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Autore: Bolide Everdeen    02/10/2015    0 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 2, Eracle Chentaurion.]
«Resta ancora qui.»
«Dipende dal tempo. Ho una casa, e un paio di genitori. E se mi scoprono a rimanere troppo tempo qui, vengono a prendere me per chiudermi in convento e te per chiuderti in una bara» lo stuzzicò, ed Eracle non poté evitare di ripetere il suo sorriso, il riscontro alle sue frasi. Sempre così. Sarebbe rimasta sempre così.

[...]
«Il tuo odore è così buono» commentò lei, con una preghiera incisa sul fondo delle pupille.«Ti prego, non lo sostituire con quello del sangue.»
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Stay

Eracle ritornò nella sua stanza, chiudendo la porta con un'insolita cautela che aveva optato per infiltrarsi nei suoi arti, forse per prudenza, forse per porre il silenzio sulle parole precedentemente pronunciate dal suo allenatore, Chirone. Cercò di riesaminare ogni singola locuzione da lui adoperata, ogni inflessione del suo tono, per comprendere cosa comportassero. Se le sue orecchie avessero riscontrato un errore. Ma no, no, non c'era nulla. Non esistevano fraintendimenti. Solo beffe.

«Che c'è?» Una voce collise con quella della sua mente. Si voltò, e scorse la figura di Deianira, la sua ragazza, procedere instabilmente nella sua direzione. Con la sua solita insicurezza, il suo solito tentennamento determinato che si poneva anche nella sua tonalità. Com'è carina, pensò, un momento, prima di spirare nelle peggiori contraddizioni nere. Per calibrarsi, donare un complimento, così da sperare che la luce si fosse protratta anche nei secondi successivi.

«Non te ne sei andata.» Fu questa una delle sue prime reazioni, quando lei lo fronteggiò con il suo solito puntiglio contrastato negli enormi occhi. E così, la mano di Eraclce si elevò fino a sfiorare la sua guancia, tentando di trarre quelle parole, le espressioni caute da sfogare nei successivi dieci minuti per sedare anche le sue credenze. Non se n'era andata, nonostante Chirone lo avesse intrattenuto per più di un'ora. Chissà cosa la aveva logorata per tutto quel tempo.

«Oh, che osservazione acuta. Se vuoi, me ne vado adesso.» La sua bocca si contrasse in una specie di rimprovero, però scorgeva la sua nota sarcastica, quel bagliore che sempre costellava il suo corpo. E permeava le sue orecchie, e ravvivava ogni dettaglio positivo presente in lui. Semplicemente, volgeva il suo volto in un sorriso. Ed anche in quel momento ci riuscì, malgrado i minuti trascorsi prima. Malgrado un minimo tremore si fosse conservata nei suoi gesti, e si fosse ripresentato anche nello stringere la mano della ragazza.

«No. Resta qui. Con me. Fino a quando non... fino a quando non saremo obbligati a separarci» ripropose lui, avvicinando l'esile sagoma e stringendosela al petto. Qualcosa di cinicamente vivo, di sepolto eppure eloquente, si condusse da Deianira a lui. Lei riassunse ogni sensazione in un breve:«Deve essere qualcosa di grave, se adesso ti comporti in questo modo.»

Sarebbe rimasta sempre così, lei. Eternamente, qualunque onda avrebbe strisciato sul suo viso, qualsiasi veleno avrebbe tentato di cancellare il suo reale sangue per volgerlo in una soluzione immonda di tangibile cattiveria, di tangibile mal sopportazione. Però, lo aveva avvertito. Qualcosa di lancinante nel suo tono, una piccola crepa di prima incomprensione. L'eco delle parole di Chirone. Il fatto che lui le dovesse esporre dinnanzi a lei, e soprattutto concederle di assumere quell'ordine. Non ancora. Infittì la stretta, la baciò fra i capelli.«Resta ancora qui.»

