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Autore: ___Ace    11/10/2015    5 recensioni
Germania, 1945.
L’M4 Sherman era una specie di leggenda, tanto quanto il Sergente Eustass Capitano Kidd, il genere di americano con i contro coglioni dicevano molti. Aveva combattuto in Africa, in Norvegia e, in quel periodo, in Germania, continuando ad essere un grandissimo stronzo intrattabile e incontentabile, ma sempre un guerriero rispettato.
Ovvio che un giovane intelligente e attento come Trafalgar Law ne avesse sentito parlare, infatti non aveva avuto problemi a trovarlo, obbligandosi ad avanzare passo dopo passo verso la sua rovina.
Lui non si era arruolato per quel genere di cose, dannazione. Aveva fatto domanda ed era stato accettato come medico del campo, invece cosa avevano fatto quei bastardi? Lo avevano scaricato alla prima occasione e solo perché all’Intoccabile Eustass Kidd serviva un altro uomo dal grilletto facile. Lui non aveva mai tenuto in mano una pistola, figuriamoci se sapeva sparare.
“E questa mezza sega chi sarebbe?”
Era solo l’inizio, se lo sentiva nelle viscere.
Genere: Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass, Kidd, Killer, Trafalgar, Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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RED FURY
III.
 

Si erano rimessi in marcia con un coro di dissensi da parte di tutti dopo appena tre giorni dalla presa di Essen, giusto il tempo che aveva impiegato il convoglio di Newgate per arrivare, mettere ai ferri i prigionieri, interrogarli, spedirli al patibolo e stilare un piano per mandare avanti baracca e burattini.
La guerra era agli sgoccioli ormai, la pressione era alta, ma c’erano buone speranze di riuscita e l’ultima tappa era prevista ad un paio di giorni di cammino, ad un particolare incrocio di due strade dimenticate da Dio. Alcuni dei loro uomini in ricognizione erano riusciti ad avvisarli di una squadriglia di nazisti che sarebbe passata da quelle parti e il loro obbiettivo era intercettarli, sbarrare loro la strada, farli saltare in aria e aspettare che le alte sfere dichiarassero conclusa la partita, rimandando tutti a casa congedati con onore per il servizio svolto.
Sarebbe stato un sogno che si realizzava per molti dei soldati.
Peccato, però, che c’era ancora tempo prima che ciò accadesse e Kidd avrebbe dovuto starsene buono a sopportare i suoi compagni fino alla fine, giusto per essere poetici.
Li aveva minacciati tutti, Trafalgar compreso, di tenere il becco chiuso e di non fare commenti, considerati anche i loro vecchi trascorsi. Fortunatamente, conosceva qualche storiella interessante su Ace, Killer e Wire, perciò li aveva in pugno. Un altro paio di maniche era il novellino, ma confidava che si vergognasse troppo per farne parola con qualcuno. Certo, le frecciatine velate e maliziose all’interno del Red Fury non poteva evitarle, ma all’esterno era al sicuro e sarebbe potuto stare tranquillo.
“Ti abbiamo cercato tutta la notte, novellino.” Stava dicendo Wire con un tono cantilenante, con in sottofondo le risate di Ace. “C’era questa bella ragazza, un po’ troietta, ma non male, che volevamo presentarti. Sai, per farti diventare uomo.”
Le risatine sommesse irritarono ulteriormente Law, il quale si crogiolava in uno stato di malumore continuo da quanto lo avevano beccato a letto con Kidd e a nulla erano valse le minacce di vivisezionarli vivi, uno alla volta.
Chiuse gli occhi, contando fino a dieci per trovare la calma e la forza di ignorarli, facendo finta che non esistessero e provando a concentrarsi su altro, come, ad esempio, la sua famiglia che lo attendeva a casa, i suoi amici d’infanzia, il suo cane, cose smielate insomma, giusto per addolcirsi un po’ la pillola.
“L’abbiamo avuta di più per noi, ma volevamo condividerla anche con te. Siamo compagni d’armi, dopotutto!” aveva appena aggiunto Killer e Law si chiese come mai avesse iniziato a chiacchierare tanto quando, all’inizio, se ne stava sempre in silenzio. Quasi rimpiangeva quei momenti, quando non si erano ancora presi tutta quella confidenza con lui. Forse aveva sbagliato a dimostrarsi tanto ben disposto a subire, senza mai ribattere. Magari, se avesse sbottato male, avrebbe dato un segnale di avviso e avrebbero smesso di prenderlo di mira in quel modo. A Kidd, infatti, rivolgevano solo poche parole, nulla di più.
