non
ci voleva neanche
pensare. – Se lo scoprisse e gli altri Capofazione lo
venissero a sapere, tecnicamente andrebbe
eliminata. –
rispose, come un automa, passandosi una mano sugli occhi.
No,
decisamente non ci voleva pensare.
Sean
diventò pensieroso. –
Tecnicamente? Non ne sei sicuro? -.
Sospirò
pesantemente dal
naso, irrigidendo i muscoli. – No. Kaithlyn è un
valido elemento, è la Prima
Tiratrice Scelta, ha un’eccellente conoscenza informatica,
scientifica e una
mente brillante. Sarebbe uno spreco di potenziale non indifferente. E
suo padre
è uno degli uomini più influenti della
città, secondo te lascerebbe correre se
la figlia sparisse misteriosamente nel nulla? -.
Fece
una pausa, mentre l’immagine
del corpo senza vita di Kaithlyn gli balenava davanti agli occhi.
Scacciò
quell’immagine, che per quanto fulminea riuscì
comunque fargli stringere lo
stomaco in modo quasi doloroso e fargli salire il vomito. –
No, non sarebbe
possibile. Per quanto Jeanine potrebbe gioire della dipartita di
Kaithlyn, non
le conviene né da un punto di vista politico né
pratico. – concluse.
L’espressione
di Sean, in
quel momento, era sconcertata. – Che gliene importa a Jeanine
di Kaithlyn?
Voglio dire… le due pazze si conoscono? -.
A
quelle parole gli venne
quasi da ridere, anche se non c’era niente di divertente in
tutta quella
situazione. Jeanine non aveva fatto altro, negli ultimi giorni, che
lanciargli
strane frecciatine su Kaithlyn, e non essere ancora venuto a capo di
ciò che
intendesse, lo faceva diventare pazzo.
Perché
stuzzicarlo in quel
modo? Doveva esserci dietro qualcosa, o sarebbe stato un comportamento
assolutamente illogico e privo di fondamento.
Gli
sembrava in impazzire
ogni volta che ci pensava, che provava a comprendere cosa ci fosse
dietro.
Forse avrebbe dovuto fare uno sforzo e domandare a William se sapeva
qualcosa
in più di lui. Sapeva che anche lui era convolto in quella
storia. Lo sentiva
dentro la pelle, ed era una sensazione talmente tangibile e reale che
gli
sembrò quasi di vederlo, nel Quartier Generale, mentre
dialogava con Jeanine
esattamente come aveva fatto innumerevoli volte lui stesso.
Ghignò,
girandosi lentamente
verso l’altro. – Prima che si trasferisse qui
Kaithlyn era la favorita per la
carica di Capofazione degli Eruditi. Avrebbe sostituito Jeanine, un
giorno. –
Sean
spalancò la bocca e lo
fisso incredulo. – In che senso? Jeanine è
giovane, come avrebbe fatto a… -
iniziò, evidentemente confuso.
Non
aveva torto: negli
Intrepidi i Capofazione veniva deposti solo per tradimento o a causa di
impedimenti fisici che non gli permettessero di svolgere la loro
funzione, ed
in entrambi i casi venivano messi a morte o erano loro stessi a
chiederla.
Era
difficile, quasi
impossibile che un Capofazione intrepido rinunciasse prima del tempo al
suo
ruolo.
-
Negli Eruditi non è
necessario che un Capofazione muoia, o si dimetta, affinché
sia sostituito. È
sufficiente che sia presente all’interno della fazione un
candidato più idoneo
al compito, e il “mandato” decade quasi
automaticamente. Ovviamente ci sono
diverti test da superare, e non è molto saggio
tentare di occupare il posto di un Capofazione Erudito, ma
può succedere. L’unico
fattore importante, per gli Eruditi è il Q.I. e la
conoscenza del candidato,
altri fattori come ad esempio la popolarità o
l’influenza che esercita sugli
altri non sono neanche presi in considerazione. Kaithlyn ha ottenuto il
massimo
dei punteggi in ogni test psicoattitudinale dell’ultimo anno
dei livelli superiori
e questo l’ha resa per gli Eruditi un potenziale candidato.
È per questo che si
alzò tutto quel polverone quattro anni fa… solo
un pazzo rifiuterebbe
un’opportunità del genere e i suoi risultati erano
talmente alti che nessuno
avrebbe potuto pensare che in realtà fosse
un’Intrepida. –
-
Be’, magari non è
risultata Intrepida. – commentò Sean, come se
fosse la cosa più ovvia del
mondo.
Ebbe
un attimo di
smarrimento: Kaithlyn? La stessa Intrepida dal carattere indomabile e
ingestibile?
La stessa ragazza tanto talentuosa nel tiro al bersaglio da entrare
nelle Forze
Speciali a soli sedici anni? Un’Erudita?
Gli
sembrava assurdo. Nessuno
risultato
“Erudito” avrebbe potuto
essere tanto perfetto per la carica che ricopriva Kaithlyn. O sembrare
così ben
collocato all’interno della fazione. Le armi, la palestra, il
caos del Pozzo… sembravano
perfette per lei così forte e indomabile.
Cercò
d’immaginarsi Kaithlyn
come Erudita, magari con paio di occhiali sul naso, senza il piercing
sotto il
labbro, sulla lingua e sull’ombelico, priva di orecchini vari
e tatuaggi,
vestita con una camicetta bianca e una gonna blu lunga fino al
ginocchio con
tanto di giacchetta
abbinata.
Era
abbastanza intelligente?
Assolutamente sì, era molto più che intelligente,
lo sapeva bene e non aveva
dubbi sul fatto che se fosse rimasta tra gli Eruditi sarebbe arrivata
in alto.
Ma
se fosse davvero
risultata Erudita, perché rifiutare un futuro tanto
brillante e ricco di
soddisfazioni per gli Intrepidi? Per qualcosa d’incerto?
Lasciare
una situazione
familiare agiata e tranquilla, e un futuro brillante per lanciarsi dai
treni in
corsa, vivere da sola e doversi mantenere, non era un comportamento
logico. Non
era un comportamento da Erudito, un Erudito avrebbe fatto i salti di
gioia e
non si sarebbe spostato neanche morto da dove si trovava al posto di
Kaithlyn.
No,
era impossibile.
Potrebbe
essere entrambe le cose.
No.
Impossibile. Cercò di ignorare
la vocina malefica nella sua testa che cercava di insinuare il dubbio.
Se
Kaithlyn, la stessa Kaithlyn
con cui aveva condiviso il letto per tutto quel tempo, avesse avuto dei
comportamenti ambigui lui se ne sarebbe accorto. Sapeva riconoscere un
divergente,
e dopo mesi in sua compagnia…
Sei
cieco…
Si
prese la testa tra le
mani, mentre gli sembrava che tutto iniziasse a ruotare vorticosamente
nella
sua mente, trascinandolo nel baratro dell’angoscia e della
disperazione.
Non
poteva essere… non
poteva.
Erano
passate le undici da una
decina di minuti quando udì bussare energicamente alla porta
dell’ingresso.
Intuendo
chi ci fosse
dall’altra parte fece con calma: si alzò
lentamente e si diresse scalza verso la
porta, prendendosi tutto il tempo del mondo. – Chi
è? – chiese educatamente, schiarendosi
la voce e appoggiando un palmo alla superficie liscia della porta.
-
Io. – disse una voce cupa
dall’altro lato.
Il
primo impulso fu di
chiedere “io chi”, ma si trattenne: la situazione
era già abbastanza tesa senza
che incrementasse la dose.
Aprì
lentamente la porta,
ritrovandosi davanti Eric. Aveva le braccia rigide lungo i fianchi e
alcuni
ciuffi di capelli scuri gli coprivano il viso. Sembrava sudato, quasi
febbricitante. Fuori di sé come e più di prima.
Inarcò
un sopracciglio e si
mise una mano su un fianco. – Sì? Che vuoi?
– domandò.
Lui
alzò gli occhi su di
lei, e lo vide indugiare sul lato del viso su cui l’aveva
colpita, ma non disse
una parola. Si limitò a scansarla e a entrare di prepotenza.
-
Prego, accomodati… fai
pure come se fossi a casa tua! – sbottò
riacquistando l’equilibrio e seguendo
il tragitto di Eric con gli occhi fino alla stanza da letto. Lo
seguì,
appoggiandosi allo stipite della porta per vedere cosa aveva in mente.
-
Non preoccuparti. Prendo
la mia roba e me ne vado subito. – le disse senza voltarsi a
guardarla. Aveva
la voce vibrante come una corda tesa, come se stesse cercando di non
urlare.
Fece
una smorfia. –Bravo. È
l’idea migliore che ti sia venuta nell’ultima
settimana. –
Eric
la fisso con
un’espressione terrificante per interminabili istanti. I
capelli neri gli ricadevano
sugli occhi, dandogli l’aria fredda e letale di serpente che
punta la sua
vittima.
Gli
scossò uno sguardo di
sfida, avendo però il buon senso di rimanere zitta dopo
quella che, doveva
riconoscerlo, era stata l’ennesima uscita infelice.
Be’,
lui le aveva dato della
troia, dell’incapace e l’aveva pure sbatacchiata
contro il muro. Quello era il
minimo che potesse aspettarsi.
