( tre mesi dopo... )
Era arrivato il momento di tornare a Seul.
Luhan, Sehun e Baekhyun ci aspettavano con impazienza, ma non sapevano che quel giorno non ci avrebbero visti.
A dire il vero, non lo immaginavo neppure io, altrimenti avrei apportato delle modifiche ai progetti che avevamo.
A tutti i progetti.
Jongin non tornava. Perché non tornava? Ormai era da più di mezz'ora che aveva portato le valigie in macchina. Eravamo pronti per partire... o forse no.
“Jongin..? Ehi?” mormorai confuso e spaventato al tempo stesso, vedendo Jongin steso sull'asfalto, totalmente incosciente.
D'un tratto, il rumore assordante della sirena dell'ambulanza si avvicinò verso di noi.
Chi l'aveva chiamata?
“Mi scusi, dobbiamo portare questo ragazzo in ospedale, e subito!”
“Ma cosa.. cosa è successo!”
“Devono averlo investito. Qualcuno ha chiamato l'ambulanza dichiarando la presenza di una persona incosciente proprio in questo quartiere, dobbiamo sbrigarci o potrebbe essere troppo tardi!”
Nelle ore successive non fiatai per nessuna ragione al mondo.
Non avevo il coraggio di muovermi da quella maledetta sala d'attesa di quell'ospedale che cominciava a farmi impazzire.
Non dovevo trovarmi lì e neppure Jongin. Anzi, soprattutto Jongin.
Le lacrime rigavano prepotentemente le mie guance ed io non tentai in alcun modo di trattenerle.
Ero scioccato, terrorizzato, confuso. Non ragionavo più.
Jongin era in coma. In coma.
Com'era possibile? La colpa era del bastardo sconosciuto pirata della strada che aveva investito il mio ragazzo o mia, che non lo avevo fermato prima che uscisse dall'appartamento?
Confusione.
*
Luhan, Sehun e Baekhyun mi raggiunsero in ospedale il giorno seguente.
Mi trovarono seduto sempre lì, in sala d'attesa, totalmente apatico.
Il mio migliore amico aveva provato a confortarmi, così come Baek e Sehun, ma non funzionò. Jongin si trovava tra la vita e la morte e io non potevo fare assolutamente niente, se non sperare che l'amore della mia vita non mi lasciasse proprio adesso. Avevamo ancora tanto tempo da passare insieme, non poteva e non doveva finire così. Non doveva finire e basta.
Jongin mi aveva sempre dimostrato il suo amore per me, ma adesso era diverso. Continuavo a percepirlo, ma non come prima.
“Mi hai sempre ascoltato, sostenuto, coccolato, protetto. Eri disposto a rinunciare a un lavoro meraviglioso per lasciarmi vivere a Seul, accanto al mio migliore amico. Sei geloso di chiunque osi avvicinarsi a me, sei affettuoso, romantico, passionale. Ogni centimetro della tua pelle profuma di perfezione, mentre i tuoi occhi riflettono le cinquanta sfumature di amore che alimentano ogni volta, in me, il desiderio incontrollabile di passare il resto della mia esistenza al tuo fianco. Non puoi morire, Jongin. Se non esisti tu non posso esistere nemmeno io” mormorai con voce tremolante, in lacrime, ai piedi di quel maledetto letto d'ospedale dove Jongin non doveva stare.
E così, improvvisamente, la mia mano fu stretta dalla sua. Un miracolo? Dio aveva ascoltato le mie preghiere?
Alzai di scatto lo sguardo: Jongin aveva aperto gli occhi.