Coming
out
Chi ha paura di
“uscire dall’armadio”, per le
reazioni che potrebbe suscitare, sappia che vorrei essere
là, a sostenerlo e ad
aiutarlo in questo passo così spaventoso;
Chi è
già fuori, e ha scoperto un mondo gaio e
pieno di colori, sappia che vorrei essere là, a ballare al
suo fianco;
Chi,
purtroppo, ha incontrato solo
bastoni e insulti, sappia che vorrei essere là, a curare le
sue ferite e a
ricordargli che c’è amore anche per quelli come
noi.
Dal
dormitorio del
quarto anno dei Serpeverde non usciva nessun tipo di rumore, quella
notte. In
realtà era sempre così, perché i
ragazzi che ci dormivano si ricordavano sempre
di lanciare incantesimi per annullare i suoni delle loro scorribande;
ma quella
notte si sarebbe potuti entrare nella camera senza essere investiti
dalla
baraonda quasi quotidiana di quel luogo.
Purtroppo
nessuno
poteva aprire la porta del dormitorio e ammirare questa
rarità. Nessuno, tranne
i due ragazzi che vi dormivano dentro.
Uno
di questi, più che
dormire, si può dire che stesse riposando gli occhi. Il
lenzuolo lo copriva
dalla cintola in giù, così da mostrare solo il
busto, coperto da un leggero strato
di peluria bruna, le braccia, non magre ma neanche gonfie di muscoli, e
il
viso. Ci sarebbero tanti piccoli dettagli da elencare, su questa
particolare
zona del corpo ma per citarne solo uno, è giusto descrivere
la bocca del
ragazzo. Non per le sue caratteristiche fisiche, ma per la singolare
capacità
di trasmettere emozioni: ogni sentimento aveva una piega particolare e
spesso
bizzarra, capace di rendere il ragazzo molto espressivo.
In
questo preciso
istante, la bocca del ragazzo era distesa in un ampio sorriso, di
quelli che
hai quando ti senti in pace con te stesso e con il mondo. Ed era
così che si
sentiva Alan Miles, dopo anni di sofferenza. Dopo l’incidente
dei genitori e
gli anni passati in orfanotrofio, non credeva davvero possibile che la
sua vita
potesse capovolgersi così. Prima la visita del professor
Paciock, e la scoperta
di Hogwarts e del mondo magico; poi, una volta arrivato là,
le amicizie che
aveva instaurato con i suoi compagni, soprattutto con Albus Potter.
Beh,
ex-amicizia, per lui
pensò, allargando il suo sorriso.
I
suoi occhi
schizzarono subito alla sua sinistra, dove dormiva il suo
Albus; il ragazzo che si vergognava a cambiarsi davanti ai suoi
compagni di dormitorio; il ragazzo che soffriva tanto
d’insicurezza che,
nonostante fosse molto studioso, in classe evitava di alzare la mano
per rispondere,
lasciando l’onere a gente come la cugina Rose, che schizzava
il braccio prima
che i professori potessero finire la domanda; il ragazzo timido che non
voleva
fare il provino per diventare Cercatore, solo perché
c’era già un altro
ragazzo.
Per
fortuna il suo
amico Scorpius gli aveva fatto notare quanto scarso fosse quel ragazzo,
Edward
Morrison, altrimenti non avrebbe mai superato il provino, e loro due
non
sarebbero mai diventati amici. Con un anno di differenza e i loro
caratteri
quasi opposti, difficilmente si sarebbero avvicinati di loro spontanea
volontà:
Alan sapeva essere molto scherzoso, tanto da fare amicizia con un vero
Grifondoro come James Potter, con cui passava il tempo molto
volentieri. Albus,
invece, era quasi il suo contrario: si avvicinava difficilmente alle
persone e,
a prima vista, non suscitava grande simpatia. Durante gli allenamenti
della
squadra, invece, trovò in lui una persona
dall’umorismo molto acuto, e una
gentilezza fuori dal comune. Fu così che scoprì
un nuovo lato del ragazzo, che
voleva solo per sé.
Non
gli sembrò niente di
così sbagliato, a differenza di Albus, che per settimane
negò persino di
essergli amico; Alan però sentiva che lui provava i suoi
stessi sentimenti, e
sapeva che doveva convincerlo a scoprire le sue carte.
Ci
volle molto tempo,
ma ne era valsa la pena. Il solo poter essere così vicino a
lui lo riempiva di
felicità, e avrebbe fatto qualunque cosa, anche la
più dolorosa, pur di poter
continuare quella relazione.
Anche
se era una storia
clandestina.
Anche
se ci sarebbero
voluti anni prima che Albus avesse avuto il coraggio di dirgli
‘Ti amo’.
Perché
oggi avevano
fatto l’amore per la prima volta, ed era stato Albus a
organizzare il tutto. E
per Alan, quello era il gesto d’amore più bello
che gli potesse fare.
Un
movimento attirò
l’attenzione del ragazzo sul suo compagno. Fino a pochi
istanti prima dormiva
profondamente; poi prese ad agitarsi sempre di più, fino a
sembrare in preda
alle convulsioni.
Prima
che Alan potesse
fare qualunque cosa per aiutarlo, Albus si svegliò,
grondante di sudore e urlando:
“Nooooo!”.