Il
silenzio regnò per alcuni
minuti durante i quali gli unici rumori che si udirono furono Eric che
infilava
la sua roba nel borsone e la lavatrice che continuava il suo lavaggio.
-
Se non trovi quella
stupida maglietta che ti piace tanto, sappi che è in
lavatrice. – lo avvisò,
dopo alcuni minuti vedendo che aveva smesso di armeggiare con i
cassetti.
Eric
si voltò e la guardò
contrariato. – Perché? – chiese
scandendo ogni sillaba come se lei avesse
voluto fargli un dispetto.
Be’,
in effetti…
-
Perché puzzava e faceva
schifo. –
-
Perfetto, allora tornerò
domani a prenderla. Piuttosto che passare un’altra ora qui,
mi faccio una
nuotata nel fiume sotterraneo. – disse, mentre finiva di
sistemare la sua roba
e sollevava il borsone uscendo dalla stanza.
Lo
seguì stizzita fino
all’ingresso, aspettando che avesse una mano sul gancio della
serratura. – Non
credo proprio, Turner. Se esci da quella porta, non voglio
più vedere nemmeno
la tua ombra da queste parti. Il massimo che posso fare per te
è darti un
sacchettino di plastica per infilarci la roba bagnata. –
Eric
lasciò cadere
pesantemente il borsone a terra. – Fantastico. Davvero
grandioso. –
Fece
marcia indietro,
avvicinandosi a lei quanto bastava a guardarla in faccia. –
Dimmi una cosa... –
iniziò, la voce vibrante di rabbia. – Ti serve
forse un po’ di spazio per farti
i tuoi comodi con qualcuno? – le chiese, a pochi centimetri
dal suo viso.
Inarcò
le sopracciglia, fintamente
perplessa. – Non so a cosa ti riferisci, Eric. Se magari ti
sforzassi di
parlare chiaramente anziché... -.
Senza
darle preavviso, Eric
la spinse contro il muro vicino alla porta e sbatté la mano
a pochi centimetri
dal suo viso. – A Miller! Ti sei divertita stasera con lui,
eh? Non vedi l’ora
che mi tolga dai piedi per... – le urlò, mentre
sembrava che il sangue gli stesse
salendo nuovamente alla testa.
Kaithlyn
lo spinse
all’indietro, stringendo i pugni per non prenderlo a
schiaffi.
Di
nuovo.
Si
massaggiò gli occhi con
una mano, cercando di mantenere la calma mentre sentiva la scintilla
della
rabbia e dell’irritazione riaccendersi pericolosamente. Era
stanca di tutte
quelle insinuazioni che la accompagnavano ovunque andasse da anni.
-
Intanto vedi di darti una
calmata, Turner. Io non sono uno dei tuoi patetici e ridicoli iniziati
a cui
puoi parlare come ti pare e piace, o puoi rendere partecipe delle
stronzate che
ti passano per la testa. – scandì con una strana
calma nella voce, che però non
sentiva dentro di sé.
Le
sembrava quasi di
tremare, e che il tremore si diffondesse dallo stomaco al resto del
corpo, fino
al cervello impendendole di ragionare con lucidità.
Forse
ancora doveva
metabolizzare quello che era successo, o magari era solo una scusa per
prendere
tempo e riflettere sul da farsi: non poteva lasciar correre. Non quella
volta.
Non dove essere stata sbattuta al muro, quasi picchiata e insultata.
Non era da
lei, non era così che funzionava.
Nonostante
ciò, Eric Turner
era ancora lì davanti a lei, a guardarla con gli occhi
intrisi di rabbia e
rancore.
Sembrava,
a guardarlo, che
la gelosia e la rabbia lo stessero consumando eppure c’era
qualcos’altro in
fondo alle iridi d’acciaio. Come se stesse tramando e i suoi
pensieri fossero
in parte lontani, altrove.
Lo
guardò attentamente,
mentre la sua mente iniziava a lavorare e formulare ipotesi esattamente
come le
era stato insegnato a fare per risolvere i problemi e capire
ciò che le stava
intorno.
Lo
vide lanciare un’occhiata
furtiva verso la cucina, che lei aveva alle spalle.
Il
giaccone. Aveva
appoggiato il giubbotto nero di Eric sulla sedia, ed era in quella
direzione
che lui aveva puntato lo sguardo.
Quella
fu la goccia che fece
traboccare il vaso; presa da una furia irrazionale e priva di
fondamento,
perché era consapevole di starsi basando su
un’idea infondata, si diresse
speditamente verso il tavolo della cucina, scansando con una dolorosa
spallata
il ragazzo e raggiungendo il suo obiettivo in pochi attimi.
Fece
scattare rapidamente lo
sguardo dal giubbotto nero al Cercapersone, indecisa su cosa fare.
Lo
schermo del dispositivo s’illuminò
improvvisamente e vibrò, rivelando sul display il nome di
Max; decise di
assecondare la rabbia che sembrava essersi impadronita di lei e che in
quel
momento sembrava averle quasi anestetizzato la spalla dolorante.
Afferrò
bruscamente il Cercapersone e lo scagliò contro Eric, che
nonostante l’avesse
seguita silenziosamente si teneva a diverse decine di centimetri di
distanza.
-
Ecco cosa sei venuto a
fare! – urlò guardando furente mentre lui
afferrava al volo il dispositivo
illuminato prima che cadesse a terra. Il display continuava a vibrare
disperatamente,
e poteva anche essere qualcosa d’importante, ma non le
importava.
-
Se venuto fin qui per questo, vero?
Con chi devi chiacchierare?
Con una di quelle sgualdrinelle da quattro soldi che ti sbavano dietro
solo
perché sei un Capofazione!? O perché la serata
non è stata abbastanza
soddisfacente e speravi di ottenere altro?
– gridò, ancora. Ormai si sentiva incapace di
frenare la lingua e l’unica cosa
che desiderava era ferirlo e umiliarlo, come lui aveva fatto con
lei… non importava
che in quella stanza ci fossero solo loro due e non importava neanche
che potesse
aver travisato completamente i suoi gesti.
Voleva
provocarlo,
costringerlo a cedere… come stava facendo lei a causa della
stanchezza.
Afferrò
malamente il
giaccone e lo guardò con aria critica, prima di iniziare a
scuoterlo facendo
cadere a terra il portafoglio, il budge per accedere a tutti i locali
della
Residenza, il distintivo di riconoscimento da Capofazione e un mazzo di
chiavi.
Lanciò
la giacca nera sul
tavolo della cucina con un gesto di stizza e raccattò il
portafoglio.
Con
calma studiata lo aprì e
iniziò a estrarne il contenuto, prima di lanciarlo addosso a
Eric con rabbia.
Poi
fu il turno delle
chiavi, che afferrò quasi senza guardare prima di tirarle in
faccia al ragazzo,
che non sembrava reagire. – Ecco! C’è
altro che ti serve qua dentro? – chiese
facendo un gesto con le mani riferito a se stessa e senza attendere una
risposta strinse le dita intorno al tessuto del giubbotto e lo
tirò un paio di
volte addosso a Eric, costringendolo a fare un paio di passi indietro
per non
ricevere un bottone o la cerniera in un occhio.
Fu
quasi contenta di vedere
un vago barlume di scintilla combattiva infondo alle iridi grigie e
fredde. Lo
sentì quasi ringhiare, prima che avanzasse verso di lei
tanto da arrivare a
pochi centimetri dal suo viso.
Era
furiosa. Furiosa e confusa,
e non sapeva dove battere la testa; in genere, quando aveva un problema
o le
capitava qualcosa cercava sempre la soluzione migliore per risolvere o
aggirare
l’ostacolo che si trovava davanti, che fosse fisico o
mentale, cercando di non
risentirne e ottenere il massimo. Così le avevano insegnato
negli Eruditi e
così continuava a fare anche dopo quattro anni dal giorno
della sua Scelta.
Funzionava, ed era un metodo che le era tornato utile in tutto: nei
combattimenti, nei test teorici e nel valutare chi gli stava intorno.
Quella
situazione faceva
eccezione però: non capiva, non riusciva a comprendere, a
trovare una
spiegazione logica a quello che era accaduto poco prima. Aveva
ipotizzato che
si fosse trattata semplicemente di un attacco di rabbia, ma era strano:
negli
ultimi cinque mesi non l’aveva mai visto perdere il
controllo, anche se aveva
avuto dei momenti in cui non sembrava perfettamente in sé,
come qualche giorno
prima quando aveva accennato all’onnipresenza di
rappresentanza Erudita nella
Residenza, ma non era mai successo niente di serio. Niente che la
potesse
spaventare o toccare, e lui era sempre stato fin troppo protettivo nei
suoi
confronti.
Per
quanto si sforzasse e
stesse cercando di spremersi non riusciva a capite e la cosa la stava
facendo
diventare pazza: odiava perdere il controllo della situazione e non
sapere come
gestire ogni eventualità la rendeva nervosa e paranoica
all’inverosimile. Non
era mai stata il tipo che si fida del prossimo a priori e in quel
momento,
quella fiducia che era riuscita a concedere faticosamente ad Eric in
quei pochi
mesi di frequentazione vacillava pericolosamente.
Eric
strinse le labbra. –
Hai finito? – mormorò, abbassando la mano che
reggeva la giacca che era riuscita
a toglierle dopo il secondo colpo. La voce era tornata bassa e letale,
come se
la rabbia di pochi attimi prima fosse stata risucchiata improvvisamente.
