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Autore: BowtiesAreCool    03/10/2015    1 recensioni
“Mio caro! Hai sentito la splendida notizia?”
“Cosa accade, mia cara?” Chiese il signor Jonh, ancora intento a far scorrere la penna lentamente sulla carta. “Ho incontrato la signora Lucas che mi ha avvertito che Griffith Park é stata finalmente affittata. A dei gentiluomini!” Cianciò, tutta eccitata. Il tramestio incuriosì anche Jane ed Elisabeth –Rispettivamente secondogenita e terzogenita della coppia- che si unirono al resto della famiglia nel piccolo salottino. “Ascoltate bambine mie!” Riprese Elisabeth, “La casa é stata affittata da un certo signor Rogers, scapolo e con una rendita annuale di diecimila sterline!”
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Due


 
 
Quella mattina Lydia e Kitty entrarono come uragani in casa urlando: “Il reggimento! Il reggimento é arrivato in città!” La signora Coulson si animò subito –Reggimento voleva dire fior fiori di giovani uomini a caccia di moglie e per lei non c’era miglior occasione per sistemare le figlie- prese tutte le ragazze e le trascinò in paese, con Phil a braccetto con le sorelle mentre chiacchieravano della novità. Arrivarono giusto in tempo per vedere la sfilata con le minori che urlavano per attirare l’attenzione dei ragazzi.
Uno di loro, avvenente d'aspetto e scuro di capelli, con gli occhi profondi, il bel portamento, sorrise loro. Conclusa la parata, si divise dal gruppo insieme all'ufficiale che gli era superiore, il signor Garrett, e si avvicinò al gruppetto fermo dinnanzi una vetrina di tessuti. "Philip!" Fece Garrett, stringendo la mano al ragazzo "Qual buon vento. Non speravo di vederti qui. Dimmi, il mio buon amico, il tuo buon padre, come sta?"
"Signor Garrett! Non sapevo ci foste anche voi! Mio padre sta molto bene, grazie. Ricorderete mia madre." La donna fece una mezza riverenza, "Mio marito mi parla spesso di voi, caro signore."
"Signora Coulson." Garrett chinò il capo. "Potrei forse dimenticare la donna più avvenente del nostro tempo?" Sorrise, poi, mettendo la mano dietro la schiena del ragazzo che lo accompagnava e spingendolo avanti. "Vi posso presentare il mio protetto? Grant Ward, di stanza nella mia unità."
Phil porse subito la mano all'altro. "E' un piacere conoscervi. Posso presentarvi le mie sorelle? Jane, Lizzy, Kitty, Lydia e Mary." Le ragazze chinarono il capo, e le due minori studiarono subito il soldato, ridacchiando tra loro.
"É un vero piacere." Ward le salutò con sorriso caldo e ancor più calda voce, che era rassicurante e avvolgente.
"Per quanto vi fermerete, signore?" Chiese la signora Coulson.
"Un paio di settimane, prima che il reggimento parta di nuovo."
"Allora dovete assolutamente venire al ballo della parrocchia che si terrà domani sera!" Disse Lydia, "Verrete con i vostri uomini, vero, signore?"
Ward scambiò un'occhiata con Garret e questi gli fece cenno di sì, con un sorriso a tratti ferino, a tratti di complice incoraggiamento. "Sarebbe una splendida idea." Si disse Grant. "Non prendo parte ad un ballo da davvero molto tempo."
"Se non avete impegni potrei accompagnarvi nei dintorni." Disse Phil a Ward, mentre la signora Coulson invitava Garret a prendere il tea da loro quello stesso pomeriggio.
"Nessun impegno e ne sarei più che onorato. Non conosco la zona, né altri oltre al signor Garrett." Sorrise a Phil, con uno di quei sorrisi in grado di attirare anche il più meschino e duro tra gli uomini. "Si può ben dire che comincio a risentire della solitudine."
"Allora sarò più che felice di darvi la mia amicizia e la mia disponibilità come cicerone. Domani mattina vi sarebbe congeniale?"
"Non avreste potuto concedermi orario, né prospettiva migliore."
Ward si rivelò essere un uomo pronto di spirito, arguto senza cadere nel saccente, consapevole di sé senza cedere alla boria, divertente, senza risultare ridicolo. Aveva buone maniere e buoni modi, una buona cultura, una buona eleganza, buona dizione e buona conoscenza della campagna. Vi era cresciuto per qualche tempo, così gli aveva raccontato, presso una zia vedova, che aveva un discreto podere in grado di assicurarle una rendita discreta e discreti raccolti. Aveva una buona voce, seppur non ammaliante. Buona parlantina, sebbene non avrebbe mai potuto reggere il confronto con l'oratoria di Stark; buon temperamento, anche se mai avrebbe potuto rivaleggiare con l'amabile indole di Rogers. Grazie al cielo era egli lontano dal carattere capriccioso e indefinibile di Barton e di Natasha. Non era soggetto a sbalzi d'umore e, anzi, era proprio una buona compagnia.
Mai in vita sua aveva trovato una persona così piacevo e così simile a lui per carattere e passioni come Ward. Phil l'aveva avvertito già quando gli aveva stretto la mano e mai le sue sensazioni si erano rivelate così esatte. Passeggiarono lungo il fiume vicino il paese, seguiti dalle sue sorelle che trovavano la compagnia del ragazzo molto piacevole -Specialmente Kitty e Lydia.
E con loro il giovane era garbato e sempre disposto al riso, quanto ai complimenti. Le elogiava per la parlantina e la cultura, le doti musicali, la serena compagnia di cui erano portatrici. "Le vostre sorelle mi rallegrano il cuore." Disse Grant, chinandosi a prendere un sassolino piatto e gettandolo poi in avanti perché ticchettasse di mille cerchi sull'acqua.
"Suppongo voi non ne abbiate." Rise Phil, "Sono adorabili, ma cinque donne in casa... Bisogna avere molta pazienza."
"Quella pazienza immagino sia comunque ben ripagata." Ward porse un sasso a Phil. "La compagnia femminile é sempre mancata nella mia famiglia, salvo mia madre."
"Ripagata con pizzi e merletti, certo." Prese il sasso e provò a farlo saltellare sull'acqua ma vi riuscì solo due volte. "Siete figlio unico?"
"E, ahimé, orfano di entrambi i genitori." Grant gli diede un altro sassolino, perché vi riprovasse, quindi si volse alle due sorelle. "Potrei avere l'ardire di chiedervi di unirvi a noi?"
