-Capitolo
11-
L’inventore del concetto di “lavoro
subordinato” andava ringraziato doverosamente, non era mai stato tanto felice
prima di quel momento di vedere Jaken, con quel suo
fare servile e insopportabile, annunciare che la cena era pronta.
Non sopportava quelle riunioni di
famiglia, alla fine, per quanto suo padre ci tenesse, non era davvero parte di
quel gruppo e suo fratello e la sua matrigna lo rimarcavano con molta cortesia.
Suo fratello, però, aveva almeno un po’ di decenza e a modo suo lo rispettava
ora.
Una volta libero si diresse
immediatamente verso la camera di sua madre, quella specie di magazzino come lo
chiamava lui in cui tutte le sue cose erano state sistemate dopo la sua morte.
Suo padre aveva tenuto ogni cosa, ogni singola sciocchezza e ora doveva
muoversi per evitare che Kagome trovasse qualcosa che
le ricordasse il passato: non era il momento migliore.
Aprì la porta e quello che vide lo
lasciò senza parole.
Kagome, inginocchiata a terra, che reggeva
in mano il vecchio registratore di sua madre e il viso rigato di lacrime mentre
quell’oggetto cadeva a terra.
La sua mano si chiuse a pugno mentre
si avvicinava.
« Che cosa succede? »
Kagome alzò il capo sentendo la sua voce,
gli occhi nocciola ancora lucidi per le lacrime che aveva versato e la sua
attenzione venne catturata dal nastro all’interno. Riconosceva la fascetta, e
non poté fare altro che sospirare mentre poggiava una delle sue grandi mani sul
capo di lei.
« Non darci troppo pensiero … »
« … Io la conoscevo, Inuyasha … »
Mormorò con voce bassa mentre il
mezzo demone sgranava gli occhi per la sorpresa.
« Io l’avevo conosciuta … Era
all’ospedale Teiko dove anche la mamma era ricoverata
lì e io … andavo a trovarla! Ne sono sicura! »
Le parole uscivano dalle sue labbra
come un fiume incontrollabile, sentiva nella sua mente una mente una tempesta
incombere e abbattere i muri che ostacolavano i suoi ricordi.
Era vicina. Vicinissima ad afferrare
con le sue mani quella sensazione, ma ancora questa le sfuggiva lontana.
Si alzò in piedi, una mano premuta
contro la fronte, muovendosi avanti a indietro fino a quando Inuyasha, in un lampo di speranza, la fermò poggiando
entrambe le mani sulle sue spalle.
Stava per avvicinare il viso al suo
quando una vocina nella sua mente gli intimò di fermarsi, e, per una volta,
decise di ascoltare la sua coscienza e chinò il capo. Sconfitto.
« Davvero? » domandò lui con voce
seria, allontanando le mani dalle sue spalle.
« Sì … » rispose Kagome,
sicura. « Molti dei miei ricordi non sono affidabili, lo so, ma di questo sono
sicura. »
La mano di Inuyasha
si chiuse in un pugno, gli artigli lunghi e affilati ferirono la carne mentre
cercava di tenere a freno la sua lingua dal parlare o dire alcunché.
« Capisco.
Forse … Era la donna che andava a
trovare mia madre. » rispose lui, fingendosi sorpreso dal suo stesso ricordo.
Ovviamente, sapeva benissimo che era reale e vero.
« Ne sei sicuro? » domandò Kagome, afferrando le mani di Inuyasha
e guardandolo con occhi pieni di speranza.
Era la prima volta, dal giorno
dell’incidente, in cui riusciva veramente ad avere uno straccio di ricordo che
era stato rubato dalle tenebre.
Poteva sentire l’odore di
disinfettante nelle narici se chiudeva gli occhi un momento, ma, più di tutto,
ricordava il volto sorridente di Izayoi che le tendeva
la mano.
« Non molto. »
Kagome lo guardò confusa, ma in quel
momento qualcosa la pizzicò sul collo distraendola. La mano si abbatté sul
collo con una certa violenza solamente per ritrovare il corpicino schiacciato
di Myoga, il demone pulce, con le guance arrossate e
l’espressione del viso beata.