Riflettendoci meglio, il moro decise di fare un tentativo, iniziando dalla preda più facile che, anche se dava mostra di una mentalità disturbata, secondo il suo parere era la persona più semplice di tutte, solo molto infantile.
“Giusto per curiosità,” mormorò, abbastanza forte da zittire gli altri e attirare l’attenzione su di sé, “Avete condiviso le grazie di quella poveretta anche con Ace?”
Ottenne tre punti a suo favore e la cosa bastò a fargli tornare il buonumore. Primo fra tutti non gli sfuggì il ghigno malcelato di Eustass-ya che, anche se stava impartendo ordini via radio agli altri carri, aveva capito subito dove voleva andare a parare Law e aveva ben apprezzato quel contraccolpo. Soddisfacenti erano state invece le facce di Killer e Wire, accigliati dalla domanda, mentre l’espressione più bella era stata quella di Ace, sbiancato come un lenzuolo e immobile al suo posto come se tutta l’aria gli fosse stata tolta dai polmoni.
“Adesso che mi ci fai pensare,” disse Wire, “Era sparito anche lui.”
“Ehi, Ace, dove sei stato?” domandò innocentemente Killer, voltandosi verso l’amico e aspettando una risposta senza sospettare cosa si nascondesse dentro la testa del caricatore.
“Già, Ace, tu dov’eri?” anche Kidd si stava riprendendo una rivincita e il balbettare impreciso del ragazzo lo ripagò di tutte le frecciatine subite fino ad allora.
“Ero nei dintorni.” spiegò Ace, gesticolando con le mani, “Sono stato con gli altri gruppi anche.”
“Pure con gli uomini del Sergente Phoenix?” rincarò la dose Trafalgar, mostrando senza paura il sorriso beffardo che ormai aveva sulle labbra e lasciando capire al corvino che aveva capito tutto e che non avrebbe creduto ad altre balle.
Ace lo fulminò con lo sguardo, costringendosi a continuare quella recita e ripromettendosi di fare un bel discorsetto al novellino. Non esisteva che potesse anche solo pensare di averlo fregato.
“Si, li ho visti.” sbottò scocciato, “E ora pensate ai cazzi vostri.”
“Wow, qualcuno si è svegliato male.” commentò Wire, alzando gli occhi al cielo e tornando ad osservare la strada.
Sembrò che per quel momento le chiacchiere fossero finite, così Law poté rilassarsi e Kidd tornò a concentrarsi pienamente sulla discussione che stava avendo con Apoo via radio senza preoccuparsi dei suoi mocciosi indisciplinati.
A quanto pareva, il carro armato di Monkey aveva sbagliato strada perché il caricatore e il pilota si erano scambiati i posti ed erano perciò finiti fuori pista.
“Ma il copilota non li ha avvisati dell’errore?” domandò il rosso, facendo mente locale della squadriglia di Monkey per avere presente chi fossero i due individui in questione. Se non sbagliava, il caricatore doveva essere un certo Roronoa Zoro, un veterano pure bravo nel suo mestiere, mentre l’altro gli pareva si chiamasse Kuroashi Sanji. Di lui aveva sentito parlare solo per la sua dote in cucina.
“Certo che si, ma quel Roronoa al posto di andare a sinistra ha girato a destra.” spiegò Apoo, ridacchiando.
“Hanno lasciato guidare uno che non sa distinguere le direzioni di base?”
“Che vuoi che ti dica, sono sempre stati un po’ strani quelli lì.”
“E si sono scambiati di posto per quale ragione?” chiese il rosso, anche se non era poi tanto sicuro di voler sapere la risposta.
“Una scommessa. Volevano vedere chi era in grado di fare meglio il lavoro dell’altro.”
“Sono degli idioti.”
“Io te l’avevo detto.”
“Non darti troppe arie adesso, non sei tanto meglio di loro. Fai marcia indietro e valli a recuperare. Ci aggiorniamo più tardi per la posizione.”
“Perché dobbiamo andare noi?” si lamentò il comandante di Fox-trot dall’altro capo della linea, anche se il suo pilota si stava già preparando per fare marcia indietro.
“Perché il Sergente Phoenix non è uno stupido e preferisco avere lui come secondo, piuttosto che dei rammolliti. Ora basta lamentele e sbrigatevi, passo e chiudo.”
