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Autore: _ayachan_    13/02/2009    14 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 23
02/03/2016

Capitolo ventitreesimo

Nessuno ascolta i dottori




«Tu non puoi promuovere le persone ad Anbu di punto in bianco!» sbottò Sakura afferrando Naruto per il colletto della giacca.
«Io sono l'Hokage!» protestò lui.
«Io sono Hokage quanto te, testa vuota di un deficiente, sono anche il medico del ragazzo che hai appena promosso, e ti dico che non puoi farlo!»
«Ma perché no? Dai, Sakura, lasciami fare! Non sai neanche cosa...»
«Scusate?» intervenne Hitoshi, tirando il pappagallo – inutilizzato – tra i due. Scese il silenzio. «Come faccio ad essere promosso Anbu senza aver fatto l'esame?»
«Appunto!» concordò Sakura con evidente sollievo.
«Chissenefrega dell'esame» rispose però Naruto. «Ho già preparato tutte le carte. E ti informo, cara Sakura, che esiste una clausola nelle disposizioni per gli Anbu che dice che in caso di grave necessità per il Villaggio i nuovi membri della squadra speciale possono essere eletti per nomina diretta dall'Hokage in carica. Ovvero io.»
«Non c'è una grave necessità per il Villaggio!»
«Certo che c'è: la spia.»
«Quale spia?» chiese Hitoshi.
«Stai divulgando informazioni riservate!»
«Ormai è Anbu, non sono più riservate!»
«Naruto!» Sakura lo afferrò per un braccio. «Vieni fuori un momento.»
Naruto sbuffò e acconsentì a seguirla di malavoglia. Insieme uscirono e lei richiuse la porta della stanza.
«Sei impazzito?» sibilò furiosa. «Hitoshi è stanco e depresso, ha bisogno di riposo! Cosa ti è saltato in mente?»
«Hitoshi non ha bisogno di riposo. Ha bisogno di fare qualcosa per dimostrare che non è un fallito!» rispose lui in un sussurro impaziente. «Ma non capisci, Sakura? Gli fa più male vedersi coccolato da te che fare una missione con gli Anbu! Hitoshi ha bisogno di mettere a segno almeno un punto prima delle tue cure, non puoi rinchiuderlo qui! Gli daresti il colpo di grazia.»
Sakura si strinse nervosamente nelle braccia. Come madre sentiva che c'era un fondo di verità nelle parole di Naruto, ma come medico sapeva che non conoscendo la causa delle emicranie di Hitoshi poteva essere rischioso mandarlo in missione.
«Ascolta... Aspettiamo il risultato degli esami» propose schivando il suo sguardo. «Ci penserò, ma prima voglio vedere le analisi.»
Naruto annuì, anche se dentro di sé penso che se ne sarebbe ampiamente infischiato delle analisi.
«Posso tornare dentro?» chiese subito.
«Per fare cosa, prima degli esami?»
«Dai Sakura, gli ho accennato della spia e non sono più andato avanti! Starà morendo di curiosità!»
Sakura roteò gli occhi e fece un gesto esasperato. «Va bene! Ma se viene fuori anche solo un parametro sballato sarai tu a dirgli che non può fare niente di tutte le grandi cose che stai per promettergli!»
Il volto di Naruto si aprì in un grande sorriso orgoglioso. Senza neanche risponderle sgusciò alle spalle di Sakura e ritornò in tutta fretta nella stanza di Hitoshi.
Sakura sospirò, turbata. Sasuke avrebbe saputo come contenere Naruto... Se solo fosse stato lì...

