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Autore: Arlie_S    24/09/2015    2 recensioni
[IN REVISIONE COMPLETA: scriverò accanto ad ogni capitolo se è stato revisionato o meno, mano a mano che ricomincerò a pubblicare]
Sei disposto a distruggere ciò che ami per i tuoi ideali, giusti o sbagliati che siano?
Esiste il “punto di non ritorno”, quando si parla di sentimenti?
Forse sì, forse no.
O magari, è solo una questione di scelte.
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[Dal testo del Cap. 7]
- Belle gambe! – le gridò dietro nel trambusto del Pozzo. Lei si immobilizzò dopo pochi passi.
- Hai per caso hai detto qualcosa, Turner? – disse gelida girando la testa verso di lui e guardandolo minacciosa.
- Ma figurati! Fai finta che non ti abbia detto niente! – le gridò lui alzando entrambe le mani.
Sul viso della ragazza di allargò un sorrisetto tra il divertito e il sadico.
- Sarà meglio, perché tra due ore hai la valutazione per l’addestramento dei Capofazione. E indovina a chi è toccato il sommo piacere di valutarti? – disse facendo trasparire la soddisfazione nella voce.
Eric si sentì sbiancare, mentre il sorrisetto arrogante che aveva messo su sparì immediatamente dal suo viso e le braccia gli ricadevano giù.
“Oh merda” pensò. “Questa volta sì, che sono fottuto.”
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 12

 

 

- Sei impazzito? Se volevi liberarti di me, non avevi che a dirlo! – ansimò, mentre si tirava a sedere sull’asfalto ruvido facendo leva sui palmi delle mani.

Gli sarebbe venuto un infarto di quel passo, poco ma sicuro. Una tragica morte precoce, tutto per colpa di quelle che tecnicamente era il suo migliore amico.

Non solo Eric era partito come un razzo verso i binari, ma lui aveva avuto anche la brillante idea di seguirlo. Di che diamine aveva paura? Che qualche mal intenzionato lo sequestrasse come se fosse una ragazzina? Era più probabile che fosse il contrario, eppure non aveva pensato neanche per un istante di lasciarlo andare da solo; non in quelle condizioni e dopo quella serata disastrosa almeno.

Si passò una mano tra i capelli, che restarono ritti e sconvolti a causa del sudore, e si trascino con le braccia, strusciando il sedere per terra, fino a un basso muricciolo dove appoggiò la schiena.

La superficie era ruvida e irregolare a contatto con la maglia fradicia di sudore, ma non gli dava particolarmente fastidio. Era freddo, e quel freddo gli dava un po’ di sollievo dopo quella corsa. Lui non aveva le stesse gambe lunghe di Eric, e non amava particolarmente correre… preferiva un bel combattimento o passare qualche ora al poligono a sparare.

In compenso, il compagno sembrava aver perso la lingua.

- Eric? – lo chiamò, sporgendosi con il busto in avanti.

- Nessuno ti ha chiesto di seguirmi. – gli rispose l’altro, ancora disteso a terra e con il respiro leggermente accelerato, come se gli avesse letto nel pensiero: quando lo anticipava in quel modo era un po’ inquietante.

Sean si appoggiò nuovamente al muricciolo alle sue spalle. – Forse dovresti scusarti… – mormorò, sperando quasi che l’altro non lo avesse sentito.

Eric si mise in piedi e andò a sedersi sul muricciolo a cui era appoggiato e dall’alto del quale gli lanciò un’occhiata scettica, – Sentiamo la cazzata delle 23.47. – disse, dopo aver guardato l’orologio.

Sean si raddrizzò. – Non ne ho idea. L’opzione “striscia come un verme fino alla Residenza” mi pare un po’ eccessiva tutto sommato, considerando che anche lei ci mette del suo. – provò, girando la testa e guardando verso la testa scura di Eric, una quindicina di centimetri sopra la sua.

- Magari potreste evitare di risolvere tutti i vostri problemi scopando e andare a mangiarvi qualcosa da qualche parte… fare un giro e vedere di trovarvi d’accordo. –

Non gli sembrava una brutta idea…

Lo sentì sghignazzare, mentre lo vedeva passarsi le mani insanguinate sul viso.

L’espressione di Sean divenne sempre più stranita, mentre Eric scoppiava in una risata priva di allegria, quasi isterica.

Incrociò le braccia scocciato, mentre aspettava che l’amico si calmasse e smettesse di ridersela. Che cosa avesse da ridere o cosa trovasse di divertente in tutto quello che era successo, restava un mistero.

- E poi cos’altro potremo fare? – gli chiese, togliendosi le mani dagli occhi e fissando il cielo, la voce intrisa di finta ilarità. – Tenerci per mano e mandarci i bacini da una parte all’altra del Pozzo? – commentò, prima di riprendere a ridere.

Ah-ha. Molto simpatico, davvero.

Eric sembrò avere un guizzo energetico e si sedette sul muricciolo con un colpo di reni, prima di buttare le gambe accanto a lui e guardarlo dall’altro in basso.

Non sembrava molto in sé; sicuramente meno del solito e l’espressione divertita che aveva sulle labbra, cozzava in modo decisamente inquietante con la scintilla di follia che aveva negli occhi.

Fu certo, nonostante il buio, di scorgere come una scintilla di consapevolezza attraversare il viso di Eric, che per un momento sembrò preoccupato. Quasi un po’ spaventato.

Poi riprese a ridacchiare, senza allegria. - Non è divertente? – chiese strusciando le mani sui pantaloni pieni di tasche e fissandolo con le labbra stirante in un sorriso.

- No, non credo sia divertente. E penso che non ti stia divertendo neanche tu! – disse, alzandosi e mettendosi seduto anche lui.

Si guardarono per un lungo attimo, durante il quale Eric sembrò sempre più sull’orlo di una crisi di nervi in piena regola che sul punto di scoppiare a ridere; ed era piuttosto strano, considerando che avrebbe dovuto già essersi sfogato a sufficienza.

Eric si alzò si scatto e iniziò a fare avanti e indietro, ad ogni falcata più agitato.

- Non capisci, eh? Jeanine come si tiene in contatto con me, secondo te? – gli chiese con la stessa espressione folle e divertita intrisa d’inquietudine.

Sean si grattò la testa, chiedendosi il perché di quella domanda. Intanto si era alzato un leggero venticello che sembrava ancora più fresco e frizzante contro la pelle sudata. Si passo rapidamente le mani sulle braccia per reprimere un brivido di freddo.

- Con il Cercapersone? Ma che c’entra Jeanine? Credevo che la prossima riunione per “tu sai cosa” fosse tra qualche giorno! – esclamò.

Eric sorrise un po’ e incrociò le braccia sul petto, guardandolo con accondiscendenza, come se dovesse spiegare qualcosa di molto semplice a un bambino particolarmente duro di comprendonio.

- Il Cercapersone è nel giubbotto. – disse. Non era una domanda, era una constatazione di fatto.

E quindi? Dove dovrebbe essere altrimenti?

Lo guardò senza capire, le sopracciglia inarcate e l’espressione confusa, esortandolo a proseguire e dargli delucidazioni.

- Il mio giubbotto ce l’ha Kaithlyn! – sbraitò Eric, prima di ricominciare a ridere in modo quasi isterico, rompendo il silenzio teso che si era venuto a creare.

Oh.

Oh merda.

Ecco, quello era un problema.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Frugò nella borsa scura per qualche secondo e ne estrasse un mazzetto di chiavi; infilò la chiave con l’impugnatura azzurra nella serratura ed entrò, cercando di concentrarsi il meno possibile sul dolore che provava dietro la scapola e sullo zigomo dolorante. Forse le era rimasto un sassolino nella ferita, mentre per quanto riguardava lo zigomo si aspettava un bell’ematoma per il giorno successivo.

Fece qualche passo all’interno dell’ingresso-salotto avvolto nell’oscurità prima di sfilarsi i tacchi e tornare alla sua consueta altezza. Fece scattare l’interruttore sulla parete adiacente alla porta e si diresse verso la finestra per far passare un po’ d’aria: c’era odore di chiuso.

Restò con i palmi appoggiati al davanzale per qualche secondo, beandosi della superficie fresca sotto le sue mani, prima di rendersi conto di avere ancora, ripiegata sull’avambraccio, la giacca nera di Eric.

La sollevò all’altezza del viso, ispezionandola attentamente prima di mettersi a frugare nelle tasche; era proprio curiosa di vedere cosa avesse lasciato a giro quell’idiota di Turner.

Estrasse il Cercapersone da una tasca interna, situata vicino a uno dei fori per le braccia e lo appoggiò sul davanzale, stando ben attenta a non lasciarlo cadere.

Continuò la sua ispezione con calma, trovando il portafoglio nella tasca opposta e le chiavi dell’appartamento di Eric in una tasca in basso.

Be’, sicuramente sarebbe dovuto tornare a riprendersela, perché lei non aveva la minima intenzione di riportargliela.

Ripiegò l’indumento in due e con calma si diresse verso la cucina dopo lo appoggiò allo schienale di una delle quattro sedie accomodandosi su quella opposta. Aveva ancora il vestito rosso, ma le faceva una gran fatica levarselo e cambiarsi, così appoggiò la testa sui palmi delle mani e restò lì, a fissare il vuoto per qualche secondo.

La spalla le bruciava dolorosamente, ma non poteva medicarsi da sola e non aveva voglia di andare in infermeria; forse avrebbe chiesto a Jason l’indomani, come compenso per ascoltarlo straparlare di Clarisse per ore.

Ripensando a Eric e alla piega che aveva preso il loro rapporto nelle ultime dodici ore si sentì invadere dalla rabbia e dalla frustrazione che riuscirono a rompere istantaneamente quel momento di calma; si alzò bruscamente, facendo strusciare in modo quasi fastidioso le gambe della sedia sul pavimento e si diresse verso la stanza che usava come sgabuzzino e nel quale aveva sistemato anche una lavatrice. Aprì il cestino azzurro chiaro dei panni sporchi, fece rapidamente una cernita di capi scuri, che comunque rappresentavano la maggioranza, e lì infilò nell’oblò dell’elettrodomestico che richiuse violentemente. Prese un misurino di detersivo e lo mise nel contenitore apposito, poi premette “avvio”.

Come una furia, sempre più arrabbiata, si diresse verso la camera e tolse tutte le lenzuola con rabbia, gettandole a terra. Tolse le federe ai cuscini e li buttò sulla cassettiera, mentre la biancheria da letto finiva tutta a terra.

Si diresse a passo di marcia verso l’armadio e spalancò le ultime due ante, prima d’infilarcisi con il busto e prendere da un ripiano in basso della biancheria pulita.

Mise il coprimaterasso matrimoniale e sistemò le lenzuola bianche e immacolate, poi si diresse verso la cassettiera e infilò le federe ai quattro cuscini con rabbia, come se fossero loro i colpevoli del suo malumore.