In poche parole, avrebbero dovuto procedere in due per un tratto di strada. Non era una buona cosa, ma il carro armato Sunny andava recuperato, non potevano di certo permettere a quegli scellerati di gironzolare per quelle terre da soli e senza un altro gruppo a coprirgli le spalle. Se fossero incappati in qualche Tiger super corazzato e a prova di missili non avrebbero avuto nessuna speranza di uscirne vivi.
Perciò si rassegnò, il Sergente Eustass, all’evidenza e, una volta che Fox-trot ebbe invertito la marcia, Blue Flame affiancò Red Fury e continuarono la loro avanzata come da programma, smettendola con le chiacchiere inutili e cercando di fare più strada possibile per raggiungere in fretta l’incrocio concordato, l’ultima missione prima di venire richiamati alla base.
Avevano tutti voglia di tornare a casa, per quello avevano macinato kilometri su kilometri tutto il giorno, superando boscaglie, colline, terreni fangosi e sentieri scoscesi, il tutto nella tranquillità più assoluta e senza alcun imprevisto.
Ovviamente, i Sergenti si aspettavano ogni sorta di imboscata dietro ogni angolo, compresi i soldati, ma si ritrovarono a dover essere sinceri con se stessi nell’ammettere che l’intoppo di un carro corazzato nazista non lo avevano messo in conto, ecco perché, quando il primo razzo fece saltare un cingolo di Blue Flame tutti si misero in allerta.
“Da dove cazzo è spuntato?” urlò Kidd, chiudendo lo sportello e mettendosi al posto di comando, mentre Killer direzionava la torretta e Ace si preparava a caricare.
“Non lo, cazzo! Non lo so! Ha sparato all’improvviso!” rispose Wire, agitato e teso. Doveva muovere Red Fury e metterlo in prima linea per dare il tempo agli altri di trovare un piano alternativo e rispondere al fuoco anche da fermi. Ovviamente sarebbero stati loro l’obbiettivo principale, essendo già stati colpiti, ma se c’era qualcosa che potevano fare per aiutarli l’avrebbero fatto.
“E’ lì, mimetizzato tra le piante!” disse ad un tratto Trafalgar, il quale non aveva perso tempo a porsi tante domande e aveva subito afferrato la mitragliatrice, cercando il punto esatto dove quei bastardi si erano nascosti. Li avevano colpiti frontalmente, perciò potevano essere solo davanti a loro, da qualche parte. Poi aveva notato le piante muoversi in modo troppo strano e aveva intuito che non doveva essere stato il vento a spostare in quella maniera un ramo, perciò aveva ipotizzato che dovesse trattarsi per forza di qualche tecnica mimetica per coglierli di sorpresa.
E ci erano riusciti, quegli stronzi.
Vide i ragazzi sporgersi in avanti, ognuno guardando all’esterno dai piccoli finestrini che avevano più vicini a loro.
“Eh, e bravo novellino.” fece Wire, annuendo tra sé.
Intanto Killer prendeva la mira, avvisando Ace di tenersi pronto con le cariche e informandolo che gliene sarebbero servite tante.
“Siamo un po’ a secco di quelle grosse.” avvisò il corvino, contando le munizioni e facendo una faccia preoccupata. Avevano fatto un bel casino ad Essen e per far sfondare i muri degli edifici avevano usato le cariche più potenti. Avevano tenuto con sé missili di piccolo calibro, granate e pallottole varie, ma la roba pesante ce l’aveva caricata il Blue Flame sul retro assieme alle scorte di cibo.
Fu in quel momento che ad Ace venne l’idea più suicida che avesse mai avuto.
Mollò tutto giusto quando la prima bestemmia uscì dalla bocca di Kidd, avvisando tutti che sarebbe andato a prenderle.
“Sei pazzo? Un colpo di quelli e salti in aria.” gli ricordò Killer, bloccandolo per un polso. “Spareranno ad ogni cosa!”
“Lo so, ma i fuochi d’artificio li vedremo in ogni caso se finiamo le munizioni e quelle che abbiamo per sfondare la corazzata non basteranno!”
“Ace, non fare cazzate!”
“Chiudi la bocca Wire!”
“Piantatela!” sbottò il rosso, passandosi una mano sul volto teso, chiaro segno che era in contrasto con se stesso e con le sue idee. Da una parte voleva spaccare le gambe al corvino per impedirgli di uscire dal carro, ma dall’altra sapeva che non ce l’avrebbero mai fatta altrimenti. Almeno, non senza tanta difficoltà e gli uomini del Sergente Phoenix erano parecchio incasinati.