Dentro la stanza, nel frattempo, la testa di Hitoshi minacciava di scagliare pezzetti di cervello in tutte le direzioni: gli faceva talmente male che non era sicuro di aver capito quello che stava dicendo Naruto.
«Non posso essere Anbu» biascicò reggendosi la fronte. «Non sono all'altezza...»
«Questo lo vedremo più tardi» rispose Naruto trascinando una sedia accanto al suo letto.
Hitoshi fece un gesto di fastidio e si lasciò ricadere sui cuscini. Non avrebbe dato a Naruto la soddisfazione di sapere che era già stato respinto al test per Anbu, ma non poteva impedire a se stesso di saperlo fin troppo bene. Che figura avrebbe fatto in mezzo a tutti quei ninja d'élite?
«Mi stai ascoltando?» sbottò Naruto accorgendosi che era distratto.
«Naruto, ti prego... La mia testa...»
«Se tu mi avessi ascoltato, saresti già fuori dal letto in cerca del tuo zaino. Non vuoi sapere chi è la spia?»
«Quale spia?» cedette Hitoshi, aprendo gli occhi.
«Ora ragioniamo! Stavo dicendo che mentre eravate via abbiamo scoperto che lo studio dell'Hokage è sorvegliato. Non sappiamo da chi né come, persino gli Hyuuga si sono arresi e hanno ammesso di non riuscire a individuare nessuno, ma sappiamo che c'è qualcosa là fuori.»
Hitoshi si sollevò su un gomito, suo malgrado intrigato.
«Nemmeno gli Hyuuga ci sono riusciti?» chiese, segnando mentalmente un punto contro le tecniche oculari.
«Nemmeno gli Hyuuga. Per fortuna il corpo di polizia della Foglia non è composto solo da quel cretino di tuo padre, ma anche da tanti bravi ragazzi, e, grazie a una soffiata, loro sono riusciti a restringere i sospetti su una sola persona... Vuoi sapere chi?» ghignò Naruto.
«Chi?» Hitoshi si sporse in avanti.
Naruto si tirò indietro e di colpo si alzò, allontanando la sedia dal letto.
«Ehi!» protestò Hitoshi, ma il maestro scrollò le spalle senza smettere di sorridere allegro.
«Tua madre mi ha fatto giurare di attendere i risultati delle tue analisi, quindi fino a domani potrai pensarci da solo.»
«Pensarci da solo? Senza indizi? Ero via quando avete scoperto della spia, come diavolo faccio?»
«Consideralo il tuo test di ammissione.»
«Ma... E se le analisi danno cattive notizie?»
«Dai, siamo seri: chi li ascolta davvero i dottori?»
Hitoshi ricadde pesantemente sui cuscini, masticando insulti tra i denti mentre Naruto turbinava fuori.
La testa pulsante tornò a catturare tutta la sua attenzione, perversa, ma i suoi pensieri dribblarono il dolore e iniziarono a macinare possibilità. Una spia? A Konoha? Da quanto tempo? Perché? Un paio di idee le aveva...
Tra un sospetto e l'altro, concentrato com'era ad analizzare i comportamenti di tutti gli shinobi che conosceva, non si accorse nemmeno che la nuova preoccupazione gli stava impedendo di piangersi addosso, ma soprattutto di chiedersi perché suo padre non fosse ancora venuto a trovarlo.


