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Autore: Stella cadente    01/10/2015    6 recensioni
Francia, 1482:
Parigi è una città che nasconde mille segreti, mille storie, mille volti e mille intrecci.
Claudie Frollo è un giudice donna che tiene alla sua carriera più di ogni altra cosa al mondo.
Olympe de Chateaupers è una giovane ragazza da poco al servizio del giudice e, sebbene sia spavalda e forte, si sente sempre sottopressione sotto lo sguardo austero di quella donna cinica ed esigente.
Nina è una semplice ragazza di quindici anni, confinata nella cattedrale a causa di un inconfessabile segreto..
L’arrivo di Eymeric, un giovane ramingo gitano, sconvolgerà le vite di queste tre donne, in un modo diverso per ognuna.
Ma alla fine, di quali altri segreti sarà testimone Parigi?
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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XXI.
La Corte dei Miracoli
 
Claudie
 

Tutto sembrava sfumato. Vedevo la realtà circostante come un’indefinita giostra di colori in cui sentivo voci ovattate e grida lontane. Stava succedendo qualcosa, lo percepivo – qualcosa che aveva suscitato un grande clamore a Parigi, ma non sapevo cosa.
Avevo la vaga sensazione che qualcuno mi stesse trasportando. Ero forse già morta? Ero forse nelle mani di Dio?
Provai a dire qualcosa, ma non riuscivo a trovare le labbra. La voce non usciva.
Mi rassegnai e mi lasciai avvolgere dalle tenebre, sperando di vedere la luce.
L’ultima cosa che sentii fu il battito di un cuore grande e pulsante, che accompagnava quel mio torpido sonno.
 
 
****
 
 
«Signora… Signora, siete sveglia?»
Una voce bellissima, calda e vagamente roca mi svegliò poco a poco. Sentivo un chiacchiericcio fitto intorno a me, persone che parlavano. Sembravano agitate, da quel che mi era concesso capire.
Volevo chiedere dove mi trovassi, ma dalla mia gola uscì solo un verso appena udibile.
«State bene?»
Di chi era quella voce? Era così bella, così cullante…
Strizzai gli occhi, poi li aprii lentamente e misi a fuoco il volto di…
«Eymeric?» la voce mi uscì debole e scheggiata.
Lo zingaro mi guardò con un’ombra di ansietà negli occhi.
«Come vi sentite?»
Ero in una stanza – una specie di tenda, forse – molto colorata, su un letto di cuscini variopinti che non mi erano affatto familiari.
Di sicuro non ero nella mia stanza al Palazzo di Giustizia.
«Io… bene, suppongo» dissi solo. «Dove mi trovo?»
Lui si schiarì la voce:
«Alla Corte dei Miracoli, signora.»
«Uhm» mugugnai distrattamente.
La Corte dei Miracoli, sì.
Poi realizzai.
«Hai detto la Corte dei Miracoli? Ho sentito bene?»
Avevo passato tutta la mia carriera a cercare ossessivamente la Corte dei Miracoli, il covo della feccia della feccia dell’umanità. Ladri, tagliaborse, zingari… erano tutti lì, intorno a me.
Ecco chi era che parlava.
Al suono della mia voce li sentii tutti immergersi in un religioso silenzio.
«Sì, signora. Siete alla Corte dei Miracoli» lo sentii dire.
