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Autore: dilpa93    28/09/2015    5 recensioni
Castle corse verso l’entrata del Tardis e non appena le porte si aprirono fu travolto da quel ragazzotto dall’accento fortemente inglese.
“Richard Castle, il mio scrittore preferito!”, lo strinse a sé dondolando a destra e sinistra. “Beh, dopo Conrad e Agatha Christie, una donna adorabile. E ovviamente J. K. Rowling. Ah… il settimo libro, c’è di che piangere!”. Gli lasciò un’ultima pacca sulla spalla fiondandosi poi da Kate, che nel frattempo si era alzata ed era rimasta ad attenderlo con le braccia incrociate e quello sguardo da finita indispettita per essere stata messa al secondo posto. “E Kate Beckett, la miglior detective di New York.”
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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"Ci sono uomini che usano le parole all'unico scopo di nascondere i loro pensieri".
-Voltaire-




 
Il Dottore rientrò nel Tardis con un balzo, corse alla consolle girando un paio di manopole simili a quelle dei rubinetti vecchio stile. Rick e Kate lo seguirono con qualche secondo di distanza e, chiuse le porte, Kate vi si poggiò contro lasciandosi cadere sfinita. Si prese la testa fra le mani e cominciò a ridere in maniera convulsa. “Oddio”, sospirò, “Mi era mancato tutto questo”, portò la mano sulla bocca soffocando un’ultima risata.
“Era una mummia!”, esclamò dal nulla Castle. “Una vera e propria mummia! Avete visto come l’ho affrontata? Altro che Brendan Fraser! E Dottore, tu sei stato assolutamente fantastico”.
Lusingato dal complimento, il Dottore si passò una mano fra i capelli, non più corti come la prima volta in cui lo avevano incontrato, e poi riposizionò accuratamente il fez -trovato in una delle cabine del Titanic- sul capo. “Sono il Dottore, cosa ti aspettavi?”, nella sua voce c’era quella sua solita vena scherzosa, una presunzione bambinesca e totalmente adorabile.
“Ho decisamente bisogno di una dormita, ma prima una doccia!”, si aiutò ad alzarsi premendo i palmi delle mani a terra. Vicina al Dottore gli schioccò un bacio sulla guancia augurandogli una buona notte e si incamminò verso il piano superiore. Poco prima di imboccare le scale, si voltò silenziosa verso Rick facendogli l’occhiolino. Lui le annuì in modo impercettibile, mordendosi appena l’interno della guancia. “Vado anche io. Sono ancora ricoperto di quella… cos’era di preciso?”
“Vecchiume e muco di mummia”, si mosse convulsamente come a volerselo scrollare anche lui di dosso, poggiandosi poi con schiena e gomiti allo schienale della poltrona che stava davanti alla consolle. Castle fece una smorfia di disgusto, guardando la camicia che aveva indosso e rendendosi conto che non avrebbe potuto fare nulla per salvarla. “Doccia… decisamente mi serve una doccia! Non sparire mentre non ci siamo!”. La voce era già un’eco, persa tra i corridoi del Tardis.
“Dove dovrei andare? Il Tardis è mio”, aggiunse dopo qualche secondo sottovoce. Si sedette sui gradini, restando a guardare oltre il pavimento di vetro i cavi che si incrociavano tra loro creando una specie di giungla elettrica. In effetti avrebbe potuto azionare il Tardis, atterrare in un qualsiasi posto, schermarlo e sgattaiolare fuori giusto per staccare la spina per un po’, mentre Rick e Kate si riposavano e riacquistavano le forze. Non sarebbe stata la prima volta, ma l’anno precedente ogni cosa era diversa. C’era un party sulla Luna perduta di Push e, cosa più importante, River era a quel party. Amelia lo aveva sorpreso al suo rientro, ci aveva messo meno di dieci secondi per smascherarlo e fargli ammettere di essere uscito solo per poter vedere lei.
E mentre per il Dottore, pensando a River, il tempo parve fermarsi, nella realtà questo -anche all’interno della magica scatola blu- aveva continuato a scorrere. Nella loro stanza, Castle fissava il soffitto ma questa volta non era il caldo a impedirgli di dormire. Era ancora eccitato come un bambino per gli avvenimenti appena successi.