*


«Non ho una tua cartella clinica, ho solo parlato con il Kazekage.»
Il medico sfogliò gli appunti sulla scrivania con espressione corrucciata. La parte pratica della visita si era appena conclusa, e Chiharu stava finendo di rivestirsi.
«Se fossi una mia paziente ti farei ricoverare immediatamente per un ciclo di analisi complete e ti spedirei uno psicologo per discutere di un cambio di carriera.»
Chiharu tirò fuori la coda dalla maglietta e sbuffò. «Non sto così male.»
Il medico prese dal cassetto della scrivania un blocco di fogli nuovi e una penna. «Le malattie cardiache sono spesso asintomatiche, finché non conducono all'arresto circolatorio. Di solito l'unica cosa che riferiscono i pazienti è un po' di dolore sotto sforzo.»
Chiharu ricordò tutte le volte che nel mezzo di una missione aveva sentito un peso sopra lo sterno, come una mano che si stringeva attorno al cuore e le rendeva difficile respirare... Si sforzò di non mostrare reazioni e si sedette davanti alla scrivania.
«Ma io sono uno shinobi» disse in tono neutro.
Il medico firmò il primo foglio e la guardò da sopra le lenti degli occhiali. «Se continui a ignorare la tua salute, potresti non dovertene preoccupare ancora per molto.»
Chiharu deglutì. Normalmente non avrebbe ascoltato il parere di uno sconosciuto, ma il ricordo del malessere che l'aveva colta dopo la missione di Loria era abbastanza fresco da farle sorgere qualche timore. Aveva sempre preso relativamente alla leggera i problemi del suo cuore, anche perché andare in missione con Naruto voleva dire non essere mai realmente in pericolo, ma ora che Naruto non poteva più seguirli, quanto spesso avrebbe dovuto faticare come l'ultima volta? Quante volte ancora sarebbe dovuta ricorrere alla Lophenaria del nonno?
«Ti sto segnando alcune analisi...» riprese il medico, continuando a compilare fogli. «Posso chiedere un favore all'ospedale di Suna e farti ricoverare immediatamente. Nel giro di un paio di giorni avremo i primi...»
«Aspetti un minuto» lo interruppe lei. «Non voglio farmi ricoverare.»
Il medico smise di scrivere per fissarla. «Non vuoi?» posò la penna. «Chiharu... Credo che tu non abbia ben chiara la gravità della situazione. Il tuo cuore in questo momento è molto più simile a quello di un settantenne che a quello di una ragazza di diciotto anni. Non sono sicuro che riusciresti a ritornare a Konoha... Anzi, per quanto mi riguarda è troppo rischioso.»
«Quindi dovrei restare qui ad aspettare... cosa?»
«Abbiamo bravi specialisti...»
«No» Chiharu si irrigidì. «Se devo fare qualcosa per la mia salute voglio farlo a casa mia, con i miei medici e le mie cose. Voglio tornare a Konoha.»
Aveva parlato in fretta, resa nervosa dal tono serio del dottore. Perché sembrava tanto preoccupato? Perché parlava di ricovero, analisi, cambi di mestiere...? Non poteva essere così grave.
«Non posso darti il mio consenso» disse l'uomo, intrecciando le mani sulla scrivania.
«E' indispensabile?»
«No. Sei maggiorenne, hai il diritto di essere informata e scegliere liberamente... Ma...»
«Allora voglio tornare a casa.»
Il medico corrugò la fronte. «Potresti stare male lungo il viaggio.»
«Ho alcuni... integratori che mi hanno dato alla Foglia. Per le emergenze» disse Chiharu pensando alla Lophenaria.
«Sarebbe meglio evitare medicinali e integratori, almeno finché non avrai fatto degli esami completi.»
Chiharu serrò le labbra, agitandosi un altro po'. Niente Lophenaria? Allora quello stupido di Stupido un po' ci aveva preso? Ma senza Lophenaria come avrebbe nascosto agli altri shinobi di Konoha quanto fosse faticoso il viaggio per lei?
«Resta a Suna» tentò ancora il medico, sfoderando il meglio delle tecniche di persuasione che aveva imparato nel corso degli studi. «Ci prenderemo cura di te, faremo esami approfonditi e valuteremo il modo migliore per farti tornare a casa. Sarà questione di pochi giorni, al massimo alcune settimane, e non resterai da sola: probabilmente il tuo compagno dovrà trattenersi un po' di tempo in attesa che calcifichino le coste... E anche tua madre resterà sicuramente con te.»
Intere settimane sola con Temari? Chiharu inorridì.
«Voglio tornare a Konoha» ripeté meccanicamente. «Dove devo firmare per scaricarla della responsabilità?»
Il medico sospirò e spinse verso di lei un piccolo plico di ricette, chiedendosi perché nessuno ascoltasse mai i dottori.. «Ti farò avere i moduli... Ma pensaci un altro po'. Il Kazekage non ha ancora deciso quando far ripartire il vostro gruppo, prenditi del tempo per rifletterci. Almeno una settimana.»
Chiharu annuì distrattamente, prendendo i fogli.
«Visto che non vuoi farti fare esami approfonditi, ho aggiunto un ricostituente per eliminare le tossine. Quando il miocardio entra in sofferenza...» il medico si interruppe, scrollando la testa. «Penso che non ti interessi. Prendi le pillole che ti ho segnato, aiuteranno a eliminare un po' di schifezze dal tuo sangue. Inclusi quegli integratori che ti hanno dato a Konoha.»
Chiharu annuì di nuovo, lo sguardo a frugare la calligrafia incomprensibile sui fogli che aveva ricevuto. «Una cosa» disse, prima di alzarsi. «Non voglio che i dati sulla mia salute vengano comunicati a mia madre o a mio zio. Se no la trascino in tribunale.»
Il medico scosse la testa, stringendosi nelle spalle. Non era d'accordo, non era soddisfatto, ma alla fine la sua coscienza era a posto: non poteva salvare tutti.