Albus
cominciò ad
ansimare, come se avesse fatto una lunga corsa, ed era tanto preso dal
recuperare fiato da non accorgersi di aver iniziato a piangere.
“Albus,
stai bene?”.
Il
ragazzo si voltò
verso la voce, come sorpreso che ci fosse qualcuno sdraiato accanto a
sé. Si
rese anche conto di avere il volto grondante di lacrime e si
affrettò ad
asciugarle, strofinandosi il braccio contro il volto. Ad Alan
ricordò se stesso
da bambino, quando a volte s’isolava dagli altri per
piangere, e gli venne una
gran voglia di stringerlo e cullarlo.
“Al,
mi dici che cosa è
successo?” continuò a domandargli, avvicinandosi a
lui. Nel frattempo, Albus si
era calmato e aveva deciso di alzarsi e di mettersi i boxer che aveva
lanciato
sopra il comodino del suo amico Scorpius Malfoy.
“Niente,
era soltanto
un brutto sogno” gli rispose Albus mentre s'infilava anche un
paio di pantaloni
e la maglietta che usava come pigiama.
“Io
me ne intendo
d'incubi, e questo non era ‘soltanto un brutto
sogno’” rispose Alan, mimando
anche le virgolette. Albus spostò il suo sguardo su tutto
ciò che era presente
nel dormitorio, tranne che su Alan.
“Va
bene, non me lo
dire” esclamò arrendevole Alan, alzando le braccia
in segno di resa. Si sdraiò
di nuovo sul letto, incrociando le braccia dietro il collo.
“Dovresti
andartene,
prima che gli altri tornino” gli disse Albus. Alan non si
spostò di un
millimetro, e non diede segno di volerlo fare.
“E
perché, di grazia?”
domandò Alan. “Conoscendo Madama Chips, Ted e Ben
non usciranno dall’Infermeria
prima di domani, anche se le loro ossa si sono già
ricostruite”. Ted e Ben
erano i due battitori di Serpeverde, che durante gli allenamenti del
pomeriggio
si erano dati una mazzata in testa a vicenda. Alan sorrise nel rivedere
la
scena nella sua testa.
“Mentre
per quanto
riguarda Scorp” aggiunse Alan, “tu stesso mi hai
assicurato che sarebbe stato
chiuso dentro il Bagno dei Prefetti con Rose fino a domani mattina,
ricordi? Quando
mi hai buttato sul tuo letto con solo l’asciugamano e il
corpo grondante
d’acqua”.
Alan
girò leggermente
il capo, per vedere la reazione di Al alle sue parole. Quando erano
soli, Albus
riusciva a essere molto spontaneo ma quella sera aveva superato ogni
sua più
rosea speranza: dopo aver accompagnato i due ragazzi in Infermeria, gli
aveva
proposto di farsi una doccia nel suo dormitorio, visto che quello di
Alan era
occupato. Una volta uscito dalla doccia, Albus lo aveva scaraventato
sul letto,
farfugliando che quella sera non ci sarebbero state altre persone al di
fuori
di loro, e che aveva deciso di volerlo fare con lui.
L’atteggiamento di Albus,
ora, era all’opposto di quello di qualche ora fa, e Alan era
strasicuro che
fosse colpa del sogno appena fatto.
Al
dovette aver capito
che per Alan quella reazione era forzata, così cambio subito
umore: “Hai
ragione, l’avevo dimenticato, mi dispiace”.
“Non
ti scusare e porta
quel bel culetto accanto al mio” esclamò Alan
battendo una mano sulla parte
libera del materasso.
Albus
si sistemò accanto
a lui senza dire nulla, ma mentre poggiava il capo sul suo torace, Alan
vide i
suoi occhi farsi più cupi, e intuì che nella sua
testa l’incubo non era ancora
finito.
***
Il
giorno seguente Alan
si stupì di essersi svegliato nel divano della Sala Comune,
invece che nel
letto di Albus, dove si era addormentato. Corse nel suo Dormitorio a
lavarsi e
a vestirsi, e scese verso la Sala Grande a fare colazione prima
dell’inizio
delle lezioni.
Ad
Alan piaceva andare
nella Sala Grande perché aveva amici in tutte le Case,
quindi ne approfittava
per salutare tutti, anche sedendosi a mangiare nei loro tavoli,
comportandosi
come “un serpente con le ali, la criniera e il pelo nero e
bianco”, come
dicevano i gemelli Scamandro. La colazione, però, la faceva
sempre con i suoi
compagni verde-argento, accanto a Scorpius e di fronte ad Albus. Una
volta
raggiunto Scorpius però non si sedette subito come al
solito, né incominciò a
scherzare con i suoi compagni per svegliarli meglio.
“Ciao
Alan” mormorò
Scorpius, che sembrava sul punto di addormentarsi sulla sua colazione.
Alan non
rispose subito, continuando a stare fermo e a guardare il posto di
fronte a
Malfoy, vuoto.
“Ciao
Scorpius” rispose
Alan prima di sembrare rincretinito.
“Dov’è Albus?”.
“È
corso via dopo aver
trangugiato una quantità di cibo insolita” disse
Scorpius forse ancora più
mogiamente di prima. “Sembrava quel maiale di James, per come
si è ingozzato”.