« Era così dolce, come quello della
signora. »
Inuyasha si colpì in faccia con la sua stessa
mano chinandola per l’esasperazione e scuotendo la nuca piano, senza dire una
parola, impedendo a Kagome di fare domande, afferrò
la piccola pulce che fino a quel momento era stata ignorata e la gettò fuori
dalla stanza senza troppi complimenti.
« Inuyasha!
» sbottò Kagome, con tono di rimprovero mentre questi
si limitò a scuotere le spalle in risposta: « è ora di andare a mangiare. Ero
venuto a chiamarti. »
Solamente in quel momento la ragazza
si ricordò del motivo per cui era lì, del suo “ruolo”, ma quello che aveva
scoperto le aveva completamente fatto dimenticare quell’insignificante aspetto.
Non disse una parola, afferrò la mano
di Kagome e la trascinò fuori dalla stanza per andare
incontro a quello che aveva definito uno dei “tormenti infernali” – tutto,
ovviamente, sottovoce.
Aveva un sacco di domande da fargli,
ma soprattutto voleva chiedergli dei diari perché, se erano tutte cassette, non
poteva portarle via e rischiare di ascoltare nuovamente qualcosa di privato e
che non le apparteneva.
Non la riportò nella stanza di prima,
ma girò l’angolo e aprì un’altra porta dove una tavolata già imbandita
attendeva solamente loro.
La sala da pranzo, come quel
soggiorno che aveva visto, era finemente decorato con legni pregiati e una luce
soffusa da finte candele donava un’atmosfera più calda e intima.
Akio e sua moglie, Mizuki,
sedettero ai rispettivi capitavola mentre Kagome
venne fatta sedere accanto a Sesshomaru ma davanti a Inuyasha. Accanto al fratello maggiore del mezzo demone,
però, si sentiva terribilmente a disagio tanto che lo stomaco si chiuse
improvvisamente e ogni desiderio di mangiare svanì completamente.
Sulla tavola, impreziosita da un
centro in ceramica con sopra della frutta fresca di stagione e un paio di
candele, vere, ai lati, erano stati deposti dei grossi piatti in argento con
sopra della carne già tagliata – verdure e altri contorni erano in altrettanti
contenitori argentei. Demoni servitori, come quelli che avevano aperto la
porta, non erano presenti in sala o negli angoli come nei vecchi film.
Senza perdere altro tempo, vide Akio, il padre di Inuyasha, cominciare a riempire il proprio piatto in
maniera piuttosto varia e lo stesso si poteva dire per gli altri ospiti al
tavolo che sembravano non sgradire quella forma non troppo tradizionale di cenare.
Kagome cercò con lo sguardo Inuyasha, ma questi era stato catturato da suo padre in una
conversazione sul suo lavoro e su altre faccende personali e Kagura, la fidanzata di Sesshomaru,
fu coinvolta dalla signora Mizuki in una discussione
simile; era la vera nuora, dopotutto, era normale che volesse conoscerla.
Stava per allungare la mano,
afferrare le clip e servirsi da sola quando, senza nessun preavviso, vide Sesshomaru riempirle in piatto senza dire una parola. Girò
appena il capo, sorpresa da quel gesto, lo guardò per qualche minuto spaesata
per poi ricevere un’occhiata gelida da parte di lui.
« … Qualche problema? » domandò, con
quel suo tono basso e Kagome scosse in fretta il
capo.
Alle sue spalle, intanto, erano
apparsi alcuni demoni che reggevano in mano delle bottiglie di vino e versarono
parte del contenuto nei bicchieri dei commensali.
« Mia madre … » continuò Sesshomaru, « non approva gli esseri umani, ma solo per via
di Inuyasha. »
Kagome teneva il capo chino mentre ascoltava quel
tono basso.
Afferrò una forchetta e cominciò a
servirsi di quello che era stato messo nel suo piatto, partendo dalle verdure
per prima cosa.
