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Autore: aturiel    27/09/2015    1 recensioni
"Deve esserci qualcosa di strano in me, qualcosa come un gene particolare che attira la sfiga o uno spirito maligno che mi perseguita."
Era questa la conclusione a cui Nico era giunto dopo l'entusiasmante giornata appena trascorsa e, più ci pensava, più si convinceva che la sua diagnosi fosse esatta. Era impossibile un'altra motivazione che giustificasse tutto l'accaduto. [...] Nico si fermò un attimo: ecco, quello era stato il primo errore della sua giornata. Il Grande Manuale di Sopravvivenza della Greek High School (datato 2010, Di Angelo editore) era chiaro su questo punto: se non vuoi essere preso di mira, mai stare da solo.
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Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jason Grace, Nico di Angelo, Percy Jackson, Quasi tutti, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo IV

Dire che Jason era preoccupato è un eufemismo: non vedeva Nico a scuola da ben tre giorni e non era mai successo, se non quando c'era stato l'incidente.
Aveva chiesto a Percy, ma lui non sapeva nulla, aveva chiesto a Leo, ma nemmeno lui era a conoscenza del motivo di una tale assenza, poi si era addirittura rivolto a Cal, che gli aveva detto che non sapeva cosa “stesse facendo quello stronzo” e che, anche se l'avesse saputo “non l'avrebbe detto a un traditore del cazzo come lui”. Insomma, non sapeva più a chi rivolgersi... o quasi. Svoltò l'angolo e si ritrovò di fronte esattamente la persona che meno avrebbe voluto incrociare: Will Solace. Lo vide bloccarsi di colpo, con un'espressione stupita che subito si trasformava in rabbia, e Jason non poté fare a meno di voltarsi dall'altra parte per evitare il suo sguardo accusatorio.
«Non hai nemmeno il coraggio di chiedermi come sta Nico?» chiese a un tratto Will, cercando i suoi occhi.
Jason, per un secondo dimenticandosi del suo desiderio di allontanarsi il più in fretta possibile da lì, esclamò: «Perché, tu sai che fine ha fatto?»
Will spalancò nuovamente gli occhi: «No, non ci credo...» disse, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
«Cosa? Che è successo, Will?»
Si passò una mano fra i ricci biondi, scompigliandogli ancora di più del normale: «Jason, vai a casa sua oggi pomeriggio. Se sei stato per un minuto un amico per Nico, devi stargli vicino...»
«Che cazzo è successo, Will?» chiese di nuovo Jason, con la mente che iniziava a elaborare scenari terribili, dove Nico era sempre la vittima.
«Senti, Jason, hai evitato Nico per una settimana intera, quindi ora il minimo che puoi fare è andare da lui, scusarti e stargli vicino. Sei stato un vero stronzo, e non ho proprio voglia di consolarti o compatirti, quindi, per favore, vai da Nico e togliti quell'espressione colpevole dalla faccia, che tanto non serve a nulla» e, detto ciò, lo superò senza troppe cerimonie e se ne andò, lasciandolo nel panico più totale.

Jason aveva ritirato le sue cose nello zaino più in fretta possibile, cercando di non incrociare sulla strada verso l'uscita qualcuno che conoscesse, cosicché nessuno avrebbe potuto fermarlo e iniziare a parlargli. L'unica cosa che desiderava, in quel momento, era avere la possibilità di ritornare indietro di due settimane e cancellare la cazzata enorme che aveva fatto, oppure permettere al se stesso del passato di fare una chiacchierata con il se stesso di adesso. Sì, aveva fatto un errore madornale e aveva tutte le intenzioni di rimediare, in un modo o nell'altro.
