Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: Xion92    28/09/2015    5 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hola, gente! Esami finiti e andati benissimo, e adesso... tesi!!
Appunto: ho aperto proprio oggi la pagina facebook del mio profilo, giusto per rompere ancora un po' le scatole al prossimo xD Se volete, aggiungetemi. Se posso parlare con altri fan, a me fa sempre piacere. Sulla mia pagina posterò d'ora in poi le riflessioni/teorie che mi vengono in mente, quindi non le metterò più qua.

 

Capitolo 20 - Battesimo


“Quella dannata bambina! Ma è possibile che non faccio in tempo a girarmi che lei è già sparita?”
Shintaro camminava avanti e indietro davanti alla tenda, guardandosi nervoso attorno.
“Vieni allo spiazzo sabbioso, le avevo detto. Ti insegno le sottrazioni, le avevo detto. Prendo il bastoncino, traccio i numeri sulla sabbia, mi volto e lei non c’è più. Sarà mai possibile?! Porcaccia di quella miseria, appena torna le farò vedere io…”
“Caro, smettila di imprecare” lo riprese sua moglie, che era davanti alla tenda ad impastare la farina di riso con lo zucchero “a volte quando spieghi sei talmente noioso che non mi stupisce che quella povera piccola tagli la corda appena può.”
Il marito sbuffò irritato, poi le si avvicinò. “Sakura, ma che stai facendo?”
“Abbiamo passato dei momenti duri, ultimamente, Angel ha anche perso una sua amica… quindi ho deciso di farle un regalo. Sono riuscita a barattare abbastanza farina di riso e zucchero, e ieri ho fatto la marmellata coi lamponi che abbiamo raccolto.”
Angel, vivendo nel contesto in cui viveva, era sempre stata abituata a cibi semplici, rustici e frugali. Il concetto di dessert le era praticamente sconosciuto, visto che i dolci sono il primo cibo che in tempi di povertà si elimina, essendo solo uno sfizio e richiedendo parecchi ingredienti e preparazioni lunghe.
Però la nonna, ritenendo crudele il crescere una bambina senza il gusto di fargliene mangiare, si era impegnata al massimo per poterle dare ogni tanto questa gioia, pur nelle loro condizioni precarie. E così l’unico dolce che la bambina avesse mai conosciuto e mangiato era stato il mochi, una specie di dolcetto semplicissimo fatto solo di farina di riso e zucchero, e ripieno di marmellata. Angel lo adorava, ma visto che lo zucchero costava parecchio, e la marmellata si poteva fare solo se si trovava la frutta in giro, era abituata a mangiarlo molto di rado.
Chissà quanto sarebbe stata contenta quando sarebbe ritornata, di trovare quella dolce sorpresa, pensò Sakura ridacchiando. Non ne avrebbe lasciato ai nonni neppure uno, questo era sicuro!

“Forza, Rau, corri, sennò ti batto di nuovo!” gridò mentalmente Angel al suo amico cagnolino che le correva poco dietro.
“Padroncina, tu lo sai che quando torni a casa, tuo nonno ti riempirà di schiaffi a due a due finché non diventeranno dispari?” gemette il povero cane.
“Chi se ne importa!” rispose la bambina di rimando. Solitamente era molto obbediente, soprattutto verso suo nonno, ma c’erano delle volte in cui il suo gran desiderio di correre e di sentirsi libera, col vento che le scompigliava i capelli, era così forte che non ce la faceva proprio a starsene seduta ad ascoltare quello che Shintaro aveva da dire.
“Ma dove… vuoi arrivare?” le chiese Rau ansimante.
“Sai quel bosco dell’altro giorno? Passandoci vicino ho visto che ci sono degli alberi belli grossi. Scommetto che da lassù si vede tutta Tokyo!”
“Ma padroncina… io non so arrampicarmi…” protestò debolmente il cane.
“E allora mi aspetterai giù!” risolse Angel, che non aveva intenzione di rinunciare al suo divertimento.