Chiuse accuratamente i bottoncini delle federe, prima di impilarli nuovamente sul mobile mentre finiva di rifare il letto.

Quando ebbe finito li risistemò con cura e tirò su la coperta blu scura, rimboccandola sotto i cuscini con precisione quasi maniacale.

Si passò le dita tra i capelli rossi ancora sciolti e si avviò verso il bagno dove iniziò a sistemare tutto ciò che trovava fuori posto o che non era perfettamente ripiegato.

Quando ebbe sistemato a una velocità impressionante tutto l’appartamento, tornò verso la cucina e si sedette di nuovo, nervosa.

Doveva trovare qualcosa da fare: era una vecchia abitudine che aveva preso da sua madre quella di fare le pulizie e tenersi impegnata quando aveva qualcosa per la testa. Sua madre lo faceva sempre, soprattutto quando discuteva con suo padre o si arrabbiava con lei o i suoi fratelli più grandi. L’unica differenza è che sua madre faceva le cose con calma e con metodo canticchiando come se non avesse niente. Diceva che, se avesse sempre tenuto a mente tutto quello che loro le combinavano, sarebbe rimasta vedova molto prima della sua nascita; se si aveva qualche problema, era meglio fare qualcosa per distrarsi, piuttosto che alimentarne la fiamma e peggiorare le cose. Diceva anche che rimettere in ordine tutta la casa, sistemare le loro stanze e quella che divideva con il marito era anche un modo per rimettere in ordine le proprie idee e trovare la soluzione migliore ai problemi che si erano venuti a creare, evitando ulteriori discussioni.

“Il torto appartiene al passato. Lascialo lì e dimenticalo.”

Parlava bene sua madre, da ex- Pacifica. Sempre così tranquilla ed equilibrata, sempre con le idee chiare.

Un vero peccato che lei assomigliasse a suo padre, vero?

Lei non era sua madre, e non riusciva a usare quel trucchetto per recuperare la calma. Per lei era semplicemente un modo per riavere il controllo della situazione. Sistemare, riordinare... le faceva sentire capace di riprendere le redini che le erano sfuggite di mano, ma non riusciva a calmarla.

Forse non funzionava sempre: forse serviva anche la volontà di lasciarsi le cose alle spalle e chiare con l’altro e lei non era sicura di volerlo fare, non in quel momento. Eppure voleva capire. Doveva capire; anche a costo di scannarsi fino al mattino seguente, di mandarsi al diavolo e maledire con tutte le proprie forza il giorno che avevano deciso di iniziare a frequentarsi con quell’idiota di Eric Turner.

Le venne quasi da ridere quando si rese conto di avere ancora il vestito addosso, che invece di stare su, le era calato mostrando il reggiseno a fascia che indossava sotto.

Pazienza tanto era sola.

Si spostò due ciocche di capelli dietro le orecchie e si alzò, innervosita dal rumore delle lavatrice che sembrava scandirle il tempo. Non aveva sonno e non voleva andare a letto. Il suo umore avrebbe potuto migliorare solo dopo aver tirato un altro paio di schiaffi a Eric e avergli fatto tornare in sede il cervello.

Ammesso e non concesso che funzionasse ancora.

Le prudevano le mani solo a pensarci; si risedette sulla punta della sedia pronta a schizzare in piedi, anche se non ne aveva motivo. Nonostante non fosse un’amante del rumore, tutto quel silenzio iniziava a darle sui nervi, così si rialzò nuovamente e si diresse in camera per infilarsi qualcosa di più comodo e ripartire alla ricerca di qualcosa da fare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Okay, manteniamo la calma… Eric? Eric! Maledizione torna qui! –

Sentì le urla di Sean arrivargli alle orecchie mentre si avviava a piedi verso la Residenza; non poteva aspettare neanche un fottuto secondo. Kaithlyn avrebbe potuto aver già letto tutti i messaggi e, come se non fosse già un problema quasi insormontabile, non aveva neanche la benché minima voglia di discutere con lei.

Si voltò vero l’altro, continuando a camminare all’indietro e picchiettando con l’indice sull’orologio. – Forse non è chiaro, Sean: se Evenson legge i messaggi, o per caso trova la password del mio pc e le viene la malsana voglia di curiosare sono fottuto okay? Irrimediabilmente, fottuto! Non ho tempo da perdere! – gridò in risposta.

Gli arrivò alle orecchie un verso esasperato, prima che sentisse i passi rapidi di Sean raggiungerlo e una mano stringergli un braccio e bloccarlo.

- Appunto, idiota! Perché diavolo pensi che abbia appena chiesto a Mia di venirci a prendere in macchina?! – domandò con ovvietà, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.

Si bloccò, smettendo immediatamente di provare a divincolarsi. In fin dei conti non era una cattiva idea.

Scrutò attentamente Sean: dopo tutto non aveva alternative, e tra una cosa e l’altra ci avrebbero impiegato meno tempo in macchina che a piedi… anche se correre un altro po’, magari fino a stramazzare al suolo, gli avrebbe fatto bene e gli avrebbe dato modo di riflettere su cosa inventarsi nel caso Kaithlyn avesse scoperto quello che di lì a tre settimane sarebbe accaduto.

- Sta già arrivando, guarda… - proseguì Sean, estraendo il suo di Cercapersone e mostrandogli lo scambio di messaggi tra lui e la ragazza. - … e ora mettiti tranquillo e pensiamo a cosa raccontare a quella psicopatica della tua ragazza! -.

Si lasciò trascinare passivamente verso il muricciolo su cui si erano fermati prima e si sedette, appoggiando gli avambracci sulle gambe.

Iniziava a sentire la testa pulsare fastidiosamente, come gli accadeva dopo ogni attacco d’ira. Provò a massaggiarsi le tempie, invano.

Sentì Sean sedersi accanto a lui, nella sua stessa posizione. – Che cosa succede se lei scopre quello che sta succedendo? – gli chiese, dopo un po’.

Non ci voleva neanche pensare. – Se lo scoprisse e gli altri Capofazione lo venissero a sapere, tecnicamente andrebbe eliminata. – rispose, come un automa, passandosi una mano sugli occhi.

No, decisamente non ci voleva pensare.

Sean diventò pensieroso. – Tecnicamente? Non ne sei sicuro? -.

Sospirò pesantemente dal naso, irrigidendo i muscoli. – No. Kaithlyn è un valido elemento, è la Prima Tiratrice Scelta, ha un’eccellente conoscenza informatica, scientifica e una mente brillante. Sarebbe uno spreco di potenziale non indifferente. E suo padre è uno degli uomini più influenti della città, secondo te lascerebbe correre se la figlia sparisse misteriosamente nel nulla? -.

Fece una pausa, mentre l’immagine del corpo senza vita di Kaithlyn gli balenava davanti agli occhi. Scacciò quell’immagine, che per quanto fulminea riuscì comunque fargli stringere lo stomaco in modo quasi doloroso e fargli salire il vomito. – No, non sarebbe possibile. Per quanto Jeanine potrebbe gioire della dipartita di Kaithlyn, non le conviene né da un punto di vista politico né pratico. – concluse.

L’espressione di Sean, in quel momento, era sconcertata. – Che gliene importa a Jeanine di Kaithlyn? Voglio dire… le due pazze si conoscono? -.

A quelle parole gli venne quasi da ridere, anche se non c’era niente di divertente in tutta quella situazione. Jeanine non aveva fatto altro, negli ultimi giorni, che lanciargli strane frecciatine su Kaithlyn, e non essere ancora venuto a capo di ciò che intendesse, lo faceva diventare pazzo.

Perché stuzzicarlo in quel modo? Doveva esserci dietro qualcosa, o sarebbe stato un comportamento assolutamente illogico e privo di fondamento.

Gli sembrava in impazzire ogni volta che ci pensava, che provava a comprendere cosa ci fosse dietro. Forse avrebbe dovuto fare uno sforzo e domandare a William se sapeva qualcosa in più di lui. Sapeva che anche lui era convolto in quella storia. Lo sentiva dentro la pelle, ed era una sensazione talmente tangibile e reale che gli sembrò quasi di vederlo, nel Quartier Generale, mentre dialogava con Jeanine esattamente come aveva fatto innumerevoli volte lui stesso.

Ghignò, girandosi lentamente verso l’altro. – Prima che si trasferisse qui Kaithlyn era la favorita per la carica di Capofazione degli Eruditi. Avrebbe sostituito Jeanine, un giorno. –

Sean spalancò la bocca e lo fisso incredulo. – In che senso? Jeanine è giovane, come avrebbe fatto a… - iniziò, evidentemente confuso.

Non aveva torto: negli Intrepidi i Capofazione veniva deposti solo per tradimento o a causa di impedimenti fisici che non gli permettessero di svolgere la loro funzione, ed in entrambi i casi venivano messi a morte o erano loro stessi a chiederla.

Era difficile, quasi impossibile che un Capofazione intrepido rinunciasse prima del tempo al suo ruolo.

- Negli Eruditi non è necessario che un Capofazione muoia, o si dimetta, affinché sia sostituito. È sufficiente che sia presente all’interno della fazione un candidato più idoneo al compito, e il “mandato” decade quasi automaticamente. Ovviamente ci sono diverti test da superare, e non è molto saggio tentare di occupare il posto di un Capofazione Erudito, ma può succedere. L’unico fattore importante, per gli Eruditi è il Q.I. e la conoscenza del candidato, altri fattori come ad esempio la popolarità o l’influenza che esercita sugli altri non sono neanche presi in considerazione. Kaithlyn ha ottenuto il massimo dei punteggi in ogni test psicoattitudinale dell’ultimo anno dei livelli superiori e questo l’ha resa per gli Eruditi un potenziale candidato. È per questo che si alzò tutto quel polverone quattro anni fa… solo un pazzo rifiuterebbe un’opportunità del genere e i suoi risultati erano talmente alti che nessuno avrebbe potuto pensare che in realtà fosse un’Intrepida. –

- Be’, magari non è risultata Intrepida. – commentò Sean, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Ebbe un attimo di smarrimento: Kaithlyn? La stessa Intrepida dal carattere indomabile e ingestibile? La stessa ragazza tanto talentuosa nel tiro al bersaglio da entrare nelle Forze Speciali a soli sedici anni? Un’Erudita?

Gli sembrava assurdo. Nessuno  risultato “Erudito” avrebbe potuto essere tanto perfetto per la carica che ricopriva Kaithlyn. O sembrare così ben collocato all’interno della fazione. Le armi, la palestra, il caos del Pozzo… sembravano perfette per lei così forte e indomabile.