Aveva dimenticato quella sensazione.
Paura, euforia, eccitazione, stupore, tutte insieme in un mix folle. Una volta che inizi è quasi impossibile smettere, eppure il Dottore aveva avuto così tanti compagni di viaggio e, quella sera, il chi fossero e come mai se ne fossero andati erano domande che stavano tormentando Rick.
Si passò una mano tra i capelli scompigliandoli, al volo infilò una maglietta e scese al piano di sotto lasciando Kate ai suoi sogni, non prima di aver coperto il suo corpo ancora nudo con il lenzuolo.
“Non sono il solo che non riesce a dormire.”
Il Dottore ruotò il capo quel tanto che bastava per vedere con la coda dell’occhio lo scrittore avanzare verso di lui. “Oh beh, noi Signori del Tempo dormiamo molto poco.”
“Voi?”, chiese perplesso. “Credevo fossi… si, il solo rimasto.”
“Lo sono”, si tolse il fez rigirandoselo tra le mani. Pensò al Maestro e a come era morto, e così anche a sua figlia. Non era certo sangue del suo sangue, ma generata tramite il suo dna, con due cuori proprio come lui, eppure non era stata in grado di rigenerarsi -o almeno così lui credeva-. “Ma parlo ancora come se loro ci fossero”.
Rick gli sedette accanto, intrecciò le dita e accomodò i polsi sulle ginocchia. “Dottore, so che io e Kate non siamo certo quelli che ti conoscono meglio nell’Universo, ma sei diverso da com’eri cinque anni fa. Hai quello sguardo negli occhi, riconosco quello sguardo. Lo stesso che avevo io un tempo”. Il Dottore restò immobile, continuando a fissare il fez rosso quasi avesse potere ipnotico, così Rick alzò le mani in segno di difesa. “Okay, non dirò che sei innamorato, non voglio entrare nella questione ‘due cuori’, ma da quello che vedo devi tenere molto a lei”. Sospirò, pensando ad un buon punto di partenza. “Hai passato mesi con me e Kate, ma non ci hai mai domandato più del necessario.”
“Perché non hai incontrato la mia rigenerazione precedente. Oh, un tipo piuttosto vanitoso e a cui piaceva parlare”, non dovette girarsi al suo fianco per capire che Rick aveva quello sguardo corrucciato. “Va bene, anche io parlo, ma a lui piaceva particolarmente fare conversazione e impicciarsi dei fatti degli altri.”
“Beh, io e Kate non siamo sempre andati d’accordo ed è stato difficile a volte. Per entrambi voglio dire. Non era pronta e io non ho voluto forzarle la mano. Ho avuto pazienza e speranza, ma non mi è pesato. Per lei ne valeva la pena. Per lei ne varrà sempre la pena”.
“Richard Castle… lo scrittore che non abbandona mai la speranza”, sospirò con quel suo tono calmo e il sorriso rassicurante e un pizzico malinconico.
“Non è una cosa che mi hai insegnato tu, ma ce lo ricordi sempre. In ogni momento brutto, difficile, ci dai speranza, è questo che fai.”
“Oh Rick, Rick, Rick… io la speranza la perdo. Tante, tante volte”, il tono era basso e regolare, calmo ma deciso. “Sono solo bravo a mascherarlo. Tutto quel agitarsi e parlare aiuta molto”. Rise alzandosi di scatto e posizionando, ancora una volta, il fez sulla testa. Con il costante borbottio, e quel leggero fumare, i comandi del Tardis sembravano richiamare la sua attenzione chiedendo impazienti un’aggiustatina. Tirò verso di sé quella che aveva tutta l’aria di essere la tipica leva di un flipper, premette un paio di bottoni luminosi e alzò una grande leva rossa.
Castle aspettò un attimo, restando seduto sui gradini, osservandolo di sottecchi. Con un piccolo mugugno indice di sforzo si alzò anche lui, “Comunque, la Professoressa Song deve essere davvero tosta per riuscire a starti dietro.”
Il Dottore poggiò i gomiti sulla consolle e accolse tra le mani il viso, guardando poi verso l'alto con aria sognante. “Oh, si… lo è davvero”.