Era
incredibile come
riuscisse a passare dall’ira più feroce e nera
alla calma più assoluta e
calcolata.
Eppure
sembrava ancora
febbricitante, gli occhi appannati da chissà cosa.
-
No! Non ho finito per
niente! – strillò, stringendo i pugni e
allontanandosi da lui con un moto di
stizza. – Che diavolo ti è preso, si
può sapere eh? – gli ringhiò,
voltandosi
verso di lui infuriata.
-
Guarda che hai iniziato
te, stamattina. Se avessi tenuto quella boccuccia che ti piace tanto
usare
chiusa, non sarebbe successo niente. – commentò,
la voce bassa e cupa, quasi
ringhiosa.
Kaithlyn
spalancò la bocca e
si sentì infiammare fin dentro le viscere, era una rabbia
che partiva dallo
stomaco e si diffondeva rapidamente in tutto il resto del corpo fino ad
annebbiarle la mente.
-
Ora, se hai finito di fare
la gallina isterica, rivorrei anche il resto della mia roba.
– proseguì, con
calma calcolata.
A
quel punto non ci vide
più. Tornò verso di lui, arrivandogli a pochi
centimetri dal viso, prima di
spintonarlo contro fino alla parete vicino alla porta.
-
Non ti permettere. –
sibilò mentre gli tirava un’ultima spinta.
-
Stammi a sentire, se pensi
io possa tollerare di sentirmi dare della puttana da uno stronzetto
paranoico
pieno di complessi, al
quale ho
insegnato ad allacciarsi gli scarponi da addestramento e che solo per
il fatto
di essere diventato Capofazione credo di potersi permettere
tutto… -
Eric
sorrise un po’, nonostante
gli occhi gli si fossero rabbuiati. – Certo. Dato che sei la
mia istruttrice,
devo stenderti il tappeto rosso. Quasi l’avevo dimenticato.
– le sibilò e
sembrò quasi che parlasse più a se stesso che a
lei.
Kaithlyn
lo guardò, gli
occhi azzurri ardenti di rabbia e delusione.
Lo
spintonò ancora contro il
muro, facendogli sbattere la schiena. – Se volevi una brava
ragazzina moccicosa
che ti pulisse il naso e dicesse quello che vuoi sentire tu solo per
alleviare
la tua sensazione di essere un fallito, ha scelto la persona sbagliata!
–
gridò, ma Eric non la guardò nemmeno.
Gli
prese il mento con gesto
di rabbia e gli girò bruscamente il viso. – E
guardami in faccia quando ti
parlo! – strillò, ancora.
-
Non toccarmi – ringhiò lui
allontanando la sua mano con un gesto secco. – Non provare a
toccarmi. –
Kaithlyn
gli scoppiò a
ridere in faccia. – Povero piccino… sono troppo
cattiva per te? – lo derise, sporgendo
il labbro inferiore.
L’espressione
di derisione
che aveva dipinta sul viso si tramutò in una smorfia di
dolore quanto Eric la
afferrò la testa con entrambe le mani e ribaltò
le posizioni attaccandola al
muro e schiacciandola con il suo corpo. Sentiva le sue mani tremare,
come se si
stesse trattenendo dallo stringergliele intorno al collo.
La
costrinse ad alzare il
viso verso di lui, e l’occhiata che le riservò
ebbe il potere di farla tremare
d’inquietudine.
Sembrava
un pazzo. – Chiudi
la bocca, o lo farò io per te. – le
sibilò, come un serpente velenoso.
Fu
costretta a inarcarsi
leggermente verso di lui e allungarsi sulla punta dei piedi per
mantenere
l’equilibrio. Eric le stringeva con forza il viso e lo zigomo
le pulsava
dolorosamente, così come la spalla. – Non giocare
a chi è più cattivo con me,
Eric. So che ci sei abituato, ma perderesti miseramente ed io non
voglio sorbirmi
le tue lagne patetiche. – riuscì ad articolare.
Eric
sibilò tra i denti e le
arrivò tanto vicino che per un attimo temette che volesse
darle una testata in
mezzo agli occhi. – E c’è qualcuno che
ancora si domanda come tu, sia
arrivata dove sei…- mormorò
passandole senza delicatezza il pollice sul labbro inferiore e
squadrandola
crudelmente, con un’occhiata che lasciava intendere il
significato di
quell’affermazione.
Spalancò
gli occhi. Tra
tutto quello che si era sentita dire dietro, quella era la cosa che la
mandava
decisamente più in bestia.
Provò
a divincolarsi. –
Fottiti – gli sibilò in un lamento, provando a
strattonarsi inutilmente, dalla
sua presa.
Eric
la fisso per un lungo
secondo; gli occhi vuoti e freddi come il ghiaccio. –
Va’ all’inferno. –
La
lasciò bruscamente
andare, facendole strusciare la schiena contro la parete, e se ne
andò
sbattendo la porta prima che lei avesse il tempo di rispondergli.
Il
colpo alla schiena le
fece quasi venire le lacrime agli occhi: era stanca, le scoppiava la
testa e
schiena e viso le pulsavano dolorosamente.
Se
avesse avuto abbastanza
energie l’avrebbe rincordo per prenderlo a pugni, ma non era
la serata adatta.
Sentiva
l’inquietudine dei
suoi stessi pensieri avvelenarlo fin dentro le ossa. Era stato solo un
pensiero
quello di neanche due ore prima, che gli era passato nella mentre come
un
sottile, tenue filo di luce, ma aveva avuto la stesse potenza
devastante di un
veleno, che distrugge tutti i tessuti che incontra, corrodendoli. Aveva
alimentato da solo i suoi incubi, e fino a quando non fosse riuscito a
chiarirsi le idee, non avrebbe avuto pace.
Stava
impazzendo: se non si
fosse tolto quel dubbio atroce e logorante sarebbe diventato pazzo, ne
era
certo.
Le
parole di Sean sembravano
rimbombargli ancora nelle orecchie, e doveva assolutamente chiarirsi le
idee.
Avrebbe hackerato l’intero sistema di Chicago se fosse stato
necessario…
avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Ci
mise qualche secondo per
riordinarsi le idee una volta uscito dall’appartamento di
Kaithlyn. Doveva
assolutamente accedere all’archivio dati delle simulazioni
degli anni
precedenti e togliersi quel pensiero assurdo, che sembrava divorarlo
dall’interno.
Non
lei. Chiunque, ma non Kaithlyn.
Era
fuori di sé dalla
rabbia, amareggiato e deluso, ma sapeva di essersi spinto troppo oltre
con lei.
Non avrebbe dovuto lasciarsi sopraffare dall’ira che aveva
preso a scorrergli
come lava incandescente al posto del sangue e umiliarla in quel modo,
ma in
quel momento l’unica cosa che voleva era ripagarla con la
stessa moneta.
Sapeva
di essere riuscito a
creare una crepa nell’orgoglio di Kaithlyn, e se ne
compiaceva. Allo stesso
tempo avrebbe voluto riavvolgere le ultime ore e tornare alla sera
prima quando
l’aveva trovata ad aspettarlo nella vasca da bagno.
Considerando
chi era stato a
insinuargli il dubbio, si diresse quasi correndo verso
l’appartamento di Sean,
al piano inferiore.
Scese
le scale due gradini
alla volta, e si appoggiò al muro per svoltare
più in fretta possibile e
raggiungere il suo obiettivo: sembrava che le sua gambe avessero vita
propria,
che si muovessero indipendentemente dalle sue idee confuse e deliranti
e
sapessero perfettamente dove andare.
Aveva
la gola secca,
talmente arida che gli sembrava quasi cha l’aria che entrava
e usciva dai suoi
polmoni gli stesse graffiando tutte le vie respiratorie. Era fradicio
di
sudore, e l’aria fredda del corridoio che gli passo sulla
pelle bagnata lo vece
rabbrividire nonostante la corsa.
I
corridoi erano bui e
deserti fortunatamente, e non impiegò che pochi secondi per
raggiungere il
portone dell’appartamento con il campanello al nome
“Byrd”.
Batté
con forza un pugno
sulla porta di legno massiccio. Una, due, tre volte.
-
Sean! Dannazione apri!
APRI! – gridò, battendo un ultimo colpo
più forte.
Quella
che gli uscì non
sembrava neanche la sua voce.
Il
silenzio che aveva
intorno sembrava riempire ogni angolo del corridoio, rendendolo ancora
più
opprimente. Gli fischiava nelle orecchie per il silenzio. Avrebbe
preferito che
ci fosse più rumore; magari un movimento, qualcuno di
passaggio… qualsiasi cosa
che lo distraesse dai suoi incubi.
Si
guardò rapidamente
intorno e strinse i pugni, mentre qualcosa di caldo, di cui non si era
reso
conto fino a quel momento, gli scorreva tra le dita.
Sangue.
Forse
era stato a causa
dell’adrenalina ma non si era reso conto, fino a quel
momento, di avere un
unico taglio all’attaccatura delle dita, abbastanza profondo
da fargli tremare
le mani e scorrere il sangue fino a sporcare il pavimento.
Si
contemplò per un secondo
i palmi, maledicendosi per non essere riuscito a controllarsi. Aveva il
dorso
di entrambe le mani incrostato di sangue, fuoriuscito dalla croste che
si era
già procurato e che si erano inevitabilmente riaperte quando
aveva stretto le
mani intorno alla ringhiera che dava sullo strapiombo e aveva preso a
pugni il
muro.