Le
labbra di Alan
avevano un’altra particolarità: non sapevano
fingere un sorriso. Perciò non si
sforzò di ridere alle parole di Scorpius, come invece fecero
altri ragazzi
accanto a lui. Albus difficilmente si comportava in maniera
così bizzarra, e se
sommava questo con quello che era successo il giorno prima, non faceva
che
preoccuparsi ancora di più.
Decise
che doveva parlare
con Albus il prima possibile, ma qualcuno doveva volergli davvero male,
perché
non riuscì a vederlo per tutto il giorno: ogni volta che
correva verso la
classe che aveva appena svolto, lo vedeva allontanarsi di corsa, senza
riuscire
a raggiungerlo; all’ora di pranzo nessuno lo aveva visto
né nella Sala Grande
né nella Biblioteca, e nemmeno nella Sala Comune dei
Serpeverde; a cena le cose
non cambiarono, col risultato che Alan fu costretto ad andare a letto a
stomaco
vuoto e pieno di bile.
Cercò
di dormire ma prima
di riuscirci sentì due dei suoi compagni di stanza
bisbigliare tra loro. Cercò
di ignorarli ma quando pronunciarono il nome
“Albus” decise di tendere
l’orecchio il più possibile.
“Se
sicuro di quello
che dici?” domandò il primo, Edmund.
“Chi te l’ha detto?”.
“Un
suo compagno di
stanza, Ted” gli rispose l’altro, Cornelius,
suscitando un’immediata crisi di
risa nel suo interlocutore.
“Tu
credi a quel
pallonaro di Ted?” disse in mezzo alle risate soffocate.
“Quello che era
strasicuro che il professor Dill bevesse la Pozione Polisucco e che in
realtà
era un Mangiamorte?”.
“Beh,
però aveva fatto
bene a denunciarlo, tutto sommato” continuò a dire
Cornelius.
“Sì,
perché era un
alcolizzato cronico e rischiava di far saltare in aria qualche
calderone” gli
rispose Edmund, che considerò la questione chiusa e si mise
a letto.
Alan
si girò per non
farsi vedere mentre origliava, ma gli ci vollero delle ore prima di
riuscire ad
addormentarsi. Non gli piaceva che girassero pettegolezzi su Albus,
perché
sapeva quale sarebbe stato il passo successivo: gli sguardi. Qualsiasi
notizia
stesse circolando, si sarebbe diffusa e avrebbe portato gli altri
ragazzi a
fissare Albus in ogni momento, facendolo sentire sotto un riflettore
che
aumentava d’intensità ma che rendeva
più oscuro tutto ciò che era fuori dal suo
raggio d’azione. Lo sapeva bene, perché anche lui
aveva avuto il suo
riflettore: arrivato all’età di sei anni
all’orfanotrofio, ricordava
perfettamente i propri genitori, suscitando l’invidia degli
altri bambini e il
loro disprezzo, manifestato con quegli sguardi, tutti carichi di
sentimenti
diversi ma ugualmente intensi. Il risultato di tutto ciò
furono molti pianti,
ma anche la maturazione di un proprio sistema di difesa, che consisteva
in un
misto d’indifferenza e di prese in giro.
Ancora
oggi, in un
certo senso, usava quella tecnica; o diventava amico di qualcuno o lo
trasformava in un bersaglio per i suoi scherzi, ma lo faceva solo
perché non
voleva rivivere daccapo la stessa sensazione di solitudine con cui
aveva dovuto
convivere da bambino.
Albus
però non
possedeva il suo umorismo o la sua sfacciataggine. Non aveva armi di
difesa.
Così,
prima di
addormentarsi, si ripeté in mente quello che ormai stava
diventando il suo
mantra.
Devo
parlare con Albus il prima possibile.
***
“Porca
miseria!”
L’urlo
di Alan
riecheggiò per tutta la Sala Grande, ancora vuota a
quell’ora. Lui e Scorpius,
preoccupato anche lui per l’amico, da giorni non riuscivano a
parlargli, e per
stanarlo avevano deciso di appostarsi nella Sala Comune tutta la notte.
Purtroppo, tutt’e due crollarono, e adesso non avevano la
minima idea di dove
cercarlo.
“Come
abbiamo fatto ad
addormentarci, neanche avessimo tre anni!”
continuò a sbraitare Alan, furioso
sia con se stesso che con Scorpius.
“E
oggi è sabato, quindi
non avremo neanche la scusa delle lezioni per parlarci” disse
Scorpius molto
seccato ma più composto di Alan. Entrambi andarono a sedersi
al tavolo dei
Serpeverde, deserto come gli altri, e si misero nella stessa posizione,
l’uno
accanto all’altro con le mani fra i capelli.
“La
Sala Grande ha
aperto solo ora, magari riusciamo a incrociarlo” disse
Scorpius poco convinto.
“No,
vuole evitarci, si
farà dire da qualcuno se siamo dentro o no”
rispose Alan deciso. Diventava più
furioso ogni secondo che passava, finché
all’improvviso non spalancò la bocca,
come colto da un’illuminazione.
“Il
Quidditch!” esclamò
Alan. “Oggi ci sono gli allenamenti di Quidditch!”
“Certo,
non li
salterebbe neanche se gli avessero staccato un braccio”.