Cercò d’immaginarsi Kaithlyn come Erudita, magari con paio di occhiali sul naso, senza il piercing sotto il labbro, sulla lingua e sull’ombelico, priva di orecchini vari e tatuaggi, vestita con una camicetta bianca e una gonna blu lunga fino al ginocchio con tanto di  giacchetta abbinata.

Era abbastanza intelligente? Assolutamente sì, era molto più che intelligente, lo sapeva bene e non aveva dubbi sul fatto che se fosse rimasta tra gli Eruditi sarebbe arrivata in alto.

Ma se fosse davvero risultata Erudita, perché rifiutare un futuro tanto brillante e ricco di soddisfazioni per gli Intrepidi? Per qualcosa d’incerto?

Lasciare una situazione familiare agiata e tranquilla, e un futuro brillante per lanciarsi dai treni in corsa, vivere da sola e doversi mantenere, non era un comportamento logico. Non era un comportamento da Erudito, un Erudito avrebbe fatto i salti di gioia e non si sarebbe spostato neanche morto da dove si trovava al posto di Kaithlyn.

No, era impossibile.

Potrebbe essere entrambe le cose.

No. Impossibile. Cercò di ignorare la vocina malefica nella sua testa che cercava di insinuare il dubbio.

Se Kaithlyn, la stessa Kaithlyn con cui aveva condiviso il letto per tutto quel tempo, avesse avuto dei comportamenti ambigui lui se ne sarebbe accorto. Sapeva riconoscere un divergente, e dopo mesi in sua compagnia…

Sei cieco…

Si prese la testa tra le mani, mentre gli sembrava che tutto iniziasse a ruotare vorticosamente nella sua mente, trascinandolo nel baratro dell’angoscia e della disperazione.

Non poteva essere… non poteva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano passate le undici da una decina di minuti quando udì bussare energicamente alla porta dell’ingresso.

Intuendo chi ci fosse dall’altra parte fece con calma: si alzò lentamente e si diresse scalza verso la porta, prendendosi tutto il tempo del mondo. – Chi è? – chiese educatamente, schiarendosi la voce e appoggiando un palmo alla superficie liscia della porta.

- Io. – disse una voce cupa dall’altro lato.

Il primo impulso fu di chiedere “io chi”, ma si trattenne: la situazione era già abbastanza tesa senza che incrementasse la dose.

Aprì lentamente la porta, ritrovandosi davanti Eric. Aveva le braccia rigide lungo i fianchi e alcuni ciuffi di capelli scuri gli coprivano il viso. Sembrava sudato, quasi febbricitante. Fuori di sé come e più di prima.

Inarcò un sopracciglio e si mise una mano su un fianco. – Sì? Che vuoi? – domandò.

Lui alzò gli occhi su di lei, e lo vide indugiare sul lato del viso su cui l’aveva colpita, ma non disse una parola. Si limitò a scansarla e a entrare di prepotenza.

- Prego, accomodati… fai pure come se fossi a casa tua! – sbottò riacquistando l’equilibrio e seguendo il tragitto di Eric con gli occhi fino alla stanza da letto. Lo seguì, appoggiandosi allo stipite della porta per vedere cosa aveva in mente.

- Non preoccuparti. Prendo la mia roba e me ne vado subito. – le disse senza voltarsi a guardarla. Aveva la voce vibrante come una corda tesa, come se stesse cercando di non urlare.

Fece una smorfia. –Bravo. È l’idea migliore che ti sia venuta nell’ultima settimana. –

Eric la fisso con un’espressione terrificante per interminabili istanti. I capelli neri gli ricadevano sugli occhi, dandogli l’aria fredda e letale di serpente che punta la sua vittima.

Gli scossò uno sguardo di sfida, avendo però il buon senso di rimanere zitta dopo quella che, doveva riconoscerlo, era stata l’ennesima uscita infelice.

Be’, lui le aveva dato della troia, dell’incapace e l’aveva pure sbatacchiata contro il muro. Quello era il minimo che potesse aspettarsi.

Il silenzio regnò per alcuni minuti durante i quali gli unici rumori che si udirono furono Eric che infilava la sua roba nel borsone e la lavatrice che continuava il suo lavaggio.

- Se non trovi quella stupida maglietta che ti piace tanto, sappi che è in lavatrice. – lo avvisò, dopo alcuni minuti vedendo che aveva smesso di armeggiare con i cassetti.

Eric si voltò e la guardò contrariato. – Perché? – chiese scandendo ogni sillaba come se lei avesse voluto fargli un dispetto.

Be’, in effetti…

- Perché puzzava e faceva schifo.  

- Perfetto, allora tornerò domani a prenderla. Piuttosto che passare un’altra ora qui, mi faccio una nuotata nel fiume sotterraneo. – disse, mentre finiva di sistemare la sua roba e sollevava il borsone uscendo dalla stanza.

Lo seguì stizzita fino all’ingresso, aspettando che avesse una mano sul gancio della serratura. – Non credo proprio, Turner. Se esci da quella porta, non voglio più vedere nemmeno la tua ombra da queste parti. Il massimo che posso fare per te è darti un sacchettino di plastica per infilarci la roba bagnata. –

Eric lasciò cadere pesantemente il borsone a terra. – Fantastico. Davvero grandioso. –

Fece marcia indietro, avvicinandosi a lei quanto bastava a guardarla in faccia. – Dimmi una cosa... – iniziò, la voce vibrante di rabbia. – Ti serve forse un po’ di spazio per farti i tuoi comodi con qualcuno? – le chiese, a pochi centimetri dal suo viso.

Inarcò le sopracciglia, fintamente perplessa. – Non so a cosa ti riferisci, Eric. Se magari ti sforzassi di parlare chiaramente anziché... -.

Senza darle preavviso, Eric la spinse contro il muro vicino alla porta e sbatté la mano a pochi centimetri dal suo viso. – A Miller! Ti sei divertita stasera con lui, eh? Non vedi l’ora che mi tolga dai piedi per... – le urlò, mentre sembrava che il sangue gli stesse salendo nuovamente alla testa.

Kaithlyn lo spinse all’indietro, stringendo i pugni per non prenderlo a schiaffi.

Di nuovo.

Si massaggiò gli occhi con una mano, cercando di mantenere la calma mentre sentiva la scintilla della rabbia e dell’irritazione riaccendersi pericolosamente. Era stanca di tutte quelle insinuazioni che la accompagnavano ovunque andasse da anni.

- Intanto vedi di darti una calmata, Turner. Io non sono uno dei tuoi patetici e ridicoli iniziati a cui puoi parlare come ti pare e piace, o puoi rendere partecipe delle stronzate che ti passano per la testa. – scandì con una strana calma nella voce, che però non sentiva dentro di sé.  

Le sembrava quasi di tremare, e che il tremore si diffondesse dallo stomaco al resto del corpo, fino al cervello impendendole di ragionare con lucidità.

Forse ancora doveva metabolizzare quello che era successo, o magari era solo una scusa per prendere tempo e riflettere sul da farsi: non poteva lasciar correre. Non quella volta. Non dove essere stata sbattuta al muro, quasi picchiata e insultata. Non era da lei, non era così che funzionava.

Nonostante ciò, Eric Turner era ancora lì davanti a lei, a guardarla con gli occhi intrisi di rabbia e rancore.

Sembrava, a guardarlo, che la gelosia e la rabbia lo stessero consumando eppure c’era qualcos’altro in fondo alle iridi d’acciaio. Come se stesse tramando e i suoi pensieri fossero in parte lontani, altrove.

Lo guardò attentamente, mentre la sua mente iniziava a lavorare e formulare ipotesi esattamente come le era stato insegnato a fare per risolvere i problemi e capire ciò che le stava intorno.

Lo vide lanciare un’occhiata furtiva verso la cucina, che lei aveva alle spalle.

Il giaccone. Aveva appoggiato il giubbotto nero di Eric sulla sedia, ed era in quella direzione che lui aveva puntato lo sguardo.

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso; presa da una furia irrazionale e priva di fondamento, perché era consapevole di starsi basando su un’idea infondata, si diresse speditamente verso il tavolo della cucina, scansando con una dolorosa spallata il ragazzo e raggiungendo il suo obiettivo in pochi attimi.

Fece scattare rapidamente lo sguardo dal giubbotto nero al Cercapersone, indecisa su cosa fare.

Lo schermo del dispositivo s’illuminò improvvisamente e vibrò, rivelando sul display il nome di Max; decise di assecondare la rabbia che sembrava essersi impadronita di lei e che in quel momento sembrava averle quasi anestetizzato la spalla dolorante. Afferrò bruscamente il Cercapersone e lo scagliò contro Eric, che nonostante l’avesse seguita silenziosamente si teneva a diverse decine di centimetri di distanza.

- Ecco cosa sei venuto a fare! – urlò guardando furente mentre lui afferrava al volo il dispositivo illuminato prima che cadesse a terra. Il display continuava a vibrare disperatamente, e poteva anche essere qualcosa d’importante, ma non le importava.

- Se venuto fin qui per questo, vero? Con chi devi chiacchierare? Con una di quelle sgualdrinelle da quattro soldi che ti sbavano dietro solo perché sei un Capofazione!? O perché la serata non è stata abbastanza soddisfacente e speravi di ottenere altro? – gridò, ancora. Ormai si sentiva incapace di frenare la lingua e l’unica cosa che desiderava era ferirlo e umiliarlo, come lui aveva fatto con lei… non importava che in quella stanza ci fossero solo loro due e non importava neanche che potesse aver travisato completamente i suoi gesti.

Voleva provocarlo, costringerlo a cedere… come stava facendo lei a causa della stanchezza.

Afferrò malamente il giaccone e lo guardò con aria critica, prima di iniziare a scuoterlo facendo cadere a terra il portafoglio, il budge per accedere a tutti i locali della Residenza, il distintivo di riconoscimento da Capofazione e un mazzo di chiavi.

Lanciò la giacca nera sul tavolo della cucina con un gesto di stizza e raccattò il portafoglio.

Con calma studiata lo aprì e iniziò a estrarne il contenuto, prima di lanciarlo addosso a Eric con rabbia.

Poi fu il turno delle chiavi, che afferrò quasi senza guardare prima di tirarle in faccia al ragazzo, che non sembrava reagire. – Ecco! C’è altro che ti serve qua dentro? – chiese facendo un gesto con le mani riferito a se stessa e senza attendere una risposta strinse le dita intorno al tessuto del giubbotto e lo tirò un paio di volte addosso a Eric, costringendolo a fare un paio di passi indietro per non ricevere un bottone o la cerniera in un occhio.

Fu quasi contenta di vedere un vago barlume di scintilla combattiva infondo alle iridi grigie e fredde. Lo sentì quasi ringhiare, prima che avanzasse verso di lei tanto da arrivare a pochi centimetri dal suo viso.