Ora
che l’effetto quasi
anestetizzante dell’adrenalina, che gli aveva permesso di
ignorare il dolore,
stava scemando gli facevano anche dannatamente male. Si maledisse
mentalmente e
si costrinse ad abbassare le mani e ignorare il dolore.
Scosse
la testa. Se ne
sarebbe occupato più tardi, in quel momento aveva cose
più urgenti da fare.
Alzò
nuovamente il braccio,
pronto a colpire ancora la porta e anche a sfondarla, se necessario,
con un
paio di spallate. Aveva già tirato leggermente indietro la
mano per colpire
nuovamente la porta, quando questa si aprì.
Sulla
soglia apparve Sean, a
torno nudo e con la faccia di uno che è stato appena
svegliato da un sonno piuttosto
pesante. Alle sue spalle c’era Mia con quella che doveva
essere la maglietta di
Sean addosso e l’aria altrettanto sconvolta e assonnata.
-
Devi venire con me.
Adesso. – sibilò, con la solita espressione
imperscrutabile che lo
contraddistingueva.
Doveva
avere un aspetto
terrificante, perché entrambi lo guardarono come se avessero
visto un fantasma.
Sean
si riscosse, scrollando
la testa. – Sì… - mormorò,
cercando di nascondere uno sbadiglio. – Mi vesto e
arrivo… - brontolò, tornando dentro strusciando
le ciabatte sul pavimento.
-
Veloce! È urgente!
– ringhiò.
Era
nervoso, non voleva
aspettare. Non poteva, doveva sapere.
-
Ciao Eric… - biascicò Mia,
ancora sulla porta. – Vuoi entrare? -.
-
No, grazie. Digli di
muoversi. –
-
Ti senti bene? – gli chiese,
inclinando la testa da un lato e guardandolo attentamente.
-
Sì. Digli di muoversi!
– ringhiò ancora.
Lei
gli lanciò un’occhiata
poco convinta, si passò una mano tra i capelli castani, e
rientrò.
La
sentì borbottare qualcosa
a Sean, e che pochi attimi dopo riapparve sulla soglia.
-
Era l’ora! Muoviti,
dobbiamo prima passare da me! – gli sibilò,
afferrandolo per un braccio e
iniziando a trascinarlo verso il suo appartamento.
Sean
si passò una mano tra i
capelli. – A fare cosa? Dove stiamo correndo? Si tratta
di… - domandò,
improvvisamente serio lasciando la domanda in sospeso.
-
No… qualcosa del genere,
vieni con me e non fare domande. – rispose evasivo,
accelerando il passo.
Fecero
le scale correndo, e
quando arrivarono davanti alla porta, erano entrambi quasi senza fiato.
Eric
infilò le chiavi nella
serratura e aprì rapidamente la porta. Lanciò il
giubbotto sul divano con poca
delicatezza e senza neanche accendere la luce si precipitò
in camera sua.
Il
letto a una piazza e
mezzo era ancora disfatto dalla mattina, le lenzuola aggrovigliate
proprio come
l’ultima volta che si era rotolato tra le lenzuola con
Kaithlyn. Sentì lo
stomaco stringersi in una morsa dolora a quel ricordo.
Sembrava
impossibile che in
così poche ore, da quando lei si era fatta trovare nella
vasca da bagno nuda e
invitante come la più seducente delle tentazioni, solo per
lui, fossero arrivati
a quello.
Aveva
ancora le chiavi di
casa sua però, costatò guardando il suo mazzo di
chiavi.
Bene,
gli sarebbero state
utili più tardi dato che lei non gli avrebbe mai aperto.
Si
guardò intorno, cercando
di fare mente locale. Andò alla scrivania, situata accanto
alla porta e aprì il
cassetto, infilandoci una mano per cercare quello che gli serviva.
Forse
nel comodino?
Montò
sul letto e lo
scavalcò per fare prima, aprì il cassetto,
cercò quella stramaledetta chiavetta
ma nulla.
-
Che stai cercando come uno
psicopatico schizzato, se posso chiedere? –
domandò Sean alle sue spalle,
appoggiandosi alla parete accanto alla porta.
-
Una chiavetta. – rispose
laconico, passandosi una mano sulla testa pensando a dove poteva averla
cacciata. – Blu, c’è
un’etichetta bianca con scritto il mio nome sopra.
–
-
Quella che usi per i file
con gli Eruditi? – indagò l’altro.
-
Non esattamente. –
-
Attaccata al computer? –
-
No. –
-
Mmh… nella borsa per il
computer? –
-
No! – ribatté, pensieroso.
– Aspetta… -
Forse
aveva un’idea di dove
poteva essere: si era ripromesso di utilizzarla solo in caso di
emergenza, ed
ogni volta che aveva dovuto apportare delle modifiche al suo contenuto
l’aveva
sempre rimessa al suo posto, deciso due anni prima.
S’inginocchiò
sul pavimento
e guardò sotto il letto, intravedendo la sagoma della sacca
che aveva usato
durante la sua iniziazione. S’infilò con la testa
e metà del torace sotto il
bordo del letto e strisciò fino a raggiungerla.
Afferrò
la stoffa ruvida
della borsa, sollevando un sottile strato di polvere e si
ritrascinò fuori.
La
appoggiò sul bordo del
letto e la aprì, iniziando a tirare fuori i vestiti che
aveva il Giorno della
Scelta. Doveva tenerla dove nessuno avrebbe guardato: chi poteva andare
a
cercare sotto il suo letto in una vecchia sacca da palestra in cui
erano
contenuti i vestiti del suo Giorno della Scelta e poco altro?
Trovò
quello che cercava nel
taschino interno della giacca blu. – Prendimi il computer,
accendilo e
mettimelo sul tavolo di là, okay? –
mormorò, rigirandosi la chiavetta tra le
mani. – Stiamo per fare una cosa pericolosa. –
-
Tu stai per fare una cosa
pericolosa, amico. –
precisò Sean,
afferrando dalla scrivania il pc e dirigendosi nell’altra
stanza.
Una
delle cose positive di
Sean, era che non faceva troppe domande.
Per
quanto riguardava lui doveva
essere veloce e invisibile se voleva ottenere le informazioni che
cercava:
poteva farcela, e sperava davvero che l’archivio dati non
fosse nel sistema
interno degli Eruditi, o avrebbe avuto bisogno di molto più
che i nervi saldi.
Sean
lo aspettava seduto sul
divano, lo schermo del computer acceso sulla schermata che chiedeva la
password
dell’account.
Prima
di raggiungerlo si
diresse verso la porta e chiuse dall’interno, in modo da
essere sicuro non
poter essere disturbato. Se fosse venuto qualcuno a cercarlo, avrebbe
fatto in
tempo a chiudere tutto, levare il computer e fare finta di nulla. prese
anche
due bicchieri dalla credenza e lì riempì con un
po’ di liquore, in modo che
fosse tutto più convincente.
Poggiò
il bicchiere davanti
a Sean. – Non berlo. Serve se arriva qualcuno. – lo
avvisò, dato che lui aveva
già allungato la mano per bere.
Sean
annuì, posando il
bicchiere davanti a lui e sistemandosi nervosamente sul posto.
Si
scrocchiò le dita mentre
si sedeva facendo un bel respiro.
-
È una cosa legale,
almeno? – domandò l’altro,
mentre lui accedeva al suo account.
Gli
lanciò un’occhiata
rapida. – No. Se ci beccano l’ipotesi migliore,
è che mi licenzino in tronco. –
-
Ah. Hai voglia di un po’
di adrenalina, eh? – lo provocò, strusciandosi le
mani sui pantaloni. Era
evidente che fosse nervoso anche lui e non lo biasimava per questo.
Scosse
la testa, ignorando
il tentativo di alleggerire la tensione.
Aspettò
che l’hardware fosse
installato correttamente, prima di cliccarci sopra.
Andò
sulla cartella “EW”, e
inserì la password. Erano in due a saperla in tutta
Chicago… ed entrambi erano
stati abbastanza bravi da rendere quasi impossibile indovinarla o
risalirci in
alcun modo.
Si
aprì una lista di file,
che scorse con lentezza, attento a non saltare quello che gli serviva.
Quando
lo trovò, sotto un nome fittizio, ci cliccò sopra
un paio di volte lanciando
finalmente il programma.
Gli
apparirono due schermate
piene di codici all’apparenza incomprensibili e una piccola
finestra di dialogo
blu in alto a destra su cui lampeggiava un lineetta bianca.
-
Okay. – mormorò in un
respiro.
-
Io devo fare qualcosa? –
chiese Sean, sporgendosi verso di lui. – posso guardare?
– aggiunse.
-
Sì. Ma non ci capirai
niente. – lo avvertì laconico, cercando
l’accesso al computer di Max.
Quando
lo individuò, con sua
grande sorpresa, lo trovò acceso e attivo. La freccetta
bianca si muoveva sulle
cartelle, e sembrava stesse cercando qualcosa.
Max
non era esattamente un
mago in quel genere di cose, ma aveva messo una password a ogni
cartella.
Quella
per l’accesso al pc
era 084628.
