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Autore: wasted potential    30/09/2015    1 recensioni
( dal primo capitolo )
Quel nome, quelle due parole, mi riecheggiano nella testa. Le sento, ma non è che le capisco tanto. Voglio dire— che senso hanno? È il mio nome, quello lì. Cioè, sono abbastanza certo che sia il mio nome. No, è proprio il mio: casi di omonimia sono praticamente nulli, qui al distretto quattro. Ho sempre pensato avessimo tutti una scarsa inventiva, ma evidentemente ne abbiamo fin troppa per dare i nomi.
Ecco.
Finnick Odair, quindi, è il mio nome. Mio e solo mio.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finnick Odair
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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— — ( sessantacinquesimi hunger games ;; mietitura )

 
“ E... il tributo maschile di quest’anno, per il distretto quattro, è— Finnick Odair. “

Finnick Odair. 
Finnick Odair. 
Finnick Odair. 

Quel nome, quelle due parole, mi riecheggiano nella testa. Le sento, ma non è che le capisco tanto. Voglio dire— che senso hanno? È il mio nome, quello lì. Cioè, sono abbastanza certo che sia il mio nome. No, è proprio il mio: casi di omonimia sono praticamente nulli, qui al distretto quattro. Ho sempre pensato avessimo tutti una scarsa inventiva, ma evidentemente ne abbiamo fin troppa per dare i nomi. 
Ecco. 
Finnick Odair, quindi, è il mio nome. Mio e solo mio. 
Me l’ha dato mia madre. Intendo, ovvio che me l’abbiano dato i miei genitori, ma è più o meno tutto quello che mi rimane di lei. A parte gli altri due nomi che mi porto addosso, ma quelli li ha scelti con papà, quindi sono meno importanti. Un po’ per tutti, perché qui al distretto quattro è raro che ti cuciano addosso più di un nome, ma per me in modo particolare: mio padre me la può narrare tranquillamente la storia che c’è dietro a quel “Joshua” o “Reuben” ( che poi mi volevano chiamare “Reuben Joshua Finnick” ), ma non quella che sta dietro a “Finnick”. Eh, mamma è morta. E quello doveva essere il mio terzo nome, come mi ha spiegato papà. Quindi, magari, adesso quella tipa dai capelli blu elettrico e dalle labbra color giallo canarino non avrebbe chiamato il mio nome, ma un altro. 
Mamma è morta subito dopo che sono nato io. 
“Una vita per una vita” qualcuno dice giù al mercato. 
“Una vita per una vita”, io avrei preferito che non fosse morto nessuno. 
Nato sì, morto no. Proprio no. Perché lo sguardo di papà, tutte le volte che mi guarda, è un sacco triste. E, per quanto possa volermi bene ed arruffarmi i capelli, io lo so che un po’ mi odia. In fin dei conti gli ho portato via sua moglie, che era tanto brava a dipingere su delle tele che adesso non so dove siano nascoste, che era tanto brava a cucinare il pesce. E che era anche tanto bella – ma questo me lo hanno sempre detto tutti. 
Ecco, se non fosse stato che poi lei è morta, papà non avrebbe mai deciso di chiamarmi “Finnick”. Okay, un nome è sempre un nome, non cambia niente. Cioè, un po’ cambia, però— io non la so la storia del mio nome. Non la sa nessuno. E, per quanto possa immaginarmela, non me ne viene nemmeno una. 
O se mi vengono sono tutte stupide, che non è lo stesso.

Mi sa che mi sono perso, però. 
E c’è un silenzio proprio pesante attorno a me. Attorno a tutti, in realtà. Permea un po’ tanto l’aria, e lo sento sulle mie spalle. Esattamente come sento lo sguardo di un sacco di quattordicenni piantato su di me. Io non capisco, però so che devo muovermi. 
Hanno detto il mio nome, mi devo muovere. 
È così che funziona. 
I miei piedi si muovono, quindi, e tutto continua ad essere silenzioso. Talmente tanto che sento solo i miei passi, oltre a quelli dei Pacificatori. Tutti mi fissano, ma io tanto ci sono abituato. Ogni tanto, quando arrivo in ritardo a scuola e sono tutti ancora nell’atrio, mi guardano. Solo che bisbigliano, anche se cerco di non farci troppo caso – che poi tutte le volte corro, quindi sarà per questo che mi guardano, non so. 
Questa volta, però, ci sono anche le telecamere. E gli schermi giganteschi che mandano in giro la mia immagine. Solo che me ne accorgo dopo che sono salito sul palco che mandano in giro la mia immagine e, accidenti!, sono messo— male. 
Voglio dire, prima io ed Annie ci siamo tirati l’acqua addosso, in spiaggia. E poi ho mangiato quel dolce al cioccolato, ed ho le scarpe un po’ tanto piene di sabbia – e non mi sono nemmeno pettinato! Mentre Henley è molto carina, devo dire. Come tutti, più o meno. Mentre io sono un disastro. Se solo non avessi quella macchia sui pantaloni andrebbe tutto molto meglio, ma... c’è. E viene proiettata in tutti i distretti. Esattamente come i miei capelli disordinati, la mia camicia umida ( e non elegante ), le mie scarpe messe male. 
Spero solo papà non stia guardando— ah, no. È tra il pubblico. E lo so perché questi sono gli Hunger Games, e sei costretto a guardarli. Finché non finiscono. 
E io sono un tributo.
Una volta una vecchia ha detto a mio padre che ero nato da assassino e sarei morto da assassino. È un po’ pazza, quella, poveretta – ed è morta tipo quando io avevo due anni, quindi non è che mi faccio problemi. Mio padre l’ha mandata via a malo modo, penso, e poi le ha detto di non ripresentarsi più a casa nostra. Io non ho idea di chi fosse quella tipa, ma mi sa che aveva ragione.

Sono nato da assassino e morirò da assassino.


[ here we are! ]
Ecco a voi il primo stralcio d'esistenza di Finnick Odair che mi son permessa di immaginare. 
Spero di non essere andata OOC, poiché tal personaggio è estremamente complesso ( oltre che fin troppo interessante ) —
Ovviamente questo missing moment è ambietato nel Distretto 4, durante la mietitura dei sessantacinquesimi Hunger Games, quando il protagonista aveva solo quattordici anni. 

Grazie, lettore, per esser giunto sin qui; te ne sono infinitamente grata ( e spero di non averti tediato troppo )!


 
   
 
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