Seduta a gambe incrociate sul letto dell'infermeria, Chiharu si fissava i polsi alla luce della luna. Dietro la tenda sentiva il russare sommesso di Kotaro, da qualche parte il ronzio di un condizionatore. La pelle dei suoi avambracci riluceva debolmente nella penombra. Là dove il polso si assottigliava emergevano lievemente le vene.
Con tre dita andò a sentire il battito cardiaco poco sotto il pollice: tu-tum. Tu-tum. Tu-tum. Faceva il suo lavoro. Tu-tum. Tum. Tutum. Tolse le dita.
Davvero era bastata una sola missione per ridurla a una settantenne?, si chiese ripensando alla visita di quella mattina. Si era trattato di naturale peggioramento o la Lophenaria c'entrava qualcosa? Era stata imprudente? Forse era stata l'evocazione?
All'ultimo pensiero la sua mandibola si irrigidì visibilmente. Kotaro aveva chiesto dell'uccello, Gaara lo aveva visto, sua madre ne era stata informata... Cosa aveva in mente Kakashi? Le aveva sempre espressamente vietato di usare quell'evocazione, perché adesso le aveva chiesto di farlo? Doveva sapere che una cosa del genere nel mezzo di una missione di gruppo avrebbe suscitato domande... Le veniva in mente solo una possibile motivazione, ma anche quella non spiegava perché l'avesse fatto proprio adesso.
E comunque, rifletté con disappunto, se il suo peggioramento era dovuto all'evocazione, beh, non era nei patti.
Scivolò fuori dal letto e silenziosamente indossò le ciabatte che le avevano lasciato per quella notte. Dal momento che voleva evitare le domande di Temari aveva chiesto di restare a dormire in infermeria, e visto che il medico preferiva averla sott'occhio aveva accolto l'idea senza fare storie. In punta di piedi, facendo attenzione a non svegliare Kotaro né il medico di guardia, uscì e percorse i corridoi che portavano a una porticina sul retro, allarmata durante la notte. Lì accanto c'era un piccolo deposito di biancheria sporca, a quell'ora vuoto. Chiharu vi entrò silenziosamente, guardandosi alle spalle per un istante.
Dentro era completamente buio, ma non le serviva luce per fare quel che stava per fare: nell'oscurità compose un'elaborata serie di sigilli, sentì l'enorme prelievo di chakra che le fece vacillare le gambe, e un momento dopo dal nulla comparve uno sbuffo di polvere tenuemente illuminata, al centro del quale svolazzava un minuscolo uccellino dorato.
Nel vederla lanciò un gridolino acuto, e frullando le ali si posò su un tavolo libero.
«Shh» sussurrò lei ansiosamente, quindi trattenne il respiro per alcuni secondi: nessun rumore. Solo allora si rilassò. «Ho un messaggio per Suzaku» sibilò inginocchiandosi. «Non ha rispettato i patti. Sono molto arrabbiata con lui.»
L'uccellino la guardò inclinando la testa in un espressione meditabonda o calcolatrice, era difficile dirlo, poi scrollò le penne in una sorta di risposta incomprensibile. Senza aspettare il via libera di Chiharu si sgranchì un'ala per volta e scomparve nella stessa nuvoletta di fumo in cui era arrivato.
Chiharu si rialzò a tentoni, cercando la maniglia della porta nel buio. Il suo cuore batteva forte, questa volta per l'agitazione: forse aveva osato troppo, aggiungendo l'ultima frase? Si sarebbe dovuta fermare ai patti non rispettati? Quell'azzardo le sarebbe costato qualcosa? Anche se fosse stato, ormai era fatta.
Una volta fuori la penombra del corridoio le sembrò piena luce dopo le tenebre dello stanzino. Con cautela richiuse lo sgabuzzino e tornò verso l'infermeria.