« In realtà … Avrei bisogno di parlarti in privato uno di questi giorni. »
Aveva già la forchetta a mezz’aria
quando si fermò, lasciandola interdetta e costringendola a voltare nuovamente
il capo per guardarlo con non poca sorpresa.
Sesshomaru, quel demone che fin da quando lo
aveva conosciuto quella sera le aveva dato l’aria di essere gelido, distaccato
e insofferente, in realtà voleva solo parlarle in privato. Non riusciva a
credere alle sue orecchie, infatti non ci credeva.
Inuyasha, dall’altra parte del tavolo,
continuava a tenere d’occhio quello che succedeva tra suo fratello e Kagome.
Non era mai davvero riuscito a
capirlo.
Spesso sembrava disprezzarlo, da
piccoli, soprattutto, non sembrava desiderare altro che la sua prematura
dipartita ma con il passare del tempo anche lo sguardo era cambiato.
Forse era merito di Kagura? Difficile dirlo, ma aveva reso più complicate le loro
comunicazioni; a volte sembravano davvero fratelli.
« … Di cosa state parlando, voi due?
»
Esordì lui con tono appena sarcastico, Kagome girò
appena lo sguardo da Sesshomaru, imbarazzata per
essere stata ripresa a voce così alta. Ora tutti, nessuno escluso, li guardava
con acceso e vivo interesse.
Sul posto di lavoro non era un vero
problema, ma in quel contesto si sentiva come un pesce fuor d’acqua.
« Non starai cercando di circuire la
mia donna, vero? » domandò con tono scherzoso, ma a Kagome
non sembrava che i suoi occhi stesso sorridendo per davvero.
Sesshomaru non rispose, riprese tranquillamente
a mangiare dal suo piatto come se nulla fosse mentre lei, dal canto suo, non
sapeva per cosa rimanere ulteriormente allibita.
« … Inuyasha
… » esordì dopo diversi istanti di silenzio.
Il gelo calò nella sala da pranzo,
tutti gli occhi puntati su di lui.
« … Ti sei sporcato con il vino. »
Posò immediatamente il bicchiere, preoccupato si guardò la camicia ma non vi
erano macchie. Come sempre, quando usava quel tono serio, non sapeva mai se
stava scherzando oppure o no – questo glielo concedeva.
Il suo sorriso divenne sghembo, stava
per ribattere quando fu interrotto da una risata appena accennata al suo
fianco; era Kagura.
« Scusami, Inuyasha,
non era mia intenzione … E’ solo che i suoi scherzi sono sempre così
divertenti. »
Teneva la mano vicino al viso,
cercando, vanamente, di trattenere le risate.
Akio e Kagome
osservavano la scena, sbigottiti.
“L’amore è cieco e sordo”, pensarono
in sincronia prima di voltarsi, ridacchiare e cominciare una conversazione tra
di loro, nella quale anche Inuyasha prese la parola.
Nel frattempo, mentre Kagome era impegnata a spiegare al signor Akio in cosa consistesse il suo lavoro di preciso, al Nekomata la serata procedeva molto più lentamente di quanto
avevano previsto.
Miroku era stato incaricato di gestire la
sala, ma con la disdetta di numerose prenotazioni non sapeva cosa pensare. Un
paio di pensieri sulla causa, però, cominciavano a sedimentare nella sua mente
eppure preferiva non dare loro troppo credito.
« Miroku …
» la voce di Naraku, scoraggiata come non mai, arrivò
alle sue spalle. Indossava un completo scuro, come il personale, sulla cravatta
si poteva chiaramente notare il simbolo del ristorante ricamato con fili d’oro
e d’argento.
Il sostituto maitre sospirò appena,
annuendo con il capo.
« Sì, anche i signori Hoshino hanno disdetto. »
« Questo proprio non ci voleva … »
commentò scoraggiato.
La famiglia Hoshino
era una delle più forti sostenitrici che aveva contro la politica di corruzione
della Entei, se cancellavano una cena, regolare e
abitudinaria, voleva dire che qualcosa stava cambiando nell’aria e che la lista
dei suoi alleati si assottigliava.