Appena uscito da scuola, iniziò a camminare velocemente verso la casa del suo amico: aveva fatto talmente tante volte quel percorso che ormai lo conosceva a memoria, ma questa volta era diverso, questa volta non c'era Nico che, vicino, gli parlava dell'ultimo videogioco, di serie TV, di scuola o di qualunque altra cosa gli venisse in mente, non c'era Nico che faceva battute acide, non c'era Nico che ogni tanto sorrideva piano, non c'era Nico con le sue guance che s'arrossavano appena iniziavano a parlare di cose un poco più serie o quando Jason gli faceva qualche complimento. Non c'era Nico e basta.
Possibile che tutti gli anni che aveva trascorso con lui non gli avessero insegnato nulla? Che non gli avessero fatto capire che quel ragazzetto pelle ossa con la fissa per i videogiochi e per il nero non si fidava di chiunque? Si rendeva conto ora che, probabilmente, una volta arrivato sotto casa sua non sarebbe potuto nemmeno entrare, perché Nico non gliel'avrebbe permesso: in una settimana era riuscito sicuramente a perdere del tutto la sua fiducia, e si sentiva terribilmente male per questo. Non riusciva a immaginare un giorno in cui lui si sarebbe svegliato con la consapevolezza che andare a scuola avrebbe significato vedere il suo migliore amico guardarlo con odio o rabbia o, peggio ancora, delusione. Non riusciva nemmeno a concepire una partita di calcio senza quell'ombra silenziosa a bordo campo che l'osservava e lo sosteneva col solo sguardo. Non voleva perderlo, non avrebbe voluto farlo soffrire... ma stava riuscendo a fare entrambe le cose, e con una bravura spaventosa.
Arrivato sotto la villa enorme dell'amico, suonò il campanello. Sperò che la madre di Nico non fosse ancora tornata dalla sua vacanza, e soprattutto sperò che Nico gli aprisse in fretta, perché ogni secondo trascorso fuori da quella porta gli sembrava il più lungo di tutta la sua vita. Purtroppo non fu così, tanto che, passati quasi cinque minuti da quando aveva suonato la prima volta, era stato lì per andarsene. Per fortuna poi la porta si era aperta e Nico aveva esordito, senza ancora vederlo in faccia, dicendo: «Ciao Will, sali pure, io...-» poi aveva spalancato la porta e, trovandosi Jason davanti, si era come congelato sul posto.
«Ciao Nico» disse. Non aveva nemmeno il coraggio di alzare gli occhi, si sentiva una persona terribilmente codarda, ma lo sguardo rimaneva puntato a terra.
«Jason...?» balbettò Nico, dopo aver trattenuto il respiro per quasi mezzo minuto.
Solo allora il ragazzo si decise ad alzare lo sguardo e a incrociare i suoi occhi, ma si fermò prima, vedendo in che condizioni era ridotta la sua faccia: «Oh cazzo, Nico! Cosa accidenti ti è successo?» urlò, sconvolto. Un enorme livido violaceo copriva gran parte dello zigomo destro del ragazzo, il labbro inferiore era spaccato, la fronte era ricoperta di graffi e tagli di vario tipo. Le braccia erano anch'esse piene di ferite di vario genere e le ginocchia erano coperte da due enormi cerotti bianchi, il cui colore non si discostava molto da quello della carnagione di Nico.
Nico alzò lo sguardo, cercando quello dell'amico, quindi disse: «Niente di grave, tranquillo... Will mi ha dato una mano, e sto bene».
«Ma chi ti ha ridotto in quello stato? Ti giuro che farò tutto il possibile per fargliela pagare, non devi aver paura, io...-»
«Io non ho paura» lo interruppe Nico: «Non ho più paura, e tu non devi fare proprio niente. So cosa devo fare, e Will mi ha detto che mi darà una mano».
Di nuovo Will... perché lui? Pensò, ma poi si rispose da solo, dandosi dello stupido mentalmente. È ovvio: io non ci sono stato per lui, non c'ero quando è successo. Posso pretendere quindi che voglia che io lo aiuti?
«Raccontami cos'è successo, almeno. Ti prego, Nico» lo implorò Jason.