La mattina dopo sia lei che Kotaro furono svegliati da un'infermiera brusca e assai poco compassionevole. Nonostante gli infruttuosi tentativi di Chiharu per scomparire sotto le coperte, Kotaro cercò in ogni modo di fare conversazione, felice e allegro come solo un maniaco dell'allenamento sa essere di prima mattina. Il medico passò a visitarli subito dopo colazione, poi, a sorpresa, arrivò anche Gaara.
«Sembra che abbiate bisogno di più tempo del previsto» commentò corrucciato scrutando i due ragazzi. «Ho parlato con il personale dell'infermeria, hanno consigliato almeno una settimana di riposo per entrambi prima di rifare il viaggio verso Konoha. A questo punto immagino che il resto del gruppo partirà senza di voi» Sia Chiharu che Kotaro scattarono a sedere e iniziarono a protestare contemporaneamente, ma Gaara li fermò con un cenno. «Non è una mia scelta, sono disposizioni mediche. E non posso trattenere un'intera squadra per aspettarvi.»
«Io non ho niente che non va!» sbottò Chiharu, mentendo con una naturalezza invidiabile. «Non potete costringermi a restare qui da sola un'intera settimana!»
Soprattutto se ci resta anche mia madre!, aggiunse mentalmente.
«Ero solo venuto a comunicarvelo» specificò Gaara, ignorandola. «Gai Maito, Rock Lee e Baka Akeru partiranno in tarda mattinata.»
«Stupido tornerà a prendersi tutto il merito della missione?» esclamò Kotaro indignato. «Nobile Kazekage, la prego, mi dia ancora tre giorni. Anzi, due! Solo due giorni! Tra due giorni sarò abbastanza in forma per...»
«Tra due giorni sarai in forma meno di oggi, se non la smetti di gridare» intervenne il medico scostando la tendina che separava i tre dal resto dell'infermeria.
Kotaro strinse le mani sul lenzuolo, le folte sopracciglia corrucciate fino ad unirsi. Per una volta, la prima e forse unica volta che poteva prendersi il merito di una missione in cui Hitoshi Uchiha non c'entrava, Baka Akeru si sarebbe preso il suo trionfo?
«Stasera» digrignò i denti. «Stasera mi visiti di nuovo e mi dia il via libera oppure no. Soltanto dodici ore!»
Gaara e il medico scambiarono un'occhiata, poi il medico sospirò e scrollò le spalle. «Non cambierà niente in dodici ore.»
«Se non sarà cambiato niente accetterò di restare a riposo. La prego!»
Gaara socchiuse gli occhi e sembrò valutare la richiesta. Alla fine accettò, ma disse che prima avrebbe sottoposto la questione a Gai, Rock Lee e Akeru. Kotaro tirò un visibile sospiro di sollievo, lasciandosi ricadere sui cuscini. Chiharu, lì accanto, pensò con orrore che in dodici ore non sarebbe mai e poi mai riuscita a convincere il medico a lasciarla partire.
«Posso firmare le carte per partire contro il parere del medico, vero?» chiese ansiosamente.
Gaara la fissò per un lungo momento. «Potresti» disse quindi, lentamente. «Ma tua madre non mi perdonerebbe mai se sapesse che te l'ho lasciato fare, soprattutto considerato che hai espressamente vietato al nostro personale di farci sapere quali sono le tue condizioni. Se davvero tu firmassi quei fogli mi vedrei costretto a trattenerti per vie politiche.»
Chiharu fu certa di vedere l'accenno di un sorriso all'angolo della bocca del medico. Che odio! Strinse il lenzuolo tra le dita e non disse più niente, facendo lavorare furiosamente il cervello.
Quando Gaara e il medico si furono allontanati parlando tra loro, Chiharu gettò un'occhiata di fuoco a Kotaro.
«Dodici ore?» ripeté furente. «Io che diavolo faccio in dodici ore?»
«Chiharu, mi dispiace...» balbettò lui improvvisamente mortificato. «Non ho pensato... Perdonami, è solo che...»
«E tu che diavolo fai in dodici ore?» lo interruppe lei. «Hai due costole rotte, per la miseria!»
Kotaro abbassò lo sguardo e giocherellò con il lenzuolo, mormorando scuse inintelligibili. Chiharu strinse i denti, buttò indietro le coperte e scese rabbiosamente dal letto.
«Dove vai?» chiese Kotaro tutto ansioso. Ma Chiharu non rispose, e avvolta solo nel camicione dell'infermeria uscì in corridoio sbattendo la porta.
Avrebbe seguito Gaara, si disse. Lo avrebbe preso a quattr'occhi e gli avrebbe spiegato che restare a Suna con sua madre un'intera settimana avrebbe scatenato cataclismi di proporzioni inaudite. In qualche modo lo avrebbe convinto a lasciarla andare. E avrebbe fatto emigrare il medico dell'infermeria prima che potesse infrangere il segreto professionale.