"Non é un gioco da signore!" Rispose Kitty, mentre Lydia raccoglieva un sassolino e lo faceva rimbalzare sull'acqua ben quattro volte. "Io preferisco i giochi da maschi."
"Che giochi preferite dunque, signorina Lydia?"
"La caccia e il tiro al piattello." Rispose quella, raccogliendo un altro sasso, "Fare lunghe passeggiate a cavallo. Giocare a carte. E voi, Ward? Cosa preferite?"
"Le stesse vostre, sebbene, se vostro fratello mi concede di puntualizzarlo, le cavalcate le prediligo se in compagnia."
"Sono d'accordo con voi, signore." Phil riprese a camminare, intravedendo poi dei cavalli al galoppo. "Jane." Chiamò, allungando poi la mano e prendendole le dita, "C'é il tuo spasimante." Sussurrò sorridendo.
Steven fu accanto a loro in un baleno, il sella a un purosangue inglese il cui manto era un tripudio di fiamme brune. Nel fermarsi, il mantello schioccò alle spalle e ai fianchi; si passò una mano fra i capelli e sorrise alla compagnia, chinando rispettosamente il capo. Dietro di lui, senza che la cosa riservasse sorprese, veniva Anthony, in groppa ad un frisone morello di estrema eleganza e con sguardo vivido e bollente, quasi come se la potenza che gli batteva nel cuore dovesse per forza traboccare anche dallo sguardo, e non solo dagli zoccoli, per avere un po' di respiro. "I miei omaggi." Fece Steve, sorridendo a Phil, alle sorelle, quindi a Jane.
Jane sorrise radiosa e chinò il capo, insieme al fratello e alle sorelle. "E' un piacere! Posso presentarvi Grant Ward? E' arrivato ieri con il reggimento."
Tony, strano per lui, non disse molto e persino il saluto che rivolse a Jane fu meno caldo del solito. C'era una strana irrequietezza in lui, un nervosismo quasi palpabile che lo rendeva scostante e impossibile da comprendere. "Salute a voi." Disse Steve, drizzando le spalle e rivolgendo al soldato un cauto gesto di saluto. "Il vostro nome non mi é nuovo, possibile che l'abbia già udito?"
"Lo ritengo improbabile." E Ward sorrise con affettazione e rimanendo sulla difensiva come davanti ad un nemico di cui non conosceva l'entità.
"Il signor Barton non é con voi?" Chiese Phil, notando l'atteggiamento di Tony e Ward e cercando di cambiare argomento.
"Dovrebbe raggiungerci a momenti." Ma nel sentire quel nome, il colore divenne livido sul viso di Ward. "Perdonate." Disse. "Ma temo che si sia fatto tardi ed é meglio per me rientrare."
Coulson lo guardò dispiaciuto, "Ma no. Rimanete. Volevo mostrarvi i campi intorno Griffith Park."
"Sarà per un prossimo futuro." E così dicendo Ward fece l'inchino, salutò con garbo le signorine presenti e si allontanò. Non abbastanza, comunque, perché sfuggisse agli occhi di Clint. Questi, infatti, arrivò con lo sguardo rivolto alla figura di Grant che se andava in lontananza, le nocche bianche attorno alle briglie ed espressione cupa in viso. Steven lo fissò con perplessità, per poi rivolgersi a Jane. "Mia sorella vi manda i suoi saluti e vi manda a dire se voleste, un giorno di questi, andare a Londra in sua compagnia."
"Sarebbe per me un grande onore e piacere, signore." Rispose Jane che non aveva distolto lo sguardo da lui neanche per un secondo. "Le porga i miei saluti e il mio desiderio di vederla presto." Phil aveva seguito la sagoma di Ward, per poi spostare lo sguardo su Barton e notando l’espressione livida nei confronti del soldato. "Dev'esserci una rivalità tra i due." Gli sussurrò Lizzy all'orecchio -La più acuta tra i fratelli.
Il frisone di Stark emise un basso nitrito -E, se non fosse stata cucita, il verso sarebbe potuto essere uscito dalla bocca di Anthony, tale era il gelo che gli inaspriva i tratti del volto. Clint morse l'interno della guancia e scosse la testa in un movimento impercettibile. "Se desiderate." Disse Barton. "Vi accompagnerò volentieri. Conosco bene Londra e potrei approfittare per alcuni affari che mi attendono lì."
"Ne sarei onorata signore." Rispose Jane inclinando il viso in assenso.
"State bene, signore?" Chiese Phil a Stark, guardandolo attentamente.
"Naturalmente." Rispose Tony, con una nota forzata nella voce che non sfuggì a Steve. Egli si ritrovò ad abbassare il capo, dissimulando quel movimento in un gesto spontaneo per ripararsi da un improvviso getto del sole. "Il signor Stark ha soltanto avuto sfortuna nella caccia." Fece Clint. "La preda pare intenda sfuggirgli di mano, di recente."
"Ah, ma non credete che mi arrenderò senza combattere."
"Non devi dimostrare il tuo valore a nessuno, amico mio." Replicò Steve, con un sorriso. "Non conosco nessuno, all'infuori di te, che abbia una presa tanto salda sulla propria preda." E, come rassicurato da quel complimento, Stark finalmente sorrise e quello stesso sorriso lo rivolse finalmente anche a Jane.
Phil rise, "La caccia é sport per uomini senza cuore, signore. Se la preda vi sfugge si assicura vita e felicità."
"Dipende che vita." Ribatté Stark, con cortesia. "E che felicità." Negli occhi di Steve vi si lesse un accenno di malinconia, subito sostituito da un piccolo sorriso. "Clint ci ha parlato di una festa di paese cui intende partecipare. Sarebbe cosa sgradita se ci accompagnassimo a lui, per l'occasione, e prendessimo parte alla sagra?"
"Ma certo! Saremmo felici di unirci a voi se vorrete."
"Ma non aspettatevi nulla di elegante e raffinato." Intervenne Lizzy, "In quel caso temo rimarrete molto delusi." Lydia si fece avanti, "E poi ci avevate promesso un ballo a Griffith Park signor Rogers! Un gentiluomo mantiene sempre la parola data!"
"Non l'ho certo dimenticato, signorina Lydia, né potrei mai permettermi di mancarvi la parola data."
"Signorina Lizzy." Intervenne Stark. "Fin da ora mi prenoto per i primi due balli con voi."
"Ne sarei onorata signore. E poi dovete ancora raccontarmi della Grecia e dell'Italia." Phil sorrise, "Vi abbiamo trattenuto già troppo, signori. Vi auguriamo un buon proseguimento."
"Buon proseguimento a voi." Nel passare loro accanto, Clint si chinò su Coulson. "Non dimenticate la nostra scommessa. E tenetevi lontano da Grant Ward."
Phil lo guardò perplesso, ma fu subito richiamato dalle sorelle e non poté soffermarsi più di tanto sulle sue parole.
 