“Lei è tua moglie, non è così? Sono stato sposato già due volte, riconosco una coppia di sposi quando la vedo”.
“Due volte? Per tutti i Sontaran, ti dai da fare!”
“Ero innamorato. Capita di fare cose affrettate quando si è innamorati. Prima volta con un’aspirate attrice”, il Dottore sbucò da dietro la consolle con un grande sorriso in volto. “Io amo il teatro. Shakspeare, 1599, il Giulio Cesare. Il teatro era pieno alla prima e come sempre William era ubriaco fradicio. Per poco non fu un fiasco, fortuna che avevo penna e calamaio con me quella sera!”
“Tu hai conosciuto Shakspeare?”
Il Dottore si grattò la guancia con movimenti rapidi, “Si”, sibilò. “Ma è successo un sacco di tempo fa”, riprese con la solita parlantina spedita.
“Meredith non era certo ai livelli per interpretare un’opera Shakspeariana, e non lo è neanche adesso”, rise ricordando quella volta che sua madre era riuscita ad organizzarle un provino così da allontanarla da New York.
“E la seconda?”
“Uh, la mia editrice. Mai e dico mai avere una relazione con il proprio capo. Negli affari era perfetta, ma nella quotidianità…”, spalancò gli occhi quasi a volerli far uscire dalle orbite, alzando lo sguardo al cielo e scuotendo il capo. “E tu Dottore?”
“Uh, beh, io… c’è stato un piccolo incidente di percorso con la Regina Elisabetta”, sussurrò, tornando a nascondere il viso tra manopole e pulsanti.
Rick deglutì rumorosamente, “L’attuale Regina Elisabetta? Quella Elisabetta?”, rimarcò una seconda volta.
“No, no, no”.
Castle tirò un sospiro di sollievo ad udire quelle parole.
“La prima, era Elisabetta prima! Ma è stato tutto un errore. All’epoca ero convinto fosse uno Zygon”, alzò le braccia verso l'alto protendendo poi le mani in avanti. “Enormi cosi rossicci e mollicci che assumono sembianze umane e non… quella volta era un cavallo. Mi sono confuso. Colpa mia”, si sfregò la tempia con l’indice ripensando all’errore commesso. “E poi c’è stata Marylin, donna alquanto complicata e un tantino appiccicosa, ma giuro che anche in quel caso si è trattato di un errore e che il matrimonio non era legalemente valido.”
“Non starai parlando di Marylin Monroe?”, vide il Dottore inarcare le sopracciglia in segno di assenso. Castle si portò la mano chiusa a pugno davanti alla bocca aperta per poi morderla. “Adesso mi dirai anche che… no lo so, hai incontrato la regina Nefertiti e che lei ci ha provato con te! Oh no… davvero?”, sussurrò sporgendosi verso di lui, gli sembrava di assistere in diretta ad un reality show, mancavano solo dei popcorn a completare il tutto.
“Cosa vuoi che ti dica? Sono io, sono cool, i papillon sono cool! Stavo salvando il pianeta, sono cose che affascinano le donne, ma io non ho fatto assolutamente nulla!”, ci tenne a precisare.
“E River Song invece?”.
“Storia complicata”, si limitò a dire serio.
“D’accordo… ma l’hai sposata, giusto?”
“Meh…”, il Dottore girò i tacchi avanzando speditamente verso le porte del Tardis. Al seguito, come un anatroccolo che segue la mamma, Rick.
“Come sarebbe a dire meh?”
Il Dottore aprì una delle porte, mise la testa fuori per un secondo e la ritirò immediatamente dentro. “Non ci siamo”, borbottò fra sé. “Vuol dire, vuol dire che… okay”, disse con esasperazione. “Era stato alterato un punto fisso nel tempo, questo aveva causato il collasso del tempo stesso. Orologi fermi sempre alla stessa ora, ere mescolate, l’Impero Romano che aveva a capo Churchill e discuteva strategie di guerra con Napoleone. Dinosauri a piede libero a Central Park… le cose andavano ripristinate.”
“Una sorta di matrimonio riparatore?”
“Esatto! Cioè no!”, si tolse il fez lanciandolo lontano in uno dei corridoi interni al Tardis e massaggiò con forza le tempie. “Quello che voglio dire è che è successo in un mondo che non esiste più, in un tempo che non è mai esistito.”