In quanto bambina con i geni mischiati a quelli di una specie di gatto prevalentemente arboricolo, Angel era irrimediabilmente attratta da ogni cosa su cui era possibile arrampicarsi, e dagli alberi in particolare. Così non le era parso il vero quando si era accorta, giorni prima, di una porzione di parco ormai diventata bosco, con tanti alberi alti, col tronco grosso, pieni di rami resistenti. Ci avrebbe trascorso sopra tutto il pomeriggio, e se fosse stato abbastanza divertente ci sarebbe ritornata pure i giorni successivi.
Quando fu giunta sul posto, lanciò uno sguardo ammirato a quei cosi di legno giganteschi che svettavano davanti a lei. Fremeva dalla voglia di sentire il legno curvo e instabile sotto i suoi piedi, non più il terreno piatto e così sicuro.
“Rau, tu stai qua sotto. Io arrivo in cima a quell’albero e poi scendo”, ordinò al suo cagnolino, poi con un salto si aggrappò al tronco più vicino, cominciando a salire. L’albero era alto almeno dieci metri, e dai tre metri in su era tutto pieno di rami spessi e fitto fogliame. Così era anche per tutti gli altri alberi intorno.
Man mano che la bambina saliva, Rau si sentiva morire di paura sempre di più, ed ogni volta che Angel metteva un piede male e faceva l’atto di scivolare, il cagnolino evitava di portarsi le zampe anteriori davanti agli occhi solo per conservare la sua dignità animale.
“Padroncina, attenta a non cadere! Se batti la testa, sono guai grossi!” guaiva dal basso.
“Su, Rau, rilassati! Guarda come sono arrivata in cima, già! E adesso… prossimo albero!”
Rau si aspettava che quella mocciosetta scendesse da quell’albero e salisse sul tronco più vicino. Invece lei, con un salto agile, passò dal ramo su cui stava a quello di un albero lì accanto. Il cane si buttò giù a terra, coprendosi il muso con le zampe.
“Padroncina, scendi giù e torniamo a casa. Non è sicuro stare qui…”
“Aspetta un attimo, adesso arrivo. Però ho sentito un rumore strano venire da quelle foglie. Fammi andare a controllare…”
Mantenendosi in equilibrio e aggrappata al ramo con tutti e quattro gli arti, la bambina strisciò silenziosamente verso un ramo pieno di fogliame, che pochi secondi prima si era leggermente scosso. Appena fu vicina, fece per allungare una mano per scostare i rametti, ma prima che potesse riuscirci, un piccolo essere trasparente, molto simile a una medusa volante, sbucò fuori dalle foglie, mettendosi a svolazzare intorno a lei.
Angel gridò entusiasta: “Uuuuh, guarda, Rau, un animaletto sconosciuto! Che carino! Questo lo adotto! Forse i nonni me lo lasciano tenere! Vieni qui, piccolino, vieni qui…”, e, a quattro zampe, fece per protendersi verso la creatura.
Ma, allungandosi verso la piccola medusa che si stava allontanando, le scivolò una mano e, perso l’equilibrio, cadde giù a terra come un sasso.
Rau lanciò un lungo abbaio di terrore, ma rimase stupito quando Angel atterrò illesa sui suoi piedi proprio di fronte a lui. Allora si lasciò cadere a terra, ansimando.
“Giusto, padroncina, mi ero scordato di questo tuo piccolo particolare…”
La bambina si mise a ridere di gusto, ma smise di colpo quando vide la medusa sopra la sua testa entrare dentro il corpo di un geco che stava aggrappato al tronco dell’albero. Sotto gli occhi esterrefatti dei due amici, l’animaletto iniziò a contorcersi dal dolore, e dopo pochi attimi iniziò a crescere a dismisura, fino a raggiungere l’altezza di almeno cinque metri. Così grossa, la bestia perse la sua indole mite e si mise a scrutare il cane e la bambina con i suoi occhi rossi incattiviti. Angel, pur essendo a conoscenza dell’esistenza di mostri di quel tipo, non si era mai ritrovata faccia a faccia con uno di essi, perché i suoi nonni erano molto abili nel dribblarli, durante i loro spostamenti, e sceglievano come luoghi di residenza provvisoria sempre posti dove quelle bestie non c’erano. La piccola, dopo aver incrociato lo sguardo assetato di sangue del rettile, rimase a fissarlo; il bestione la fissò di rimando. Nessuno dei tre si mosse per un tempo indefinito, poi finalmente Angel lanciò un grido terrorizzato e, voltatasi rapidamente, salì sull’albero più vicino, più velocemente che poté, giusto in tempo per evitare i denti del mostro, che era scattato verso di lei come una molla al suo grido. Era pronta a scappare: bastava semplicemente saltare da un ramo all’altro fino a seminare il mostro; Angel era molto abile nell’arrampicarsi e nel muoversi sugli alberi, e in questo modo aveva più possibilità di riuscita piuttosto che correndo. Ma, appena fu in cima all’albero, un sudore freddo le inumidì la fronte.
“Rau!” gridò. L’aveva lasciato indietro. Quello stupido cane non era capace di arrampicarsi. Si sporse oltre il ramo su cui stava e guardò giù. Il suo cane non l’aveva ovviamente seguita, ma non era neppure scappato via: era rimasto esattamente dove Angel l’aveva lasciato, paralizzato dal terrore, con la coda fra le gambe e le orecchie abbassate, fissando inerte il suo aggressore. La bambina vide con orrore il mostro alzare una zampa per colpirlo.
“Non restare lì, Rau, corri!” cercò di smuoverlo dal suo rifugio in alto, ma l’animaletto non sembrava neppure sentirla.
Angel a quel punto non ragionò più: senza perdere tempo, spiccò un lungo salto dal suo ramo, fino a piombare sulla testa del grosso rettile.
“Lascia stare il mio cagnolino, capito?!” gridò, arrabbiata.