*****

 
Approfittando di un libro che suo padre aveva promesso a Garrett, Phil raggiunse il reggimento per poter scambiare due parole con Ward e chiedere spiegazioni per lo strano comportamento di quella mattina.
Ward si stava intrattenendo con alcuni pari grado. Quando vide Phil, si scusò ed abbandonò la cerchia, salutando Coulson e scusandosi per il comportamento disdicevole di cui si era reso protagonista.
"Mio caro amico cosa é accaduto perché voi andaste via così di fretta? Vi ho forse offeso in qualche modo?"
"No, Philip, non é colpa vostra. Per non offendervi, invero, dando mostra del peggior lato di me stesso -Ossia la freddezza scaturita da una scarsa simpatia- ho preferito andarmene: l'atmosfera era sì lieta che disturbarla col mio malumore sarebbe stato increscioso."
"Vi riferite al signor Rogers o al signor Stark?"
"Al signor Barton."
"Barton?" Quindi sua sorella aveva ragione, "Cosa é accaduto tra di voi? Se posso permettermi, naturalmente."
Ward fece un cenno con la testa, come a dire che non v'era motivo di tenere all'oscuro un caro amico par suo. "Immagino conosciate la signorina Natasha, vero?"
"La sorella del signor Rogers, certo."
Grant annuì di nuovo. "Conobbi entrambi a San Pietroburgo e v'era tra noi un legame di rispetto ed amicizia. La signorina Natasha, poi, aveva su di me una particolare attrattiva ed un fascino tali che per me fu impossibile non innamorarmene. Così, chiesi al signor Barton di perorare la mia causa al fratello quando fossimo tornati in Inghilterra. Mi fidai ciecamente di lui e..." Chiuse gli occhi, fece cascare le spalle con un sospiro. "Ciò che ottenni fu un bieco volgere di spalle. Egli mi si finse amico e mentre a me sussurrava parole di conforto, aspergeva di veleno l'orecchio di Natasha. Sicché le venni in odio e la persi per sempre. Mentre Barton poté tenerla e legarla a sé come più gli piaceva ed é sempre stato nelle sue intenzioni."
Phil spalancò gli occhi e la bocca, sorpreso. "Non posso credere ad una simile cattiveria! Il signor Barton é un borioso, certo, ma non lo credo capace di una simile azione!"
"Nemmeno io lo credevo." Ammise Grant. "Diffidate di lui. Egli guarda con amicizia qualcuno solo fino a quando costui non viene a ledere i suoi interessi."
"Mi dispiace per la vostra sfortuna, amico mio." Gli poggiò una mano sulla spalla, "Ma potete contare sulla mia amicizia e quella della mia famiglia a cui siete già molto caro." Phil gli sorrise ma continuava a pensare alla sua storia: non aveva motivo di dubitare della sincerità di Ward, ma non riusciva a credere che Barton si fosse macchiato di un tale disonore.
"Vi ringrazio." Ward gli indirizzò un sorriso genuino. "Promettete di fare attenzione, vi prego."
"Ve lo prometto, amico mio."


*****


Phil aveva parlato della storia di Ward con Lizzy e Jane in cerca di consiglio. La prima gli consigliò di cominciare ad ignorare Barton che era stato borioso e maleducato con loro fin dall'inizio, mentre la seconda suggerì che doveva trattarsi di un equivoco, perché il signor Rogers era una persona onorabile e di certo non sarebbe stato amico di una tale persona. Tra dubbi e perplessità giunse anche la sera del ballo a casa Rogers e le donne di casa Coulson si agghindarono come se dovessero andare dalla regina. Erano state comprate stoffe e nastri e Jane non era mai stata tanto bella con un nastro rosso tra i capelli biondi lasciati morbidi sulla nuca e il vestito bianco con cinturina rossa che le metteva in mostra le forme morbide. La signora Elisabeth era sicurissima che Steven sarebbe crollato e l'avrebbe chiesa in moglie quella sera stessa.
Phil salì sul suo destriero, il pantalone nero era in tinta con la giacca, mentre la camicia bianca era stata lasciata con il primo bottone slacciato, un fazzoletto rosso appena annodato sotto il colletto.
Ad accoglierli riflessi di candelieri e collane e risate e discorsi. Venne all'entrata proprio il padrone di casa, il cui abito era pura meraviglia a vedersi, a partire dalla blusa e dai pantaloni color cobalto che facevano lampeggiare gli occhi azzurri ed i capelli biondi, per proseguire col rosso cardinale del gilet, la plissettatura dello sparato e concludersi il collo inamidato e bianco della camicia. Stark non era con lui, così preso com'era dalla combriccola di campagnoli che gli era intorno e dal bicchiere di vino che aveva in mano. Non v'era in sala signore più elegante e bello e meglio vestito, interamente in porpora e oro, ricami ovunque, ricercatezze e vezzi del miglior sarto di Parigi, con quei bottoni di madreperla e la giacca lucida, quasi laccata sul corpo appena inclinato nell'atto di una risata costante.
Davanti a Steven tutta la famiglia chinò il viso in segno di rispetto e la signora Coulson cominciò a cianciare della bellezza della sala e degli arredi -E delle figlie, naturalmente.
"Sono davvero contento che siate venuti. E voi, Jane, la vostra virtuosità ed eleganza mi lasciano davvero privo di parole, tanto che la mia voce incespica nel farvi i complimenti."
La ragazza arrossì, "Lei é troppo gentile, signore." Phil si affiancò alla sorella -Più per allontanare la madre che altro. "É una splendida festa."
"Vi ringrazio."
"É piuttosto misera rispetto a quelle cui siamo abituati." Intervenne Natasha, in vestito nero a palpiti corvini e blu scuro, persino viola e verde cupo. "Ma vedremo di lavorarci e migliorare col tempo." Era al braccio di Clint e nel girare la testa verso l'accompagnatore le perle tra i capelli di lei saltellarono e sussultarono di luminescenza e meraviglia. Barton, invece, era vestito di viola sgargiante, di una tinta particolare che nonostante la vivacità riusciva a non essere volgare e, anzi, a rendere più vigoroso il chiaro dell'iride azzurra e la screziatura bruna dei capelli.
Phil riservò un sorriso alla donna e un rigido chinarsi del capo all'uomo, guardandolo appena di sbieco e poi distogliendo lo sguardo. "Lizzy voleva salutare il signor Stark. L'accompagno da lui." Detto questo prese il braccio della sorella e la portò dall'uomo, mentre anche Jane salutava l'amica e il suo accompagnatore.
Clint sbatté le palpebre a quel comportamento tanto ineducato e soprattutto incomprensibile. Stark, invece, nel vedersi arrivare davanti la bella Lizzy, allargò le braccia, si ricordò di avere un bicchiere di vino in mano, lo vuotò in un unico sorso e riaprì le braccia. "La mia giovane fanciulla!" Esclamò, con brio. "Splendida, fatevi guardare! Splendida! Vi siete ricordata i due balli che mi avete promesso, sì?"
"Non aspetto altro, signore. Se voi non ci fosse stato non sarei affatto venuta." Esclamò divertita, porgendogli, poi, la mano.
Tony si profuse allora in un garbato baciamano e la condusse nella zona della sala adibita alle danze. Ballò con lei due volte e due volte ballò Steven con Jane, mentre Clint dopo un ballo con Natasha si risolse a chieder spiegazioni a Coulson per la sua freddezza di poco prima. E mentre gli domandava cosa mai fosse accaduto, Stark abbandonò la mano di Lizzy per rivolgersi a Jane, che ora gli stava al fianco. "Mi permettete un ballo con la favorita del mio amico?" E c'era una nota serpentesca, sibillina nella sua voce. "Tony..." Cominciò Steve, ma subito l'altro lo zittì. "Lizzy, mia cara, vi affido il buon Rogers per il prossimo ballo. Accuditelo a dovere."
Jane sorrise all'uomo e accettò volentieri la sua mano, confusa, si, ma per nulla intenzionata a farsi rovinare la serata.
"Jane, cara." Tony le rivolse un sorriso smagliante. "Siete radiosa. Dico davvero. Merito dell'abito, delle luci o della compagnia?"
"Credo dall'insieme di tutto questo, signor Stark. Non crede che sia una bellissima serata?" "Assolutamente splendida. E ditemi, cara, ditemi, ritenete più bella questa notte oppure il sorriso che Steven vi rivolge?"
La ragazza arrossì di botto, "Non capisco cosa intendete, signore."
"Certo che lo capite. Lo capite perfettamente, mia cara. Pensate anche di aver capito il Signor Rogers?"
"Credo sia una persona molto gentile." Sussurrò la ragazza.
"E null'altro? Una considerazione ormai misera per una personalità come quella del signor Rogers cui, mi sembra, lei tenda molto più profondamente di una semplice amicizia."
"Non capisco cosa stia dicendo, signore, davvero." Jane abbassò lo sguardo sulle scarpette bianche ancor più rossa in viso.
“Lo amate?" Fu la domanda ora secca di Stark, la voce affilata come un coltello.
"Perdonatemi, signore ma non voglio rispondere alla vostra domanda." Jane si fermò e gli lasciò le mani.
Tony fu lesto ad afferrarle il polso e fingere davanti a tutti che fosse un semplice gesto per trattenerla e darle un ultimo baciamano. "Abbandonate qualunque pazzia e sciocca fantasia amorosa. Non siete nulla per lui e nulla significate. Siete uno specchio per le allodole, un miraggio per gli stolti. Steven non é per voi e la vostra forma, la vostra figura, la vostra essenza gli é di fastidio, non ne scaturisce alcun calore, nessun sentimento se non la vuota cortesia. Ad un uomo serve qualcuno che lo capisca e voi, dolce, ingenua Jane, siete stata stupida, infantile, infatuata di qualcuno di cui niente avevate compreso." Abbandonò la presa, socchiudendo gli occhi. "Non lo avrete mai." E così dicendo attraversò la sala, si fiondò nel giardino, si divincolò dalle dita di Steven arpionate al braccio -Dita immobili, sospese nell'aria di una notte fattasi di improvviso gelida.