Era furiosa. Furiosa e confusa, e non sapeva dove battere la testa; in genere, quando aveva un problema o le capitava qualcosa cercava sempre la soluzione migliore per risolvere o aggirare l’ostacolo che si trovava davanti, che fosse fisico o mentale, cercando di non risentirne e ottenere il massimo. Così le avevano insegnato negli Eruditi e così continuava a fare anche dopo quattro anni dal giorno della sua Scelta. Funzionava, ed era un metodo che le era tornato utile in tutto: nei combattimenti, nei test teorici e nel valutare chi gli stava intorno.

Quella situazione faceva eccezione però: non capiva, non riusciva a comprendere, a trovare una spiegazione logica a quello che era accaduto poco prima. Aveva ipotizzato che si fosse trattata semplicemente di un attacco di rabbia, ma era strano: negli ultimi cinque mesi non l’aveva mai visto perdere il controllo, anche se aveva avuto dei momenti in cui non sembrava perfettamente in sé, come qualche giorno prima quando aveva accennato all’onnipresenza di rappresentanza Erudita nella Residenza, ma non era mai successo niente di serio. Niente che la potesse spaventare o toccare, e lui era sempre stato fin troppo protettivo nei suoi confronti.

Per quanto si sforzasse e stesse cercando di spremersi non riusciva a capite e la cosa la stava facendo diventare pazza: odiava perdere il controllo della situazione e non sapere come gestire ogni eventualità la rendeva nervosa e paranoica all’inverosimile. Non era mai stata il tipo che si fida del prossimo a priori e in quel momento, quella fiducia che era riuscita a concedere faticosamente ad Eric in quei pochi mesi di frequentazione vacillava pericolosamente.

Eric strinse le labbra. – Hai finito? – mormorò, abbassando la mano che reggeva la giacca che era riuscita a toglierle dopo il secondo colpo. La voce era tornata bassa e letale, come se la rabbia di pochi attimi prima fosse stata risucchiata improvvisamente.

Era incredibile come riuscisse a passare dall’ira più feroce e nera alla calma più assoluta e calcolata.

Eppure sembrava ancora febbricitante, gli occhi appannati da chissà cosa.

- No! Non ho finito per niente! – strillò, stringendo i pugni e allontanandosi da lui con un moto di stizza. – Che diavolo ti è preso, si può sapere eh? – gli ringhiò, voltandosi verso di lui infuriata.

- Guarda che hai iniziato te, stamattina. Se avessi tenuto quella boccuccia che ti piace tanto usare chiusa, non sarebbe successo niente. – commentò, la voce bassa e cupa, quasi ringhiosa.

Kaithlyn spalancò la bocca e si sentì infiammare fin dentro le viscere, era una rabbia che partiva dallo stomaco e si diffondeva rapidamente in tutto il resto del corpo fino ad annebbiarle la mente.

- Ora, se hai finito di fare la gallina isterica, rivorrei anche il resto della mia roba. – proseguì, con calma calcolata.

A quel punto non ci vide più. Tornò verso di lui, arrivandogli a pochi centimetri dal viso, prima di spintonarlo contro fino alla parete vicino alla porta.

- Non ti permettere. – sibilò mentre gli tirava un’ultima spinta.

- Stammi a sentire, se pensi io possa tollerare di sentirmi dare della puttana da uno stronzetto paranoico pieno di complessi,  al quale ho insegnato ad allacciarsi gli scarponi da addestramento e che solo per il fatto di essere diventato Capofazione credo di potersi permettere tutto… -

Eric sorrise un po’, nonostante gli occhi gli si fossero rabbuiati. – Certo. Dato che sei la mia istruttrice, devo stenderti il tappeto rosso. Quasi l’avevo dimenticato. – le sibilò e sembrò quasi che parlasse più a se stesso che a lei.

Kaithlyn lo guardò, gli occhi azzurri ardenti di rabbia e delusione.

Lo spintonò ancora contro il muro, facendogli sbattere la schiena. – Se volevi una brava ragazzina moccicosa che ti pulisse il naso e dicesse quello che vuoi sentire tu solo per alleviare la tua sensazione di essere un fallito, ha scelto la persona sbagliata! – gridò, ma Eric non la guardò nemmeno.

Gli prese il mento con gesto di rabbia e gli girò bruscamente il viso. – E guardami in faccia quando ti parlo! – strillò, ancora.

- Non toccarmi – ringhiò lui allontanando la sua mano con un gesto secco. – Non provare a toccarmi. –

Kaithlyn gli scoppiò a ridere in faccia. – Povero piccino… sono troppo cattiva per te? – lo derise, sporgendo il labbro inferiore.

L’espressione di derisione che aveva dipinta sul viso si tramutò in una smorfia di dolore quanto Eric la afferrò la testa con entrambe le mani e ribaltò le posizioni attaccandola al muro e schiacciandola con il suo corpo. Sentiva le sue mani tremare, come se si stesse trattenendo dallo stringergliele intorno al collo.

La costrinse ad alzare il viso verso di lui, e l’occhiata che le riservò ebbe il potere di farla tremare d’inquietudine.

Sembrava un pazzo. – Chiudi la bocca, o lo farò io per te. – le sibilò, come un serpente velenoso.

Fu costretta a inarcarsi leggermente verso di lui e allungarsi sulla punta dei piedi per mantenere l’equilibrio. Eric le stringeva con forza il viso e lo zigomo le pulsava dolorosamente, così come la spalla. – Non giocare a chi è più cattivo con me, Eric. So che ci sei abituato, ma perderesti miseramente ed io non voglio sorbirmi le tue lagne patetiche. – riuscì ad articolare.  

Eric sibilò tra i denti e le arrivò tanto vicino che per un attimo temette che volesse darle una testata in mezzo agli occhi. – E c’è qualcuno che ancora si domanda come tu, sia arrivata dove sei…- mormorò passandole senza delicatezza il pollice sul labbro inferiore e squadrandola crudelmente, con un’occhiata che lasciava intendere il significato di quell’affermazione.

Spalancò gli occhi. Tra tutto quello che si era sentita dire dietro, quella era la cosa che la mandava decisamente più in bestia.

Provò a divincolarsi. – Fottiti – gli sibilò in un lamento, provando a strattonarsi inutilmente, dalla sua presa.

Eric la fisso per un lungo secondo; gli occhi vuoti e freddi come il ghiaccio. – Va’ all’inferno. –

La lasciò bruscamente andare, facendole strusciare la schiena contro la parete, e se ne andò sbattendo la porta prima che lei avesse il tempo di rispondergli.

Il colpo alla schiena le fece quasi venire le lacrime agli occhi: era stanca, le scoppiava la testa e schiena e viso le pulsavano dolorosamente.

Se avesse avuto abbastanza energie l’avrebbe rincordo per prenderlo a pugni, ma non era la serata adatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sentiva l’inquietudine dei suoi stessi pensieri avvelenarlo fin dentro le ossa. Era stato solo un pensiero quello di neanche due ore prima, che gli era passato nella mentre come un sottile, tenue filo di luce, ma aveva avuto la stesse potenza devastante di un veleno, che distrugge tutti i tessuti che incontra, corrodendoli. Aveva alimentato da solo i suoi incubi, e fino a quando non fosse riuscito a chiarirsi le idee, non avrebbe avuto pace.

Stava impazzendo: se non si fosse tolto quel dubbio atroce e logorante sarebbe diventato pazzo, ne era certo.

Le parole di Sean sembravano rimbombargli ancora nelle orecchie, e doveva assolutamente chiarirsi le idee. Avrebbe hackerato l’intero sistema di Chicago se fosse stato necessario… avrebbe fatto qualsiasi cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci mise qualche secondo per riordinarsi le idee una volta uscito dall’appartamento di Kaithlyn. Doveva assolutamente accedere all’archivio dati delle simulazioni degli anni precedenti e togliersi quel pensiero assurdo, che sembrava divorarlo dall’interno.

Non lei. Chiunque, ma non Kaithlyn.

Era fuori di sé dalla rabbia, amareggiato e deluso, ma sapeva di essersi spinto troppo oltre con lei. Non avrebbe dovuto lasciarsi sopraffare dall’ira che aveva preso a scorrergli come lava incandescente al posto del sangue e umiliarla in quel modo, ma in quel momento l’unica cosa che voleva era ripagarla con la stessa moneta.

Sapeva di essere riuscito a creare una crepa nell’orgoglio di Kaithlyn, e se ne compiaceva. Allo stesso tempo avrebbe voluto riavvolgere le ultime ore e tornare alla sera prima quando l’aveva trovata ad aspettarlo nella vasca da bagno.

Considerando chi era stato a insinuargli il dubbio, si diresse quasi correndo verso l’appartamento di Sean, al piano inferiore.

Scese le scale due gradini alla volta, e si appoggiò al muro per svoltare più in fretta possibile e raggiungere il suo obiettivo: sembrava che le sua gambe avessero vita propria, che si muovessero indipendentemente dalle sue idee confuse e deliranti e sapessero perfettamente dove andare.

Aveva la gola secca, talmente arida che gli sembrava quasi cha l’aria che entrava e usciva dai suoi polmoni gli stesse graffiando tutte le vie respiratorie. Era fradicio di sudore, e l’aria fredda del corridoio che gli passo sulla pelle bagnata lo vece rabbrividire nonostante la corsa.

I corridoi erano bui e deserti fortunatamente, e non impiegò che pochi secondi per raggiungere il portone dell’appartamento con il campanello al nome “Byrd”.

Batté con forza un pugno sulla porta di legno massiccio. Una, due, tre volte.

- Sean! Dannazione apri! APRI! – gridò, battendo un ultimo colpo più forte.

Quella che gli uscì non sembrava neanche la sua voce.

Il silenzio che aveva intorno sembrava riempire ogni angolo del corridoio, rendendolo ancora più opprimente. Gli fischiava nelle orecchie per il silenzio. Avrebbe preferito che ci fosse più rumore; magari un movimento, qualcuno di passaggio… qualsiasi cosa che lo distraesse dai suoi incubi.

Si guardò rapidamente intorno e strinse i pugni, mentre qualcosa di caldo, di cui non si era reso conto fino a quel momento, gli scorreva tra le dita.

Sangue.

Forse era stato a causa dell’adrenalina ma non si era reso conto, fino a quel momento, di avere un unico taglio all’attaccatura delle dita, abbastanza profondo da fargli tremare le mani e scorrere il sangue fino a sporcare il pavimento.

Si contemplò per un secondo i palmi, maledicendosi per non essere riuscito a controllarsi. Aveva il dorso di entrambe le mani incrostato di sangue, fuoriuscito dalla croste che si era già procurato e che si erano inevitabilmente riaperte quando aveva stretto le mani intorno alla ringhiera che dava sullo strapiombo e aveva preso a pugni il muro.

Ora che l’effetto quasi anestetizzante dell’adrenalina, che gli aveva permesso di ignorare il dolore, stava scemando gli facevano anche dannatamente male. Si maledisse mentalmente e si costrinse ad abbassare le mani e ignorare il dolore.