Cercò
il canale delle
videocamere, fino a trovare quella dell’ufficio di Max
scoprendo che era vuoto.
Quindi
qualcun’altro stava
provando ad accedere. Nessuno dei Capofazione, lui incluso, ne aveva
motivo
dato che avevano gli stessi identici file con l’inventario e
i piani di
attacco.
Per
sicurezza bloccò il
secondo utente, escludendolo dal computer e si appuntò di
dire a Max di
modificare la password al più presto.
Ricercò
nella memoria
interna i file degli anni precedenti, ritrovando solo quelli di tre
anni prima,
che erano i più vecchi.
-
Maledizione… - mormorò,
stringendo i pugni sulle ginocchia e allontanandosi un po’
dallo schermo.
-
Che succede? È andata
male? – indagò Sean, sbirciando sullo schermo.
-
Max ha i dati d’iniziazioni
solo fino alla classe di tre anni fa… - spiegò, -
okay, a mali estremi… -
Si
rimise al lavoro e per
sicurezza bloccò l’accesso al computer di Max fino
al giorno seguente.
Si
sarebbe dovuto
preoccupare di più dell’altro utente, ma in quel
momento aveva pensieri più
urgenti e cose più difficili da fare.
-
Allora cosa vuoi fare? –
sbadigliò Sean, senza curarsi di mettersi una mano davanti
alla bocca.
-
Entro nel sistema interno
del Quartier Generale degli Eruditi, nell’archivio, faccio
una copia di quel
che mi serve ed esco. – rispose meccanicamente, mentre una
goccia di sudore gli
scivolava lungo una tempia.
-
Non ci capisco granché.
Che succede se ti beccano in questo caso? –
Non
rispose, non volendo
pensare anche a quello che fino a quel momento era risultato nella sua
scala
delle priorità come l’ultimo dei suoi problemi.
Eppure non era da sottovalutare
per niente. Jeanine non sarebbe stata contenta, ma non doveva neanche
venirlo a
sapere.
Si
tirò indietro i capelli
con una mano e rilanciò il programma. Doveva trovare una
porta aperta ed
entrare nel sistema, ma non era così ovvio: il sistema degli
Eruditi era dotato
di sistemi di sicurezza notevoli, e trovare una porta da cui passare
per
accedere proprio all’archivio dati, non era
un’impresa da poco.
Sicuramente
gli avrebbe
fatto comodo una mano, dall’altra parte.
Cercò
tutte le vie possibili
fino a quando non ne trovò una. Era quasi per forzarla ed
entrare, quando nella
finestrella di dialogo in alto a destra, apparve un messaggio numerico
tutto in
grassetto.
Lì
per lì iniziò a sudare
freddo, prima di rendersi conto che non si trattava di un linguaggio
numerico
convenzionale o utilizzato.
-
Che vuol dire? –
s’intromise Sean, cercando un nesso logico.
Il
cuore iniziò a
martellargli velocemente nel petto.
-
“NAVIGAZIONE IN INCOGNITO,
IDIOTA.” – rispose, decifrando il codice che lui
stesso aveva contribuito a
inventare qualche anno prima.
-
Ah, tipo linguaggio in
codice! Come sai cosa c’è scritto? Non ho mai
visto una sequenza di numeri
simile, sembra piena di errori! – proseguì,
cercando di capire dove stesse il
nesso logico.
-
Non c’è una sequenza
logica… e non lo troverai nei libri. L’ho
inventato io. Un po’ come quei
giochetti che fanno le bambine di aggiungere una lettera davanti e dopo
le
vocali per avere il loro “linguaggio segreto”, hai
presente? Ecco, è la stessa
identica cosa, solo fatta con i numeri usati per la programmazione.
Hanno una
logica solo per chi conosce il trucco, che poi sarebbe una banalissima
chiave
di lettura. –
Sean
intrecciò le mani
davanti a sé, poggiando i gomiti sulle cosce. –
Forte! Come i gemelli, che si
capiscono anche senza… oh! Ah… ecco...
– mormorò, come colto da un’improvvisa
illuminazione.
Eric
tirò su un angolo della
bocca. – Sì beh… hai capito. A quanto
pare ho avuto fortuna! –
Strano..
Inserì
la navigazione in
incognito e digitò un altro codice come risposta.
-
Che cosa hai scritto,
adesso? –
-
Che ho seguito il
suggerimento e ho chiesto se c’è una porta aperta
per entrare nel sistema. –
rispose senza staccare gli occhi dal monitor. Gli faceva uno strano
effetto
parlare dopo tutto quel tempo proprio con lui.
Eppure
avrebbe dovuto essere
contento: non si sarebbe fidato di nessun altro per quello che stava
per fare,
e non avrebbe potuto sperare in un aiuto migliore.
Sean
annuì, affascinato.
-
Figo pero! – si
complimentò.
-
Lo sapremo tra poco… – ribatté
laconico. Gli tremavano le mani per il nervosismo. Da una parte non
voleva
sapere cosa ci fosse scritto in quei file, mentre dall’altra
non vedeva l’ora
di togliersi quel dubbio che lo stava letteralmente facendo impazzire.
*
-
Ho trovato
una porta. Fa’ in fretta, non posso stare qui tutta la notte
a farti da balia
virtuale.
-
Vado, copio
e sparisco. Rilassati, Einstein.
-
Fatto, hai
trenta secondi per entrare. Sbrigati.
*
Entrò
rapidamente dove gli
era stato indicato con una serie di tasti e finalmente fu
nell’archivio dati.
Si
sentì gelare il sangue:
c’erano migliaia di cartelle.
Riaprì
la conversazione.
*
-
Renditi
utile alla comunità: i file delle classi
d’iniziazione di quattro anni fa.
-
Cercatele,
sto già cancellando tutti i dati che hai disseminato per la
rete prima di
mettere la navigazione in incognito. Sapevo che le tue erano braccia
tolte
all’agricoltura!
*
Fece
una smorfia, mentre iniziava
a pensare a come potesse chiamarsi quella benedetta cartella: non aveva
tutta
la notte, e quella storia cominciava renderlo nervoso. Sentiva il
sudore colargli
sulla schiena e sulle tempie.
Improvvisamente
vide
qualcuno ricercare qualcosa nella barra in alto a destra e la cartella
cominciò
la ricerca.
Ci
vollero alcuni minuti
prima che apparisse quello che cercava.
Copiò
l’intera cartella e
prima di pensare a cos’altro potesse tornargli utile
uscì dal sistema come un
moto di sollievo.
*
-
Lo so, non
c’è bisogno di ringraziarmi!
-
...
-
Sei sempre
così eloquente!
-
Perché stavi
entrando nell’archivio?
-
Tengo
sott’occhi questa connessione tutte le sere.
Perché tu ti volevi
fare un giro nell’archivio dati invece?
-
Informazioni. Non mie.
-
Tieni per te
il resto.
-
Volentieri.
-
Sei solo?
-
No.
-
Dobbiamo
modificare la chiave?
-
No.
-
Perfetto. Vado
a rassettare tutto.
*
-
Imbecille…- borbottò, chiudendo
anche lui e cancellando ogni dato rimasto.
-
Conversazione interessante?
– indagò Sean, che ovviamente non aveva potuto
leggere niente non conoscendo la
chiave di lettura.
-
Non esattamente.
Sicuramente utile. – ribatté, copiando la cartella
sul suo desktop.
-
È quella? –
-
Sì. Vado? – chiese
mettendo il cursore sulla cartellina con il nome di Kaithlyn. Si
sentiva
stranamente nervoso, nonostante il pericolo immeditato fosse passato.
Forse
era per la
conversazione avuta poco prima, o perché stava per scoprire
qualcosa in più su
Kaithlyn… e rischi che ne derivavano.
Sean
deglutì e annuì,
fissando intensamente lo schermo. – Vai e non pensiamoci
più. -
Aprì
la schermata,
trovandosi davanti alla scheda dati di Kaithlyn.
-
Ahaha, guarda com’era la Maledetta
Stro... ehm… Kaithlyn a sedici anni! –
esordì Sean, ridacchiando e
correggendosi prima di chiamarla con l’appellativo poco
lusinghiero che le avevano
rifilato due anni prima quando era la loro istruttrice.
Non
aveva tutti i torti:
faceva uno strano effetto vederla così piccola. Aveva gli
occhi un po’ più grandi,
e l’espressione corrucciata sul viso più
rotondeggiante, da ragazzina, creava
uno strano contrasto con il viso da bambolina che si portava dietro
ancora dopo
quattro anni.
Sembrava
ancora più piccola
con le lentiggini sul naso e senza piercing sotto il labbro. O magari
era
semplicemente condizionato dal fatto di aver mai visto una sua foto
prima che
si trasferisse. Kaithlyn non era il tipo che amava farsi fotografare.
Sembrava
proprio una
bambina… però era carina anche allora. Se
avessero fatto l’iniziazione insieme,
probabilmente ci avrebbe provato. E avrebbe ucciso Jason Miller prima
che si
relazionasse con lei, poco ma sicuro.
Sembrava
determinata e
sicura di sé, una abituata a primeggiare, a vincere e a non
essere seconda a
nessuna; e quell’aria che aleggiava sul viso delle piccola
Kaithlyn faceva
quasi ridere considerando l’aria innocua che aveva.