*****

"Vi ho offeso, signor Coulson? Cosa vi ho fatto, di recente, perché mi venisse negato finanche il saluto?"
"Perché me lo chiede, signore?" Phil aveva le braccia conserte e non rivolse neanche lo sguardo al suo interlocutore.
"Perché nemmeno mi state guardando, Philip, fuggite i miei occhi come fossero quelli di un ladro o di un assassino."
Phil si girò a guardarlo di sbieco, "Se voi non vi sentite in torto, allora non lo siete." Fece scivolare le mani dietro la schiena, "Ho avuto l'onore di fare una conoscenza, poco tempo fa. Il signor Ward é una persona davvero ammodo, non trova signore?"
"Ammodo quanto potrebbe esserla una serpe in seno."
"Dopo quello che avete fatto osate pure definirlo così?" Si voltò a fronteggiarlo, "Sono oltremodo confuso da voi, signore."
Clint aggrottò le sopracciglia. "Confuso?"
"Sento troppe cose diverse su di voi, signore. Questo mi lascia confuso e perplesso."
"Non dovrebbero essere le opinioni altrui a creare la vostra."
"Davvero? Eppure voi non ci avete messo che tre secondi per giudicare me, la mia famiglia e i miei amici! Avete mai pensato di sbagliare, signore?"
"Solo quando so di avere torto."

*****

Jane rimase con gli occhi spalancati in mezzo alla sala e si riscosse solo quando Lizzy le prese le mani e la fece sedere. "Cosa é accaduto?" Ma la ragazza scosse la testa. "Andiamo via, ti prego." Pigolò appena, sentendo un'improvvisa voglia di piangere. La sorella la prese subito per mano e si avvicinarono a Phil. "Jane non si sente bene, torniamo a casa." Il ragazzo, con la risposta già pronta per il suo interlocutore, si girò a guardarle infastidito ma cambiò subito espressione quando vide il pallore sul volto della sorella. "Tesoro che succede?" Ma quella scosse di nuovo la testa e si agganciò al suo braccio. "Lizzy avverti mamma e papà, io la porto subito a casa."
"Jane." Natasha le fu subito accanto, una mano alla sua guancia, l'altra attorno alle sue dita. "Jane, tesoro, guardami. Vuoi dell'acqua?" Clint alzò la testa e corrugò la fronte. "Stark?"
"Ubriaco, ritengo." Disse la giovane. "Steve?"
"Instupidito alla porta."
"Mettilo alle calcagna di Stark. Ora."
"Volete dirmi cosa sta succedendo?" Phil strinse la sorella tra le braccia, mentre Jane allontanava gentilmente Natasha e si stringeva al corpo del ragazzo.
"Il signor Stark sa essere piuttosto sgradevole quando esagera col vino." Spiegò Natasha. "Era già indisposto da questa mattina, ma non ha voluto sentire ragioni quando gli abbiamo consigliato di non partecipare. Domattina starà meglio e confido verrà personalmente a scusarsi di ogni malevola sciocchezza."
Phil annuì. "Perdonateci, ma voglio portarla a casa." La salutò con un cenno e andò a recuperare il cavallo, tenendo sempre la ragazza tra le braccia.
Natasha li accompagnò alla porta e, quando vide le loro ombre allontanarsi, si avvicinò a quella di Steven, appoggiato con la schiena ad uno degli alberi del giardino. Gli mise una mano sul braccio e in silenzio, gli abbassò le dita con cui si era coperto gli occhi, sporgendosi a dargli un bacio sulla fronte.


*****

 
Jane aveva riportato le parole di Stark solo a Philip e a Lizzy, scusandosi con i genitori e lamentando un mal di stomaco. Entrambi i fratelli rimasero interdetti e confusi da quelle parole e restarono tutta la notte accanto alla sorella che, in lacrime, chiedeva cosa avesse mai fatto di così inopportuno da meritarsi un simile trattamento. Quando si addormentò, al principio dell’alba, Phil poté ripensare alla parole di Clint e a quanto fosse stato stupido a pensare che il ragazzo potesse essere migliore di quello che aveva pensato la prima volta che l’aveva visto. Indispettito anche dal comportamento di Anthony decise di ritornare, il giorno dopo, a Griffith Park per poter chiarire le cose e difendere l’onore della sorella. Ma l’arrivo di una lettera, poco prima di colazione, lo persuase dalle sue intenzioni.