“Ma tecnicamente è tua moglie?”
“Ma certo, certo che lo è!”
Non lo aveva mai detto così a voce alta. River invece… oh, lei si. Si divertiva della cosa, del modo in cui tutto era successo, si divertiva a rimarcarlo quando sua madre era presente, vedendola così fare le più svariate smorfie nel rendersi conto di essere quindi la suocera del Dottore.
“Visto? Non era poi così difficile ammetterlo”.
Il Dottore scosse la testa, “Vedi è più complicato di così. Ah”, sospirò sedendosi a terra, le ginocchia piegate e le gambe strette al petto. “Io e lei viaggiamo in direzioni opposte. Ci incontriamo, frequentemente, ma sempre in ordine inverso”.
Castle fu come colto da un’illuminazione, “Per questo il diario! Ho notato subito la copertina, come un Tardis in miniatura. Cosa fate esattamente?”
“Quello di River è sempre più aggiornato del mio, ogni pagina scritta è un potenziale spoiler per me. Non posso leggerlo. Così cerchiamo di capire dove siamo arrivati con la nostra...”, inspirò, le guance imporporate.
“Relazione”, terminò Richard per lui sorridendo per la facilità con cui si imbarazzava il Dottore. “Come vi siete conosciuti? Insomma, Nefertiti, Merylin… potrei perfino capire come tu abbia fatto ad incontrarle, ma la Professoressa Song non c’è nei libri di storia o nei manuali di psicologia.”
Il Dottore si guardò le mani, come potesse trovare una risposta semplice a quella domanda sulle linee che ne segnavano i palmi. “Non ci siamo propriamente conosciuti. Insomma, la prima volta che l’ho incontrata lei già mi conosceva, e la prima volta che lei ha incontrato me… era appena nata e tecnicamente era un Ganger di carne, come era successo poco tempo prima a sua madre.”
“Credo sia inutile dirti che non ho idea di cosa tu stia dicendo.”
“Vedi, la carne è un fluido autoreplicante. Tipo il latte, ma più viscoso e assolutamente non commestibile. Può prendere le tue sembianze, parlare, camminare, sostituirti e ci sarebbe davvero poco che ci permetterebbe di distinguerlo dal vero te.”
“Questa è buona, davvero buona, posso usarla?”
Negli ultimi tempi aveva cominciato a spaziare nella scrittura. La saga su Nikki Heat si era ormai conclusa ma grazie alla sua fervida immaginazione, e al suo lavoro di investigatore privato, le idee non erano mai mancate e avevano avuto grande successo con il pubblico. Avrebbe potuto tranquillamente inserire nella trama una qualche leggenda metropolitana che riguardasse pianeti lontani e forme di vita aliene o, perché no, i retroscena di un’azienda -magari di cosmetici- che in uno dei suoi laboratori dà vita a quello che il Dottore aveva appena definito fluido autoreplicante. “Vedo già una possibile trama”. Ricevuto un assenso dal Dottore, si scusò per averlo interrotto, invitandolo ad andare avanti. “La seconda volta, invece?”
“Si era appena rigenerata… storia lunga”, commentò in risposta alla perplessità nello sguardo di Castle. “Era confusa, non sapeva ancora di essere River Song. Per quanto ne sapeva, lei era Melody, la donna destinata ad uccidere il Dottore.”
“Beh, direi che alla fine ha cambiato idea”, lo sentì ridere di gusto, portandolo a pensare di non essere il primo a fargli quell’osservazione. “Hai detto che l’hai incontrata appena nata, che anche sua madre era stata sostituita da un copia fatta di carne. Conoscevi i suoi genitori?”.
Certo che li conosceva. Erano stati il suo appoggio, i suoi aiutanti, i suoi migliori amici, la sua famiglia. Ma come per tutti coloro che lo circondavano, era destinato a perderli e in un modo molto più definitivo di quello causato dalla semplice morte.
Sfiorò il cravattino nel suo punto centrale, tic di nervosismo, un significato diametralmente opposto a quello di quando invece lo sistema prendendolo per le estremità. “Viaggiavano con me. Lo hanno fatto per molto, molto tempo.”