«Cosa devo dirti? Vuoi sentire la parte in cui mi hanno tappato la bocca e trascinato nel grande piazzale di cemento davanti alla fabbrica abbandonata? O quella in cui hanno incominciato a insultarmi senza un motivo, mentre mi riempivano di calci? Le aggressioni sono tutte uguali, Jason. E io non ho nulla da raccontarti».
Ma Jason si era fermato a un dettaglio: il piazzale. Conosceva bene quel posto, ci passava tutte le mattine quando andava a scuola; che ci faceva, quindi, Nico da quelle parti?
«Perché eri vicino alla fabbrica, Nico?» chiese quindi, piano, con la paura di sentire la risposta.
Nico alzò lo sguardo, questa volta stancamente, quasi come se parlare gli costasse uno sforzo immenso: «Stavo venendo da te per cercare di capire perché mi stessi evitando» disse poi.
Jason lo sapeva, lo sentiva. Era a causa sua se era accaduto tutto ciò, era colpa sua di ogni cosa, e ora Nico l'odiava. Come poteva fare altrimenti? Se lui non avesse smesso di parlargli, lui non avrebbe sentito la necessità di andare da lui a chiedere spiegazioni, se lui non avesse incominciato a ignorarlo, probabilmente quella strada l'avrebbero fatta insieme e chiunque l'avesse conciato in quel modo non si sarebbe nemmeno avvicinato. Se solo non l'avesse allontanato, adesso non ci sarebbe stato Will Solace al suo fianco, ma lui.
Si pentì immediatamente dell'ultimo pensiero: non pensava di essere una persona così meschina e, anzi, doveva essere grato a Will per essergli stato accanto in un momento così difficile, piuttosto che provare un'ingiusta invidia nei suoi confronti.
«Nico, io...-»
«Senti Jason, non voglio le tue scuse: non me ne faccio nulla. Quello che voglio è almeno una spiegazione, e voglio che sia sincera» lo interruppe di nuovo. Da quando Nico era diventato così sicuro? Possibile che non se ne fosse accorto? Si sentiva come un genitore che si rendeva conto per la prima volta che il suo figlioletto che si era abituato a cullare e a proteggere, ora era capace di difendersi da solo e da solo compiva le proprie scelte. E si rese conto che, forse, non era più tanto Nico ad avere bisogno di lui, quanto lui ad aver bisogno di Nico. Se prima era convinto di essere un ragazzo responsabile, con la testa sulle spalle e tutto sommato decente per quel che riguardava i sentimenti, era bastato un bacio – per di più dato sotto l'effetto dell'alcool – a far crollare ogni cosa: si era accorto del risentimento che alcuni suoi compagni di squadra provavano nei suoi confronti – invece di aiutarlo, non facevano altro che rispondere male ai suoi consigli da capitano e a lanciargli frecciatine –, aveva perso la ragazza a cui più teneva sulla faccia della Terra e adesso lei l'odiava (o meglio, così dava a vedere: lui la conosceva abbastanza da sapere che l'unica cosa che provava era delusione e tristezza... e lui stava ancora più male), era riuscito a ferire un ragazzo che semplicemente si era ritrovato al momento sbagliato nel posto sbagliato e a invidiarlo per motivi talmente sciocchi ed egoisti che Jason si vergognava anche solo a ripensarci e si era accorto di un sentimento nei confronti di quello che era il suo migliore amico, un qualcosa che non sapeva ancora ben interpretare – cotta passeggera? Attrazione? O qualcosa di più... profondo? – ma che l'aveva spaventato talmente tanto da allontanarsi da lui.
Molto spesso l'avevano definito leader e, anche se a lui quella parola non era mai piaciuta particolarmente, aveva preso sul serio le aspettative che si hanno da un leader, i suoi compiti, l'aspetto che deve avere, gli obiettivi che lui, insieme alla sua squadra, doveva raggiungere e diventare un qualcuno che, agli occhi degli altri, fosse più simile a un'icona più che a un ragazzo. Eppure bastava così poco per farlo cadere nel fango? Bastava un bacio per renderlo, agli occhi di tutti, umano? Non voleva essere umano, lui aveva delle aspettative da soddisfare e per farlo doveva essere perfetto.