Il geco, sentendo qualcosa di fastidioso sulla testa, cercò di agitare il capo per scrollarsi via di dosso l’intruso, ma la bambina, sfruttando la pelle scagliosa del mostro, riuscì a rimanerci saldamente aggrappata. A quel punto, presa dalla foga della situazione, Angel si lasciò vincere dai suoi istinti remoti di animale selvatico e, simulando la tecnica di attacco che il gatto sfrutta contro gli animali più grossi di lui, si lasciò scivolare fino alla gola del rettile, cercando poi di affondargli i denti nella giugulare.
Ma, anche se i suoi istinti erano quelli del gatto di Iriomote, la sua dentatura restava quella da latte di una bambina umana, per cui il suo morso non riuscì per nulla a bucare la spessa pelle squamosa del Chimero, ma ebbe il solo effetto di infastidirlo ancora di più.
Il mostro, allora, ruggendo, sollevò una zampa e, dopo averla acchiappata, abbassò rapidamente l’arto e la inchiodò al suolo. La bambina era quasi completamente coperta dagli artigli del rettile, e sentì con orrore che il mostro stava iniziando a premere. Se non avesse trovato una soluzione alla svelta, sarebbe finita schiacciata.
Rau, riavutosi dallo spavento, cercò di correre in soccorso della sua padrona, ma neanche i suoi denti affilati e spessi poterono nulla contro le scaglie dure della zampa del geco. Angel si sentiva la mente svuotata, non riusciva a farsi venire alla mente nulla. L’unica cosa che sentiva, in quegli attimi di lotta fra la vita e la morte, era il forte impulso a pronunciare delle parole ben precise, ma ogni volta che ci provava le morivano in gola, non riuscendo a farle arrivare fino alle labbra.
Ma, quando sentì i guaiolati disperati del suo cane di fianco a lei, si sentì abbandonare da ogni inibizione, e gridò con quanto fiato aveva in gola:
“Mew Mew Angel, metamorfosi!”
Il mostro a quel punto dovette socchiudere gli occhi, perché da sotto la sua zampa si sprigionò una fortissima luce azzurra che inondò completamente la sua preda. Tuttavia non sollevò gli artigli, per evitare che la sua vittima si liberasse.
Angel, riavutasi da quel forte fascio di luce, si guardò a quel punto le mani, accorgendosi che erano chiuse dentro dei guanti neri. Gli stessi vestiti dell’altro giorno! La stessa forza incredibile che stava crescendo dentro di lei! Ora sentiva il bisogno di pronunciare delle altre parole.
Divincolandosi, riuscì a liberare dalla presa del mostro il braccio destro e lo tese.
“Angel Whistle!” gridò. Vide materializzarsi nella sua mano lo stesso bastone con la punta da un lato e la sfera di vetro, le ali e l’aureola dall’altro. Subito lo afferrò saldamente e diede un colpo fortissimo di punta contro la zampa del mostro.
Il rettile, urlando di dolore, sollevò la zampa e la bambina fu libera. Subito Angel - anzi, ora Mew Angel -  si rialzò e comandò a Rau di mettersi al sicuro da qualche parte, che subito le obbedì e si nascose fra le frasche.
Quando fu sicura di essere da sola col Chimero, piegò leggermente le ginocchia, mettendosi in posizione da battaglia.
“E ora a noi due!” esclamò, appiattendosi le orecchie di gatto all’indietro sulla testa e frustando l’aria con la coda.
Il mostro, sentendo il tono di sfida della bambina, sollevò gli artigli per cercare di colpirla, ma lei, pronta, li evitò con un salto. Dandosi un’occhiata intorno, decise infine la sua mossa: si slanciò contro il tronco di un albero e, appena lo ebbe toccato con i piedi, si diede una spinta per buttarsi contro il petto del mostro. Raggiunto l’obiettivo, cercò di nuovo di pugnalarlo, ma questa volta non ci riuscì: anche se la punta della sua arma era affilatissima, Mew Angel, essendo una bambina, non aveva molta forza nelle braccia, e così riuscì a far affondare la punta solo per un paio di centimetri, insufficienti per provocare una ferita grave al nemico.
Per evitare di essere colpita di nuovo, si allontanò di corsa. Ora sentiva che i suoi poteri di gatto, già sviluppati di per sé, erano amplificati rispetto al normale. Saltò facilmente dal terreno fino a un ramo sopra la sua testa e, quando il geco cercò di muovere il muso verso di lei per addentarla, con un salto si staccò dal suo ramo e atterrò su un altro albero. Il mostro tentò di ripetere l’attacco più e più volte, ma Mew Angel era troppo svelta per lui.
“Non mi prendi!” gridò la bambina, canzonandolo.
Quel combattimento mortale sembrava ormai essersi ridotto a un gioco divertente, ma alla fine la piccola si rese conto che non sarebbe mai riuscita a vincere, continuando ad evitarlo. Doveva pronunciare delle altre parole, ne sentiva l’urgenza.
Dall’alto di un albero, impugnò la sua arma e puntò l’estremità con la sfera, le ali e l’aureola verso il nemico, e gridò con quanto fiato aveva in gola:
“Ribbon Angel Bless!”
A quel punto successe una cosa incredibile: la sfera di vetro si illuminò di luce che andò poi a incanalarsi all’interno dell’aureola alla sua cima. Appena tutta l’energia si fu concentrata, dall’aureola si sprigionò un forte fascio di luce azzurra che inondò il mostro.
Il Chimero urlò di dolore e, nel mentre, si dissolse. La piccola medusa di prima si staccò dal geco, ora tornato normale, e se ne volò via, mentre il piccolo rettile se la svignò sopra un albero lì accanto.
Mew Angel, con un saltò, atterrò sul manto erboso del sottobosco, quasi senza fiato. Non ci poteva credere: lei, una semplicissima e debole bambina di sette anni, aveva battuto un mostro gigantesco. Aveva combattuto, per la prima volta nella sua giovane vita, ed aveva vinto. La Mew Mew, sentendo un profondo orgoglio pervadere il suo spirito, alzò fieramente la testa, orientando le orecchie in avanti e tenendo la coda ben dritta. Non era più una bambina, in quel momento. Era una guerriera, anche se piccola, ed aveva riportato la sua prima vittoria di una lunga serie di battaglie che avrebbe combattuto in futuro.