Scosse la testa. Se ne sarebbe occupato più tardi, in quel momento aveva cose più urgenti da fare.

Alzò nuovamente il braccio, pronto a colpire ancora la porta e anche a sfondarla, se necessario, con un paio di spallate. Aveva già tirato leggermente indietro la mano per colpire nuovamente la porta, quando questa si aprì.

Sulla soglia apparve Sean, a torno nudo e con la faccia di uno che è stato appena svegliato da un sonno piuttosto pesante. Alle sue spalle c’era Mia con quella che doveva essere la maglietta di Sean addosso e l’aria altrettanto sconvolta e assonnata.

- Devi venire con me. Adesso. – sibilò, con la solita espressione imperscrutabile che lo contraddistingueva.

Doveva avere un aspetto terrificante, perché entrambi lo guardarono come se avessero visto un fantasma.

Sean si riscosse, scrollando la testa. – Sì… - mormorò, cercando di nascondere uno sbadiglio. – Mi vesto e arrivo… - brontolò, tornando dentro strusciando le ciabatte sul pavimento.

- Veloce! È urgente! – ringhiò.

Era nervoso, non voleva aspettare. Non poteva, doveva sapere.

- Ciao Eric… - biascicò Mia, ancora sulla porta. – Vuoi entrare? -.

- No, grazie. Digli di muoversi. –

- Ti senti bene? – gli chiese, inclinando la testa da un lato e guardandolo attentamente.

- Sì. Digli di muoversi! – ringhiò ancora.

Lei gli lanciò un’occhiata poco convinta, si passò una mano tra i capelli castani, e rientrò.

La sentì borbottare qualcosa a Sean, e che pochi attimi dopo riapparve sulla soglia.

- Era l’ora! Muoviti, dobbiamo prima passare da me! – gli sibilò, afferrandolo per un braccio e iniziando a trascinarlo verso il suo appartamento.

Sean si passò una mano tra i capelli. – A fare cosa? Dove stiamo correndo? Si tratta di… - domandò, improvvisamente serio lasciando la domanda in sospeso.

- No… qualcosa del genere, vieni con me e non fare domande. – rispose evasivo, accelerando il passo.

Fecero le scale correndo, e quando arrivarono davanti alla porta, erano entrambi quasi senza fiato.

Eric infilò le chiavi nella serratura e aprì rapidamente la porta. Lanciò il giubbotto sul divano con poca delicatezza e senza neanche accendere la luce si precipitò in camera sua.

Il letto a una piazza e mezzo era ancora disfatto dalla mattina, le lenzuola aggrovigliate proprio come l’ultima volta che si era rotolato tra le lenzuola con Kaithlyn. Sentì lo stomaco stringersi in una morsa dolora a quel ricordo.

Sembrava impossibile che in così poche ore, da quando lei si era fatta trovare nella vasca da bagno nuda e invitante come la più seducente delle tentazioni, solo per lui, fossero arrivati a quello.

Aveva ancora le chiavi di casa sua però, costatò guardando il suo mazzo di chiavi.

Bene, gli sarebbero state utili più tardi dato che lei non gli avrebbe mai aperto.

Si guardò intorno, cercando di fare mente locale. Andò alla scrivania, situata accanto alla porta e aprì il cassetto, infilandoci una mano per cercare quello che gli serviva.

Forse nel comodino?

Montò sul letto e lo scavalcò per fare prima, aprì il cassetto, cercò quella stramaledetta chiavetta ma nulla.

- Che stai cercando come uno psicopatico schizzato, se posso chiedere? – domandò Sean alle sue spalle, appoggiandosi alla parete accanto alla porta.

- Una chiavetta. – rispose laconico, passandosi una mano sulla testa pensando a dove poteva averla cacciata. – Blu, c’è un’etichetta bianca con scritto il mio nome sopra. –

- Quella che usi per i file con gli Eruditi? – indagò l’altro.

- Non esattamente. –

- Attaccata al computer? –

- No. –

- Mmh… nella borsa per il computer? –

- No! – ribatté, pensieroso. – Aspetta… -

Forse aveva un’idea di dove poteva essere: si era ripromesso di utilizzarla solo in caso di emergenza, ed ogni volta che aveva dovuto apportare delle modifiche al suo contenuto l’aveva sempre rimessa al suo posto, deciso due anni prima.

S’inginocchiò sul pavimento e guardò sotto il letto, intravedendo la sagoma della sacca che aveva usato durante la sua iniziazione. S’infilò con la testa e metà del torace sotto il bordo del letto e strisciò fino a raggiungerla.

Afferrò la stoffa ruvida della borsa, sollevando un sottile strato di polvere e si ritrascinò fuori.

La appoggiò sul bordo del letto e la aprì, iniziando a tirare fuori i vestiti che aveva il Giorno della Scelta. Doveva tenerla dove nessuno avrebbe guardato: chi poteva andare a cercare sotto il suo letto in una vecchia sacca da palestra in cui erano contenuti i vestiti del suo Giorno della Scelta e poco altro?

Trovò quello che cercava nel taschino interno della giacca blu. – Prendimi il computer, accendilo e mettimelo sul tavolo di là, okay? – mormorò, rigirandosi la chiavetta tra le mani. – Stiamo per fare una cosa pericolosa. –

- Tu stai per fare una cosa pericolosa, amico. – precisò Sean, afferrando dalla scrivania il pc e dirigendosi nell’altra stanza.

Una delle cose positive di Sean, era che non faceva troppe domande.

Per quanto riguardava lui doveva essere veloce e invisibile se voleva ottenere le informazioni che cercava: poteva farcela, e sperava davvero che l’archivio dati non fosse nel sistema interno degli Eruditi, o avrebbe avuto bisogno di molto più che i nervi saldi.

Sean lo aspettava seduto sul divano, lo schermo del computer acceso sulla schermata che chiedeva la password dell’account.

Prima di raggiungerlo si diresse verso la porta e chiuse dall’interno, in modo da essere sicuro non poter essere disturbato. Se fosse venuto qualcuno a cercarlo, avrebbe fatto in tempo a chiudere tutto, levare il computer e fare finta di nulla. prese anche due bicchieri dalla credenza e lì riempì con un po’ di liquore, in modo che fosse tutto più convincente.

Poggiò il bicchiere davanti a Sean. – Non berlo. Serve se arriva qualcuno. – lo avvisò, dato che lui aveva già allungato la mano per bere.

Sean annuì, posando il bicchiere davanti a lui e sistemandosi nervosamente sul posto.

Si scrocchiò le dita mentre si sedeva facendo un bel respiro.

- È una cosa legale, almeno? – domandò l’altro, mentre lui accedeva al suo account.

Gli lanciò un’occhiata rapida. – No. Se ci beccano l’ipotesi migliore, è che mi licenzino in tronco. –

- Ah. Hai voglia di un po’ di adrenalina, eh? – lo provocò, strusciandosi le mani sui pantaloni. Era evidente che fosse nervoso anche lui e non lo biasimava per questo.

Scosse la testa, ignorando il tentativo di alleggerire la tensione.

Aspettò che l’hardware fosse installato correttamente, prima di cliccarci sopra.

Andò sulla cartella “EW”, e inserì la password. Erano in due a saperla in tutta Chicago… ed entrambi erano stati abbastanza bravi da rendere quasi impossibile indovinarla o risalirci in alcun modo.

Si aprì una lista di file, che scorse con lentezza, attento a non saltare quello che gli serviva. Quando lo trovò, sotto un nome fittizio, ci cliccò sopra un paio di volte lanciando finalmente il programma.

Gli apparirono due schermate piene di codici all’apparenza incomprensibili e una piccola finestra di dialogo blu in alto a destra su cui lampeggiava un lineetta bianca.

- Okay. – mormorò in un respiro.

- Io devo fare qualcosa? – chiese Sean, sporgendosi verso di lui. – posso guardare? – aggiunse.

- Sì. Ma non ci capirai niente. – lo avvertì laconico, cercando l’accesso al computer di Max.

Quando lo individuò, con sua grande sorpresa, lo trovò acceso e attivo. La freccetta bianca si muoveva sulle cartelle, e sembrava stesse cercando qualcosa.

Max non era esattamente un mago in quel genere di cose, ma aveva messo una password a ogni cartella.

Quella per l’accesso al pc era 084628.

Cercò il canale delle videocamere, fino a trovare quella dell’ufficio di Max scoprendo che era vuoto.

Quindi qualcun’altro stava provando ad accedere. Nessuno dei Capofazione, lui incluso, ne aveva motivo dato che avevano gli stessi identici file con l’inventario e i piani di attacco.

Per sicurezza bloccò il secondo utente, escludendolo dal computer e si appuntò di dire a Max di modificare la password al più presto.

Ricercò nella memoria interna i file degli anni precedenti, ritrovando solo quelli di tre anni prima, che erano i più vecchi.

- Maledizione… - mormorò, stringendo i pugni sulle ginocchia e allontanandosi un po’ dallo schermo.

- Che succede? È andata male? – indagò Sean, sbirciando sullo schermo.

- Max ha i dati d’iniziazioni solo fino alla classe di tre anni fa… - spiegò, - okay, a mali estremi… -

Si rimise al lavoro e per sicurezza bloccò l’accesso al computer di Max fino al giorno seguente.

Si sarebbe dovuto preoccupare di più dell’altro utente, ma in quel momento aveva pensieri più urgenti e cose più difficili da fare.

- Allora cosa vuoi fare? – sbadigliò Sean, senza curarsi di mettersi una mano davanti alla bocca.

- Entro nel sistema interno del Quartier Generale degli Eruditi, nell’archivio, faccio una copia di quel che mi serve ed esco. – rispose meccanicamente, mentre una goccia di sudore gli scivolava lungo una tempia.

- Non ci capisco granché. Che succede se ti beccano in questo caso? –

Non rispose, non volendo pensare anche a quello che fino a quel momento era risultato nella sua scala delle priorità come l’ultimo dei suoi problemi. Eppure non era da sottovalutare per niente. Jeanine non sarebbe stata contenta, ma non doveva neanche venirlo a sapere.

Si tirò indietro i capelli con una mano e rilanciò il programma. Doveva trovare una porta aperta ed entrare nel sistema, ma non era così ovvio: il sistema degli Eruditi era dotato di sistemi di sicurezza notevoli, e trovare una porta da cui passare per accedere proprio all’archivio dati, non era un’impresa da poco.

Sicuramente gli avrebbe fatto comodo una mano, dall’altra parte.

Cercò tutte le vie possibili fino a quando non ne trovò una. Era quasi per forzarla ed entrare, quando nella finestrella di dialogo in alto a destra, apparve un messaggio numerico tutto in grassetto.