«Dipende dal tempo. Ho una casa, e un paio di genitori. E se mi scoprono a rimanere troppo tempo qui, vengono a prendere me per chiudermi in convento e te per chiuderti in una bara» lo stuzzicò, ed Eracle non poté evitare di ripetere il suo sorriso, il riscontro alle sue frasi. Sempre così. Sarebbe rimasta sempre così. Perciò, nel fondo del suo animo, in qualche modo, sarebbe rimasta sempre sua. Una minuscola concezione in cui sperava, tutta la fedeltà che il mondo gli poteva donare. E lui, in quel momento, assoldava la sua protezione con ancora più determinazione, ancora più rimpianto per quando quel suo flebile calore si sarebbe scisso dal suo corpo. Non ancora, non ancora. E il silenzio riempiva la stanza.

Quella era la casa di Chirone. La poteva chiamare in quel modo da quando aveva dieci anni, e lui, da istruttore il quale aveva imparato materiale eccessivo dal suo alunno, lo aveva adottato. Il resto della sua vita si era consumato in un orfanotrofio, era stato condannato ad esso da una reputazione. La reputazione che in quel momento lo asfissiava, e che avrebbe tratto la sua vita dal suo petto. No, non ci sarebbe riuscita. Eracle era allenato, d'altronde, avrebbe potuto avere possibilità di scavalcare le carcasse degli altri, e dedicarsi nuovamente a quell'abbraccio. Però, ne era certo? Altre persone erano assemblate per il compito al quale la persona che si sarebbe dovuta definire suo padre lo aveva consacrato, però lui non aveva mai creduto allo splendore dello scettro poggiato dinnanzi a lui. Sapeva che il contagio, partito dalla sua mano, avrebbe logorato l'intero corpo. Adoperava Deianira come protezione, come scudo dinnanzi al marciume delle imposizioni. Però, rimanevano. Si protraevano, circolavano per la stanza e non si degnavano di uscire. Per sempre, rinchiuso, inibito in quella stanza. Non ne aveva ragione. Ne aveva una ragione fin troppo ampia. Deinira si affogava nel silenzio.

«Non è divertente, Eracle.» In questo modo, lei ripudiò la protezione del ragazzo, e lui si accorse che la stava dedicando a se stesso. E non era affatto divertente, dato che lui era il suo fidanzato, ed aveva giurato innumerevoli volte nel silenzio della contemplazione di preservarla nella sua purezza. In quel momento, invece, dilapidava tutte le sue intenzioni in quelle brevi frasi, facciate, replicando di striare il tempo, di allungarlo fino a quando sarebbe divenuto insostenibile, non interpretabile. Quando avrebbe riempito la sua bocca e non avrebbe più concesso il passaggio di voci. Era il momento, d'altronde. Doveva constatare con lei che non era divertente.

«Lo so, Deianira. È solo che...» Come si doveva concludere la frase? “Ho bisogno di te”? “Ti amo, e non voglio vederti soffrire”? “Sono cose che tu non dovresti sapere”? Sull'ultima affermazione, Eracle si rese conto di quanto la sua presuntuosità si fosse manifestata nella sua testa. Avevano sempre condiviso tutto; talvolta lei aveva mantenuto ancora più caparbia determinazione e statica potenza dinnanzi alle loro situazioni. L'avrebbe sostenuto. L'avrebbe sempre sostenuto.

«Dillo e basta.» Aveva compreso. Aveva atteso tutti questi minuti per verificare la sua ragione o il suo torto. Per sapere se adoperare le sue lacrime, se fosse stato valido annegarsi nella tensione prima di dormire, celando il pianto nel cuscino. Se fosse stato valido. Lei non avrebbe dovuto piangere, no; non si ricordava se mai l'aveva vista piangere, ma non era il momento, non era l'attimo, quando lei, un momento prima... era stata così calda. Non doveva produrre una corrente opposta. Però, era il suo volere. Adesso, o mai più. E parlò.

«Zeus... mio padre vuole che io mi offra volontario ai prossimi Hunger Games.» Concluse in un momento la sua frase, ed osservò come il volto di Deianira accettava il terremoto suscitato da brevi onde radio, la sua voce. Come la sua voce avrebbe maledetto l'universo di Deianira. Per prima cosa, la ragazza arrancò con un braccio, come per afferrare qualcosa, annegando nell'aria. La continua reazione di lui dinnanzi a suo padre. Cercò di stabilizzarsi con una frase, con un metodo per cancellare o solidificare:«Non capisco.»