Quella
di Scorpius non
era un’esagerazione. Il Quidditch era la grande passione di
Albus, che aveva sviluppato
con gli anni prima nella teoria, grazie anche alla madre giocatrice, e
poi con
la pratica, quando suo padre lo fece volare con la scopa per la prima
volta.
Volo anche quando, a otto anni, gli venne il vaiolo di drago e,
annoiato,
voleva fare un giretto nel boschetto poco fuori città,
com’era suo solito.
Perciò Alan si sbrigò a mangiare quella mattina,
e corse verso il Campo da Quidditch,
deciso a concludere la discussione iniziata giorni fa sul letto di
Albus.
Quando
arrivò, vide che
qualcuno era già dentro, ed esultò interiormente;
quando si avvicinò a loro, fu
come se una tonnellata di mattoni gli si fosse appena scaricata sopra
la testa
e gli avesse fratturato la mascella, impedendogli così di
chiudere la bocca.
“Che
ci fa lui qui?”
sbraitò Alan verso il capitano della squadra, Richard Nott,
indicando però
l’altro giocatore, che indossava la divisa da Cercatore, ma
che di certo non
era Albus.
“Buongiorno
anche a te,
Miles” esclamò Edward Morrison, fingendo di essere
cordiale.
“Non
sto parlando con
te, quindi vai a rompere il cazzo a qualcun altro!”. Edward
salì sulla scopa e
cominciò a fare dei giri di prova, soprattutto nella zona
sopra i due
giocatori.
“Perché.
Cazzo. Lui. È.
Qui?” ringhiò Alan a muso duro contro Richard, che
sembrava furioso quanto lui.
Entrambi odiavano Morrison per una lunga lista di ragioni: oltre il
pessimo
carattere e lo scarso rendimento sulla scopa (che costò alla
squadra due coppe
perse per un soffio), avevano subito angherie da lui durante il loro
primo
anno. Anche se Edward aveva solo un anno in più, si
permetteva di primeggiare
su chiunque gli fosse leggermente inferiore. Ricordò che fu
una vera gioia per
lui e per Richard cacciarlo dalla squadra l’anno scorso, per
lasciare il posto
ad Albus, che li fece anche vincere.
“Stavo
per farti la
stessa domanda” rispose Richard. “Da te me lo
aspettavo, visti i G.U.F.O. ma
Albus non aveva motivo di mollare la
squadra. Pensa, pur di riaverlo con noi sono dovuto andare da suo
fratello
James a chiedergli di parlargli, e mi ha costretto ad ammettere,
davanti a
decine di Grifondoro, che senza di un Potter non si può
battere un altro
Potter, e…”.
Mentre
parla, Richard
ha il vizio di passeggiare. Perciò guardava Alan mentre
parlava dei G.U.F.O.,
gli dava le spalle mentre lo informava del ritiro di Albus, ed era
intenzionato
a riguardarlo negli occhi mentre parlava di James. Solo che Alan non
era più di
fronte a lui.
Appena
sentita la
parola “mollare”, Alan saltò sulla scopa
e raggiunse Edward, con la seria
intenzione di sperimentare come si possa spappolare un cranio umano con
solo
una spinta data a 15 metri dal suolo e la forza di gravità.
“Che
cosa hai fatto ad
Albus?!” urlò furioso Alan. Edward si
limitò a guardarlo confuso, come se non
sapesse neanche di chi stesse parlando.
“Che
dici, non gli ho
fatto nulla!” esclamò lui sorpreso. “Non
sapevo neanche che aveva lasciato la
squadra”.
“Finiscila
con questa
sceneggiata!”.
Ad
Alan, a pochi
centimetri da Edward, con le scope così vicine e il braccio
destro che gli
tirava la divisa, gli bastava veramente poco per farlo cadere
giù. Dovette far
uso di tutta la sua forza di volontà: strinse le labbra fino
a renderle una
striscia sottile, poi si allontanò da Edward, lasciandolo
libero. In tutto
questo, il ragazzo non si era minimamente scomposto, continuando a
mostrare un
sorriso sfacciatamente cordiale.
Attorno
a loro
incominciarono a spuntare altre scope, e sentirono Richard chiamarli
attorno a
lui. Alan smise di guardare storto Edward e decise di rimandare quel
colloquio
a dopo l’allenamento, così da non creare altri
problemi a Richard.
“Allora,
Capitano, con
cosa iniziamo oggi?” disse Edward, una volta raggiunto
Richard. Alan si accorse
che anche lui voleva attuare il suo stesso esperimento, e che anche lui
dovette
farsi molta violenza per fermarsi.
“Lui
cosa ci fa qui?”
esclamò Helena, Cacciatrice del sesto anno.
“Dov’è Potter?”.
“Albus
ha deciso di
lasciare la squadra momentaneamente, senza darmi una vera
ragione” spiegò Richard
alla squadra.
“Saranno
stati gli
incubi” disse sogghignando Ted.
La
frase di Ted fece
scattare Alan, anche se impercettibilmente: lui dormiva accanto ad
Albus,
quindi non si stupì molto del suo commento, sospettando che
quello a cui avesse
assistito lui non fosse un caso isolato; quello che invece gli faceva
montare
la rabbia dentro era che l’unico a non capire il significato
della sua frase
era stato proprio Edward, che gli indirizzò un occhiolino.
Non
riguardava solo
Edward. Anche altri erano coinvolti.