Lì per lì iniziò a sudare freddo, prima di rendersi conto che non si trattava di un linguaggio numerico convenzionale o utilizzato.

- Che vuol dire? – s’intromise Sean, cercando un nesso logico.

Il cuore iniziò a martellargli velocemente nel petto.

- “NAVIGAZIONE IN INCOGNITO, IDIOTA.” – rispose, decifrando il codice che lui stesso aveva contribuito a inventare qualche anno prima.

- Ah, tipo linguaggio in codice! Come sai cosa c’è scritto? Non ho mai visto una sequenza di numeri simile, sembra piena di errori! – proseguì, cercando di capire dove stesse il nesso logico.

- Non c’è una sequenza logica… e non lo troverai nei libri. L’ho inventato io. Un po’ come quei giochetti che fanno le bambine di aggiungere una lettera davanti e dopo le vocali per avere il loro “linguaggio segreto”, hai presente? Ecco, è la stessa identica cosa, solo fatta con i numeri usati per la programmazione. Hanno una logica solo per chi conosce il trucco, che poi sarebbe una banalissima chiave di lettura. –

Sean intrecciò le mani davanti a sé, poggiando i gomiti sulle cosce. – Forte! Come i gemelli, che si capiscono anche senza… oh! Ah… ecco... – mormorò, come colto da un’improvvisa illuminazione.

Eric tirò su un angolo della bocca. – Sì beh… hai capito. A quanto pare ho avuto fortuna! –

Strano..

Inserì la navigazione in incognito e digitò un altro codice come risposta.

- Che cosa hai scritto, adesso? –

- Che ho seguito il suggerimento e ho chiesto se c’è una porta aperta per entrare nel sistema. – rispose senza staccare gli occhi dal monitor. Gli faceva uno strano effetto parlare dopo tutto quel tempo proprio con lui.

Eppure avrebbe dovuto essere contento: non si sarebbe fidato di nessun altro per quello che stava per fare, e non avrebbe potuto sperare in un aiuto migliore.

Sean annuì, affascinato.

- Figo pero! – si complimentò.

- Lo sapremo tra poco… – ribatté laconico. Gli tremavano le mani per il nervosismo. Da una parte non voleva sapere cosa ci fosse scritto in quei file, mentre dall’altra non vedeva l’ora di togliersi quel dubbio che lo stava letteralmente facendo impazzire.

*

- Ho trovato una porta. Fa’ in fretta, non posso stare qui tutta la notte a farti da balia virtuale.

- Vado, copio e sparisco. Rilassati, Einstein.

- Fatto, hai trenta secondi per entrare. Sbrigati.

*

Entrò rapidamente dove gli era stato indicato con una serie di tasti e finalmente fu nell’archivio dati.

Si sentì gelare il sangue: c’erano migliaia di cartelle.

Riaprì la conversazione.

*

- Renditi utile alla comunità: i file delle classi d’iniziazione di quattro anni fa.

- Cercatele, sto già cancellando tutti i dati che hai disseminato per la rete prima di mettere la navigazione in incognito. Sapevo che le tue erano braccia tolte all’agricoltura!

*

Fece una smorfia, mentre iniziava a pensare a come potesse chiamarsi quella benedetta cartella: non aveva tutta la notte, e quella storia cominciava renderlo nervoso. Sentiva il sudore colargli sulla schiena e sulle tempie.

Improvvisamente vide qualcuno ricercare qualcosa nella barra in alto a destra e la cartella cominciò la ricerca.

Ci vollero alcuni minuti prima che apparisse quello che cercava.

Copiò l’intera cartella e prima di pensare a cos’altro potesse tornargli utile uscì dal sistema come un moto di sollievo.

*

- Lo so, non c’è bisogno di ringraziarmi!

- ...

- Sei sempre così eloquente!

- Perché stavi entrando nell’archivio?

- Tengo sott’occhi questa connessione tutte le sere. Perché tu ti volevi fare un giro nell’archivio dati invece?

- Informazioni. Non mie.

- Tieni per te il resto.

- Volentieri.  

- Sei solo?

- No.

- Dobbiamo modificare la chiave?

- No.

- Perfetto. Vado a rassettare tutto.

*

- Imbecille…- borbottò, chiudendo anche lui e cancellando ogni dato rimasto.

- Conversazione interessante? – indagò Sean, che ovviamente non aveva potuto leggere niente non conoscendo la chiave di lettura.

- Non esattamente. Sicuramente utile. – ribatté, copiando la cartella sul suo desktop.

- È quella? –

- Sì. Vado? – chiese mettendo il cursore sulla cartellina con il nome di Kaithlyn. Si sentiva stranamente nervoso, nonostante il pericolo immeditato fosse passato.

Forse era per la conversazione avuta poco prima, o perché stava per scoprire qualcosa in più su Kaithlyn… e rischi che ne derivavano.

Sean deglutì e annuì, fissando intensamente lo schermo. – Vai e non pensiamoci più. -

Aprì la schermata, trovandosi davanti alla scheda dati di Kaithlyn.

- Ahaha, guarda com’era la Maledetta Stro... ehm… Kaithlyn a sedici anni! – esordì Sean, ridacchiando e correggendosi prima di chiamarla con l’appellativo poco lusinghiero che le avevano rifilato due anni prima quando era la loro istruttrice.

Non aveva tutti i torti: faceva uno strano effetto vederla così piccola. Aveva gli occhi un po’ più grandi, e l’espressione corrucciata sul viso più rotondeggiante, da ragazzina, creava uno strano contrasto con il viso da bambolina che si portava dietro ancora dopo quattro anni.

Sembrava ancora più piccola con le lentiggini sul naso e senza piercing sotto il labbro. O magari era semplicemente condizionato dal fatto di aver mai visto una sua foto prima che si trasferisse. Kaithlyn non era il tipo che amava farsi fotografare.

Sembrava proprio una bambina… però era carina anche allora. Se avessero fatto l’iniziazione insieme, probabilmente ci avrebbe provato. E avrebbe ucciso Jason Miller prima che si relazionasse con lei, poco ma sicuro.

Sembrava determinata e sicura di sé, una abituata a primeggiare, a vincere e a non essere seconda a nessuna; e quell’aria che aleggiava sul viso delle piccola Kaithlyn faceva quasi ridere considerando l’aria innocua che aveva.

Era la sedicenne dall’aspetto meno minaccioso che avesse mai visto. Bella anche allora, certo, ma senza quell’alone intrigante che doveva aver acquisto con il tempo.

L’unica cosa sempre uguale era lo spirito battagliero che aveva negli occhi azzurri.

Proseguì nella lettura.

Data di nascita, 23 Giugno.

- Ahah, non sapevo fosse anche lei una delle più piccole del suo anno! – commentò ancora Sean, leggendo i dati dell’anagrafica.

- In realtà doveva nascere nella seconda metà di Agosto, sarebbe potuta entrare direttamente l'anno successivo. – ribatté, quasi in automatico.

- Prematura? E tu come lo sai? Te l’ha detto lei? –

- No… mi sono informato. Un po’ di tempo fa. –

- Però: stalker, pirata informatico e carattere molto irritabile. Non hanno tutti i torti a trovarti un tipo inquietante, sai? – gli disse, poggiando una caviglia sul ginocchio e incrociando le braccia dietro la testa.

Lasciò stare quei dati irrilevanti e scorse con il mouse fino al responso del test attitudinale.

Quando lo lesse, tirò un primo sospiro di sollievo. Il responso di Kaithlyn era stato dato dal computer, nessuna sospetta trascrizione manuale. Era già qualcosa, anche se al contrario di quanto pensava Sean, il risultato assegnava a Kaithlyn gli Intrepidi.

- Ah. Pensavo di averci azzeccato… - brontolò Sean.

- Chi se ne frega! Guarda, è stato inserito dal computer… in genere quando c’è qualcosa di strano e viene coperto da uno degli addetti, il responso viene i riportato manualmente. Questo è stato inserito dal computer senza modifiche. – gli spiegò, anche se si rendeva conto di farlo più per se stesso che per la necessità di spiegazioni di Sean.

- Ed è sufficiente a sciogliere i tuoi dubbi? – gli chiese l’altro seriamente.

Eric deglutì. – No. Andiamo avanti…. E accendi la stampante. – gli disse.

Sean, capendo che voleva guardare quello che veniva dopo da solo, si alzò e andò nell’altra stanza ad accendere la stampante che era sistemata su un lato della scrivania.

Per prendere tempo si lesse con calma il resoconto del primo modulo. Kaithlyn aveva perso il primo e il secondo incontro, ma aveva dei punteggi che rasentavano la fantascienza nelle esercitazioni con i coltelli e al poligono e avendo vinto tutti gli incontri successivi al secondo si era comunque classificata in prima posizione. Aveva vinto a Ruba bandiera, e per merito le erano stati assegnati punti extra. Inoltre, secondo quanto c’era scritto lì, era stata anche in grado di seguire l’addestramento per i tiratori in contemporanea all’iniziazione, dopo cena e la mattina all’alba guadagnando altri punti extra.

C’era anche una foto, che lo lasciò vagamente turbato, in cui della ragazza del Gorno della Scelta non era rimasto che poco o nulla.

Sembrava stanca, esausta come non l’aveva mai vista. Il viso cereo, le occhiaie scure sotto gli occhi e diversi lividi rendevano il suo viso quasi irriconoscibile. Si era già fatta il piercing sotto il labbro inferiore, al centro, creando un altro elemento di distacco con la ragazzina appena traferita di poche pagine prima.

Ed era magra, magrissima. Il viso scavato faceva quasi effetto e dalla foto si potevano intravedere le spalle più spigolose; non credeva che qualcuno di costituzione tanto esile come lei, già magra di suo, potesse perdere tanti chili.

Andò avanti e iniziò a leggere, mentre sentiva il suo cuore aumentare i rapidamente i battiti per l’agitazione.

Nella prima simulazione del secondo modulo aveva fatto un tempo abbastanza regolare: 7 minuti e 48 secondi.

Non era male, ma non era neanche niente di eccezionale. Niente di sospetto, per lo meno.

Il secondo era più lungo di qualche decina di secondi, forse aveva affrontato una paura più ostica…. Continuò a leggere, fino a quando non decise che avrebbe fatto meglio a cercare il tempo più basso e togliersi il pensiero.

Il tempo migliore era registrato tra le ultime simulazioni, con un tempo di 4 minuti e 13.

Era una tempistica breve, ma non unica. In genere i divergenti arrivavano anche a due, tre minuti senza problemi. Chiunque poteva ottenere un miglioramento di quel genere, ne era sicuro.

Diede l’ordine di stampa prima di chiudere tutto con cura. Prima di cancellare i file diede un ultimo sguardo alle due foto di Kaithlyn a sedici anni, poi aspettò che la stampante terminasse il suo lavoro e spense il pc.

