Mentire
non le era mai sembrato così naturale.
Anche in quel lasso di tempo, mentre avanzava nel corridoio deserto, con
le sole
candele come unica compagnia, macinando passi uno dietro
l’altro. L’andatura
sempre più veloce, il respiro altrettanto affrettato.
Mentiva
anche in quel momento, celando la sua vera intenzione.
La
verità.
Era
per il suo amore per la verità, che si era affrettata ad
uscire dalla stanza
della festa, non prestando attenzione a quei pochi studenti che avevano
dimostrato l’intenzione di fermarsi a parlare con lei. Si era
comportata in
modo avventato, quando aveva scelto di lasciare Lumacorno e tutti gli
invitati,
ma sapeva che quella poteva essere forse l’ultima
opportunità di conoscere ciò
che rincorreva da quasi un anno.
Era
vicina, lo sentiva.
Affrettò
ancora il passo : non si sarebbe mai perdonata se non fosse riuscita a
cogliere
l’occasione che le si era presentata in modo così
fortuito. Non voleva
sprecarla solo per stupidi ed infantili timori. Una parvenza di paura
che le
contagiava gli occhi e le impediva di respirare in modo regolare.
E
ci si scontrò, con quella verità.
«Smetti
di seguirmi».
Suonò
come un ordine, pronunciato seccamente, quasi con odio. Hermione
dubitò che
l’ultimo suo pensiero fosse del tutto errato :
quello era odio.
Sincero, radicato e viscerale odio.
Verso
di lei.
«Sei
entrato» un sussurro interruppe quel silenzio, e si
stupì nel constatare che
era fuoriuscito dalla sua bocca e non da quella di lui. Non si era resa
conto
di aver parlato, non fino a quando lui si voltò verso di lei.
«Mi
annoiavo» rispose, il ghigno così tipico di lui
disegnato su quel volto
mortalmente bianco. Gli contagiava gli occhi, freddi come il
più rigido e
nevosi degli inverni. «Non esiste cosa peggiore della
monotonia».
«Sei
in errore» lei manifestò il suo naturale dissenso
scuotendo la testa. Era una
strana sorta di gara, quella che si era instaurata, fin dal primo anno,
tra la
Grifondoro e il Serpeverde : il secondo parlava, e la prima lo
osteggiava
pubblicamente. Era un tacito accordo che nemmeno loro sapevano di aver
stipulato, ma che li condizionava costantemente, giorno dopo giorno.
«La
solitudine, l’odio, la guerra lo sono».
«Non
per me, Mezzosangue» sibilò freddo, avvicinandosi
alla ragazza. Ed Hermione
non indietreggiò, nonostante il buonsenso che sembrava
essere così innato in
lei. Lo guardò negli occhi, infiammati da un sentimento che
lei faticava a
riconoscere, non avendolo mai effettivamente provato.
Gelidi,
ardenti, distaccati, imperturbabili.
Erano inverno,
quegli occhi.
«Sono
tutte conseguenze della monotonia» tornò a
sussurrare, fissandola senza
emozione. «Dopotutto, l’invariabilità
è tipica di noi Serpeverde. Siamo
statici, come la polvere».
Come la neve, quando attecchisce al suolo. Una distesa di purezza
ghiacciata,
che copre tutto e fa dimenticare ogni cosa.
«L’unica
cosa che riuscite a provare è l’odio»
lo contraddisse Hermione con un bisbiglio,
distogliendo lo sguardo dal volto affilato del biondo, a pochi
centimetri da
lei. «È l’unica cosa che vi insegnano
fin da piccoli. L’unica cosa che riesce a
condizionarvi, minacciando tutto il resto. Ma l’odio non
è tutto».
«Non
conosco altro» confessò tristemente, stringendo
tra le dita una ciocca dei
suoi capelli che era scappata dall’acconciatura. Erano
morbidi e freschi, quei
capelli. Così diversi dai suoi, biondi fino
all’estremo.
«Alcuni
non lo meritano» affermò lei, tornando con lo
sguardo su di lui. Lo sguardo
del Serpeverde era basso, evitava di guardarla preferendo giocare con i
suoi
capelli. Si rese conto che farsi toccare da lui non era
così tremendo come
aveva sempre immaginato. I suoi gesti erano gentili, la presa sulla
ciocca quasi
dolce. «Tu non lo meriti».
«Sei
in errore» la citò, mentre un sorriso incurvava
le sue labbra. Ma anche questo
era triste, eco di ciò che sentiva dentro. «Merito
questo ed altro».
Hermione
scosse la testa, pregandolo mentalmente affinché la
guardasse e vedesse che
nulla di tutto quello era la verità.