Invece incontrò Temari, neanche a due minuti dalla partenza. Trasalì, considerando l'idea di nascondersi dietro un vaso di fiori, ma capì che era troppo tardi.
«Cosa fai in giro mezza nuda?» si sentì chiedere.
«Cosa fai in giro a quest'ora?» replicò stringendosi addosso il camicione.
«Ho una figlia ricoverata, per esempio.»
«E io sono vestita da ricoverata, per esempio.»
Temari la scrutò sospettosamente. Conosceva le tattiche evasive di Chiharu come le sue tasche. Qualcosa puzzava.
«Dove stavi andando?» chiese senza mezzi termini.
La miglior difesa è l'attacco, pensò Chiharu al volo.
«Perché non vuoi tornare a Konoha?»
Temari serrò le labbra e assunse la stessa posizione della figlia, con le braccia serrate sul petto.
«C'entra papà, ma perché?» insisté Chiharu.
«E tu perché hai stretto un Contratto di Sangue senza dirmelo?»
«Cosa gli hai fatto, per doverti nascondere fin qui?»
All'improvviso le guance di Temari si coprirono di rossore rabbioso. «Perché dai sempre per scontato che i problemi in famiglia li causi io? Se resto a Suna è per qualcosa che tuo padre ha fatto!»
Chiharu fu colta completamente alla sprovvista. Per un attimo non seppe cosa ribattere, fissando Temari a bocca aperta.
«E se Shikamaru ha un briciolo di buonsenso, alzerà il sedere e verrà a riprendermi» concluse lei recuperando il controllo. «Stavamo parlando del tuo Contratto, giusto?»
«No. No no no, torna indietro un momento. Che cosa ha fatto papà per farti arrabbiare fino a questo punto? Papà: quello che piuttosto che perdere energie a litigare ti dà ragione anche quando non ne hai per niente!»
Temari roteò gli occhi. Quando ci si metteva Chiharu era sgradevolmente testarda, peggio di lei: non poteva spiegarle dinamiche familiari che i figli avrebbero fatto meglio a non indagare.
«Bene, visto che vuoi parlare parliamo della notte prima della missione» contrattaccò. «Perché Gaara dice che non ti sei fatta viva per chiedergli un'altra stanza, quindi dov'eri?»
Chiharu impiegò qualche istante per capire a cosa alludesse. Poi i ricordi della notte con Hitoshi le affollarono la mente tutti insieme, e per un momento si sentì vacillare. La notte con Hitoshi. Sembrava mille anni prima.
«Mi-mi sembrava che la segretaria mi tenesse d'occhio» improvvisò. «L'avevo vista intorno alla stanza e non volevo che sospettasse qualcosa... Mi sono infilata in una camera vuota. La più vicina.»
Temari strinse le palpebre, poco convinta. Stava per aggiungere una domanda, ma Chiharu lo sapeva, così come sapeva che la storia non era pronta nella sua mente e che in faccia era di un colore che la accusava più di qualunque parola. Capì che doveva correre in ritirata, subito, prima di crollare, o le conseguenze sarebbero state catastrofiche.
«Se vuoi chiedere a Kotaro ti confermerà che non ho fatto tardi» disse in fretta, quasi da mangiarsi le parole. «Ma poi che te ne frega? Ho diciotto anni e la missione è stata un successo! Sei opprimente!» si lamentò con tono petulante. E allora, stringendosi convulsamente addosso la camicia – perché aveva l'impressione che si vedesse, che Temari avrebbe capito anche solo guardandola – si fece piccola per sgusciare tra la madre e il muro e si allontanò quasi correndo, le orecchie sorde ai richiami alle sue spalle. Non poteva davvero affrontare una discussione su Hitoshi e sulla sua imbarazzante incapacità di respingere le sue avances. Non in quel momento, quando aveva questioni molto più importanti da risolvere.
Arrivò fino in fondo al corridoio, salì il primo piano di scale, e solo quando fu oltre il secondo si fermò per riprendere fiato. Hitoshi!, pensò allora. Tornare a Konoha significava rivedere Hitoshi, che sicuramente si aspettava un chiarimento, che forse la odiava per averlo spedito a casa, e che addirittura in quel momento poteva essere ricoverato, mezzo moribondo... Al pensiero non era più tanto sicura di voler correre indietro.
D'altro canto restare era almeno doppiamente pericoloso, per sua madre e per quel maledetto medico ficcanaso, e poi... le seccava che Stupido si prendesse il merito per una missione del gruppo sette. Stupido, dai!
E fu pensando a lui che capì di doverlo costringere ad aiutarla.