Durante
gli allenamenti
cercò altri segni d’intesa tra i due, e non solo.
Temeva che più membri della
squadra, per motivi a lui sconosciuti, si fossero coalizzati contro
Albus, e
che lo avessero costretto a cedere il posto a Edward. L’unica
cosa certa era
che la colpa era tutta sua.
Passata
un’oretta, Alan
dovette scartare l’idea dell'alleanza. Edward, con
dell’incredibile, era
riuscito a peggiorare le sue poche capacità di gioco (tipo
andare sulla scopa
senza investire nessuno), e nessuno riusciva a sopportarlo
più.
“Basta,
non c’è la
faccio più, fermiamoci!” gridò
disperato Richard. Edward, con le sue ‘manovre’
era riuscito a disarcionare mezza squadra, col risultato di un
Battitore e due
Cacciatori con qualcosa di rotto.
“Questo
non è un
allenamento, è una strage!” continuò
una volta a terra. “Alan, aiutami a
portare questi vittime di guerra in Infermeria”.
“Non
posso, devo
seguire Edward e…”.
“E
cosa?” lo fermò
Richard. “Dargli la possibilità di farti buttare
fuori dalla squadra?”.
“Tu
conosci Albus,
adora il Quidditch!” esclamò esasperato, come se i
suoi sospetti fossero in
realtà verità inconfutabili. “Di sicuro
lo gli avrà fatto qualcosa. Ascolta”
aggiunse, prima di essere interrotto. “Albus ci sta evitando
come la peste, non
torna nel Dormitorio a dormire se non a notte fonda, e poi esce prima
dell’alba. Gli è successo qualcosa, e Edward se ne
sta approfittando, se non ha
causato tutto lui!”.
Richard
si mise il
braccio di Helena sulle spalle per aiutarla a camminare, e disse:
“Può darsi
che hai ragione ma non hai nessuna prova, dico bene?”. Il
silenzio di Alan gli
bastò come risposta.
Una
volta portati i
compagni di squadra in Infermeria, Alan corse il più
velocemente possibile
verso la Sala Comune dei Serpeverde. Non importava ciò che
diceva Richard, lui
sapeva che era il responsabile del comportamento di Albus, lo sapeva e
basta.
Svoltò in direzione di un arazzo, che nascondeva un
passaggio segreto di solito
deserto.
Già,
di solito.
Oggi
c’era una
coppietta che si stava amorevolmente controllando le tonsille, che fu
fatta
precipitare sul pavimento da Alan, come fossero birilli da bowling.
“Non
lo sai che non si
deve correre così velocemente quando il percorso
è ostruito da qualcosa?” gridò
una voce stridula e saccente, che avrebbe riconosciuto tra mille.
“Rose,
Scorpius!”
Aveva
gentilmente steso
a terra la cugina e il migliore amico di Albus, entrambi suoi amici.
Era felice
che dopo un anno di pene per entrambi, troppo cretini e orgogliosi per
confessare i propri sentimenti, si erano finalmente messi insiemi. Ma
oggi si
trovò a maledire la loro felicità.
Non
tanto perché gli
avevano intralciato la strada verso la vendetta, quanto piuttosto
perché era
geloso del loro rapporto. Che fossero nascosti o in mezzo a un
corridoio, loro
due si baciavano sempre, senza remore. In certi giorni passavano
più tempo a
baciarsi che a parlare; in altri giorni si guardavano negli occhi,
senza dire
nulla. Se iniziasse a fissare Albus senza dire nulla, la gente intorno
a loro lo
prenderebbe per deficiente. Se invece spiegasse il perché
delle sue azioni,
nessuno farebbe i versetti da tenerezza, come per Scorp e Rose: lo
troverebbero
strano, nei migliori dei casi.
Finora
non gli era mai
importato di non mostrare in pubblico il proprio amore per Albus ma, in
questi
giorni in cui non riusciva a stargli vicino, si era reso conto di
quanto gli
mancasse, e di quanto avrebbe voluto buttarlo a terra, nei rari momenti
in cui
lo vedeva in lontananza, e baciarlo fino a perdere fiato. Capiva,
però, che le
preoccupazioni di Al sulla loro relazione non erano infondate. Non le
sentiva,
ma le capiva.
“Perché
corri così?”
chiese Scorpius, una volta in piedi.
“Albus
ha lasciato la
squadra” disse secco.
“CHE
COSA?!” gridarono
entrambi, sconvolti.
“E
il nuovo cercatore è
Edward Morrison” aggiunse Alan. Rose non lo conosceva ma
Scorpius sì.
“Quel
bastardo figlio
di puttana!” gridò furioso.
“È lui il responsabile del comportamento di
Albus!”.
“Quindi
non parla
neanche con te?” chiese Rose ad Alan, triste e consapevole
della situazione.
“Già,
e sono sicuro che
la colpa sia di Edward, per questo correvo, volevo
cercarlo...”.
“E
legarlo a una sedia
per interrogarlo?”.
Tutt’e
tre si girarono
verso la fonte di quella voce: James, dall’altra parte del
passaggio, stava
trascinando una sedia, con sopra Edward legato stretto e con il volto
pallido e
sudato.
“James,
ti rendi conto
di quello che hai fatto?” gridò Rose terrorizzata.
“Hai esagerato, devi pensare
prima di fare una cosa del genere e…”.