Rau, che per tutta la durata del combattimento era rimasto nascosto sotto un cespuglio poco distante, si sporse con cautela. Cos’era successo alla sua padroncina? Sembrava così diversa da prima. Non soltanto per i vestiti e per quello che aveva appena fatto, ma proprio per l’aria che ora aveva. Per gli occhi che aveva: era uno sguardo così diverso… fiero e orgoglioso, differente da quello affabile e accomodante che aveva di solito. Senza sapere cosa fare, il cagnolino emise un guaito, per attirare l’attenzione della bambina. Mew Angel volse gli occhi verso di lui, e Rau vide con sollievo il suo sguardo addolcirsi. Allora uscì scodinzolante dal suo rifugio e corse verso la sua padrona. Appena le fu vicino, si sollevò sulle gambe posteriori, appoggiando quelle anteriori al petto della bambina e iniziando a leccarle la faccia.
“Padroncina, mi vuoi spiegare cosa ti è successo? Hai ucciso da sola quel bestione!” esclamò, mentre continuava a leccarla.
Mew Angel lo spinse giù con fatica. “Uffa, Rau, non lo so! So solo che, mentre ero in pericolo, ho sentito il bisogno di pronunciare certe parole. E si vede che hanno funzionato!”
“Anche l’altra sera, quando sei tornata a casa e il nonno ti ha sgridato avevi questi vestiti neri così strani” osservò il cane.
“È vero, erano proprio uguali…” Nonostante questa osservazione, Angel non era però in grado di osservarsi completamente: aveva bisogno di specchiarsi da qualche parte.
Per fortuna il giorno avanti c’era stato un forte acquazzone primaverile, così in giro ancora era rimasta qualche pozzanghera. Appena ne ebbe trovata una pochi metri più in là, nascosta fra l’erba, la bambina ci corse vicino e vi si rifletté. Il vedersi completamente la fece meravigliare, ma, allo stesso tempo, la inquietò un po’. Quella figura non le parve del tutto nuova: la coda e le orecchie, quel corpetto, quelle fasce attorno al collo e alle braccia, quella giarrettiera alla gamba destra… le sembrava di aver già visto tutto questo, ma dove?
Allora socchiuse gli occhi per cercare di riordinare la memoria e le parve di vedere, nei suoi ricordi più cupi e nascosti, una figura molto simile, ma era troppo sfocata nella sua mente per poterla identificare bene. L’unica cosa che poteva affermare con precisione era che non si trattava di una bambina come lei, ma di una ragazza grande.
‘Forse sto uscendo pazza…’ riuscì solo a pensare, grattandosi la testa. Poi guardò il suo cane. “Penso che non sia il caso di tornare a casa conciata così, poi il nonno si arrabbia. Meglio cercare di tornare come prima” decise la bambina, scuotendo un orecchio.
Socchiuse gli occhi per alcuni secondi, facendo scivolare via tutta l’energia dal corpo, e quando li riaperse, le orecchie e la coda di gatto erano sparite e i suoi vestiti erano tornati ad essere quelli di sempre.
“Ora sì che ti riconosco! Ce ne torniamo a casa?” chiese ansioso il cane, agitando debolmente la coda.
“Sì, va bene. Non ho più voglia di restare a giocare, sono anche un po’ stanca dopo quello che è successo.”
Iniziando a camminare, a Rau venne un pensiero fugace: si sentiva a disagio, in qualche maniera. Il modo in cui la sua padrona si era comportata era coraggioso e ammirevole, ma allo stesso tempo qualcosa non andava… lui, mentre seguiva nascosto il combattimento, aveva avvertito una strana sensazione: c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel vedere una bambina così piccola lottare in quel modo feroce.