Spalancai di colpo gli occhi, e vidi una decina di gitani – come minimo – sussultare violentemente. Molti di loro lanciarono sguardi perplessi e sospettosi ad Eymeric. Non mi stupii: per quindici anni avevo perseguitato il loro popolo, uccidendoli come fossero bestie.
«Cosa
«Sentite» cominciò «vi ho portata qui perché…»
«Che ne è stato del rogo? Come ho fatto a giungere fin quaggiù?»
«Se mi ascoltaste, forse sapreste» ribatté lui, con una punta di acidità nella voce «che sono stato io a salvarvi dal rogo e a portarvi qui, mentre voi eravate svenuta.»
«Eccellente, zingaro. Ti ringrazio. Adesso dovrò vivere da fuggiasca, da infima esule!»
Avevo provato ad urlare, ma la mia voce era ancora troppo indebolita dal fumo che avevo respirato.
«Avrei preferito la morte!» rantolai, portandomi faticosamente un braccio sugli occhi.
Il brusio riprese. Mi sembrava di avere uno sciame d’api tutt’intorno, che ronzava senza sosta.
Eymeric non disse nulla. Quando spostai il braccio, lo vidi fissarmi con un’espressione accigliata sul suo volto perfetto.
«Io vi ho strappata via alle fiamme, perdio! Non mi ringraziate nemmeno e mi trattate anche così?»
Silenzio.
Come osi!stavo per dire.
Vidi i suoi occhi verdi assumere un bagliore che non mi piaceva. Intanto i gitani continuavano a fissarmi come fossi un abominio, calati di nuovo in quel silenzio sepolcrale.
«Vorrei delle scuse» disse poi, inarcando un sopracciglio. La piccola folla intorno a lui lo guardò con tanto d’occhi, tremando. Sentii qualcuno emettere un singhiozzo di paura.
«Sto aspettando» continuò.
Mi stai imitando, gitano?
«Che cosa stai facendo?» sibilai, incenerendolo con lo sguardo.
«Io? Niente, signora» disse, fingendo innocenza. «Assolutamente niente.»
Alzai le sopracciglia, guardandolo scettica.
Silenzio.
«Allora?» insistette.
Mi guardai intorno. Decine di occhi mi guardavano impauriti. Decine di zingari mi circondavano. Ed io non avevo più alcun potere.
Sono in un territorio nemico. Meglio fare buon viso a cattivo gioco.
Mio malgrado mi schiarii la voce, poi dissi, formale:
«Ti ringrazio» poi, a denti stretti «e… scusami.»
Ci mancò poco che i gitani non svenissero seduta stante. Già immaginavo i pensieri che scorrevano nelle loro teste: “il Giudice Frollo ha porto le sue scuse ad uno di noi…”
«Bene» fece lui con un sorriso vittorioso. Adesso siamo pari, sembrava dire. «Ora vi lascio riposare… ne avete bisogno.»
Non dissi nulla. Ad occhi chiusi, avvertii gli altri zingari allontanarsi e ronzare ancora – api, mi venne di nuovo da pensare.
«Anzi» aggiunse il ragazzo. Con gli occhi semiaperti lo vidi far capolino dall’entrata della tenda, con un sorrisetto impertinente. «È meglio se ti riposi.»
Come osi darmi del tu, stregone della malora…
«Comunque non ci rivedremo tra molto, Claudie.»
Mi sembrò di essere tornata alla Festa dei Folli, quando lui mi aveva sbeffeggiata pubblicamente, e mi sentii ribollire il sangue nelle vene.
Sospirai, irritata, girandomi lentamente su un fianco – il mio corpo sembrava esser diventato improvvisamente di pietra.
Va’ al diavolo, maledetto zingaro.
 