“Amy e Rory, dico bene?”.
Quell’affermazione fece impallidire il Dottore. Non era possibile che Rick li conoscesse, ammesso -a quel punto- che la persona seduta accanto a lui fosse davvero Richard Castle.
Notando il cambiamento repentino del Dottore, Rick si affrettò a spiegare. “Li hai nominati oggi mentre correvamo sul ponte della nave. Hai chiamato così me e Kate, deve essersi trattato di un lapsus.”
Ripercorse mentalmente l’accaduto. Correvano, come di consueto, mentre cercavano di raggiungere la mummia a poppa prima che arrivasse al computer centrale. Contemporaneamente scappavano dagli Host -evidentemente la compagnia di crociera non aveva imparato nulla dalla prima volta che il Dottore era stato sul Titanic- che ancora una volta  erano stati manipolati e si erano rivoltati contro i passeggeri e gli ufficiali stessi.
Ricordava che il ponte era scivoloso e andavano controvento, teneva il cacciavite sonico in mano, puntato davanti a sé pronto a qualsiasi evenienza. Kate immediatamente dietro di lui e Rick qualche passo più in là. Quando si era voltato per assicurarsi che stessero bene, vide un gruppo di Host che rapidamente stavano riducendo la distanza che li separava, pronti ad afferrare l’aureola metallica che avevano sopra il capo e scagliarla addosso a loro. Fu in quel momento che li aveva esortati a correre più velocemente.
 
“Amy, Rory, correte!”.
 
Non si era reso conto di averlo fatto, non gli era mai accaduto prima.
“Dottore, non è un problema. Sai, il fatto di non essere i soli ad aver viaggiato con te… hai più di novecento anni. Insomma, in tutto questo tempo non potevi certo essere sempre stato solo.
Loro dovevano essere molto importanti per te.”
Il Dottore guardò Castle fisso negli occhi, sguardo serio e penetrante. “Siete tutti importanti per me. Non ho mai conosciuto qualcuno che non lo fosse.”
Rick annuì stranito, non perché non fosse convinto di ciò che gli era appena stato detto, ma perché non riusciva a capire come mai il Dottore finisse sempre per rimanere senza nessuno. Se fossero stati solo lui e Kate -niente Martha, Jim, Alexis e, adesso, niente Matt- era certo che non avrebbero mai lasciato lui, i viaggi, le avventure, il Tardis.
Cercò di seguire il consiglio che più di una volta gli aveva dato Kate, quando lo rimproverava per aver dato fiato alla bocca inutilmente davanti ad un sospettato o nel corso delle indagini. Mentalmente cominciò a contare, tenendo la mascella ben serrata, ma alla fine non riuscì a trattenersi ed espresse a voce alta quella domanda che lo tormentava. “Dottore, che cosa ti è successo? Cos’è successo a chi ha viaggiato con te?”.
Quella domanda gli era già stata posta, non molto tempo prima, proprio dal padre di Rory -preoccupato per le sorti di suo figlio e della nuora- e come quella volta i visi dei suoi precedenti compagni di viaggio gli passarono davanti agli occhi.
C’era chi era stato costretto, per la sua sicurezza, a vivere in un mondo parallelo, bloccato senza la possibilità di tornare. Chi aveva dovuto dimenticarlo per sempre perché tutto il sapere acquisito, i ricordi, l’avrebbero ucciso. Qualcuno invece aveva continuato ad incontrarlo, occasionalmente, e non sempre quando il mondo stava per finire. Altri, invece, lo avevano lasciato per il bisogno di trovare il proprio posto nel mondo dopo aver rischiato la vita per salvarlo, come nel caso di Martha Jones. Poi c’era River… con lei nulla era semplice. Avrebbe voluto averla con sé, sempre al suo fianco ad aiutarlo a pilotare il Tardis, ma lei non poteva restare, non a lungo almeno. Se si fosse fermata con lui avrebbero visto il loro passato dissolversi, il loro futuro sarebbe stato sconvolto. Era un rischio troppo grosso, un prezzo troppo elevato da pagare. Separarsi era difficile, benché cercassero entrambi di non darlo mai a vedere. Si salutavano senza dirsi mai veramente addio e River, ogni volta che era costretta a lasciare il Tardis, sostava a lungo davanti alle porte, i passi per arrivarci erano lenti, quasi trascinati, carezzava lo stipite e rivolgeva un ultimo sguardo al Dottore, il suo Dottore. Non era necessario dirgli nulla, lui sapeva. Sul volto di entrambi un sorriso triste e negli occhi la promessa che si sarebbero rivisti, nonostante sapessero che presto sarebbe giunto il giorno in cui quella promessa sarebbe stata infranta.