Spostò gli occhi violacei sulla sala
semi deserta, solo pochi tavoli, rispetto a quelli di qualche sera fa, erano
occupati ed erano tutti conoscenti e amici che non sarebbero mai mancati.
Si portò una mano alla fronte,
stanco, scostando con le dita alcune ciocche di capelli scuri mentre la sua
mente rifletteva su quello che doveva fare dopo quella serata che si sarebbe
chiusa in maniera disastrosa.
Miroku lo guardava con crescente
preoccupazione, cercando, come faceva Kagome, di non
farsi scorgere anche dagli altri membri dello staff; non era necessario che
anche loro si preoccupassero di quella faccenda.
Poggiò la mano contro la sua spalla,
annuendo con un cenno di assenso e mostrandogli un’espressione decisa.
« Non ti preoccupare di noi, Naraku, per quanto mi riguarda sono disposto a rinunciare
al mio stipendio. Puoi dare la mia parte a Sango in
caso di emergenza, lo sai. »
Non era la prima volta da quando
erano cominciati i guai con la Entei che si ritrovavano
in una situazione del genere, aveva parecchi risparmi da parte e ogni tanto
sapeva rinunciare allo stipendio per Sango. Soltanto
per lei.
« Vorrei non si arrivasse a tanto … »
commentò in risposta Naraku scuotendo lentamente il
capo e guardando ancora una volta la sala.
Aveva faticato molto per creare quel posto, era stato il coronamento di un
sogno che aveva coltivato per molti, moltissimi anni. Aveva radunato persone
speciali, persone uniche nel loro genere e ignorate dal mondo circostante.
Kagome, Miroku e Sango erano stati i suoi “gioielli”, per così dire, dei
veri e propri diamanti allo stato grezzo e non poteva essere più fiero di
quello che stavano realizzato.
Il campanello posto all’ingresso
risuonò annunciando l’arrivo di nuovi ospiti.
Miroku e Naraku
si voltarono verso l’ingresso per trovarsi di fronte una giovane donna dai
lunghi capelli corvini, tenuti assieme in una elegante treccia che ricadeva
sulla spalla, gli occhi nocciola brillanti sembrarono illuminarsi al vedere
l’interno del locale; era Kikyo, e non era da sola.
Dietro di lei comparvero tutti i
membri della dipartimento Shikon.
Bankotsu era vestito in modo molto sobrio, con un
paio di jeans scuri e una maglia con sopra una scritta molto generica e un
disegno stilizzato, seguito da Jakotsu il quale,
invece, molto più “vistoso” nei colori e nella scelta del vestiario.
Onigumo, invece, era piuttosto anonimo anche nei
vestiti. Miroku riconobbe la ragazza, sebbene
l’avesse incrociata per pochi istanti, le andò incontro sorridendole.
« Voi siete la bellissima fanciulla della volta scorsa, ho ragione? » domandò,
chiedendo conferma nella sua supposizione e trovandola in un vigoroso cenno del
capo. Fintanto che si manteneva una certa distanza, non si sarebbe sentita
intimidita e da quello che aveva capito, si ripeté Kikyo,
era il tipo di atteggiamento che aveva con tutte e non soltanto con lei.
Naraku la guardò con un misto di sorpresa e
di emozione.
Da una parte, Kikyo
le ricordava Kagome, soprattutto nei tratti, ma c’era
qualcosa di diverso nei suoi occhi e immediatamente se ne sentì attratto. Le si
avvicinò, impacciato e imbarazzato al ricordo del loro primo “incontro”, ma
cercò di darsi un apparenza di contegno.
« Gli amici di Kagome
sono i benvenuti, naturalmente, per la prima sera, offre la casa. »
« Sul serio?! » risposero in gruppo i
ragazzi, Miroku si girò a guardare Naraku, sorpreso non poco, per poi ridacchiare e scuotere
la nuca: aveva intuito tutto, ovviamente.
Jakotsu, improvvisamente, si avvicinò a Miroku e gli posò un gli posò un gomito sulla spalla, gli
occhi chiari lo guardavano con una strana combinazione di sentimenti che il
malcapitato non poté non provare un brivido lungo la schiena.