Era
la sedicenne
dall’aspetto meno minaccioso che avesse mai visto. Bella
anche allora, certo,
ma senza quell’alone intrigante che doveva aver acquisto con
il tempo.
L’unica
cosa sempre uguale
era lo spirito battagliero che aveva negli occhi azzurri.
Proseguì
nella lettura.
Data
di nascita, 23 Giugno.
-
Ahah, non sapevo fosse
anche lei una delle più piccole del suo anno! –
commentò ancora Sean, leggendo
i dati dell’anagrafica.
-
In realtà doveva nascere
nella seconda metà di Agosto, sarebbe potuta entrare
direttamente l'anno
successivo. – ribatté, quasi in automatico.
-
Prematura? E tu come lo
sai? Te l’ha detto lei? –
-
No… mi sono informato. Un
po’ di tempo fa. –
-
Però: stalker, pirata
informatico e carattere molto irritabile. Non hanno tutti i torti a
trovarti un
tipo inquietante, sai? – gli disse, poggiando una caviglia
sul ginocchio e
incrociando le braccia dietro la testa.
Lasciò
stare quei dati
irrilevanti e scorse con il mouse fino al responso del test
attitudinale.
Quando
lo lesse, tirò un
primo sospiro di sollievo. Il responso di Kaithlyn era stato dato dal
computer,
nessuna sospetta trascrizione manuale. Era già qualcosa,
anche se al contrario
di quanto pensava Sean, il risultato assegnava a Kaithlyn gli Intrepidi.
-
Ah. Pensavo di averci
azzeccato… - brontolò Sean.
-
Chi se ne frega! Guarda,
è stato inserito dal computer… in genere
quando c’è qualcosa di strano e viene coperto da
uno degli addetti, il responso
viene i riportato manualmente. Questo è stato inserito dal
computer senza
modifiche. – gli spiegò, anche se si rendeva conto
di farlo più per se stesso
che per la necessità di spiegazioni di Sean.
-
Ed è sufficiente a
sciogliere i tuoi dubbi?
– gli chiese
l’altro seriamente.
Eric
deglutì. – No. Andiamo
avanti…. E accendi la stampante. – gli disse.
Sean,
capendo che voleva
guardare quello che veniva dopo da solo, si alzò e
andò nell’altra stanza ad accendere
la stampante che era sistemata su un lato della scrivania.
Per
prendere tempo si lesse
con calma il resoconto del primo modulo. Kaithlyn aveva perso il primo
e il
secondo incontro, ma aveva dei punteggi che rasentavano la fantascienza
nelle
esercitazioni con i coltelli e al poligono e avendo vinto tutti gli
incontri
successivi al secondo si era comunque classificata in prima posizione.
Aveva
vinto a Ruba bandiera, e per merito le erano stati assegnati punti
extra.
Inoltre, secondo quanto c’era scritto lì, era
stata anche in grado di seguire
l’addestramento per i tiratori in contemporanea
all’iniziazione, dopo cena e la
mattina all’alba guadagnando altri punti extra.
C’era
anche una foto, che lo
lasciò vagamente turbato, in cui della ragazza del Gorno
della Scelta non era
rimasto che poco o nulla.
Sembrava
stanca, esausta
come non l’aveva mai vista. Il viso cereo, le occhiaie scure
sotto gli occhi e
diversi lividi rendevano il suo viso quasi irriconoscibile. Si era
già fatta il
piercing sotto il labbro inferiore, al centro, creando un altro
elemento di
distacco con la ragazzina appena traferita di poche pagine prima.
Ed
era magra, magrissima. Il
viso scavato faceva quasi effetto e dalla foto si potevano intravedere
le
spalle più spigolose; non credeva che qualcuno di
costituzione tanto esile come
lei, già magra di suo, potesse perdere tanti chili.
Andò
avanti e iniziò a
leggere, mentre sentiva il suo cuore aumentare i rapidamente i battiti
per
l’agitazione.
Nella
prima simulazione del
secondo modulo aveva fatto un tempo abbastanza regolare: 7 minuti e 48
secondi.
Non
era male, ma non era
neanche niente di eccezionale. Niente di sospetto, per lo meno.
Il
secondo era più lungo di
qualche decina di secondi, forse aveva affrontato una paura
più ostica….
Continuò a leggere, fino a quando non decise che avrebbe
fatto meglio a cercare
il tempo più basso e togliersi il pensiero.
Il
tempo migliore era
registrato tra le ultime simulazioni, con un tempo di 4 minuti e 13.
Era
una tempistica breve, ma
non unica. In genere i divergenti arrivavano anche a due, tre minuti
senza
problemi. Chiunque poteva ottenere un miglioramento di quel genere, ne
era
sicuro.
Diede
l’ordine di stampa
prima di chiudere tutto con cura. Prima di cancellare i file diede un
ultimo
sguardo alle due foto di Kaithlyn a sedici anni, poi aspettò
che la stampante
terminasse il suo lavoro e spense il pc.
Si
diresse verso la sua
stanza, dove trovo Sean appoggiato alla parete accanto alla scrivania,
al buio,
che cercava di guardare da un’altra parte.
Appoggiò il computer sulla scrivania
con cura, prima di afferrare il foglio che aveva stampato e prendere un
evidenziatore per sottolineare eventuali dettagli che tornassero poco
con il
profilo della ragazza.
Se
non altro, in quel
momento, aveva il cuore più leggero e la discussione di poco
prima non sembrava
che uno stupido ricordo lontano anni luce.
Tirò
un sospiro di sollievo
non trovando niente di rilevante da annotare e si lasciò
cadere lungo disteso
sul letto.
-
Sei svenuto? –
La
voce di Sean sembrava
arrivare da un altro pianeta, tanto iniziava a essere su di giri. Si
rendeva
conto solo in quel momento di quanto l’avesse reso teso il
pensiero che
Kaithlyn potesse essere divergente; era vero che spesso ci si rende
conto di
quanto sia gravoso qualcosa solo quando ci viene tolto dalle spalle.
Avrebbe
potuto proseguire
con il piano con il cuore un po’ più leggero. Non
gli importava del resto della
fazione; per quel che lo riguardava, potevano anche morire tutti
nell’attacco,
ma non lei. Kaithlyn era l’unica che, nonostante
l’incompatibilità che avevano
caratterialmente, riuscisse a tenere insieme tutti i pezzi.
Senza
nessuna ragione
scoppiò a ridere, nascondendo il viso tra le mani.
Si
sentiva euforico, carico
di energia nonostante il dolore alle mani e il sapore del sangue in
bocca; non
si era reso conto di essersi morso in quel modo l’interno
della guancia, e
neanche gli importava. Non più almeno. Si alzò
con un colpo di reni e guardò
Sean, che lo fissava con le sopracciglia inarcate e una strana
espressione a
metà tra lo sconvolto e il comprensivo. Un po’
come se avesse davanti qualcuno
che aveva completamente perso la testa e dovesse assecondarlo.
-
Devo andare da Kaithlyn! –
annunciò, tirandosi in piedi.
-
Cristo Eric, non in quelle
condizioni. Le prenderebbe un colpo! – lo fermò,
afferrandolo per un braccio a trascinandolo
in bagno.
Si
fissò allo specchio per
qualche secondo: aveva i capelli attaccati alla faccia per la sudata
che si era
fatto, il viso pallidissimo, le occhiaie violacee e le labbra
completamente
screpolate.
Era
sporco si sangue in più
punti, compresi i capelli e la faccia su cui aveva passato la mani
ferite.
Le
mani facevano quasi
impressione: erano quasi completamente ricoperte di sangue, in parte
incrostato
sulle nocche e addirittura sui polsi.
Ora
che la paura gli era
passata si rendeva conto di quanto, effettivamente, gli provocasse
dolore
aprire e chiudere le dita e di quanto fossero innaturalmente rigide le
sua
mani.
Sean
non aveva tutti torti,
era in condizioni spaventose… ma quello non basto a lenire
il senso di
leggerezza che gli permetteva, finalmente, di respirare di nuovo.
Spalancò
la porta,
preparandosi a inveire contro Eric, o chiunque altro avesse avuto la
faccia
tosta di presentarsi alla sua porta, con gli insulti peggiori che era
riuscita
a pensare in quell’ora e mezzo, ma quello che si
ritrovò davanti la lasciò per
un attimo spaesata.
Jason
la fissava oltre la
soglia di casa, era ancora vestito come poche ore prima e le braccia
erano
abbandonate senza forze lungo i fianchi. Aveva i capelli sconvolti,
come se ci
avesse passato le mani più volte, tormentandoseli. Aveva il
viso umido, anche
se auna prima occhiata non gli sembrava sudore.
Lo
guardò negli occhi,
trovandoli appannati di lacrime: probabilmente non riusciva neanche a
vederla,
in quelle condizioni.
Aprì
maggiormente la porta
di casa, facendo un passo indietro e aprendo la bocca mentre pensava
come
interpretare quella scena.
Cercò
lo sguardo di Jason, e
quando lo trovò, lo vide portare le mani
all’altezza dell’addome e
tormentarsele, mentre si guarda intorno con aria smarrita e le lacrime
iniziavano a scendergli copiosamente sul viso imbrattandogli la maglia.
Sembrava
in cerca di qualcosa
da dire e lo vide aprire e richiudere le labbra bagnate più
volte, come se
pensasse di dire qualcosa ma poi cambiasse idea.