Rose
si fermò, perché
si accorse che James le stava facendo il verso, mettendo un braccio sui
fianchi
e ondeggiando l’altro come a volte, e anche adesso, faceva.
“Hai
finito?” chiese
Rose seccata.
“Eri
molto più
divertente, prima dell’incidente” disse James
mettendo un finto broncio.
“Che
incidente?”
chiesero contemporaneamente Alan e Scorpius. Rose mosse una mano come a
dire
‘dopo’, e James imitò anche quello.
“Quando
la finirai?”
sospirò lei esasperata.
“Quando
la tua reazione
non mi farà più ridere” rispose James.
“Ma basta parlare tra di noi,
coinvolgiamo anche il nostro ospite”. E così
dicendo mise Edward in modo che
fosse completamente circondato.
“Allora,
un serpentello
è venuto a dirmi che mio fratello ha deciso di lasciare la
squadra, e un
uccellino mi ha detto che tu lo sapevi già prima che quel
serpentello te lo
dicesse”.
Edward
diventava parola
dopo parola più pallido, non guardava negli occhi nessuno ed
era notevolmente
spaventato.
“Ora,
a meno che tu non
sia un veggente, io credo che tu centri qualcosa con la decisione di
mio
fratello, e così?”
“N-non
so di cosa stai
parlando, l-lo giuro” balbettò Edward appena James
finì di parlare.
“So
per certo che Ted
sta mettendo in giro voci su Albus, e che tu sai che la notte non dorme
per gli
incubi, osi negarlo?”.
“G-giuro”
ripeté
Edward, sempre più terrorizzato. “N-non ne so
niente”.
James
sospirò
teatralmente, e uscì dalla sua tracolla qualcosa incartato
in una busta viola e
con tre W arancioni.
“Qui
dentro c’è una
Merendina Marinare, conosci i suoi effetti?”. Non lo fece
rispondere, e
continuò all’istante a parlare: “ Potrei
fartene assaggiare un pezzetto, e poi
dimenticarti qua senza darti l’antidoto, se non dirai la
verità”.
“Non
lo farai” esclamò
forte, tremando vistosamente.
“Se
non lo fa lui, lo
farò io” disse Alan, fissandolo intensamente.
Edward smise di tremare ma non
perché si era tranquillizzato: lo sguardo di Alan lo aveva
pietrificato.
“Va
bene, lo ammetto,
l’ho convinto io” sussurrò Edward.
“Come?”
chiese James.
“Con cosa lo hai minacciato?”.
“Ho
paura a dirlo”
rispose Edward, tornando a tremare e girando il volto verso Alan.
“Ho paura
della tua reazione”.
“Preoccupati
di più a
non rispondere” gli disse Alan. Vide Edward prendere un
grosso respiro, prima
di parlare.
“L’ho
convinto
minacciandolo di far sapere a tutti della vostra storia”.
Silenzio.
“Come,
scusa?” domandò
James, leggermente scioccato.
“Quando
ci hai visto?”
disse subito Alan, ignorando i ragazzi attorno a lui, e così
fece anche Edward.
Era un discorso solo fra loro.
“Dopo
un allenamento,
volevo farvi uno scherzo, e vi ho visto baciarvi”.
“Perché
non mi ha
risposto?” disse James seccato. Capitelo, non gli piace
quando non ricevere
attenzioni da tutte le persone in una stanza, figuriamoci
quand’è completamente
ignorato.
“E
che hai fatto?”
chiese Alan, ignorando di nuovo James.
“Ho
detto a Potter che
avrei spifferato a tutti di voi due se non avesse lasciato la squadra.
Non mi
ha più detto nulla, ma Ted è venuto a dirmi che
aveva cominciato ad avere
incubi quasi ogni notte, e che se n’era accorto solo lui. Ho
convinto Ted ad
aiutarmi, facendogli dire cose come: ‘fai schifo’,
‘vergognati’ o ‘non voglio
dormire in stanza con te’, e ha cominciato ad andare in giro
da solo. Ted ha
esagerato e ha incominciato a dire in giro di voi ad altri ma vista la
sua fama
da pallonaro nessuno gli ha creduto, e la notizia non si è
diffusa. Ieri è
venuto da me accettando il patto, a condizione di lasciare in pace
te”.
Alan
finalmente vide
tutte le sue informazioni unirsi in un’unica, grande
verità. Gli incubi erano
una conseguenza dello stress che le minacce di Edward gli avevano
provocato:
non voleva coinvolgere nessuno, soprattutto lui, e aveva deciso di
isolarsi,
per capire cosa fare. Nel frattempo, Ted gli abbassava il molare fino a
fargli
perdere la poca autostima che aveva, confermando tutte le sue paure su
un
possibile coming out.
Poi
aveva deciso di
rinunciare alla sua più grande passione, solo per evitare
che anche lui
passasse i suoi stessi travagli interiori.
“Perché
non ci ha detto
nulla?” chiese Scorpius, una volta metabolizzate tutte le
informazioni.
“Ha
sempre avuto paura
delle vostre reazioni, e Ted lo avrà convinto che aveva
ragione”.
“Perché
a te ha
risposto e a me n- ahi!” esclamò James, che si
strofinò il braccio dove Rose,
stizzita, lo aveva colpito.