Prima di andare a cercarlo tornò a rivestirsi, ignorando Kotaro che dietro la sua tenda faceva chissà cosa – probabilmente riti sciamanici proibiti per la guarigione immediata delle costole. Aveva raggiunto l'infermeria per una strada contorta e lontana dai passaggi abituali di Temari, ma continuava ad avere l'impressione che la madre sarebbe sbucata da dietro i vasi per sottoporla a un nuovo interrogatorio.
Prima di tutto pensò di cercare Kankuro per scoprire quale fosse la stanza di Stupido, perché gli sembrava la persona più affidabile e meno coinvolta a cui rivolgersi. Ma non avendo la minima idea di dove trovarlo si trovò a vagare nei pressi dello studio di Gaara sperando che lo zio decidesse di fare un salto dal fratello. Mentre aspettava cercando di sembrare innocente, si imbatté precisamente nel gruppetto degli shinobi di Konoha che avevano appena finito di discutere del rientro nel paese del Fuoco. Un attimo prima di trovarseli di fronte intrecciò le dita in una serie frenetica di sigilli e si appiccicò alla parete attivando la tecnica della mimetizzazione.
Gai, Rock Lee e Stupido le passarono davanti senza accorgersi di nulla, immersi in una conversazione serena: Chiharu captò qualcosa riguardo a sua madre che aspettava l'arrivo di Shikamaru e un paio di agghiaccianti battute che avrebbe preferito non sentire, poi lasciò che svoltassero oltre una curva del corridoio e sciolse la tecnica per pedinarli.
Per sua fortuna Stupido si separò dagli altri quasi subito, dicendo che gli doleva ma doveva rinunciare al loro allenamento nel deserto per preparare lo zaino. Rock Lee e Gai lo lasciarono andare e sparirono pieni di entusiasmo, lui invece salì fino al primo piano e aprì una porta nel corridoio degli ospiti. Fu allora che Chiharu si fece vedere.
«Non dovresti essere in infermeria con un camicione e una flebo nel braccio?» trasalì Akeru notandola.
«Ho bisogno del tuo aiuto.»
Lo stupore di Akeru durò una frazione di secondo, subito sostituito dalla tracotanza. Con un gesto cerimonioso le indicò l'ingresso della stanza e la lasciò passare per prima, gongolando silenziosamente. Quando furono entrambi dentro richiuse la porta e ci si appoggiò, il mento ben alto e un sorriso di trionfo impossibile da nascondere.
«Gaara ci ha detto che tu e Kotaro volete fare gli splendidi cercando di auto-curarvi in dodici ore... Lasciami indovinare: vuoi che falsifichi i tuoi esami per farti tornare a Konoha con noi?»
Chiharu fece un gesto stizzito, ferma in un angolo con le braccia strettamente ripiegate sul petto. «Non voglio che falsifichi niente. Dimmi come posso falsificarmi gli esami da sola.»
«Non puoi falsificarti gli esami...»
«Sì che posso. Dimmi cosa devo prendere perché il mio cuore sembri in ordine e il mio sangue scintillante.»
«Ti sto dicendo che non puoi. Anche se fossi d'accordo nel lasciartelo fare – e non lo sono, sia chiaro – avresti bisogno almeno di un paio di giorni perché le droghe facciano effetto come si deve.»
Chiharu serrò la mandibola. «Sono piuttosto sicura che ci sia qualcosa che non mi stai dicendo.»
Akeru ridacchiò, allontanandosi dalla porta. «Nessuno ascolta mai i dottori, eh? Prova con la Lophenaria di tuo nonno, probabilmente è più potente di qualunque mio intruglio. Ora scusa ma ho da fare. Mi dispiace di non esserti stato d'aiuto.»
Mentre lui allungava il braccio per raggiungere lo zaino ai piedi del letto, Chiharu gli afferrò il polso.
«Non ti prenderai il merito della mia missione!»
Lui la guardò un po' stupito, poi scoppiò a ridere. «Allora è questo il problema? Non ho bisogno di prendermi il merito della vostra missione, Chiharu. Sono un Anbu, ricordi?»
Lei aumentò la stretta. «Ricordo fin troppo bene chi sei; per questo voglio tornare con voi, o non tornerai neanche tu.»
Akeru inspirò a fondo, senza cercare di sottrarre il braccio. «Ascolta, Chiharu. Qui non è questione di una missione in più o in meno» le spiegò con tono vagamente cerimonioso. «E' questione del tuo cuore, che fa schifo, soprattutto se vuoi fare la kunoichi. Non puoi farti tre giorni di corsa con la cartella clinica che ti ritrovi: ci costringeresti ad andare al piccolo trotto, e neanche così sarei sicuro di farti arrivare tutta intera. Forse dovresti iniziare a guardare in faccia la realtà e fare qualcosa per rappezzarti i ventricoli.»