« Lo sai che sei proprio carino,
vero? » commentò con aria sognane, mentre Miroku si
sentì sempre più sprofondare cercando di mantenere un’apparenza di dignità.
« Inuyasha
è più il mio tipo, ovviamente, ma i tuoi occhi non sono proprio niente male …
Potremo andare a divertirci insieme più tardi, che ne dici? »
« E- Ecco … »
Miroku non sapeva come rifiutare senza
rischiare di essere offensivo di una cosa, però, era assolutament
sicuro: Sango glielo avrebbe rinfacciato per giorni
interi, sempre se riusciva a tenere la bocca chiusa anche a Naraku
– il quale non brillava per discrezione.
« Jakotsu
…»
Il fratello intervenne per salvare la
situazione, con due dita afferrò per l’orecchio il fratello allontanandolo così
da Miroku il quale, finalmente libero da obblighi
morali, poté tirare un sospiro di sollievo. « … Possibile che tu non impari mai
la lezione? »
« Lasciami! Possibile che tu non mi
faccia mai divertire? »
« Il tuo divertimento consiste nel
tormentare altre persone. Quindi no, mi dispiace ma non intendo lasciarti
tormentare quel poveretto. »
Jakotsu aggiunse ancora qualcosa, brontolando
per lo più, incrociando le braccia al petto e spostando lo sguardo nella
direzione opposta. Kikyo li guardò ridacchiando
oramai abituata ai loro battecchi, Naraku, invece, guardava lei che sorrideva e tutto il mondo
circostante perse di significato.
La campanella del locale suonò di
nuovo, annunciando l’arrivo di nuovi ospiti ma questa volta, purtroppo, non era
niente di piacevole.
Accompagnato da alcuni demoni che gli
facevano da guarda del corpo c’era il capo dell’associazione Entei, Hakudoshi.
Tutto nel locale sembrò fermarsi, persino i pochi clienti seduti al tavolo
portarono lo sguardo verso l’ingresso; non era una cosa che si vedeva tutti i
giorni, e anche Sango,
attirata dalle parole di Hojo, uscì immediatamente
dalla cucina per precipitarsi al fianco di Miroku e Naraku.
Il suo sguardo venne immediatamente
catturato dalla figura minuta di Hakudoshi. A occhi
normali, non abituati, poteva sembrre un bambino
demoniaco come tanti altri ma in realtà era molto simile a Naraku
come origine: era il prodotto di esseri diversi, ma in questo caso, come si
vociferava in giro, solamente di scarti di parti demoniache. Le mani si strinsero
automaticamente, i suoi occhi s’infiammarono come la sua anima mentre sentiva
il bisogno di scattare in avanti e colpirlo. Miroku,
percependo questo suo cambiamento improvviso, posò una mano sopra il pugno di
lei e scosse lentamente il capo e poi con un cenno indicò i demoni che gli
facevano da guardia del corpo.
« E’ questa la rinomata accoglienza che riservi ai tuoi clienti? » domandò con
tono piatto Hakudoshi, la cui voce infantile mal si
adattava al suo spirito. Naraku lo sguardò con stizza prima di trarre un profondo respiro,
sospirando arrendevole e facendosi avanti.
« Vogliate perdonarmi, non aspettandoci il suo arrivo non abbiamo preparato
qualcosa di adeguato. »
« Lascia stare. Sono salamelecchi
inutili. » commentò freddamente Hakudoshi, i suoi
occhi vuoti passarono in rassegna il locale semi deserto e successivamente
anche al personale.
Li conosceva tutti, ovviamente, ognuno di loro aveva incrociato il suo cammino.
I suoi occhi vuoti, di un vacuo color lilla, si posarono infine su Naraku.
Un sorriso malvagio allungò gli angoli delle sue labbra mentre una leggera
risata veniva a stento trattenuta.
« Così è questa la tua squadra d’oro?