Si diresse verso la sua stanza, dove trovo Sean appoggiato alla parete accanto alla scrivania, al buio, che cercava di guardare da un’altra parte. Appoggiò il computer sulla scrivania con cura, prima di afferrare il foglio che aveva stampato e prendere un evidenziatore per sottolineare eventuali dettagli che tornassero poco con il profilo della ragazza.

Se non altro, in quel momento, aveva il cuore più leggero e la discussione di poco prima non sembrava che uno stupido ricordo lontano anni luce.

Tirò un sospiro di sollievo non trovando niente di rilevante da annotare e si lasciò cadere lungo disteso sul letto.

- Sei svenuto? –

La voce di Sean sembrava arrivare da un altro pianeta, tanto iniziava a essere su di giri. Si rendeva conto solo in quel momento di quanto l’avesse reso teso il pensiero che Kaithlyn potesse essere divergente; era vero che spesso ci si rende conto di quanto sia gravoso qualcosa solo quando ci viene tolto dalle spalle.

Avrebbe potuto proseguire con il piano con il cuore un po’ più leggero. Non gli importava del resto della fazione; per quel che lo riguardava, potevano anche morire tutti nell’attacco, ma non lei. Kaithlyn era l’unica che, nonostante l’incompatibilità che avevano caratterialmente, riuscisse a tenere insieme tutti i pezzi.

Senza nessuna ragione scoppiò a ridere, nascondendo il viso tra le mani.

Si sentiva euforico, carico di energia nonostante il dolore alle mani e il sapore del sangue in bocca; non si era reso conto di essersi morso in quel modo l’interno della guancia, e neanche gli importava. Non più almeno. Si alzò con un colpo di reni e guardò Sean, che lo fissava con le sopracciglia inarcate e una strana espressione a metà tra lo sconvolto e il comprensivo. Un po’ come se avesse davanti qualcuno che aveva completamente perso la testa e dovesse assecondarlo.

- Devo andare da Kaithlyn! – annunciò, tirandosi in piedi.

- Cristo Eric, non in quelle condizioni. Le prenderebbe un colpo! – lo fermò, afferrandolo per un braccio a trascinandolo in bagno.

Si fissò allo specchio per qualche secondo: aveva i capelli attaccati alla faccia per la sudata che si era fatto, il viso pallidissimo, le occhiaie violacee e le labbra completamente screpolate.

Era sporco si sangue in più punti, compresi i capelli e la faccia su cui aveva passato la mani ferite.

Le mani facevano quasi impressione: erano quasi completamente ricoperte di sangue, in parte incrostato sulle nocche e addirittura sui polsi.

Ora che la paura gli era passata si rendeva conto di quanto, effettivamente, gli provocasse dolore aprire e chiudere le dita e di quanto fossero innaturalmente rigide le sua mani.

Sean non aveva tutti torti, era in condizioni spaventose… ma quello non basto a lenire il senso di leggerezza che gli permetteva, finalmente, di respirare di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spalancò la porta, preparandosi a inveire contro Eric, o chiunque altro avesse avuto la faccia tosta di presentarsi alla sua porta, con gli insulti peggiori che era riuscita a pensare in quell’ora e mezzo, ma quello che si ritrovò davanti la lasciò per un attimo spaesata.

Jason la fissava oltre la soglia di casa, era ancora vestito come poche ore prima e le braccia erano abbandonate senza forze lungo i fianchi. Aveva i capelli sconvolti, come se ci avesse passato le mani più volte, tormentandoseli. Aveva il viso umido, anche se auna prima occhiata non gli sembrava sudore.

Lo guardò negli occhi, trovandoli appannati di lacrime: probabilmente non riusciva neanche a vederla, in quelle condizioni.

Aprì maggiormente la porta di casa, facendo un passo indietro e aprendo la bocca mentre pensava come interpretare quella scena.

Cercò lo sguardo di Jason, e quando lo trovò, lo vide portare le mani all’altezza dell’addome e tormentarsele, mentre si guarda intorno con aria smarrita e le lacrime iniziavano a scendergli copiosamente sul viso imbrattandogli la maglia.

Sembrava in cerca di qualcosa da dire e lo vide aprire e richiudere le labbra bagnate più volte, come se pensasse di dire qualcosa ma poi cambiasse idea.

- Che è successo? – mormorò. Non aveva la forza di alzare la voce, ma non poteva neanche lasciare lì l’unico amico che aveva. E poi non le andava di stare da sola a vagare per la casa per l’assenza di sonno.

Jason inspirò come se gli mancasse il fiato. – C..Cla..Cla.. – mormorò, guardandola quasi in cerca di aiuto, come se lei avesse la risposta, prima di portarsi le mani sul viso e scoppiare in un pianto disperato.

Riuscì a riscuotersi dallo stato d’indolenza in cui era stata fino a quel momento e lo afferrò per la stoffa della maglietta tirandolo dentro prima che qualcuno lo vedesse. Lui si lasciò tirare docilmente, prima di stringerla contro il petto e appoggiare la testa sulla sua spalla.

- Scu..scusa… scusa! – rantolò, stringendo tanto la presa che quasi le mancò il fiato, mentre la sua spalla protestava dolorosamente.

Di riflesso, non arrivando al collo, gli passò le mani sotto le braccia e gli accarezzò la schiena, dandogli delle pacchette con l’altra mano.

Che diavolo succedeva quella sera? Erano tutti impazziti? Eric dava i numeri più del solito, Jason piangeva disperato, lei era confusa. Mancava solo che si scoprisse che l’organizzatore di quel delirio di festa era Quattro e sarebbero stati a posto.

- Che.. ehm… che è successo? – domandò mentre aspettava che Jason e il suo pianto disperato si placassero un minimo. La strinse più forte, costringendola a montare con la punta dei piedi scalzi sui suoi scarponi per non farsi strozzare.

Lui si staccò dalla sua spalla, ormai fradicia di lacrime, e allontanò il viso quel tanto che bastava per permetterle di respirare. Si stropicciò gli occhi, mentre continuava a singhiozzare e sembrava cercare il fiato per raccontare cos’era accaduto.

Decise di prendere in mano la situazione. – Vieni con me. – ordinò, dirigendosi verso la cucina. Si allungò sulle punte per raggiungere lo sportello sopra il lavello e prendere due bicchieri, che riempì d’acqua fresca. Ne diede uno a Jason, che l’aveva docilmente seguita senza fare un fiato e sorseggiò il suo, beandosi della sensazione di freschezza alla gola.

Jason bevve tutto d’un fiato, come se non bevesse da mesi, poi si sporse sul lavandino per riempirsi ancora il bicchiere.

- Ho.. ho.. Clarisse.. – mormorò.

Kaithlyn notò che gli tremavano le mani mentre alzava per le seconda volta il regolatore dell’acqua. – Cerca di fare un discorso di senso compiuto. Clarisse, cosa? -.

Forse non era il modo più delicato di chiedere qualcosa a un ragazzo che si presentava disperato davanti al portone di casa, ma aveva mal di testa ed era stanca.

Quello che le aveva detto Eric, molto più di quello che aveva fatto, l’aveva colpita più di quanto potesse ammettere o volesse dare a vedere e non riusciva ad essere più delicata di così: non mentre si sentiva ferita e umiliata in quel modo senza comprenderne pienamente neanche il perché. Eric non era certo il primo a fare certe insinuazioni sul perché fosse arrivata tanto in alto tanto in fretta, ma le aveva comunque dato fastidio.

Si pentì della poca delicatezza dopo due secondi. Jason la fissò per un attimo, poi riscoppiò a piangere ancora più disperatamente di prima, lasciando quasi cadere il bicchiere che fortunatamente lei riuscì a riafferrare.

Si sentiva a disagio in quella situazione. Non era abituata a consolare la gente, non era mai stata molto empatica, e sicuramente Jason avrebbe trovato maggior conforto da uno qualunque dei suoi amici piuttosto che da lei, eppure era venuto lì. Al massimo poteva spronare qualcuno, maltrattarlo, demotivarlo… ma la consolazione e la comprensione non rientravano sicuramente tra le cose le riuscivano meglio.

Eppure una parte di lei sapeva che era proprio per quella ragione che era lì. Forse, qualsiasi cosa fosse successa con quella roba che si ostinava a chiamare ragazza, aveva bisogno di sentirsi dire le cose stavano e non di addolcire la pillola.

Jason veniva dai Candidi e per lui la sincerità era ancora un valore fondamentale: per quanto fosse sempre gentile e allegro con tutti, non sopportava le menzogne e le cose dette a metà. E forse era proprio per quello che riusciva ad andare d’accordo, tra tutti, proprio con lei.

- Okay, okay, scherzavo! – disse velocemente, posando i bicchieri e trascinandolo verso il divano. – Smetti di frignare e dimmi cosa è successo. –

Si mise accanto a lui, guardandolo mentre appoggiava i gomiti sulle ginocchia leggermente divaricate e nascondeva di nuovo il viso tra le mani.

Aspettò qualche secondo prima di levargli a forza le mani dal viso. – Okay.. – biascicò Jason, improvvisamente calmo prima di prendersi qualche secondo di silenzio. – Ho trovato Clarisse a letto con un altro. – confessò, mentre lo vedeva stringere la stoffa sopra le ginocchia con forza. – Ero andato a portarle… a portarle le chiavi, per andare a vivere insieme e…-.

Aprì la bocca, indignata, mentre iniziava sentire la rabbia montarle dentro, pronta a esplodere dopo tutto quello che era successo ma Jason non le permise di proferire parola. – Se… se m’interrompi non riuscirò più a continuare. Fammi… fammi finire… - implorò, guardandola disperatamente come se si trovasse a dover chiedere quasi perdono per un crimine che non aveva commesso.

Si morse le labbra e annuì, accucciandosi sui talloni davanti a lui e fissandolo insistentemente. Più tardi, avrebbe dovuto definire una terapia d'urto. Per entrambi.

Lo incitò a continuare con un gesto della mano, mentre appoggiava il mento sui palmi e già iniziava a riflettere su come farla scontare a quella sottospecie di babbuino con i tacchi.

Tra le varie differenze caratteriali che aveva con Jason, ce n’era una in particolare che forse, l’Idiota, non aveva preso in considerazione: lei, al contrario di Jason, era estremamente vendicativa.

Jason prese un altro bel respirò, mentre il pianto sembrava gorgogliargli dentro e scuoterlo tutto dall’interno. –’somma, sono entrato, okay? – ricominciò con la voce acuta per il pianto.

Annuì, impaziente di sapere com’erano andate le cose.

- Okay.. sono entrato e c’erano un sacco di candele accese… sul tavolo, sul pavimento, vicino al divano, sul davanzale e alcune in terra, verso la camera.- rantolò, mentre gli veniva un colpo di tosse secca.