Cara Jane, cominciava la missiva, perdonatemi se vi scrivo senza alcun anticipo, senza darvi o concedervi alcun sentore precedente a quello che sarà il contenuto di questa breve lettera. Partiamo. Oggi stesso. Io, mio fratello, il signor Stark e il signor Barton. Torneremo? Lo spero. Quando? Non so dirlo. Certo é che avvertirò la mancanza della vostra cara voce, delle vostre dolci parole, della vostra delicata presenza e della vostra amicizia. E credetemi, niente di quel che é successo al ballo é colpa vostra. L'animo umano é così e quando il cuore si infiamma, ogni cosa é incendio. Prego di vedervi presto e di poter andare con voi a Londra, così come avevamo tanto programmato. Per sempre vostra, Natasha.
Nessun accenno a Steve, non ad un suo saluto od un suo pensiero. Unicamente quella voce lontana, quelle labbra rosse che mormoravano un sommesso "Mi dispiace."


*****


Pochi giorni dopo anche il reggimento, e di conseguenza Ward, lasciarono la piccola cittadina e tutti lasciarono un tale vuoto che per un attimo sembrò che nulla fosse successo, che la vita non fosse mai stata sconvolta dall’arrivo di tutte quelle persone. Eppure avevano lasciato dei segni difficili sa cancellare: Jane non si era ancora ripresa dall’umiliazione e dalla tristezza. Le sorelle minori erano dispiaciute per la partenza del reggimento e non facevano altro che litigare tra loro e sua madre era caduta in una depressione difficile da mandar via visto che aveva già pianificato il matrimonio di Jane con Steven. Così, per fuggire un po’ dalla tristezza che aleggiava in casa, Phil decise di accettare l’invito dei suoi amici Leopold e Jemma di andarli a trovare alla loro parrocchia, nella contea vicina. Erano sposati da appena due anni e vivevano sotto la protezione di lady May, donna ricchissima quanto burbera e scontrosa, la cui parrocchia e annessa casa erano ad appena un isolato dall’enorme casa della contessa. I ragazzi lo accolsero come un fratello –Li legava, infatti, un’amicizia decennale visto che erano cresciuti tutti insieme e aveva, senza volerlo, fatto da Cupido tra i due.
La casetta in cui abitavano era piccola e accogliente, in legno colorato, piena di fiori e alberi profumati e Phil si sentì davvero molto felice di aver accettato la loro ospitalità. Un paio di giorni dopo il suo arrivo, dove aveva impegnato le giornate tra giochi, risate, letture e passeggiate insieme agli amici, furono invitati a Green Park, alla presenza di lady May e di sua figlia Daisy per desinare insieme. Ci misero quasi quindici minuti solo per attraversare il parco intorno alla casa, a cui Leopold non risparmiò ammirazione –La donna era si burbera, ma sembrava particolarmente affezionata ai ragazzi, a modo suo, da averli accolti sotto le sue ali.
Daisy, dal volto gioviale di bambina e del tutto incapace di concepire una cosa tanto inutile e formale come l'etichetta, aveva aspettato alla finestra grande che dava sul prato e, alla fine, in risposta ad un cenno teneramente esasperato di Melinda, si era gettata oltre la porta d'ingresso e da lì tra le braccia di Coulson. "Phil!" Esclamò, usando per lui quel caro nomignolo. "Phil! Dimmi! Racconta! Che hai fatto? Che hai visto?" Era una ragazza assai allegra e che, nonostante l'avesse visto di rado e non avesse scambiato con lui che qualche missiva per questo o quel festeggiamento, tale e tal'altro abbigliamento di moda di cui certo le sue sorelle erano a conoscenza, aveva fin da subito trovato Phil aggraziato e simpatico e citava sempre, appena poteva, quelle belle partite di carte a casa di Jemma -Il solo luogo dove essi si erano visti e dove avevano fatto conoscenza reciproca- e la maniera in cui gliele lanciava addosso quando ella perdeva. Un vero terremoto, insomma, e si diceva assai differente dalla madre.
Phil l’accolse tra le braccia come avrebbe fatto con Mary o Lydia. “Io sto molto bene, vi ringrazio. E voi, signorina May?” Rispose con un sorriso divertito.
"Annoiata, triste e solitaria." Fece lei, sporgendo il labbro. "I coniugi Fitz hanno più interesse alla loro vita coniugale che al mio divertimento. Non hanno cuore e permettono ad una fanciulla di ingrigire nell'apatia. Quando sarò anche io maritata." Aggiunse. "Me ne ricorderò e sarò ben parca di dolcetti, quando verrà l'ora del tea."
Il ragazzo sorrise e salutò ossequiosamente la padrona di casa. "Vorrei essere invitato al matrimonio solo per assistere, signorina." Rispose ridacchiando. "Avete già un pretendente?"
"Lo conoscerete." Rispose Daisy, con fare divertito e sibillino all'insieme. Nel salotto, dove già si stava preparando per il tea, v'era un giovane dall'aspetto smunto, un po' invecchiato nonostante la giovane età. Indossava vestiti non di prima mano, lisi e stazzonati, e aveva un volto appena intristito dalla malinconia, e gli angoli della bocca erano incurvati a dagli un'espressione di perenne sofferenza morale. "Il signor Bruce Banner. É un dottore." Lo presentò Daisy. "Vostro cugino?"
"Arriverà a momenti, si sta rinfrescando dopo la cavalcata."
"La mia signora madre non mi ha permesso di andare." Disse la giovane. "Secondo lei era sconveniente."
"Sconveniente che tu ti presentassi coperta di fango come sei solita quando vai a cavallo." Puntualizzò Lady May, accomodandosi nella poltrona. "Non che andassi a cavalcare."
Phil strinse la mano al medico, sorridendo affabile, voltandosi poi verso la padrona di casa, "La sua ospitalità é sempre squisita, milady."