Si toccò piano la cicatrice sul labbro, quindi sorrise tra sé e sé: doveva essere perfetto sotto gli occhi degli altri, ma bastava davvero mostrarsi perfetto per esserlo davvero? La cicatrice, quella piccola imperfezione, gli stava dando la risposta.
Sei umano, Jason, sei un ragazzo come tanti, e ormai tutti ti vedono così... quindi che hai da perdere?
«All'inizio pensavo che evitarti fosse la cosa giusta da fare: 'Chissà che reazione avrebbe avuto la gente a vederci insieme, dopo le dicerie che c'erano sul nostro conto!', mi dicevo. Ma sai, Nico... io l'ho sempre saputo che non era questa la vera ragione».
«E qual era?»
«Ho paura, Nico. Sono terrorizzato da una cosa che è successa quella cazzo di sera».
Nico sospirò: «Non aver paura di aver baciato Will, Jason. È normale, credo, fare cazzate da ubriachi. E poi l'avevi già baciato e...-»
«No, non è questo che mi spaventa,» lo interruppe «ciò che mi spaventa è cosa ho immaginato mentre lo baciavo. Inizialmente era Will e basta – e, cielo, era fantastico anche così! –, ma a un certo punto non è stato più Will...»
Nico lo guardò interrogativo: «In che senso, Jason? Non capisco...»
«I capelli di Will sono diventati come neri, i suoi occhi anche, le sue labbra si sono assottigliate, la pelle è diventata pallida e il suo corpo... è stato come si rimpicciolisse fra le mie braccia. Will non era più Will e basta, era diventato te. Ho immaginato di baciare te, Nico».

Nico rimase qualcosa come dieci secondi in catalessi: la prima ipotesi che formulò fu che avesse le allucinazioni a causa del colpo al ginocchio che aveva preso scendendo le scale per aprire a Jason, la seconda che forse era stato Jason ad avere le allucinazioni, la terza che entrambi avessero le allucinazioni e che quindi non stavano nemmeno parlando realmente, la quarta che si trattava di un sogno... parecchio realistico. L'ultima gli pareva quella più plausibile – comunque più realistica dell'idea che entrambi fossero svegli e nel pieno delle proprie facoltà intellettive e che quindi tutto ciò stesse accadendo davvero –, quindi allungò la mano alla propria guancia e la pizzicò, forte.
«Ahi!» esclamò poi, non riuscendo a “svegliarsi”.
Jason lo stava guardando come si guarda un malato di mente, ma la cosa che più lo preoccupava era più che altro il fatto stesso di vedere ancora Jason davanti a sé.
Oh.
«Nico, lo so che ciò che ti ho detto è sconvolgente, ma mi piacerebbe rispondessi... sai com'è» disse a un certo punto Jason, vedendo che l'altro non mostrava ancora segni di ripresa dallo shock.
«Oh, sì, ecco...» iniziò a farneticare. Come si reagisce a una dichiarazione? Non ne aveva mai ricevute. E come si reagisce quando a dichiararsi è il tuo migliore amico da ben tre anni e mezzo? Nemmeno quello gli avevano mai insegnato: si trovava completamente impreparato. Che poi, era davvero una dichiarazione? Non ci stava capendo più nulla, e il suo cervello in blackout non lo aiutava affatto.
«Sì...?» lo invitò a continuare Jason.
«Tu lo sai vero che a me piace... mh, ecco, un altro».
Nico vide «Sì, Jackson. Ma non so se tu mi piaci davvero, cioè... è stato solo un momento, e io potrei sbagliarmi...»