Sorrise tirato e la risposta che diede a Rick fu la stessa data a Brian tempo addietro.
“Alcuni mi hanno lasciato, altri sono stati lasciati indietro, e altri, non molti, ma… sono morti.”
I tratti del viso da ragazzino immaturo improvvisamente s’indurirono, gli occhi coperti da un velo lucido. “Voi… voi no, vi terrò al sicuro.”
“Non ho dubbi su questo, come non ho dubbi sul fatto che non se ne siano tutti andati per colpa tua. Ovunque siano, qualsiasi cosa gli sia accaduta, era destino. Doveva succedere, come doveva succedere a me e Kate di incontrarti anni fa e rivederti in questo esatto momento della nostra vita.”
Il Dottore fece scivolare la suola della scarpa sul pavimento in vetro, lasciando così che la gamba si stendesse e assumendo una posizione molto meno composta. “Sono un Signore del Tempo, ho visto abbastanza cose da rendermi conto che il destino non esiste.”
Forse stava solo mentendo a se stesso. Ricordava indistintamente quando anni prima era stato sufficiente modificare una scelta, all’apparenza insignificante, della sua compagna di viaggio -Donna Noble, la donna che aveva dimenticato ma che non era mai stata dimenticata- per mandare a rotoli l’intero Universo e rischiare così che i Dalek lo conquistassero. Quella decisione aveva decretato l’incontro fra lui e Donna, incontro che con quella piccola modifica non era mai avvenuto. Si era domandato lui stesso se fosse destinato ad incontrarla, ma alla fine la risposta che si era dato era stata negativa. Se non avesse dovuto bloccare Rose in quel mondo parallelo, lei sarebbe stata ancora con lui, e allora poteva darsi che l’aiuto di Donna non si sarebbe rivelato necessario.
“Non si tratta di destino, ma di eventi. Una somma di eventi a cui voi umani cercate disperatamente di dare un senso.”
Castle sospirò pensieroso, incrociò le braccia al petto puntando lo sguardo su quei cerchi alle pareti. Aveva sempre creduto nel destino, fin da bambino. Il fato, insieme ovviamente ad un pizzico di fantasia, erano stati la sua coperta di Linus da quando i primi compagni d’asilo avevano cominciato a chiedergli dove fosse il suo papà. Era destino che crescesse solo con sua madre, o non avrebbe mai bazzicato per i teatri e i loro retroscena che avevano fomentato la sua immaginazione. Era destino che non conoscesse nulla sul conto di suo padre, altrimenti non avrebbe mai inventato tutte quelle storie sul suo conto che avevano affascinato insegnanti e compagni di scuola. Era stato il destino a farlo assistere ad un omicidio quando era solo un bambino, così era nata la sua passione per il macabro. Da quell’equazione era risultato l’incontro con Kate. Certo, non era ingenuo o sprovveduto, non tutto era a opera del destino e avvenimenti casuali erano sempre possibili e dietro l’angolo, ma c’era un non sapeva che di magico nel fato e nell’essere destinati a qualcosa o qualcuno. Come lui stesso aveva detto if you don't believe in even the possibility of magic you’ll never ever find it.
Si concentrò sui suoni del Tardis in quel breve momento di silenzio.
Tutto ciò che lo circondava era pura magia, perfino l’uomo seduto accanto a lui era un po’ magico. Non lo avrebbe mai definito un alieno, perché nel suo immaginario gli alieni erano piccoli omini blu o creature a due teste, o ancora esseri con il viso coperto di spine o che potevano cambiare aspetto, non certo qualcuno dalle sembianze umane. Aveva più di novecento anni e sembrava un ragazzino appena uscito dal college, veniva da un pianeta lontano, scomparso nel nulla, eppure aveva il tipico accento degli inglesi del nord. Non un solo cuore ma due, non moriva ma cambiava rigenerandosi. Rick capiva anche che quello era qualcosa di ordinario per il Dottore e che per lui aveva probabilmente perso tutta la magia che possedeva all’inizio, ma se non si era arreso con Kate, non lo avrebbe certo fatto con lui, sarebbe riuscito a fargli cambiare idea o, per lo meno, ad insinuare in lui il senso del dubbio.