I due avevano mosso pochi passi, quando sentirono, da sopra la volta arborea, una voce infantile che aveva l’aria di essere tremendamente scocciata.
“Chi è stato? Come ha fatto quel grosso Chimero a sparire?! Era lì fino a un attimo prima, non può essere svanito nel nulla! Dev’essere stato qualche terrestre!”
Angel, sentendo la paura iniziare a pervaderla, alzò gli occhi, scrutando attraverso il fitto fogliame. E da terra vide qualcosa di incredibile: sopra gli alberi c’era un bambino! Ma non appoggiato ai rami, bensì stava sospeso in aria, aveva la pelle innaturalmente pallidissima e le orecchie più lunghe e buffe che lei avesse mai visto. Aveva i capelli verde chiaro, corti sul davanti, ma dietro erano un po’ più lunghi, ed erano raccolti in due codini bassi. Di vestiti, Angel ormai era abituata a vederne di tutti i tipi, ma questi erano decisamente strani: questo bambino indossava una maglietta a maniche corte e col collo alto, infilata in una larga fascia verde che fungeva da cintura, e dei pantaloncini che gli arrivavano appena sotto il ginocchio. Attorno agli avambracci aveva delle fasce grigie, così come attorno ai polpacci. Le scarpe erano degli stivaletti un po’ grandi per la misura dei suoi piedi, ma erano tenuti fermi da degli elastici all’altezza dello stinco.
Il ragazzino, con i suoi occhi gialli, si mise a scrutare attraverso i rami e le foglie con attenzione per trovare il colpevole e… la vide!
Il bambino e la bambina si fissarono negli occhi per un istante interminabile, entrambi paralizzati, lei dalla paura, lui dalla sorpresa, in attesa che l’altro facesse la prima mossa.

 

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Zan zan zaaaan! Ultimo personaggio introdotto, il nome verrà detto nel prossimo capitolo. Angel inizia a menare e a fare i suoi primi gradevoli/sgradevoli incontri.

Sulla mia pagina FB, oltre a tutti i disegni che ho postato su deviantart finora, ho scritto qui una riflessione su Ichigo e Aoyama dal titolo "perché penso che Ichigo sia una Mary Sue e Masaya non sia un Gary Stu". Passate per commentare e dire la vostra, se volete!

A lunedì prossimo!

   
 
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