Kaithlyn gli passò un pacchetto di fazzoletti che aveva appoggiato sul tavolino vicino al divano e che si era dimenticata di mettere a posto, ma lui li rifiuto con un gesto della mano e si passò una manica sugli occhi, mentre gli si dipingeva l’ennesima smorfia sulle labbra bagnate.

- Sono… sono entrato, e c’erano le candele anche in terra, fino alla camera… ho.. ho.. ho pensato, ho pensato che… che… mi volesse.. f-fare una... una… - singhiozzò, disperatamente, non riuscendo a completare la frase.

- Una sorpresa? – gli suggerì, mettendosi a gambe incrociate per terra e tenendosi le caviglie.

Jason annuì tra i singhiozzi, prima di respirare profondamente un altro paio di volte.

- Okay.. okay. Q-quindi ho seguito la.. la strada della candeline e sono arrivato in c-camera.. okay? E.. e… l’ho trovata a-a letto c-c-con… uno… - terminò, prima di farsi sopraffare di nuovo dai singhiozzi.

Si morse il labbro inferiore e si spostò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, a disagio.  – E... cosa hai fatto? – domandò, non riuscendo a farsi venire in mente niente di meglio.

Aspetto che lui si calmasse nuovamente. – Io… s-sono andato via. Non ho fatto nulla, non v-volevo vederla u-un secondo di più con l-lui… - mormorò, quasi si pentisse della sua reazione.

- S-so che tu avresti fatto in modo diverso… e.. e anch’io… m-ma non ci sono riuscito… - si giustificò, quasi cercasse assoluzione da parte sua.

Storse le labbra. – Be’, hai fatto bene. Non meritava neanche una bolla di fiato in più! – acconsentì, annuendo.

- S..so c-che non la sopporti… però io la amo. –

- Lo so. – mormorò, abbassando pensosamente lo sguardo, mentre qualcosa le si agitava dentro.

- K-kath...? – si sentì chiamare.

- Mmh? –

Jason si guardò intorno, quasi avesse paura di veder spuntare qualcuno da sotto il divano. – N-non non fare niente, okay? Sai che intendo.. – la implorò.

Le sarebbe piaciuto davvero moltissimo poterlo assecondare… peccato che fosse il tipo di persona incapace di lasciar correre o passare sopra alle cose: ne era un esempio lampante il suo rapporto di amore/odio con Eric, che per quanto infuocato sotto ogni punto di vista, ci aveva messo un po’ per solidificarsi abbastanza da permetterle di fidarsi quasi di lui e nonostante tutte le volte in cui si era lasciata coinvolgere, ancora non riusciva a lasciarsi andare del tutto.

- Non ti prometto niente. – rispose diplomaticamente.

Si alzò in piedi e la vista le si annebbiò per attimo a causa di un breve calo di pressione. Senza aggiungere niente fece dietrofront e tornò verso la cucina; si avvicinò al ripieno accanto ai fornelli e allungandosi un po’ sulle punte dei piedi scalzi, aprì lo sportello dei bicchieri, ne prese due e li riempì di liquore.

Una volta tornata in salotto ne diede uno a Jason. – Tu.. – iniziò lui, gli occhi verdi ancora più chiari a causa delle lacrime. – tu.. hai risolto? Con… con Eric, dico. Dopo… dopo che quell’idiota ti ha schiaffeggiata e insultata… -.

Fece una smorfia al ricordo della serata appena trascorsa mentre quel qualcosa che prima si agitava dentro di lei, iniziava a contorcersi sgradevolmente. – No. – disse laconica, sedendosi dall’altro lato del divano e piegando le gambe contro il petto, il bicchiere ancora in mano. – Mi ha dato della puttana arrivista e se n’è andato. -

Jason la guardò con lo sguardo vacuo prima di abbassare gli occhi tormentandosi le mani.

- Mi dispiace. So che è un tasto dol.. – mormorò, prima che la sua attenzione venisse catturata da un punto imprecisato sul suo viso. L’espressione di Jason cambiò, tingendosi di nervosismo e irritazione. – Cos’hai fatto alla faccia? – investigò, senza staccare gli occhi dal suo zigomo, e avvicinandosi a lei per vedere meglio.

Automaticamente portò una mano dove le nocche di Eric l’aveva quasi presa, o quasi mancata a seconda di come si vedeva la vicenda. Sentì sotto la punta delle dita un leggero, per il momento, gonfiore causato dall’ematoma.

Riportò lo sguardo sul ragazzo, mordendosi nervosamente le labbra.

- Ti ha picchiata? – chiese incredulo e con la bocca mezza aperta, mentre irrigidiva le spalle.

- No. – rispose subito. – Cioè, sì… insomma, non era molto in sé. – si corresse, prima di vedere Jason schizzare fuori dalla stanza e andare a darsene di santa ragione con Eric.

Non sarebbe stato un bello spettacolo.

- Ah. – commentò, guardandola con poca convinzione. – Che intendi dire? – chiese infine, aggrottando le sopracciglia.

Kaithlyn si passò nervosamente una mano tra i capelli, portandoli indietro, e si sistemò meglio nel suo angolo di divano.

- Dopo che è uscito dal Pozzo l’ho seguito, la sua giacca era rimasta per terra e volevo vedere cosa avesse in mente dato che non mi sembrava molto padrone di sé… -.

Si schiarì la voce. Non voleva dilungarsi troppo.

- Quando li ho trovati, Eric e Sean Byrd, mi sono avvicinata per chiedergli cosa diavolo gli prendesse e dopo uno scambio di battute poco civili mi sono ritrovata schiacciata contro il muro. Poi Eric ha riperso il controllo, ed ha iniziato a prendere a pugni alla parete, colpendomi di striscio sul viso. – terminò, tutto di un fiato.

- Ho capito. – annuì, anche se non sembrava molto convinto. – Non mi piace che ti metta le mani addosso, però. Anche se non l’ha fatto proprio volontariamente… poteva farti male sul serio! –

- Che c’è? Adesso fai il protettivo? – rise, stendendo le labbra in un sorrisetto per la prima volta in tutta la sera.

- Be’, sì. Un minimo devo farlo… alla fine mi dispiacerebbe se qualcuno ti asfaltasse su una parete. Credo. – disse, guardando in alto come se non fosse sicuro di ciò che stava dicendo.

- Be’, almeno ti sei calmato! – commentò Kaithlyn, pentendosi un secondo prima di aver dato fiato alla bocca.

Pensa sempre alle parole che dici e alle loro conseguenze.

Sua madre aveva ragione. Perché diamine non usava mai un minimo di quel bel cervellino che si ritrovava? Non avrebbe dovuto neanche sforzarsi, eppure riusciva sempre a infilarsi in situazioni imbarazzanti come quella.

Jason deglutì, prima che gli occhi gli si riempissero nuovamente di lacrimoni.

No, no, no... non di nuovo!

In quel momento, qualcuno aprì la porta d’ingresso ed entrò, costringendoli a girarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti!

Fiuuu, siete ancora tutti interi? È il capitolo più lungo che vi abbia mai propinato e non avete idea di quanto mi renda nervosa… l’ho ricambiato almeno cento volte. Non è mai abbastanza chiaro, abbastanza forte, o abbastanza in linea per me, quindi aspetto i vostri commenti impietosi, maltrattatemi pure!

Lo so, sono pessima. Vi ho fatto attendere più di un mese stavolta, ma avevo da fare questo tra maledetto test per l’accesso all’Università, e il mese Agosto- Settembre è stato un incubo!

Ho iniziato il capitolo e pensavo di farcela, ma poi il panico di fare un punteggio bassissimo ha avuto la meglio e ho lasciato perdere, riprendendo in mano la storia solo pochi giorni fa.

Finalmente sono libera, e prestissimo aggiornerò anche Mind’s Shades, che è ferma addirittura da Maggio.

(non sono riuscita a stare troppo ferma con questa… è più forte di me!)

Allora, che ne dite? Vi aspettavate una cosa del genere? Vi sembra una continuazione sensata per il capitolo precedente? So che l’ho già detto, ma questo capitolo mi innervosisce, cambio le cose all’ultimo e non mi sembra mai perfetto!  Ho paura di aver messo "troppa carne al fuoco" e quindi di aver fatto una gran confusione.

Diciamo che da ora iniziano a succedere un po’ di cose in più, importanti per il futuro, che non siano Kath che litiga con Eric, Eric che litiga con Kath, Kath che va a letto con Eric, Eric che inveisce contro tutti e si fa battere a Strappabandiera da Quattro, Kath che maltratta gli iniziati e ogni forma di vita che non le vada a genio, Eric che va a letto con Kath, Jason sempre nel mezzo, ecc…

Inserirò, e sono un po’ nervosa nel farlo, nuovi personaggi più o meno importanti, ma tutti avranno uno scopo, niente è lasciato al caso!

L’ultimo capitolo ha ricevuto tante recensioni, non me l’aspettavo! GRAZIE! È sempre bello ricevere nuove opinioni! Così com’è bello vedere nuovi preferiti!

A questo proposito ci tengo a ringraziare per le recensioni Kaimy11, che addirittura mi ha lasciato una recensione in notturna (*.*), Adeus, puntualissima, Alex_001 e BeDautless; e voglio ringraziare anche le 3 persone che hanno aggiunto la storia tra i “Preferiti”, ovvero Alex_001, Tris and Tobias e Lucas 3451.

Ovviamente un grazie va anche a tutte le persone che leggono, vedere tante letture mi fa emozionare dato che questa è la prima storia che scrivo seriamente non mi aspettavo tanto successo!

Che dire? WOW!

Ora passiamo alle “cretinate”!

Prima di tutto, che poi me ne dimentico, vi lascio come sempre il link della mia pagina facebook: https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/timeline/

Secondo di poi, dato che tutti hanno, più o meno, un “nomignolo” per le proprie coppie, ci ho pensato anche io.

Solo che le uniche due cose che mi sono venute in mente, per ora, sono Kaithric e Erithlyn… e non so se mi piacciono o sia giunto il momento di avvertire la neuro che sono scappata di nuovo.

Diciamo che non si prestano, voi che dite?

Ad ogni modo, sappiate che ne succederanno di cotte e di crude da qui alla fine della storia… finale per il quale mancano ancora taaanti capitoli. (Non spaventatevi… prima o poi finirò!)

Eh sì, mi dispiace per voi!

Spero di riuscire ad aggiornare presto entrambe le storie dato che ho già buttato abbondantemente giù il 13esimo capitolo, ho iniziato il 14 di BH e sto lavorando anche a Mind’s Shades. Approfitto di questi pochi giorni di libertà, poi staremo a vedere!

Grazie ancora a tutti e scusate se chiacchiero troppo… ma dopo mesi di reclusione devo ancora riprendermi e reintegrarmi con il resto del mondo.

Alla prossima, un bacione!

  
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