“Prima hai parlato di punti fissi nel tempo. Cosa… cosa sono esattamente?”
Non capiva dove Castle volesse arrivare con quella domanda. Sapeva di avere la soluzione proprio davanti agli occhi, ma non riusciva a vederla. Giocherellò con il cacciavite sonico passandolo da una mano all’altra. Lo accese e immediatamente lo spense, come se il suo suono fosse rassicurante. “Eventi che non si possono cambiare”, sospirò. “Che non devono essere cambiati. Una minima modifica può avere conseguenze catastrofiche. Devono restare così, immutati. Devono accadere.”
Rick sorrise soddisfatto, annuendo. “Non credi allora che ciò che è accaduto a tutti coloro che hai incontrato fosse una sorta di punto fisso? E se questi eventi devono accadere, non sono forse destinati ad essere?”
Il Dottore aprì la bocca per ribattere ma non un suono ne uscì, se non un lieve schiocco causato dallo scontro della lingua col palato.
Aveva sentito spesso gli umani dire che il destino è scritto nelle stelle, ma lui le aveva viste tutte, o quasi, e non c’era nulla, assolutamente nulla.
“Il destino esiste, Dottore, devi solo riuscire a vederlo. Cosa credi che penserebbero i tuoi vecchi compagni se ti vedessero incolparti per ciò che è successo loro?”, stava parlando al Dottore nello stesso modo in cui avrebbe parlato ai suoi figli per aiutarli a risollevarsi e a riacquistare il sorriso.
Il Dottore fissò il suo debole riflesso nella lastra di vetro sopra cui erano seduti, poi alzò il capo rivolgendo un sorriso a Rick. “Una riflessione interessante, ma per essere uno scrittore fai un sacco di domande”.
Non gli avrebbe mai dato ragione, Castle lo sapeva e gli andava bene così. “Sono sposato con una detective, le domande fanno parte del suo mestiere. Si può dire che io abbia imparato dalla migliore!”, dopo quell’affermazione, Rick si fece serio in un attimo. “Ma… ecco, non dirle che te l’ho detto, d’accordo?”.
“Non preoccuparti, credo che lei lo sappia già”.
Kate, in cima alle scale, nascosta alla vista degli altri grazie ad una delle pareti del Tardis, sbiancò spalancando gli occhi. Non era possibile che il Dottore l’avesse vista, era stata molto attenta. Si fece, tuttavia, un appunto mentale per ringraziarlo appena possibile di non averla smascherata, permettendole così di assistere a quel momento e confermare ancora una volta quanto fosse grande il cuore di suo marito.
Il Dottore scosse la testa divertito, “Ah, voi due…”, rise reclinando la testa all’indietro e immediatamente il borbottio del Tardis si fece più forte, dalla consolle cominciò ad uscire fumo, i pulsanti presero ad illuminarsi come impazziti. Scattò subito in piedi “Oh no! No, no, no, no!”, ritrasse la mano che aveva avvicinato ai comandi quando una scintilla la colpì. “Accidenti!”
“Che sta succedendo?”, chiese allarmata Kate cercando di reggersi al corrimano delle scale.
Castle si voltò a guardarla, cercando invano di mantenere l’equilibrio imitando le mosse di un surfista inesperto. “Da quanto tempo sei lì?”.
“Ne parliamo più tardi”, lo zittì. “Dottore, cosa succede?”
Lui si guardò intorno, le braccia allargate, nel tentativo di capire cosa fosse accaduto. “Ecco, io… oh, ma perché le cose non possono succedere e basta per voi? Perché tutto deve sempre avere una motivazione?”. Corse dall’altro lato della consolle, girò la manopola del rubinetto e contemporaneamente alzò ed abbassò la leva rossa. Lo schermo sospeso sulla sua testa citava la scritta danger all’interno di un cerchio rosso. “Dovremmo… ci sono!”, esclamò all’improvviso per poi ritrarre l’indice che aveva puntato verso l’alto. “No, no… forse dovremmo… neanche quello va bene”. E nel suo costante blaterare sembrava avere dei tentacoli al posto delle mani.