«Sei
entrato» ripeté, quasi con un sospiro, al tocco
delle sue dita invernali, come
tutto il resto di lui, che si erano spostate sulla sua guancia. Si
scoprì ad
abbandonarsi a quello stesso tocco, lieve e gentile come solo una
carezza
poteva essere.
«Sì».
«Perché?»
Lo vide deglutire a fondo, socchiudendo gli occhi come se la risposta
faticasse
ad arrivargli alle labbra. «Perché ho paura.
Perché sono terrorizzato da quello
che sono. Perché temo ciò che accadrà.
Perché sarò costretto a detestare tutto.
Perché non voglio arrivare fino in fondo. Perché
mi odierò».
«Sono
qui. So quello che sei. So chi sei. E sono qui».
Lui
sgranò gli occhi, inspirando fino a riempirsi i polmoni.
Espirò tutto d’un
fiato, liberando anche l’affermazione che gli premeva farle
conoscere. «Tu
dovresti odiarmi. È nell’ordine naturale delle
cose».
«Sono
una Grifondoro. Odio le convenzioni» affermò
sicura, sfidandolo a replicare il
contrario. Lui rise, un suono basso, quasi gutturale, ma che le fece
avvampare
le guance. Gliene accarezzò una con la punta delle dita,
sentendo caldo sotto i
polpastrelli. Aveva sempre adorato il freddo, ma ora non ne era
più così
convinto.
«Incosciente»
la definì, spostando l’attenzione delle sue dita
dalla guancia alle labbra. Le
sfiorò piano, attendendo il momento in cui lei si sarebbe
ritratta,
dimostrandogli che aveva sbagliato ancora una volta, ma nulla di tutto
quello
avvenne. Abbassò lo sguardo sugli occhi di lei, scoprendoli
fiduciosi in un
modo che mai era stato riservato a lui.
Non la meritava, quella fiducia.
Sospirò,
lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, e si allontanò
da lei. «Torna alla
festa di Lumacorno, Granger. E dimenticati di me».
Hermione
lo osservò allontanarsi fino a che non sparì
dietro ad un angolo, toccandosi la
pelle lì dove lui l’aveva sfiorata. Aveva visto un
Malfoy diverso, quella sera.
Più umano, più onesto e meno odioso.
Sorrise,
al buio del corridoio.
Aveva
conosciuto Draco.
***
Camminava
per il sotterraneo avanti ed indietro, troppo inquieta per poter stare
ferma.
Avrebbe scavato di sicuro un solco, in quel pavimento di pietra, ma non
le
importava. Non era quello che voleva, non in quel momento.
La
verità, l’unica ed incorruttibile
verità.
Questa
si aspettava, ma tardava ad arrivare. Tornò al quadro,
mormorando parole
d’ordine a caso, sperando davvero che una di quelle fosse
quella corretta, ma
Hermione sapeva che era una sfida persa in partenza.
«Mezzosangue?»
Una domanda la interruppe dalla chiacchierata unilaterale con quel
quadro,
facendola voltare di scatto. Sospirò di sollievo,
incontrando la persona che
aveva atteso da quasi un’ora, anima vagante tra quei
sotterranei.
«Cosa
ci fai qui?»
«Hai
perso questa» gli mostrò la spilla da Prefetto di
Serpeverde, che gli aveva
sottratto con l’inganno senza che lui se ne accorgesse. «Ieri sera, nel
corridoio».
Draco
guardò quell’oggetto stringendo lievemente gli
occhi, non ricordava di averla
persa. In verità non ricordava nemmeno di averla indossata,
la notte
precedente. Tese il braccio con la mano aperta, rimettendo subito a suo
posto
quella spilletta non appena lei gliela restituì.
Aveva riflettuto a lungo sulla sera precedente, ed era giunto alla
inconsueta
conclusione che nulla di quello che le aveva detto gli aveva provocato
rimorso.
Gli aveva fatto bene, confidarsi con lei. Lo aveva ascoltato, senza
tuttavia
ribattere come al suo solito e senza alcun pregiudizio, e gli aveva
dimostrato
che poteva fidarsi davvero di lei.
La
guardava, adesso, in piedi davanti a lui, vestita con dei semplici
shorts ed
una maglia che sembrava lievemente grande per lei. Teneva stretto al
petto un
libro, come se quello avesse potuto donarle il coraggio che aveva
dimostrato di
avere scendendo fino all’ingresso del suo dormitorio.
«Avresti
potuto darmela stamani a colazione».
«No.
Non sarei riuscita ad avvicinarmi come se non
avessi…»
Come
se non avessi conosciuto il vero Draco.
Si
interruppe, scuotendo la testa e maltrattando una manica della maglia.
«Niente».
Il Serpeverde alzò le spalle, mormorando la parola
d’ordine per l’ingresso. Le
fece cenno di entrare, sicuro invece che lei non l’avrebbe
mai fatto.