La donna non rispose e si limitò a piegare il capo in un solenne cenno di assenso. S'udirono dei passi oltre la porta e Daisy divenne tutta un sorriso. "Eccolo che viene!" Esclamò -E Bruce sorrise di quel suo sorriso un po' stantio all'affettazione della ragazza. Certo, tutti i sorrisi e gli scherzi e l'affetto di chicchessia non avrebbero mai potuto lenire il malumore, né rendere meno amara la sorpresa per Coulson nel vedere comparire -E bloccarsi- sulla soglia nientemeno che Clint Barton.
Phil rimase a fissare l'uomo sulla soglia perdendo d'un botto il colorito sul viso. Fermò le mani a mezz'aria nell'intento di prendere la tazza di tea e le ritirò sulle ginocchia, stornando lo sguardo da lui.
A Lady May non sfuggì quel cambio di atmosfera e nemmeno a Bruce. Daisy contrasse appena la bocca e si schiarì la gola. "Phil, il signor Barton." Lo presentò. "Il pretendente di cui mi avete chiesto prima."
"Ci conosciamo già." Phil si rivolse a lui con un leggero cenno de capo, "Spero stiate bene signore."
"Sì, vi ringrazio per la premura. E voi?" Domandò Clint, facendosi guidare e condurre al divano da Daisy.
"Molto bene, vi ringrazio." Poi stornò lo sguardo da lui, che aveva tenuto comunque lontano dai suoi occhi anche se sulla sua figura, e tacque.
"Come vi siete conosciuti?" Chiese Daisy, passando la tazza a Clint.
Coulson prese la sua tazza dal tavolino e ne prese subito un sorso, quasi scottandosi la lingua, per prendere qualche minuto in più per rispondere. "Era ospite a Griffith Park, a poche miglia da casa mia."
"Davvero?"
"Griffith Park." Ripeté Melinda May, le sopracciglia sottili che si aggrottavano appena. "É una proprietà degna di rispetto. Chi vi alberga?"
"Dovreste chiederlo a vostro nipote, signora. Non conosco così bene chi vi abitava."
"Steven Rogers, Lady May." Rispose allora Barton, i cui occhi non facevano che andare a Coulson e poi tornare, riandare e tornare. "L'aveva in affitto."
Phil, al contrario, si ostinava a non volgere lo sguardo neanche nella sua direzione. Bevve il suo tea e posò la tazza sul tavolino, rimanendo quasi in un silenzio ostinato.
Alla fine, Clint prese commiato e così Daisy, decisa a seguirlo per sapere cosa fosse accaduto, e Lady May che disse agli astanti di chiedere e qualunque cosa di cui avessero avuto bisogno, l'avrebbero ottenuta. Jemma e Leo decisero di stemperare la tensione con una partita a carte, che il Dottor Banner rifiutò. "Ma starò a guardarvi tutti e tre." Commentò. "Se anche voi volete prendervi parte, signor Coulson. Non fatevi lo scrupolo di lasciarmi da solo a dialogo con me stesso. Trovo piacevole sondare l'animo umano quando esso é travolto dalla marea inarrestabile del gioco."
Phil si rivolse al medico con un cortese sorriso, "Sarei molto più lieto se anche voi giocaste con noi, signore."
Banner parve riottoso, sulle prime, ma all'insistere dei tre si decise a prendere posto al tavolo. "Ho notato sangue cattivo tra voi e mio cugino." Fece, i polpastrelli ruvidi che stridevano sulle carte distribuite da Leo.
"Preferirei non rovinare l'animo gaio della compagnia, signore." Rispose l’altro frettoloso, prendendo le carte e posizionandole tra i polpastrelli.
"Lungi da me." Replicò il dottore. "Lo avete frequentato molto, a Griffith Park?"
"Non molto, in effetti." Mentì, cominciando a giocare.
"Ah, ecco forse spiegato il motivo di tanta freddezza. Mio cugino ha un carattere piuttosto spigoloso e difficile da ammorbidire."
"Se lo dite voi, signore, non posso che credervi visto che lo conoscete da molto più tempo." Si schiarì appena la voce. "E ditemi conoscete il signor Rogers e il signor Stark?"
"Oh, non bene quanto vorrei. So però che mio cugino li tiene entrambi in gran conto e ha impedito al primo di scivolare nel baratro del matrimonio."
Phil si fece subito più attento a quelle parole, "Baratro del matrimonio? A cosa vi riferite?"
"Mio cugino non m'ha raccontato la storia con precisione assoluta, bensì per vaghi accenni." Bruce fece cadere alcune carte, ne prese un paio dal tavolo, le giudicò buone e continuò. "Da quel che ho potuto comprendere, ha dissuaso l'amico a sposare una campagnola di quelle parti che s'era infatuata di lui e sulla cui unione tutta la comunità aveva costruito castelli e aggiogato chimere. Sarebbe stato il peggior matrimonio d'Inghilterra, così l'ha definito."
Il colorito dalle guance del ragazzo fuggì così come vi era tornato dopo che Clint aveva lasciato la stanza, "Quali erano le obiezioni contro la ragazza?" Chiese in un sussurro.
"Nessuna compatibilità di carattere, incapacità di comprendere il futuro marito. Ha detto persino che nulla c'era di vero, se non un progetto accatastato così, alla rinfusa, a causa di chiacchiere e lingue troppo lunghe. La ragazza sarebbe stata una disgrazia, non un motivo di gioia."
Phil poggiò le carte sul tavolino e si sentì fremere dalla rabbia: come osava quell'essere abietto e pomposo denigrare così la sua povera sorella facendola diventare lo zimbello del paese? "Perdonatemi." Si alzò di colpo dalla sedia, "Temo che la passeggiata di questa mattina mi abbia stancato più di quanto immaginassi, meglio che mi ritiri." Ascoltò appena le raccomandazioni di Jemma di stare al caldo e al riposo e a stento ricordò di salutare la padrona di casa prima di scivolare per i corridoi della casa come una furia.