“Siete
dei testoni,
come potremmo mai odiarvi solo perché vi amate”
disse Rose, abbracciando
teneramente Alan. Non distribuisce abbracci a chiunque, ma quando
decide di
stringerti, sa farti tornare il sorriso all’istante.
“Non
è detto che sia
amore, magari è solo sesso” disse scherzando
James, ricevendo una bella
linguaccia da Rose.
“Non
rovinare questo
momento!” replicò Scorpius, sereno, ora che
conosceva la verità.
“L’unica
cosa che manca
in questo momento è Albus” s’intromise
Alan.
“Giusto,
andiamo a
prenderlo!” esclamò James, e tutti uscirono dal
passaggio segreto, dirigendosi
verso la Sala Grande.
“Ok,
però prima
liberatemi” disse Edward ai ragazzi, che non diedero segno di
averlo sentito.
“Ragazzi?”.
I
quattro camminavano
allegri per i corridoi della scuola, senza preoccupazioni al mondo.
Solo Alan,
a un certo punto, si rese conto di un problema ancora irrisolto.
“Ma
ora come lo
troviamo Al per spiegargli tutto?”.
James
stava per
rispondergli, quando un urlo riecheggiò dal fondo del
corridoio. Corsero
a vedere cosa stava succedendo e
trovarono Lysander Scamandro che teneva fra le braccia Lily Potter in
preda
alle convulsioni.
“È
successo all’improvviso,
non so che cos’ha!” urlò Lysander. James
liberò Lily dalle sue braccia e la
lasciò in piedi in mezzo al corridoio, restando comunque
vicino.
“Che
fai, dobbiamo
portarla da Madama Chips!” esclamò Alan.
Prima
che succedesse
qualcos’altro, Lily aprì gli occhi, mostrando solo
il bianco, e cominciò a
parlare ma non con la sua voce dolce di sempre. Parlò con
una voce profonda e
spettrale, come se arrivasse direttamente
dall’aldilà:
“Il giovane insicuro ha scelto la sua strada,
anche
se questa a lui non aggrada,
il
suo grave peso cadrà in giù
e
lì porrà un Albus in più”
Finito
di parlare, Lily
perse i sensi, finendo tra le braccia di James, preparato ad
afferrarla. Rose
si avvicinò a lei per vedere le sue condizioni, mentre
Lysander, Scorpius e
Alan erano troppo sconvolti e confusi per fare qualsivoglia movimento
“Che
cosa è appena successo?”
chiese Scorpius molto confuso.
“Ragioniamo
su quello
che ha detto Lily” disse Rose seria in faccia, cominciando ad
andare avanti e
indietro davanti a loro.
“Io
vorrei parlare del
perché l’ha detto, e come ha fatto”
esclamò Alan, forse quello che si era
ripreso più in fretta: quello che avevano visto era
impressionante ma la cosa
che veramente lo spaventava era che parlava di Albus.
“Lily
è una Veggente”
disse tranquillamente James, come se fosse un fatto di poca importanza.
“Perché
la vostra
famiglia è piena di segreti?” chiese Scorpius.
“Tu hai avuto un incidente
misterioso, Lily vede il futuro e Albus è gay!”.
“Albus
è gay?!” esclamò
scioccato Lysander.
“BASTA!”
urlò Rose.
Tutti si bloccarono di nuovo, pietrificati dal suo sguardo infiammato.
Lei
riprese a camminare, mentre parlottava fra sé e
sé.
“Lily
ha parlato di una
strada che non gli piace, quindi una scelta che è stato
spinto a prendere”.
Continuò a bisbigliare qualcosa, poi disse:
“Farà qualcosa che distruggerà le
sue preoccupazioni, che sono i pesi, ma non capisco che centri
Silente…”.
“Andrà
anche lui sulle
figurine delle Cioccorane?” disse James, e ricevette un coro
di ‘ssshh!’ da
tutti i presenti.
“Forse
i pesi sono
qualcosa di fisico, e li sta portando alla tomba di Silente”
suggerì Scorpius,
ma il suo tono di voce esprimeva molti dubbi.
“Non
sulla sua tomba…”.
Tutti
fissavano Alan,
aspettando che continuasse a parlare ma non ci riuscì. Le
sue labbra
cominciarono a tremare forte, impedendogli di emettere qualunque suono.
Era
terrorizzato dalla sua idea, e voleva togliersela dalla stessa, per
paura di
ricevere delle conferme.
“Silente
è morto sulla
Torre di Astronomia… cadendo giù”.
Tutti
i presenti
sospirarono orripilati. James lasciò delicatamente a terra
Lily, e prese a
urlare istericamente.
“Rose,
Lysander,
portate Lily in Infermeria!”. Poi indicò Scorpius
e Alan: “Noi andiamo a
salvarlo!”.
E
presero a correre,
come mai avevano fatto in vita loro. Anche Scorpius, il meno atletico
dei tre,
filava veloce come il vento, sorpassando tutti quelli che si trovavano
in mezzo
a loro, pensando a tutto, tranne che alla domanda che gravava sulle
loro
spalle.
E
se era troppo tardi?
Alan
arrivò in cima
alle scale della Torre prima degli altri. Guardava quella porta come se
potesse
saltargli addosso all’improvviso, e divorarlo lentamente,
gustandosi la sua
carne e il suo dolore.