«Sono
tutti fuori, Granger» le mormorò, muovendo ancora
la mano. «Ed io devo
cambiarmi. Mi sono allenato fino ad ora, e non sopporto di stare con i
vestiti
sudati».
Le prese una mano, trascinandosela dietro contrastando ogni suo
borbottio. La
vergogna che provava lei lo fece sorridere lievemente, mentre si
avviava verso la
sua stanza.
«È vuota,
è vero, ma non so cosa potrebbe accadere se qualcuno ti
trovasse
qui» la mise in guardia, ben sapendo però che
nessuno si sarebbe azzardato a
fare qualcosa ad una Prefetto. Non se lui era insieme a lei.
Per
l’ennesima volta, ringraziò il terrore che gli
altri avevano non di lui, ma
della sua famiglia.
Lo raggiunse a passo affrettato, quasi correndo, non volendo davvero
trovarsi
nella situazione che le aveva appena descritto, e rimase immobile
davanti la porta
della stanza del biondo. Lo sentì sbuffare,
dall’interno di quello che doveva
essere il bagno, il libro stretto con più forza contro il
suo petto.
«Granger,
per quanto ami essere adorato, ci tengo alla mia vita
privata» le disse,
alzando di poco il tono della voce. Ricomparve, vestito non
più da Quidditch ma
con la divisa scolastica. Solo con i pantaloni, della suddetta divisa.
Hermione
aprì la bocca per dirgli di coprirsi, e sembrò
boccheggiare quando non le uscì
alcun suono.
«Entra e chiudi la
porta» aggiunse, costretto poi a farlo da sé. La
Grifondoro
guardava dappertutto nella sua stanza, tutto fuorché lui, e
la situazione lo
fece ghignare divertito. «Mezzosangue, non sei affatto
convincente. Non dirmi
che è la prima volta che vedi un ragazzo solo con i
pantaloni!»
«Certo
che no» lo contraddisse secca, fulminandolo con lo sguardo.
«Ma non credo
che…»
«Accomodati»
la invitò, interrompendola. «Tranquilla, il letto
non morde» aggiunse subito
dopo, beccandosi un’occhiataccia da parte sua. Hermione non
gli rispose,
accettando la sua richiesta. Forse, realizzò, seduta avrebbe
provato meno
imbarazzo.
O
forse ne avrebbe provato il doppio, guardando il Serpeverde che si
chinava
sulle ginocchia per cercare qualcosa sotto il letto. Lanciò
il libro alla sua sinistra,
che si aprì a metà, data l’usura di ore
ed ore di studio, cercando di
allontanarlo dalla posizione in cui si era messo : inginocchiato tra le
sue
gambe, un braccio scomparso sotto quel mobile a cercare qualcosa di
introvabile
- il nulla -, la fronte aggrottata mentre la guardava con
curiosità e l’altro
braccio posato sopra il letto, accanto alla sua gamba, mentre un
profumo fresco
e pulito le solleticava le narici.
Anche
il suo profumo, sapeva d’inverno.
Vide
negli occhi di lui ciò che stava per fare, una
consapevolezza alla quale non
voleva fuggire, per una volta; un gesto che
lui desiderava compiere
fin dalla sera precedente nel corridoio, scegliendo di mandare al
diavolo
quelle assurde credenze sul sangue che suo padre gli aveva sempre
inculcato fin
dalla nascita.
Hermione
sentì il braccio sinistro del biondo stringerla,
abbracciandola da dietro la
schiena, le sue gambe che si alzavano permettendogli di arrivare
all’altezza
del viso di lei.
Lo guardò brevemente, gli occhi color dell’inverno
gelido e caldo insieme, e la
mano ricomparsa da sotto il letto le strinse la semplice maglietta
grigia -
leggermente più scura degli occhi di lui, notò
solo in quel momento - che aveva
indossato, stropicciandone il bordo inferiore fino ad alzarlo di
qualche centimetro.
Lo osservò avvicinarsi piano al suo volto, lasciandole tutto
il tempo di
ritrarsi se solo avesse voluto. Ma Hermione non lo fece, preferendo
chiudere
gli occhi, la testa lievemente chinata all’indietro.
E l’inverno la baciò.
Note.
Breve
One Shot creata per un contest, ambientata al sesto anno, quando Draco
viene
sorpreso ad intrufolarsi alla festa organizzata da Lumacorno,
fuggendone subito
dopo - al contrario di quello che avviene nel libro - da solo.
I personaggi sono lievemente OOC, Draco in special modo, ma spero di
averli
resi quanto più possibili fedeli agli originali.
Ringrazio fin da ora chi vorrà dedicare una piccola parte
del suo tempo nel
leggere questa shot.
¤ Terza classificata al “Fan Art Contest”
indetto
da _kimmy_ sul forum di EFP.