«Ah, allora non era una dichiarazione! Mi stavo spaventando» rise forzatamente Nico, sperando di risparmiarsi l'imbarazzo così.
Ma purtroppo la vita non era mai stata semplice per lui, e anche questa volta si sforzò per diventare difficile; infatti Jason balbettò: «No, non è una dichiarazione, ma non... insomma, tu mi piaci e basta».
«Ah» fu l'unica cosa che riuscì a dire Nico, con lo sguardo che andava sempre più verso terra, cercando di nascondere il disagio. «Senti, ma non è che – faccio un esempio, eh! – sia stato solo colpa dell'alcool? O, che ne so, magari è stata una cosa del momento. A me capita di sognare di baciare ragazzi che poi, magari, nella vita reale non bacerei mai».
«Non lo so, Nico» disse Jason serio, e poi, come ricevendo allo stesso tempo un'illuminazione e una batosta in testa abbastanza forte da farlo gemere di dolore, aggiunse: «Però in questo momento vorrei baciarti».
Nico sobbalzò: perché la situazione stava prendendo quella piega? Aveva aperto la porta pensando di trovare la confortante compagnia di Will, ma al suo posto c'era Jason. Quindi aveva creduto che il destino volesse che gli facesse una di quelle ramanzine celestiali da annotare negli annuari del G.M.S., ma alla fine l'aveva quasi consolato. E ora Jason gli stava dicendo che voleva baciarlo?
«Ecco, Jason... a me sembrerebbe un po' strano se tu mi... cioè, se noi due...-» ma fu costretto a interrompersi in fretta, trovandosi le labbra di Jason incollate alle proprie.
Inizialmente non mosse un muscolo, colto completamente di sorpresa, poi però, quando Jason allungò una mano intorno al suo viso e una ad abbracciargli la schiena, prese nuovamente coscienza della situazione e tentò di divincolarsi. Non che gli stesse dispiacendo – le labbra di Jason erano più morbide e dolci di quanto si aspettasse! –, ma il pensiero di star baciando il suo migliore amico aveva un qualcosa che faceva sì che tutto il suo essere si ribellasse all'idea. Jason lo capì al volo e lo lasciò andare, rosso in viso come non l'aveva mai visto prima.
«Non ti è piaciuto, vero?» chiese, con lo sguardo basso e le guance che andavano ad imporporarsi sempre di più.
«Non è quello, è che...» balbettò Nico, non sapendo cosa dire. Non voleva ferirlo, e di certo dirgli che baciarlo aveva avuto lo stesso effetto che avrebbe avuto baciare un ipotetico fratello non sarebbe stato un buon modo per far sì che questo non accadesse. Quindi disse: «Il problema è che tu sei il mio migliore amico, Jason. Non riuscirei a immaginarmi che ti... ecco, a immaginarci una coppia».
Che discorso del cazzo, Nico: non è un buon modo nemmeno friendzonare.
«Hai ragione, Nico. Non avrei dovuto farlo. Volevo solo provare, giusto per sapere che sentivo io e se poteva funzionare...-» ma si interruppe in fretta, riprendendo improvvisamente possesso del suo corpo, che per tutta la durata del dialogo era rimasto accasciato contro una colonna del soggiorno, quasi non avesse avuto abbastanza forze per stare dritto. Quindi aggiunse: «Ma non importa, Nico. Va bene così. Ora devo andare... ci sentiamo, ok?»
Nico deglutì piano, con l'assurda sensazione che si trattasse di un addio, o comunque di un saluto definitivo a un qualcosa che, fino a quel momento, era stato in ballo fra loro: «Certo, Jason. Ci sentiamo».

Jason salutò di nuovo Nico, col cuore in gola. Non si era pentito di averlo baciato: non sarebbe stato in pace con se stesso se non avesse almeno avuto la conferma che davvero Nico non lo ricambiava, in quanto restare nel dubbio non faceva parte della sua personalità. Allo stesso tempo, però, avrebbe voluto non doverlo fare: sapeva che da quel momento in poi sarebbe stato cento volte più difficile per lui – ma anche per lo stesso Nico – parlargli normalmente, e già i loro dialoghi erano spesso più silenzi che parole, figuriamoci adesso!