-
Che è successo? – mormorò.
Non aveva la forza di alzare la voce, ma non poteva neanche lasciare
lì l’unico
amico che aveva. E poi non le andava di stare da sola a vagare per la
casa per
l’assenza di sonno.
Jason
inspirò come se gli
mancasse il fiato. – C..Cla..Cla.. –
mormorò, guardandola quasi in cerca di
aiuto, come se lei avesse la risposta, prima di portarsi le mani sul
viso e
scoppiare in un pianto disperato.
Riuscì
a riscuotersi dallo
stato d’indolenza in cui era stata fino a quel momento e lo
afferrò per la
stoffa della maglietta tirandolo dentro prima che qualcuno lo vedesse.
Lui si
lasciò tirare docilmente, prima di stringerla contro il
petto e appoggiare la
testa sulla sua spalla.
-
Scu..scusa… scusa! – rantolò,
stringendo tanto la presa che quasi le mancò il fiato,
mentre la sua spalla
protestava dolorosamente.
Di
riflesso, non arrivando
al collo, gli passò le mani sotto le braccia e gli
accarezzò la schiena,
dandogli delle pacchette con l’altra mano.
Che
diavolo succedeva quella
sera? Erano tutti impazziti? Eric dava i numeri più del
solito, Jason piangeva
disperato, lei era confusa. Mancava solo che si scoprisse che
l’organizzatore
di quel delirio di festa era Quattro e sarebbero stati a posto.
-
Che.. ehm… che è successo?
– domandò mentre aspettava che Jason e il suo
pianto disperato si placassero un
minimo. La strinse più forte, costringendola a montare con
la punta dei piedi
scalzi sui suoi scarponi per non farsi strozzare.
Lui
si staccò dalla sua
spalla, ormai fradicia di lacrime, e allontanò il viso quel
tanto che bastava
per permetterle di respirare. Si stropicciò gli occhi,
mentre continuava a
singhiozzare e sembrava cercare il fiato per raccontare
cos’era accaduto.
Decise
di prendere in mano
la situazione. – Vieni con me. – ordinò,
dirigendosi verso la cucina. Si
allungò sulle punte per raggiungere lo sportello sopra il
lavello e prendere
due bicchieri, che riempì d’acqua fresca. Ne diede
uno a Jason, che l’aveva
docilmente seguita senza fare un fiato e sorseggiò il suo,
beandosi della
sensazione di freschezza alla gola.
Jason
bevve tutto d’un
fiato, come se non bevesse da mesi, poi si sporse sul lavandino per
riempirsi
ancora il bicchiere.
-
Ho.. ho.. Clarisse.. –
mormorò.
Kaithlyn
notò che gli
tremavano le mani mentre alzava per le seconda volta il regolatore
dell’acqua. –
Cerca di fare un discorso di senso compiuto. Clarisse, cosa?
-.
Forse
non era il modo più
delicato di chiedere qualcosa a un ragazzo che si presentava disperato
davanti
al portone di casa, ma aveva mal di testa ed era stanca.
Quello
che le aveva detto
Eric, molto più di quello che aveva fatto, l’aveva
colpita più di quanto
potesse ammettere o volesse dare a vedere e non riusciva ad essere
più delicata
di così: non mentre si sentiva ferita e umiliata in quel
modo senza
comprenderne pienamente neanche il perché. Eric non era
certo il primo a fare certe
insinuazioni sul perché fosse arrivata tanto in alto tanto
in fretta, ma le
aveva comunque dato fastidio.
Si
pentì della poca
delicatezza dopo due secondi. Jason la fissò per un attimo,
poi riscoppiò a piangere
ancora più disperatamente di prima, lasciando quasi cadere
il bicchiere che
fortunatamente lei riuscì a riafferrare.
Si
sentiva a disagio in
quella situazione. Non era abituata a consolare la gente, non era mai
stata
molto empatica, e sicuramente Jason avrebbe trovato maggior conforto da
uno
qualunque dei suoi amici piuttosto che da lei, eppure era venuto
lì. Al massimo
poteva spronare qualcuno, maltrattarlo, demotivarlo… ma la
consolazione e la
comprensione non rientravano sicuramente tra le cose le riuscivano
meglio.
Eppure
una parte di lei
sapeva che era proprio per quella ragione che era lì. Forse,
qualsiasi cosa
fosse successa con quella roba che
si
ostinava a chiamare ragazza, aveva bisogno di sentirsi dire le cose
stavano e
non di addolcire la pillola.
Jason
veniva dai Candidi e
per lui la sincerità era ancora un valore fondamentale: per
quanto fosse sempre
gentile e allegro con tutti, non sopportava le menzogne e le cose dette
a metà.
E forse era proprio per quello che riusciva ad andare
d’accordo, tra tutti,
proprio con lei.
-
Okay, okay, scherzavo! –
disse velocemente, posando i bicchieri e trascinandolo verso il divano.
–
Smetti di frignare e dimmi cosa è successo. –
Si
mise accanto a lui,
guardandolo mentre appoggiava i gomiti sulle ginocchia leggermente
divaricate e
nascondeva di nuovo il viso tra le mani.
Aspettò
qualche secondo
prima di levargli a forza le mani dal viso. – Okay..
– biascicò Jason,
improvvisamente calmo prima di prendersi qualche secondo di silenzio.
– Ho
trovato Clarisse a letto con un altro. – confessò,
mentre lo vedeva stringere
la stoffa sopra le ginocchia con forza. – Ero andato a
portarle… a portarle le
chiavi, per andare a vivere insieme e…-.
Aprì
la bocca, indignata,
mentre iniziava sentire la rabbia montarle dentro, pronta a esplodere
dopo
tutto quello che era successo ma Jason non le permise di proferire
parola. – Se…
se m’interrompi non riuscirò più a
continuare. Fammi… fammi finire… -
implorò,
guardandola disperatamente come se si trovasse a dover chiedere quasi
perdono
per un crimine che non aveva commesso.
Si
morse le labbra e annuì,
accucciandosi sui talloni davanti a lui e fissandolo insistentemente.
Più
tardi, avrebbe dovuto definire una terapia d'urto. Per entrambi.
Lo
incitò a continuare con
un gesto della mano, mentre appoggiava il mento sui palmi e
già iniziava a
riflettere su come farla scontare a quella sottospecie di babbuino con
i
tacchi.
Tra
le varie differenze
caratteriali che aveva con Jason, ce n’era una in particolare
che forse,
l’Idiota, non aveva preso in considerazione: lei, al
contrario di Jason, era estremamente
vendicativa.
Jason
prese un altro bel
respirò, mentre il pianto sembrava gorgogliargli dentro e
scuoterlo tutto
dall’interno. –’somma, sono entrato,
okay? – ricominciò con la voce acuta per
il pianto.
Annuì,
impaziente di sapere
com’erano andate le cose.
-
Okay.. sono entrato e
c’erano un sacco di candele accese… sul tavolo,
sul pavimento, vicino al
divano, sul davanzale e alcune in terra, verso la camera.-
rantolò, mentre gli
veniva un colpo di tosse secca.
Kaithlyn
gli passò un
pacchetto di fazzoletti che aveva appoggiato sul tavolino vicino al
divano e
che si era dimenticata di mettere a posto, ma lui li rifiuto con un
gesto della
mano e si passò una manica sugli occhi, mentre gli si
dipingeva l’ennesima
smorfia sulle labbra bagnate.
-
Sono… sono entrato, e
c’erano le candele anche in terra, fino alla
camera… ho.. ho.. ho pensato, ho
pensato che… che… mi volesse.. f-fare una...
una… - singhiozzò, disperatamente,
non riuscendo a completare la frase.
-
Una sorpresa? – gli
suggerì, mettendosi a gambe incrociate per terra e tenendosi
le caviglie.
Jason
annuì tra i
singhiozzi, prima di respirare profondamente un altro paio di volte.
-
Okay.. okay. Q-quindi ho
seguito la.. la strada della candeline e sono arrivato in c-camera..
okay? E..
e… l’ho trovata a-a letto c-c-con…
uno… - terminò, prima di farsi sopraffare di
nuovo dai singhiozzi.
Si
morse il labbro inferiore
e si spostò una ciocca di capelli rossi dietro
l’orecchio, a disagio. –
E... cosa hai fatto? – domandò, non
riuscendo a farsi venire in mente niente di meglio.
Aspetto
che lui si calmasse
nuovamente. – Io… s-sono andato via. Non ho fatto
nulla, non v-volevo vederla
u-un secondo di più con l-lui… -
mormorò, quasi si pentisse della sua reazione.
-
S-so che tu avresti fatto
in modo diverso… e.. e anch’io… m-ma
non ci sono riuscito… - si giustificò,
quasi cercasse assoluzione da parte sua.
Storse
le labbra. – Be’, hai
fatto bene. Non meritava neanche una bolla di fiato in più!
– acconsentì,
annuendo.
-
S..so c-che non la
sopporti… però io la amo. –
-
Lo so. – mormorò, abbassando
pensosamente lo sguardo, mentre qualcosa le si agitava dentro.
-
K-kath...? – si sentì
chiamare.
-
Mmh? –
Jason
si guardò intorno,
quasi avesse paura di veder spuntare qualcuno da sotto il divano.
– N-non non
fare niente, okay? Sai che intendo.. – la implorò.