*****


C'erano nuvoloni gravidi di pioggia sopra le loro teste e già l'aria era umida, infeltriva la lingua e rendeva gelido l'umore, accartocciava i nervi, faceva difficile la letizia e non un riso si levava nell'atmosfera tesa della casa. Clint andava brancolando alla ricerca forsennata di Coulson ed era come pazzo nel suo vagare, e si dava dello stolto, si diceva di tornare da Daisy, implorare un suo bacio -Rifiutarla, respingerla, dille che non era più tempo, che gli dispiaceva, che tutto era cambiato che non poteva, non poteva, non poteva... Cominciò a piovere che i suoi occhi già erano annebbiati da qualcosa di ben più accecante del clima. La veste gli pesò addosso, ma il cuore era assai più pesante. I capelli gli si incollarono alla testa gonfia di ronzii e pensieri confusi, dolenti e cari, dolci e amari, di tenerezza e vergogna, di speranza e condanna. Così matto, così folle, intravide la sagoma di Coulson ed il suo spirito ne fu talmente scosso, riempito, colpito che credette le ginocchia non avrebbero retto a tale visione. E del freddo, dei tremori, più non gli importava. Solo quegli occhi, quella voce, quella bocca... "Philip." Lo chiamò, il suo nome un rantolo esalato a mo' di preghiera -Non si seppe dire se di condannato o se di pio fedele dinnanzi ad una visione mistica. "Philip, vi ho trovato."
Il ragazzo si girò di scatto e dal suo sguardo si poteva evincere tutta la rabbia e la condanna, l’odio che provava verso di lui. “Cosa volete?” Chiese, brusco, asciugandosi alcune gocce di pioggia che gli erano scivolate sulle gote come lacrime, quelle stille salate che non aveva avuto il coraggio di versare per la sua povera sorella, per la sua famiglia messa alla gogna da un essere tanto abietto.
A quella vista, Clint fece un passo indietro e la lucidità tornò in un lampo, lo folgorò, gli divise la mente. "Oh, ma voi gelate." Commentò e non gli parve significativo il fatto che fosse sotto la pioggia egli stesso -E che fosse ben altro ciò che gli voleva dire. "Gelate, Philip, permettetemi di ricondurvi a casa. Gelate, prenderete freddo, vi ammalerete...!"
"Non osate avvicinarvi!" Phil si ritrasse a sua volta, compiendo un paio di passi indietro, puntandogli poi l'indice contro, "Voi siete l'essere più abietto che io abbia mai incontrato!"
"Cosa---? Come? Che dite?"
"Si, voi! Proprio voi! Avessi un minimo di coraggio vi sfiderei a duello, all'ultimo sangue. Solo così potreste lavare l'onta che avete gettato sulla mia famiglia e la mia povera sorella!" Marciò verso di lui e gli batté il dito sullo sterno. "Mai, mai, in vita mia avrei pensato di conoscere un uomo come voi. Fin dal nostro primo incontro la vostra arroganza, presunzione e lo sdegno per i sentimenti altrui mi hanno fatto capire che razza di uomo siete, ma mai avrei immaginato che potesse essere anche così abominevole!"
Barton scosse il capo e strinse le dita attorno al polso di Phil, quindi lo abbassò e fece scivolare i polpastrelli sul dorso e sulle nocche. "Mi muovete accuse infondate." Replicò. "Onta alla vostra famiglia? Mai! A vostra sorella? Tantomeno! L'unica onta che potrei gettare forse, sarebbe su di voi e con parole che non mi arrischio a pronunciare. Sono ben conscio del pericolo e quanto grande sia l'Inferno che mi si spalanca ai piedi, quanto profondo, e Dio mi perdoni!" Il giovane chiuse gli occhi e prese un respiro, il cuore batteva forte e lo stordiva, lo rendeva pazzo e nella pazzia gli dava forza. "Ho lottato invano. Non giova. Non riesco a reprimere i miei sentimenti. Voi mi dovete permettere di dirvi con quanto ardore io vi ammiri e..." Le iridi chiare cercarono gli occhi di Phil e vi si aggrapparono. "E vi ami."
Philip rimase per un attimo senza parola, "Ma voi sapete quello che state dicendo?"
"Fin troppo bene, fin troppo bene e Dio! Dio mi perdoni, non avrei mai dovuto cedere, me lo ero ripromesso... Ma poi ho incontrato voi e sono stato uno sciocco, perché imponendomi di non amarvi, v'amavo di più e standovi lontano anelavo la vostra vicinanza. Non dovrei, ma vi amo."
"E voi vi aspettate che io faccia cosa? Vi ringrazi per questi sentimenti contro natura che provate per me? O che mi lusinghi la violenza che avete dovuto fare sui vostro animo per dichiararmi i vostri sentimenti?" Allontanò la mano dalla sua, "Io non ho mai desiderato la vostra stima o il vostro affetto e voi, evidentemente me l'avete concesso contro la vostra volontà."
"Nessun sentimento é contro natura, giacché é nella sua essenza essere spontaneo e vero." Clint contrasse la mandibola. "E il vostro sentimento per me... É davvero esso solo rifiuto?"
"Certo che lo é!" Rispose con forza, "Se anche avessi mai potuto ricambiare i vostri sentimenti, come pensate che avrei mai potuto accettare l'uomo che ha distrutto la felicità della mia amatissima sorella? O che ha gettato l'infamia sulla mia famiglia? Ma anche prima di questo il vostro carattere si era rivelato nei confronti di Ward!"
"Lasciate quell'essere meschino fuori dalla nostra conversazione, quella serpe che alcuna considerazione merita!" Ringhiò Barton. "E vi giuro che nessuna infamia, nessuna vergogna ho mai voluto gettare su Jane, né sulla vostra famiglia. Io ho... Unicamente protetto un caro amico dal gesto che più di tutti avrebbe ridotto la sua felicità in frantumi."
"Felicità in frantumi? Mia sorella l'avrebbe amato e donato tutta se stessa al vostro amico! E come osate parlare così di Ward? Dopo aver rovinato per sempre la sua felicità? Avete agito allo stesso modo in entrambe le situazione! Aveva ragione a dire che siete solo un arrivista! Un amico solo finché non si intaccano i vostri stessi interessi!”
"Voi che ne sapete? Che ne sapete di entrambe le situazioni? Steven ne avrebbe sofferto, Tony ne avrebbe sofferto e Jane con loro!"
"So che avete rovinato la vita di mia sorella e tanto mi basta! State lontano da me e dalla mia famiglia. Non voglio rivedervi mai più!"
"Io non l'ho rovinata! Io l'ho salvata dalla rovina!" Clint avanzò d'un balzo e afferrò il polso di Phil, portando il giovane contro di sé. "Vostra sorella merita di più. Vostra sorella merita qualcuno che la ami. E Steven si merita una felicità vera, seppur nella fuga, piuttosto che costringere se stesso in qualcosa che non l'appaga e mutare l'affetto in dispetto e in odio. Jane gli é cara, ma egli non l'ama. Non potrebbe mai amarla..."
"Lasciatemi!" Urlò, strattonando il braccio per liberarlo dalla sua presa.
Barton, forse accortosi di aver osato oltre il limite, abbandonò l'intento e si ritrasse. "Mi denuncerete?" Chiese allora e un guizzo di paura lampeggiò negli occhi chiari.
Coulson si mosse subito per mettere più distanza possibile tra loro. "Non lo farò, a patto che stiate lontano da me."
"Non avrò mai dunque alcun posto, nel vostro cuore?"
"Dopo quello che avete fatto? No, mai."
"Se voi davvero foste disposto a comprendere quel che ho fatto... Ma no, già il veleno della serpe vi guasta occhi ed orecchie. Andate, coraggio, andate." Clint fece un gesto con la mano. "Vi prenderete un'infreddatura stando qui. Non vi disturberò oltre, é deciso. Partirò domani mattina e non avrete più il mio nome sulle labbra, a meno che un giorno non vogliate liberarvi del segreto di cui vi ho fatto custode. Vedrò di essere lontano, nell'eventualità, in un luogo dove nessuno possa trovarmi."
Phil non si prese neanche il disturbo di rispondere: gli voltò le spalle e se ne andò.


*****


La mattina seguente, come aveva promesso, Clint se ne partì da Green Park. Daisy stette alla finestra a fissare la sua figura che spariva nella sottile nebbia che s'alzava dall'erba e seppe per certo di averlo perduto. Lady May, che dimostrava il suo affetto in maniera per altri incomprensibile e finanche fredda, non le disse nulla e le fece semplicemente cenno di sedersi accanto a lei sul divano, permettendole di appoggiarle la testa sul petto mentre le accarezzava i capelli a punta di dita. Daisy sapeva di aver perso un pretendente. Melinda sapeva di aver appena assicurato una speranza di felicità alla figlia. Pur non riuscendo ad individuare una causa oppure un motivo alla strana sensazione che le prendeva la bocca dello stomaco quando intravedeva Barton scambiarsi sorrisi con Daisy, era consapevole che niente di buono sarebbe mai venuto dalla loro unione. Non per incompatibilità di caratteri, bensì per una nota stonata che intercorreva tra loro, un'impossibilità di equilibrio che avrebbe sicuramente gettato Daisy nel più cocente sconforto e avrebbe segnato la sua vita coniugale nel peggiore dei modi. Tuttavia, Daisy non fu la sola cui Clint lasciò qualcosa, prima di partire. A Coulson, infatti, aveva destinato una lettera assai spessa. La carta era impregnata di inchiostro ancora umido sulle ultime righe, quasi avesse atteso giusto di montare a cavallo per scriverle.