Dovevo riuscire a convivere con questa cosa, dovevo evitare di dirglielo, tenerglielo nascosto...!
Ma ormai aveva deciso di essere sincero con lui, quindi non poteva più permettersi di piangersi addosso e rassegnarsi. Era sempre andato avanti, e questo non sarebbe stato troppo diverso: forse non avrebbe potuto essere proprio ciò che desiderava per Nico, ma poteva comunque riconquistare la sua fiducia e la sua amicizia. Non sarebbe rimasto senza di lui, ne era più che certo, e soprattutto non avrebbe permesso a nessuno di fargli di nuovo del male, lui compreso: vederlo, dopo quasi tre anni, di nuovo conciato in quel modo pietoso, con il volto solitamente bianco costellato di lividi violacei e graffi, il corpo già fin troppo magro reso ancora più fragile e il leggero tremore alle mani – lo stesso che aveva sempre avuto e cercato di nascondere quando, al primo anno, lo inseguivano fuori da scuola senza un apparente motivo – l'aveva scosso più di quanto si aspettasse. Fece una promessa a se stesso: non l'avrebbe più lasciato solo, nemmeno se averlo sempre accanto gli avrebbe fatto più male che bene.
È una promessa, Di Angelo.

Will, seguendo un istinto che nemmeno lui comprendeva bene, scese le scale e si diresse verso l'enorme casa del suo quasi-vicino. Sentiva che, in quel momento, l'amico aveva bisogno di lui, anche se sperava che questo presentimento fosse solo frutto della sua testa ancora un po' addormentata a causa della notte quasi in bianco che aveva trascorso.
Come sempre ci mise poco più d cinque minuti a piedi per raggiungerlo, e come sempre suonò due volte al citofono, cosicché l'altro capì che si trattava di lui e non di altri. E infatti sentì Nico scendere le scale, forse un poco più lentamente del solito, e aprire la porta senza nemmeno indugiare.
«Ciao, Raggio di Sole» esclamò Will, appena l'altro spuntò da dietro l'ingresso.
Nico fece la solita smorfia sentendo quel soprannome, quindi disse, con aria rassegnata: «Non chiamarmi così, ti prego...»
Solitamente gli avrebbe tirato un leggero colpo sulla spalla o sul petto, o avrebbe replicato con un sarcastico “Ciao a te, Mister Sorriso Tutto il Giorno”, ma non fece nulla di tutto ciò, e questo confermò purtroppo il presentimento di Will: era successo qualcosa, ora bisognava solo capire cosa.
Entrò in casa, dando come sempre una veloce e ammirata occhiata ai quadri di Bianca: sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma quei dipinti lo attiravano sempre, e abbastanza da obbligarlo a lanciargli uno sguardo ogni volta che Nico non vedeva. Dopo il suo piccolo rito segreto, seguì Nico su in camera sua e, come sempre, si lanciò sul letto.
«Come stai oggi, Nico?» gli chiese, cercando di nascondere la preoccupazione che sempre più si stava facendo strada nella sua mente, vedendo che l'altro, invece di sedersi al suo fianco come al solito, si era invece appollaiato sulla sedia davanti al computer e aveva iniziato a giocare.
«Tutto ok» rispose l'altro, senza nemmeno voltarsi.
Will non sapeva che fare per far dire a Nico cosa c'era che non andava, sempre che non fosse solo la sua immaginazione. Alla fine optò per un discorso abbastanza serio e studiato: «Dunque, c'era un coniglietto che aveva perso la sua carota ed era molto triste, ma non voleva dirlo a nessuno perché pensava che fosse solo un suo problema. Però il suo amico orsacchiotto si era accorto che c'era qualcosa che non andava, quindi aveva iniziato a chiedere al coniglietto spiegazioni. L'altro però non voleva dire niente. Tu, da orsacchiotto, cosa faresti per fare in modo che il coniglietto si confidi con te?»