Le
sarebbe piaciuto davvero
moltissimo poterlo assecondare… peccato che fosse il tipo di
persona incapace
di lasciar correre o passare sopra alle cose: ne era un esempio
lampante il suo
rapporto di amore/odio con Eric, che per quanto infuocato sotto ogni
punto di
vista, ci aveva messo un po’ per solidificarsi abbastanza da
permetterle di
fidarsi quasi di lui e nonostante tutte le volte in cui si era lasciata
coinvolgere, ancora non riusciva a lasciarsi andare del tutto.
-
Non ti prometto niente. – rispose
diplomaticamente.
Si
alzò in piedi e la vista
le si annebbiò per attimo a causa di un breve calo di
pressione. Senza
aggiungere niente fece dietrofront e tornò verso la cucina;
si avvicinò al
ripieno accanto ai fornelli e allungandosi un po’ sulle punte
dei piedi scalzi,
aprì lo sportello dei bicchieri, ne prese due e li
riempì di liquore.
Una
volta tornata in salotto
ne diede uno a Jason. – Tu.. – iniziò
lui, gli occhi verdi ancora più chiari a
causa delle lacrime. – tu.. hai risolto? Con… con
Eric, dico. Dopo… dopo che
quell’idiota ti ha schiaffeggiata e insultata… -.
Fece
una smorfia al ricordo
della serata appena trascorsa mentre quel qualcosa che prima si agitava
dentro
di lei, iniziava a contorcersi sgradevolmente. – No.
– disse laconica,
sedendosi dall’altro lato del divano e piegando le gambe
contro il petto, il bicchiere
ancora in mano. – Mi ha dato della puttana arrivista e se
n’è andato. -
Jason
la guardò con lo
sguardo vacuo prima di abbassare gli occhi tormentandosi le mani.
-
Mi dispiace. So che è un
tasto dol.. – mormorò, prima che la sua attenzione
venisse catturata da un
punto imprecisato sul suo viso. L’espressione di Jason
cambiò, tingendosi di nervosismo
e irritazione. – Cos’hai fatto alla faccia?
– investigò, senza staccare gli
occhi dal suo zigomo, e avvicinandosi a lei per vedere meglio.
Automaticamente
portò una
mano dove le nocche di Eric l’aveva quasi presa, o quasi
mancata a seconda di
come si vedeva la vicenda. Sentì sotto la punta delle dita
un leggero, per il
momento, gonfiore causato dall’ematoma.
Riportò
lo sguardo sul
ragazzo, mordendosi nervosamente le labbra.
-
Ti ha picchiata? – chiese
incredulo e con la bocca mezza aperta, mentre irrigidiva le spalle.
-
No. – rispose subito. –
Cioè, sì… insomma, non era molto in
sé. – si corresse, prima di vedere Jason
schizzare fuori dalla stanza e andare a darsene di santa ragione con
Eric.
Non
sarebbe stato un bello
spettacolo.
-
Ah. – commentò,
guardandola con poca convinzione. – Che intendi dire?
– chiese infine,
aggrottando le sopracciglia.
Kaithlyn
si passò
nervosamente una mano tra i capelli, portandoli indietro, e si
sistemò meglio
nel suo angolo di divano.
-
Dopo che è uscito dal
Pozzo l’ho seguito, la sua giacca era rimasta per terra e
volevo vedere cosa
avesse in mente dato che non mi sembrava molto padrone di
sé… -.
Si
schiarì la voce. Non
voleva dilungarsi troppo.
-
Quando li ho trovati, Eric
e Sean Byrd, mi sono avvicinata per chiedergli cosa diavolo gli
prendesse e
dopo uno scambio di battute poco civili mi sono ritrovata schiacciata
contro il
muro. Poi Eric ha riperso il controllo, ed ha iniziato a prendere a
pugni alla
parete, colpendomi di striscio sul viso. –
terminò, tutto di un fiato.
-
Ho capito. – annuì, anche
se non sembrava molto convinto. – Non mi piace che ti metta
le mani addosso,
però. Anche se non l’ha fatto proprio
volontariamente… poteva farti male sul serio!
–
-
Che c’è? Adesso fai il
protettivo? – rise, stendendo le labbra in un sorrisetto per
la prima volta in
tutta la sera.
-
Be’, sì. Un minimo devo
farlo… alla fine mi dispiacerebbe se qualcuno ti asfaltasse
su una parete.
Credo. – disse, guardando in alto come se non fosse sicuro di
ciò che stava
dicendo.
-
Be’, almeno ti sei
calmato! – commentò Kaithlyn, pentendosi un
secondo prima di aver dato fiato
alla bocca.
Pensa
sempre alle parole che dici e alle loro
conseguenze.
Sua
madre aveva ragione.
Perché diamine non usava mai un minimo di quel bel
cervellino che si ritrovava?
Non avrebbe dovuto neanche sforzarsi, eppure riusciva sempre a
infilarsi in
situazioni imbarazzanti come quella.
Jason
deglutì, prima che gli
occhi gli si riempissero nuovamente di lacrimoni.
No,
no, no... non di nuovo!
In
quel momento, qualcuno aprì
la porta d’ingresso ed entrò, costringendoli a
girarsi.
Salve
a tutti!
Fiuuu,
siete ancora tutti
interi? È il capitolo più lungo che vi abbia mai
propinato e non avete idea di
quanto mi renda nervosa… l’ho ricambiato almeno
cento volte. Non è mai
abbastanza chiaro, abbastanza forte, o abbastanza in linea per me,
quindi
aspetto i vostri commenti impietosi, maltrattatemi pure!
Lo
so, sono pessima. Vi ho
fatto attendere più di un mese stavolta, ma avevo da fare
questo tra maledetto
test per l’accesso all’Università, e il
mese Agosto- Settembre è stato un
incubo!
Ho
iniziato il capitolo e
pensavo di farcela, ma poi il panico di fare un punteggio bassissimo ha
avuto
la meglio e ho lasciato perdere, riprendendo in mano la storia solo
pochi
giorni fa.
Finalmente
sono libera, e
prestissimo aggiornerò anche Mind’s Shades, che
è ferma addirittura da Maggio.
(non
sono riuscita a stare
troppo ferma con questa… è più forte
di me!)
Allora,
che ne dite? Vi
aspettavate una cosa del genere? Vi sembra una continuazione sensata
per il
capitolo precedente? So che l’ho già detto, ma
questo capitolo mi innervosisce,
cambio le cose all’ultimo e non mi sembra mai perfetto!
Ho paura di aver messo "troppa carne al fuoco" e quindi di
aver fatto una gran confusione.
Diciamo
che da ora iniziano
a succedere un po’ di cose in più, importanti per
il futuro, che non siano Kath
che litiga con Eric, Eric che litiga con Kath, Kath che va a letto con
Eric,
Eric che inveisce contro tutti e si fa battere a Strappabandiera da
Quattro,
Kath che maltratta gli iniziati e ogni forma di vita che non le vada a
genio,
Eric che va a letto con Kath, Jason sempre nel mezzo, ecc…
Inserirò,
e sono un po’
nervosa nel farlo, nuovi personaggi più o meno importanti,
ma tutti avranno uno
scopo, niente è lasciato al caso!
L’ultimo
capitolo ha
ricevuto tante recensioni, non me l’aspettavo! GRAZIE!
È sempre bello ricevere
nuove opinioni! Così com’è bello vedere
nuovi preferiti!
A
questo proposito ci tengo
a ringraziare per le recensioni Kaimy11,
che addirittura mi ha lasciato una recensione in notturna (*.*), Adeus,
puntualissima, Alex_001 e BeDautless;
e voglio ringraziare anche le 3 persone che hanno aggiunto la storia
tra i
“Preferiti”, ovvero Alex_001,
Tris
and Tobias e Lucas
3451.
Ovviamente
un grazie va
anche a tutte le persone che leggono, vedere tante letture mi fa
emozionare
dato che questa è la prima storia che scrivo seriamente non
mi aspettavo tanto
successo!
Che
dire? WOW!
Ora
passiamo alle
“cretinate”!
Prima
di tutto, che poi me
ne dimentico, vi lascio come sempre il link della mia pagina facebook: https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/timeline/
Secondo
di poi, dato che
tutti hanno, più o meno, un “nomignolo”
per le proprie coppie, ci ho pensato
anche io.
Solo
che le uniche due cose
che mi sono venute in mente, per ora, sono Kaithric e
Erithlyn… e non so se mi
piacciono o sia giunto il momento di avvertire la neuro che sono
scappata di
nuovo.
Diciamo
che non si prestano,
voi che dite?
Ad
ogni modo, sappiate che
ne succederanno di cotte e di crude da qui alla fine della
storia… finale per
il quale mancano ancora taaanti capitoli. (Non spaventatevi…
prima o poi
finirò!)
Eh
sì, mi dispiace per voi!
Spero
di riuscire ad
aggiornare presto entrambe le storie dato che ho già buttato
abbondantemente
giù il 13esimo capitolo, ho iniziato il 14 di BH e sto
lavorando anche a Mind’s
Shades. Approfitto di questi pochi giorni di libertà, poi
staremo a vedere!
Grazie
ancora a tutti e
scusate se chiacchiero troppo… ma dopo mesi di reclusione
devo ancora
riprendermi e reintegrarmi con il resto del mondo.
Alla
prossima, un bacione!