“Che ne dici di quella levetta nera?”
“Ma certo, la Webbly lever! Richard Castle sei un genio!”, abbassò la leva con forza e fu allora che si ricordò a cosa questa servisse. Le porte del Tardis si spalancarono generando una forte corrente d’aria. La rialzò all’istante tirando un sospiro di sollievo.
“Okay, ritiro quello che ti ho detto. Serve qualcos’altro, ma cosa?”
“Prova tutto, Dottore!”, sembrò minacciarlo Kate.
“Non posso provare ogni cosa! Il Tardis potrebbe implodere!”.
Tra uno scossone e l’altro, cercando sempre di non cadere a terra, i coniugi Castle si guardarono intorno alla ricerca di una soluzione.
“Quei cosi blu forse?”, suggerì Rick sbilanciandosi in avanti.
“Nah, quelli sono solo blu… stabilizzatori blu!”, aveva sempre creduto che volare con gli stabilizzatori inseriti fosse noioso, ed era vero, ma in quel momento attivarli avrebbe potuto salvarli. La cabina sembrò rallentare l’andatura e il vorticare frenetico cessò all’improvviso.
Tutti e tre tirarono un sospiro di sollievo sentendo il volo tornare alla normalità. “Che nessuno dica a River quello che è successo”, avvisò lasciandosi cadere sulla poltrona. “Non la finirebbe più con quel suo Visto? Sono blu e sono gli stabilizzatori e non lasciare i freni inseriti… Crede di essere più brava di me.”
“Da quello che dici sembra esserlo”, sentenziò Kate.
“Oh lo è, è brava… molto brava. Ma non c’è bisogno che lo sappia.”
“Uomini…”, si limitò a sussurrare scuotendo il capo.
Il Dottore si mise a smanettare cercando di capire dove fossero capitati, Castle si avvicinò alla moglie affiancandola. “Adesso me lo vuoi dire da quanto tempo ci stavi spiando?”
“Ah! Io non vi stavo spiando… cercavo il bagno, mi sono persa.”
“Certo, comodo così “, sibilò tra i denti.
“Paura che abbia sentito cose che non avrei dovuto?”, gli domandò sempre in un bisbiglio inarcando il sopracciglio e portandosi le mani sui fianchi.
“Ragazzi…”
“Paura di esserti persa la parte interessante della storia?”, le tenne testa.
“Ragazzi…”
“Che c’è?!”, chiesero in coro voltandosi, spazientiti per quell’interruzione.
“Beh, visto che siamo atterrati credevo voleste sapere dove siamo finiti.”
“Okay…”, Kate rivolse uno sguardo a Rick arricciando le labbra ed alzando le spalle. “Dove siamo?”
“Perché non guardate voi stessi?”
Titubanti si avvicinarono all’uscita del Tardis. Entrambi allungarono la mano verso le maniglie e, come se si fossero messi d’accordo in precedenza, spalancarono le porte contemporaneamente. Davanti a loro una distesa d’erba, piante altissime ed una parete rocciosa che si stagliava sull’orizzonte. Sentirono dei tonfi in sequenza e, voltando il capo alla loro destra, videro solo un enorme artiglio. Alzarono lentamente lo sguardo, seguendone pian piano l’origine, ed ecco apparirne il proprietario.
I Castle sbarrarono immediatamente l’uscita e si poggiarono con la schiena contro le porte, come se i loro corpi fossero stati sufficienti a tenere quella cosa lontana.
“Un dinosauro?!”, esordì in un urlo strozzato Castle, “Siamo nella preistoria?!”.







Diletta's coroner:

Secondo capitoletto... mi piaceva l'idea di vedere interagire il Dottore con Castle, spero solo che tutta la conversazione in "notturna", entrambi colti dall'insonnia, non sia stata troppo pesante.
Vi auguro una buona serata!
Baci
  
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