 
Mi svegliai nel silenzio. Mi sentivo il corpo intorpidito, anche se mentalmente ero più lucida.
Provai a mettermi a sedere e, con mia grande sorpresa, mi sentii infinitamente leggera.
Sospirai. Ero alla Corte dei Miracoli. Ancora non ci credevo… e, con quello che era successo, non sapevo se considerarlo un bene o un male.
Mi guardai intorno. Adesso riuscivo a vedere ciò che mi circondava più nitidamente: mi trovavo in una tenda – avevo visto bene, prima – molto colorata, alta e spaziosa, su un letto formato quasi interamente da cuscini di diverse e variopinte stoffe cucite insieme alla bell’e meglio. Tutt’intorno vi erano oggetti strani: scatoline colorate, acchiappasogni e tazze da cui usciva uno strano fumo blu. Dovunque era disegnato un inusuale simbolo – lo stesso che Eymeric aveva tatuato sul petto.
Vidi anche alcuni gioielli (sicuramente rubati), sparsi malamente in un angolo. L’aria era pervasa da un vago odore di incenso.
Ero alla Corte dei Miracoli.
Il loro covo. La tana di quegli individui abominevoli a cui per tanti anni avevo dato la caccia.
Chissà chi c’era stato, prima di me, su quella specie di letto…
Arricciai il naso, disgustata. Non volevo pensarci.
Ad un tratto un moto d’ansia mi pervase: che ne era stato di Grenonat? Cosa era successo a Parigi? Doveva esserci stata una rivolta…
Non osavo pensare a cosa il mio salvataggio – da parte di uno zingaro, poi! – avesse provocato in città. Avevo acceso una scintilla che ora avrebbe fatto fuoco e fiamme. Non sarei mai più tornata in carica. E adesso mi trovavo in un accampamento gitano, più morta che viva.
Mi venne da piangere per la frustrazione. Che cosa avrei fatto, ora che mi trovavo senza incarico e per di più etichettata dal popolo come strega?
«Ah… Vi siete svegliata?»
Alzai lo sguardo al suono di quella voce.
Eymeric se ne stava sul ciglio della tenda, come se avesse paura di disturbarmi.
«Sì» feci, senza troppi complimenti. «E ora esigo che tu mi racconti esattamente che cos’è successo.»
Il mio tono di voce era molto autoritario, ma non sembrò spaventarlo. Ciò mi dette ai nervi.
«Beh… non c’è molto da dire» ancora quell’espressione indispettita. «Voi stavate per morire, io vi ho salvata e vi ho portata fino a qui – l’avevo detto, d’altra parte, che non volevo la vostra morte. Non mi sembra difficile da capire» disse con impertinenza.
«Ti proibisco di rivolgerti a me in questo modo, maledetto zingaro infes …»
«Dal momento che il giaciglio su cui siete sdraiata è il mio, non mi sbilancerei troppo fossi in voi, giudice Frollo» mi interruppe, canzonandomi spudoratamente.
Mi ammutolii. Quello era il suo letto?
Oh, Dio, aiutami.
Mi sforzai di non dare a vedere l’imbarazzo e dissi, semplicemente:
«Per quanto tempo dovrò restare qui?»
Eymeric sembrò turbato da quella domanda.
«Non lo so» aggrottò le sopracciglia scure e folte, che davano al suo sguardo una profondità spettacolare. «Finché non ti sarai rimessa completamente, credo.»
Sentii i lineamenti indurirsi. Da chi aveva ottenuto il consenso, tutto d’un tratto, di darmi del tu, come se fossi una sua pari?
Allora lo fai di proposito, razza di demonio.
Cercai di nascondere la stizza e di concentrarmi su quello che aveva da dire.
Buon viso a cattivo gioco, Claudie.
Buon viso a cattivo gioco.
«Ma c’è di più. Clopin mi ha dato il permesso di portarti qui. Per ora sei al sicuro; nessuno sa dove ti trovi… ma a Parigi le cose non vanno per niente bene.»
Attesi che proseguisse; il silenzio tra noi era diventato quasi elettrico.
«Sta infuriando quella che si può definire una battaglia. Gli altri gitani non volevano che ti tenessi alla Corte… ho dovuto insistere parecchio.»
E come dar loro torto? Per quel che ne sapevo, di recente avevo ucciso gran parte dei loro cari.  
«Ma per me» proseguì «era inaccettabile lasciarti lì.»
Non ero preparata a quella frase.
Sentii come se il cuore mi si stesse sciogliendo, ma mi ricomposi velocemente.
«E dunque?» incalzai. «Che sta succedendo?»
Il ragazzo assunse un’espressione grave.
«Grenonat è impazzito. Sta mettendo Parigi a ferro e fuoco, pur di trovarti. Ha incrementato la persecuzione contro di noi, e quasi un centinaio di gitani sono già stati deportati al Palazzo di Giustizia tra questa notte e l’alba – è diventato molto simile a te, a pensarci.»
L’ultima frase venne pronunciata con un odio antico, ormai cicatrizzato.
Mi stranì sentirlo parlare in quel modo.
«Clopin sta conducendo qualche rivolta su mia richiesta, ma non so quanto potrebbe durare. E soprattutto» concluse, dopo un sospiro  «quanto possa servire a fermare tutto questo.»
Un moto di intensa preoccupazione mi assalì. La sensazione mi ricordò molto quella che provai mentre pensavo ad Eymeric davanti al caminetto, dopo la Festa dei Folli.
Mi sembrava che da quella sera, risalente in realtà a poco più di un mese prima, fossero trascorsi secoli.
«Che significa tutto ciò?» chiesi, allarmata.
Eymeric mi guardò intensamente, come se fosse consapevole del fatto che le sue parole avrebbero potuto ferirmi in qualche modo.
«Grenonat ha assunto il controllo dell’intera Corte di Giustizia. Al suo servizio ha tutte le guardie e i soldati disponibili ed ha avviato una missione di ricerca il cui obbiettivo sei tu.»
Non mi starai dicendo che…
La situazione mi sembrava fin troppo familiare.
«Adesso è lui l’Inquisitore Supremo» concluse. «Siete stata spodestata, signora.»

 

SBAM. Claudie Frollo, temutissimo Inquisitore Supremo, è stata spodestata. Bel colpo, non trovate?
Per il momento il nostro Giudice si trova alla Corte dei Miracoli *mentre Stella cadente scrive, si sente Claudie fare un verso schifato*, e sta bene – più o meno. Ma prossimamente? Come credete che reagirà?
Non so perché, ma scrivere questo capitolo mi è molto piaciuto. Spero di non avervi annoiato :)
Alla prossima,
Stella cadente
PS Mi sono piaciute troppo le scene in cui Eymeric punzecchia Claudie. Sono troppo belli quei due, aiuto *_*
  
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