«Non voglio la paternale, voglio solo un paio di indicazioni mediche» insisté lei, mollandogli il braccio di scatto.
«E' così importante tornare prima di me?»
«E' importante non restare a Suna con mia madre!»
Di nuovo Akeru scoppiò a ridere, questa volta tanto da doversi sedere sul letto. «Sul serio? Hai paura di restare qui con lei?»
«Non. Ridere.» Chiharu digrignò i denti, sentendo le guance infiammarsi per la frustrazione.
Akeru riprese fiato e si costrinse a limitarsi a un sorriso. In effetti, ora che ci pensava, neanche lui avrebbe fatto i salti di gioia all'idea di restare in balia di Temari... Ma, insomma, Chiharu Nara sull'orlo della supplica era troppo allettante per rinunciare a infierire in nome della pietà.
«Chiedimelo per favore» suggerì.
Chiharu avvampò, colta dall'insopprimibile desiderio di scoprire di che colore fosse il suo sangue. Si disse che aveva fatto un errore colossale pensando di rivolgersi a lui, e per un momento fu tentata di tirargli un cazzotto e andarsene... Poi si fermò.
Akeru era davvero la sua unica speranza di tornare a Konoha. Solo un medico poteva trovare il modo di fregare un altro medico. Doveva convincerlo ad aiutarla, non poteva permettersi di lasciarlo vincere. Non poteva. Non voleva restare di nuovo indietro, come cinque anni prima, bloccata in un letto di ospedale mentre Kotaro apriva Porte del Chakra come fossero sacchetti di patatine.
Ingoiò gli insulti che le erano saliti alle labbra, ingoiò l'orgoglio e gli anni di odio conclamato, per un secondo si trovò addirittura a pentirsi di essere stata crudele con Baka quando le aveva fatto la sua confessione... Poi fece un respiro profondo, sentendosi morire dentro, e parlò.
«Per favore.»
Il sorriso sfumò dalle labbra di Akeru. Di punto in bianco l'aria si riempì di disagio.
«Ascolta...» tentò lui, ma lei si avvicinò e lo interruppe.
«Per favore.»
Akeru ammutolì, fissandola. Vide le labbra pallide, le occhiaie sotto le palpebre, i muscoli del collo tesi. Sembrava importante, anche se probabilmente non gli stava dicendo tutto: di solito Chiharu lo guardava con disprezzo, sarcasmo, o almeno un filo di supponenza; oggi invece lo guardava come se dal suo parere dipendesse ogni cosa.
Pensò di chiederle di spiegargli davvero perché voleva andarsene, ma appena prima che potesse farlo la sua mano si mosse da sola e la afferrò per il polso. La tirò a sé, dimenticandosi la domanda e il bel discorso sull'etica che aveva propinato a Temari; la tirò giù, cercando la sua bocca come non aveva mai nemmeno osato pensare, e la baciò.
Chiharu, abbastanza sbalordita da non riuscire a reagire, si irrigidì per un istante; poi, sorprendentemente, cedette e dischiuse le labbra.
Akeru si chiese cosa stava facendo. Fece scivolare l'altra mano sulla sua nuca e con un unico movimento la sospinse sul letto, scivolando su di lei per bloccarla con il peso del proprio corpo. Cosa stava facendo?, domandò ancora, e sprofondò il viso nell'incavo del suo collo, rabbrividendo quando un suo ansito gli solleticò l'orecchio. Cosa, cosa, cosa diavolo stava facendo?, si chiese per l'ultima volta.
E alla fine, quando sentì le dita di Chiharu premere sulla sua schiena, smise di chiederselo.






* * *

Chiedo umilmente il vostro perdono.
Come è mia sgradevole abitudine vi ho ingannati di nuovo.
Dopotutto, *quella parte* è rimasta.
Però questa volta hanno fatto una doccia.

Buongiorno a tutti!
La primavera è alle porte e io sono stata risucchiata dal terribile vortice del giardinaggio.
Ma non temete: la notte è per forza dedicata alla scrittura,
dovrei riuscire ancora a cavarmela.

E' davvero dura incastrare nella trama le cose che devono ancora accadere
(a 20 anni sembrava tutto molto più semplice, mannaggia),
ma riempiendo interi file di "cose da ricordare" e rileggendoli spesso ci sto dietro.
Spero.

Ancora una volta: se vedete incongruenze avvisatemi!

Grazie per essere arrivati fin qui!



  
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