Non
voleva aprire la
porta e non vedere Albus. Non voleva affacciarsi dal balcone e vedere
una
sagoma a metri di distanza.
Non
lo voleva vedere
morto.
Sentì
avvicinare gli
altri, e prese abbastanza coraggio da girare la maniglia.
Albus
era lì, seduto
sul cornicione, e sarebbe bastato un soffio di vento poco
più forte a farlo
cadere.
“Albus,
ti prego non ti
buttare!” urlò James terrorizzato. Il suo corpo
era pronto a slanciarsi verso
di lui ma si fermò, non volendo agitare il fratello.
“Albus,
ascolta,
sappiamo tutto e ne siamo felicissimi, dico davvero, non devi
preoccuparti”
esclamò Scorpius con voce roca e lacrimosa.
Alan
divenne
improvvisamente calmo. Se si concentrava, riusciva a sentire
perfettamente i
battiti del suo cuore; il mondo attorno a lui si fece più
lento; le parole
salirono alla bocca come fossero una preghiera antica, che parla non di
un
singolo ma di tutta l’umanità.
“Hai
paura, lo so. Sei
confuso e ti senti solo, in questo momento. Sappi però che
tutto questo è
passeggero. Nessun dolore è eterno, io lo so. Non sono
così triste dalla morte
dei miei genitori ma ho superato anche quella. E questo
perché ho trovato quel
calore che credevo impossibile da ritrovare. So che ci vorrà
molto prima che tu
riesca a rendertene conto, ma con noi, tutti noi, riuscirai a farcela.
L’importante
è che tu non torni a isolarti, perché quella
è la cosa peggiore. La cosa buffa
è che succede spesso: allontaniamo gli altri quando invece
ne avremmo più
bisogno. Pensiamo che non vogliano sapere dei nostri problemi, che sono
solo un
peso, e invece ci ascoltano con piacere. Perché questo?
Perché sopportano i
loro e i nostri problemi?”.
“Perché
ci amano, ecco perché.
E se ti chiedi se qualcuno ti ama, in questo mondo, sappi che io ti
amerò per
sempre, anche a costo di costringerti a farti amare”.
La
cosa assurda di quel
discorso, che sembrava scritto da uno scrittore, lo aveva appena
creato, e l’emozione
aveva cancellato dalla sua mente ogni singola parola, rendendo unico e
speciale
questo momento.
“Anch’io”.
Era
solo un sussurro,
che sarebbe stato portato via dal vento se solo ci fosse stato. Eppure,
ad Alan
quelle due parole arrivarono forti, come se fossero state urlate
nell’orecchio.
“È
la cosa più
romantica che abbia mai visto” piagnucolò James,
asciugandosi delle lacrime di
commozione. Anche Scorpius aveva iniziato a piangere, ma faceva di
tutto per
non mostrarlo.
“Che
ne dici allora di
venire qua?” chiese Alan, non ancora tranquillo.
“Non
posso” disse
Albus, mentre gli altri rimanevano in ascolto, ansiosi.
“Sono
seduto qui da
dodici ore, sono terrorizzato dall’idea di cadere”.
E
nonostante la
delicatezza del momento, tutti quanti (incluso Albus) scoppiarono a
ridere dopo
quella dichiarazione. Fu una risata liberatoria, che pose la parola
‘fine’ a
quella brutta storia, e che dava spazio a un nuovo capitolo per le loro
vite,
da scrivere alla luce del sole.
Fine
Aspettate…
Manca
un piccolo
particolare.
Dopo
che aiutarono
Albus, con calma e senza movimenti bruschi, a scendere dal cornicione,
decisero
di portarlo nelle cucine per fargli bere della cioccolata calda. Una
folla di
curiosi, però, ostruiva il passaggio, attirati da una voce
furiosa e una
terribilmente spaventata.
James
si avvicinò a un
suo amico Grifondoro e gli chiese: “Che succede?”.
“Guarda
chi è venuto a
trovarvi” gli disse ridendo sotto i baffi. James
allungò il collo per vedere chi
ci fosse, e la scena che si ritrovò davanti agli occhi lo
traumatizzò per il
resto della sua vita.
Harry
Potter, suo padre
aveva preso per il colletto un Prefetto dei Tassorosso. Continuava a
urlargli
che se ne infischiava del regolamento scolastico, che non aveva bisogno
di
nessun invito del preside e che, testuali parole: “Se posso
distruggere un
Signore Oscuro, allora posso di certo entrare a Hogwarts se si tratta
della
vita di mio figlio!”.
Sarebbe
stato un
discorso spaventoso… se non avesse indosso una vestaglia
aperta, con sotto solo
i boxer, e le pantofole a forma di gufo che gli aveva regalato lo zio
Ron.
“Oddio!”
sussurrò
Albus. “La lettera”.
Tutti
lo guardarono per
incitarlo a continuare, soprattutto James.
“Ero
abbastanza certo
di, beh, lo sapete, e mi sembrava giusto informare tutti del
perché delle mie
azioni”.
“Solo,
se avessi saputo
che sarebbe andata così, non lo avrei fatto”.
“Di
scrivere la
lettera?” gli chiese Alan.
“No,
di non buttarmi”.
Fine
(quella
vera)
Il
“vero finale” è
dedicato a mia sorella, che ci teneva a far sclerare il povero Harry.