«È... semplice. Lui vuole avere un figlio vincitore. Sarebbe un grandissimo onore, per lui, e... dato che sono il suo unico figlio che può partecipare ai giochi...» La conclusione era ovvia. Non sarebbe stato necessario rimarcarla. Deianira apprese tutto, forse più fugacemente di lui. Le sue braccia si ritrassero in direzione del viso, un'onda che in un attimo aveva trascinato lontano tutti i suoi sorprendenti castelli di sabbia, resi polvere vulnerabile.«Dimmi che non è vero. Dimmi che non è vero.»

Eracle cercò la parola adeguate per congelare i suoi sentimenti, ma lei lo precedette, adoperando una sua caratteristica secondaria ma comunque fervida: la furia.«Spiegami perché non puoi rifiutare! Cosa ha fatto quell'uomo per te, eh? Ti ha separato da tua madre, ti ha portato in questo distretto, e se n'è fregato di te per la sua intera vita! Ed adesso tu gli vuoi rispondere, così, come se niente fosse? Ti sembri intelligente, forte, valoroso? Bene, allora devi sapere che sei solo un cretino!»

Il ragazzo vide scintillare i suoi occhi per qualche momento, fino a quando non furono di nuovo oscurati dalle mani. Non conosceva il reale significato di quel movimento, ma sperò che non fosse un metodo per otturare le lacrime. Non doveva essere un metodo per otturare le lacrime.«Deianira, io devo proprio per questo. Voglio dimostrare a quest'uomo che, nonostante tutto quello che ha fatto contro di me per tutta la mia vita, io valgo qualcosa. Che non mi ha distrutto. E credo sia la mia occasione.» Lo sguardo di lei si risvegliò, gli donò un attimo della sua attenzione, cadde in direzione del pavimento. Qualche secondo di silenzio, e gli occhi della ragazza planarono sulla parete.«Molto intelligente. Morire per una persona che non ci ha mai guardato per tutta la nostra vita. Be', se vuoi vai. Lascia tutti da soli, tanto... è così che va il mondo.»

Stava suggerendo il contrario, lacerando i suoi timpani, con quei sussurri. Non avrebbe dovuto. Però, Zeus Olympica era ancora vivo, stava ancora osservando quel momento. E lui aveva l'obbligo di mostrare il pugno, di sfuggire da lui inseguendo i suoi ordini.«Deianira? Non morirò. Sappilo. Tornerò, per te. E anche per gli altri, ma soprattutto per te. Non devi avere paura.»

Si avvicinò a lei, le carezzò di nuovo la guancia. Adesso le scorgeva, le sue lacrime. Ne aveva versato veramente. Aveva avuto quel spregevole primato. Che bastardo, il mondo. Notò solo che, nel piangere, i suoi occhi si dilatavano ed acquistavano ancora maggiore splendore.«Il tuo odore è così buono» commentò lei, con una preghiera incisa sul fondo delle pupille.«Ti prego, non lo sostituire con quello del sangue.»

Replicò quelle parole nella sua mente, e si limitò ad abbracciarla, un'altra volta, concederle di assaporare l'aroma che lei aveva considerato buono. Tutto, per lei. Quasi tutto. Tutto, per loro.

Il tuo odore è così buono. Ti prego, non lo sostituire con quello del sangue.

Ci avrebbe pensato. Ogni singolo momento ad evitare le più minuscole gocce di sangue. Solo per concedersi a lei.

Non sarebbe mai morto, se lei lo avrebbe sempre sostenuto.

 

Spazio autrice

Ehilà.

State leggendo lo spazio autrice di una one shot della seria “500 – Behind the scenes”, ispirata ai personaggi della storia interattiva “500”. Perciò, i personaggi non sono miei, e ciò è il lato più interessante, perché mi trovo a parlare di situazioni che io non avrei mai adoperato per una mia storia. Prendi Eracle e Deianira. Mi trovo completamente all'esterno del mio genere, perciò perdonatemi se ciò che ho scritto non è assolutamente veritiero. Ho cercato di produrre il mio meglio.

Come sospettato, Eracle Chentaurion è il tributo volontario del distretto 2. E poi... è finita come è finita. Non ne parlo, è vano.

Detto ciò, ringrazio chi continua a leggere queste storie, nonostante il tempo che stanno occupando. Grazie ancora ed alla prossima,

Bolide

  
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