Nico si girò piano con la sua sedia girevole, quindi lo guardò come fosse un pazzo pronto per essere ricoverato in un ospedale psichiatrico di massima sicurezza. Aveva la bocca mezza aperta, e gli occhi abbastanza spalancati da parere due bocce per pesci. «Will, sei ubriaco già a quest'ora?» chiese quindi piano, come se avesse paura di urtare la sua sensibilità.
«No. Rispondi alla domanda» insisté Will.
Nico si alzò, quindi prese Will per le spalle e lo guardò intensamente negli occhi: «Non è che fai uso di droghe? A me puoi dirlo, ti aiuterei e...-»
«No, Nico. Sto bene. Tu rispondi a 'sta benedetta domanda» rispose lui, cercando di nascondere un sorriso che stava nascendo sul suo volto e di mantenere una certa serietà.
«Ok, Will. Credo che io gli farei capire che si può fidare di me e che a volte confidarsi può essere meglio che tenersi tutto dentro... o almeno credo» disse Nico, grattandosi il naso e facendo quella smorfia buffa che ormai Will aveva imparato a conoscere. Solo dopo aver pronunciato quella frase Nico si accorse di cosa effettivamente aveva fatto Will: «Oddio, ma tu sei un idiota» esclamò, prima di iniziare a ridere.
Era la seconda volta che Will lo vedeva ridere così di gusto, e anche adesso cercò di imprimersi bene in testa la sua espressione. Chi l'avrebbe mai detto che un ragazzino così tetro e sarcastico avesse una risata così contagiosa e un sorriso così caldo?
«Va bene, Will. Ho capito...» disse Nico, dopo aver finito di ridere. Fece un grande respiro, quindi disse: «Oggi è venuto Jason a vedere come mai ero stato assente per tanto tempo da scuola».
«E che ha detto?» disse Will, cercando di nascondere la soddisfazione per essere riuscito a spingere quel ragazzo splendido ma decisamente stupido a parlare con Nico.
«Prima mi ha chiesto come stavo e le solite cose, sai...» si interruppe un attimo, quindi continuò: «E poi ha tirato fuori ciò che è successo la sera della festa».
A Will mancò un battito: che cosa aveva pensato del loro bacio? Che cosa pensava di lui? Che cos'era successo davvero quando l'aveva allontanato di scatto? Erano tutte domande a cui non aveva ancora ricevuto una risposta.
Nico continuò: «E ha detto che si è staccato da te perché... ecco, perché ha immaginato che al tuo posto ci fossi io».
Lo disse in un soffio, e fu solo quel soffio a far smettere di respirare Will: ecco, ora tutto si spiegava, a partire dall'imbarazzo di Jason nel vedere Nico al momento in cui, quando la scuola intera aveva pensato che il tradimento del capitano della squadra di football fosse avvenuto con Nico, aveva incominciato a ignorare ed evitare il suo migliore amico. Era tutto così chiaro, così dannatamente evidente: come aveva fatto a non capirlo prima? E la cosa più brutta era che adesso si sentiva tradito, e non da Jason, ma da Nico, lo stesso Nico che aveva promesso di aiutarlo a conoscere Jason, a cui era stato vicino nei momenti più difficili e che aveva preso sotto la sua ala.
«E mi ha baciato» concluse l'altro.
No.
Will non riusciva a pensare a nient'altro che quelle due piccole lettere. Si alzò dal letto, allontanandosi da Nico. L'aveva tradito, e ora non riusciva più a sostenere il suo sguardo colpevole, né la sua voce che sussurrava dei “mi dispiace” tremanti.
Scese in fretta le scale e uscì dalla casa, e questa volta non guardò i quadri di Bianca.
   
 
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