Un sommelier che non ha nemmeno passato gli esami di ammissione alla scuola
superiore. Uno chef cacciato dai migliori ristoranti e uno Chef de rang denunciato dal suo stesso datore di lavoro? Seriamente
… questo … » le risate venivano a stento trattenute mentre la rabbia cresceva
negli animi. « … Questo branco di esseri difettati e che vengono buttati per la
strada? Non farai sul serio! »
Kikyo, come gli altri ragazzi del
dipartimento, ascoltavano inorriditi quelle parole. Le veva
sentite in passato quelle voci, ma, ovviamente, come il loro capo aveva
spiegato loro non avevano alcun fondamento perché le persone erano come greggi
di pecore a volte a cui serviva solo un buon pastore.
Incapace di sopportare oltre,
ripensando anche al proprio passato, scattò in avanti e posizionandosi proprio
sulla linea di osservazione di Hakudoshi lo sfidò
apertamente incrociando le braccia al petto e guardandolo con un sorriso
sornione fece qualcosa che nessuno, nemmeno i suoi colleghi, si aspettavano;
sputò proprio sopra le scarpe di Hakudoshi. In sala
calò il silenzio più totale, Hakudoshi guardò la
donna dai lunghi capelli corvini con odio. Una rabbia crescente, mai provata
prima, s’impossessò di lui.
« Tu … ! Come hai osato?! » la sua
voce cambiò, oscurandosi e gettando tensione in tutti coloro che stavano
guardando la scena.
Miroku e Sango
erano congelati nel loro stupore proprio come Naraku,
mentre i suoi colleghi, ancora colpiti da quel suo gesto, non esitarono a
fischiare in approvazione per quanto aveva appena fatto. Kikyo,
la ragazza timida e chiusa, stava davvero sfidando apertamente il presidente e
il capo della Entei?
« Non importa chi lei sia, nessuno le da il diritto di insultare gli altri
nella loro casa. »
Inarcò un sopracciglio, sempre più
confuso e irato.
« Come osi?! »
« Come osa lei! Io non sono nessuno,
sono un erba cresciuta sul ciglio della strada ai suoi occhi ma persino gli
escrementi dei cani avrebbero più valore di quello che sta facendo lei. Se
intende minacciare questo locale, sappia che non le permetteremo di fare il suo
comodo. »
« E come pensi di fare? Tu sei solo
una ragazzina … » replicò lui, in tono sarcastico e ironico.
« Non è da sola … »
La voce di Bankotsu interruppe quell’attimo, con il
suo modo di fare strafottente si mise di fianco a Kikyo
mentre Jakotsu le posava una mano sulla spalla,
sorridendo soddisfatto e strizzando un occhio verso di lei che rispose con un
sorriso e un mormorio: “grazie”.
« La famiglia Schinchitai
è con lei, dopotutto. »
Hakudoshi impallidì a quel nome, lo stesso fecero Naraku e gli altri.
La famiglia di Bankotsu
e Jakotsu era una delle più potenti nel campo della
guerra, degli armamenti e nell’esercito in particolare. Si racconta che fin dal
passato avessero avuto dei ruoli importanti in alcune delle più grandi
battaglie, come mercenari, all’inizio, per poi evolversi e cambiare
specializzazione.
Gli occhi di Naraku, però, tornarono a posarsi sul
profilo di Kikyo mentre sentiva il proprio animo
incendiarsi come non era mai accaduto in passato.
Desiderava ardentemente quella donna
speciale, coraggiosa e forte nello spirito.
Doveva essere sua, e di nessun altro.
Salve a tutti!
Scusatemi, per cominciare, se il capitolo sembrerà fiacco ma l’ho cominciato in
Italia e finito qui a Londra. Sono al momento in assenza di Internet, o meglio …
ho una connessione da nemmeno 5mb per secondo! CAPITEMI!
Ahahaha!
Spero di non avervi deluso.
Piccola info … la cena, nel prossimo capitolo, sarà ufficialmente finita e
assisteremo ad un bel momento tutto Inuyasha e Kagome.
Un abbraccio fortissimo!
Scheherazade ♫