«Tengo fede alla mia promessa e mi allontano da Green Park. Tengo fede alla mia promessa, Philip, di non dover più occupare la vostra vista, né i vostri occhi, di essere meno di ombra, meno di niente, e di non ricercare più la vostra compagnia, né quella della vostra famiglia. Non vi scrivo questa lettera per rinnovare e ripetere quanto già detto voi ieri sera. Non intendo essere per voi ulteriore motivo di umiliazione e vergogna. Se sono già decaduto nella vostra stima e nel vostro onore per quanto racchiuso nel mio animo, vi chiedo solo quest'ultima possibilità per risollevarmi almeno un poco nel comportamento e nei gesti per cui voi tanto mi avete accusato, con veleno che non vi é proprio, ma appartiene a colui che voi chiamate amico ed é stato la ragione di tanta sofferenza per la mia buona Natasha. Ma a questo torneremo in seguito. La questione che più preme, é di spiegarvi il motivo per cui ho allontanato Steven da vostra sorella. Sappiate, innanzitutto, che recarle imbarazzo era l'ultima delle mie intenzioni. Come già vi ho detto, ho voluto salvare Steven e salvare lei allo stesso modo, e non avevo altra soluzione, a questo punto, se non impedire fin da subito questo matrimonio che mai, mai avrebbe dovuto aver luogo. Non perché vostra sorella non fosse degna, non perché il ceto sociale e la differenza che intercorreva fra lei ed il mio amico fosse insormontabile, non per motivi così sciocchi e futili. Bensì, e vi prego, vi prego! bruciate questa parte della lettera se avete cuore!, perché il mio buon amico Steven era già legato in sentimenti ed amore a qualcuno che voi conoscete bene quanto lui. Ricordate i viaggi che egli ed Anthony hanno compiuto? I racconti che le vostre sorelle ammiravano e di cui si abbeveravano quali assetati alla fonte? Non sono mai stati compiuti per puro piacere. Conobbi entrambi a Parigi e a Parigi diventammo amici, a Parigi cominciarono le nostre avventure, nel bene e nel male. A Parigi, Steven ed Anthony divennero amanti e furono costretti a fuggire, per quella legge del 1791 che perseguita chi come loro, chi come me, ha la sola colpa di amare e amare e amare ancora e sempre. Col tempo, parve chiaro a tutti noi che il legame tra loro era di una forza, di una potenza come mai avevamo veduto: nessuna unione sarebbe mai stata così felice e vera e serena. Nessun matrimonio avrebbe mai eguagliato quell'affinità di spirito e di cuore che legava e lega tutt'ora i miei più cari amici. Ma dovettero scappare ed io li seguii insieme a Natasha, che mi era cara come una sorella. Viaggiamo a lungo, ma in nessun posto ci fermammo più di qualche stagione. Da ovunque, infatti, arrivavano gaie fanciulle per l'uno e per l'altro ed entrambi, sempre, rifiutavano. Però, più essi rifiutavano, più le voci andavano aumentando simile al ronzare rabbioso d'api e ci costringevano ad andarcene, prima che lo scandalo erompesse nella società e rovinasse tutti noi. E per quanto il loro amore fosse e sia ancora forte, il continuo fuggire li logorava. A Griffith Park, in quel dolce paesello di campagna, Steven ed Anthony credevano davvero di aver trovato un oasi felice in cui vivere il loro amore senza doversi preoccupare delle voci della grande città. Non avevano e non avevamo considerato che in un paese di campagna, dove il rimescolamento di queste voci non esiste, dove poche sono le notizie e queste poche vengono scoccate come freccia da una bocca all'altra, il rifiutare la mano di questa e di quella fanciulla, da parte di entrambi, avrebbe causato la disfatta ancor più velocemente di quanto sarebbe potuto accadere a Londra, a Parigi, a Vienna. Poi arrivò Jane e l'amicizia che la legava a Steven parve stemperare la tensione. Persino Anthony l'approvava, giacché egli vedeva nella tenerezza e nella dolcezza delle parole, dei gesti, niente più che un modo per tenere a bada i sospetti del circondario. Ed ha funzionato. Ma alle voci se ne sono sostituite altre e Anthony ha seriamente finito col crederle vere, a scambiare i sorrisi, le parole, le dolcezze per affetto reale, concreto, un vero desiderio di contrarre matrimonio da parte del suo unico compagno di vita. Le accuse sono state pesanti, la gelosia lo ha roso fino alle ossa ed ecco spiegato il motivo della sua scena teatrale la sfortunata sera del ballo. Sono stato io a suggerire di andarcene. Steven era confuso, preda dello sconforto più terribile. Non aveva alcuna intenzione di ingannare Jane con una proposta di matrimonio, ma presso l'intera comunità pareva ormai già cosa fatta e come spiegare un rifiuto? Steven é di buon cuore e vostra sorella gli é cara. Non potrebbe mai, mai usarla per i propri scopi. Dall'altra parte, non poteva certo chiedere ad Anthony di scappare di nuovo, perché avrebbe, certo, alimentato ulteriori bisbigli e sussurri. Il viaggio é stata l'unica soluzione possibile, per ritrovare se stessi e capire quale fosse la miglior strada da prendere. Natasha si é detta d'accordo con me: ella é infatti colei che meglio conosce i moti d'animo del fratello e le é sempre stata accanto, così come lui le é stato accanto nell'affare che ha veduti coinvolti lei ed il vostro amico Grant Ward. Non so quale infamia abbia gettato su di me, ma sappiate che egli é responsabile del dolore della mia amica e sul suo animo grava la colpa di aver portato un uomo alla pazzia. Se non credete a me, e ritengo che sia così vista la reazione di ieri sera, credete almeno a Natasha se mai avrete occasione di vederla. Chiedetele del soldato James Barnes e del torto che Grant Ward ha fatto ad entrambi. Natasha sarebbe potuta essere felice, se Ward non fosse comparso nella sua vita. Addio, Philip. Addio. Che Iddio vi benedica, sempre. Io pregherò per voi.

Clinton Francis Barton.»


Phil lesse e rilesse la lettera per tutti i giorni rimanenti al cottage dei coniugi Fitz. Una parte di lui era incredulo e faticava a pensare che fosse tutto vero. Ma un'altra, ripensando ai comportamenti dei diretti interessati, gli sguardi, le lunghe cavalcate, lo strano comportamento di Stark la sera del ballo, non poteva non credere alla veridicità delle sue parole.
In più, la storia di Ward, anche se non del tutto chiara, gli aveva messo quella pulce nell'orecchio che faticava a scacciare.
 
   
 
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