Diede un pugno alla parete del carro, maledicendo i coglioni a bordo del Sunny e pure quel deficiente di Apoo che, quando serviva, non c’era mai. Pazienza che gli avesse ordinato lui stesso di andarsene.
“Ace, hai cinque minuti. Se non riesci a recuperare nulla, torni immediatamente qui, chiaro?” disse serio, guardando il ragazzo negli occhi in modo da essere sicuro che il suo ordine arrivasse al cervello di quel pazzo scatenato.
Lo vide sorridere ampiamente, entusiasta di poter fare qualcosa di utile e fu con un sospiro e un velo di preoccupazione nello sguardo che lo lasciò uscire di soppiatto dallo sportello posizionato sul fondo del carro, dietro al sedile del pilota.
“Fa attenzione.” fu l’ultima cosa che gli disse prima che strisciasse sull’erba, scomparendo dalla loro visuale e lasciandoli col fiato sospeso.
Non perse tempo ad avvisare il Blue Flame dell’arrivo di Ace, dando loro le coordinate della posizione del carro nazista e assicurandosi fuoco di copertura fino al ritorno del loro compagno.
Sperava solo nella fortuna sfacciata che il ragazzo aveva sempre avuto dalla sua parte.
 
*
 
“Sta arrivando Portgas, riuscite a preparargli le munizioni di grosso calibro?”
Il Sergente Phoenix strinse spasmodicamente la ricetrasmittente e si impose di mantenere la calma, rispondendo con una fredda e calcolata risposta, il minimo indispensabile per tranquillizzare Eustass e chiudere la conversazione per concentrarsi sul resto.
Cosa diavolo era saltato in mente a quell’idiota? Uscire durante uno scontro a fuoco aperto, perché i bastardi dei tedeschi avevano ripreso a bombardarli, solo per rifornirsi di munizioni. Razza di incosciente e testardo!
“Thatch, dove hai messo gli XXL?” domandò, alzando la voce per farsi sentire da sopra le esplosioni che cadevano tutt’attorno ai due carri, mancando fortunatamente il bersaglio, ma rendendo sicuramente difficile ad Ace la traversata.
L’uomo che ricopriva il ruolo di cannoniere si voltò a guardarlo, corrugando la fronte mentre faceva mente locale e illuminandosi poco dopo. “Stanno fuori, giusto davanti la cassa con i mitra. Perché?”
“Perché Ace sta venendo a prenderli.” ringhiò Marco, scendendo dalla sua postazione e andando ad aprire lo sportello dietro al carro senza uscire da sopra. Fortuna che il loro meccanico di fiducia si era inventato la geniale idea degli sportelli multipli, altrimenti sarebbe stato un suicidio con una sola uscita.
“Ma è fuori di testa?” gridò Thatch, perdendo quasi il controllo sulla torretta e rischiando di sparare un colpo sul terreno davanti al carro.
Il Sergente Phoenix ignorò tutto il resto, ordinando di continuare a sparare nella direzione che Red Fury gli aveva indicato e sbrigandosi ad uscire sul retro, prendendosi per tempo e preparando il maggior numero possibile di munizioni, facilitando in quel modo il lavoro a Ace.
I colpi che continuavano a cadere affianco a lui e sopra la sua testa non lo rendevano affatto tranquillo ed era sempre più preoccupato mano a mano che i minuti passavano, non vedendo arrivare nessuno. Aveva preparato le armi e stava aspettando, quando decise di dare una sbirciata a quello che stava succedendo fuori. Così si sporse un pochino da un lato, vedendo il carro armato di Eustass avanzare sicuro di qualche metro per avere una mira più precisa, mentre il Tiger nazista continuava a bersagliarli.
Trattenne il respirò e si tirò indietro quando un razzo gli passò giusto sotto al naso, andando a schiantarsi ad una decina di metri più avanti, facendogli percepire lo spostamento d’aria e dandogli la sensazione di vuoto e brividi che si provava quando si era appena scampati a morte certa.
“Ehi, tu che ci fai qui?” si sentì domandare, aprendo gli occhi e rendendosi conto di averli chiusi per calmare il respiro, mettendo a fuoco la figura stravolta di Ace che si era issato a bordo del carro, guardandosi attorno e gettandogli continuamente occhiate furtive, controllando che stesse bene.
Gli venne una voglia matta di prenderlo a pugni e spaccargli la faccia, ma si limitò solo a riempirlo di insulti, sconvolgendolo e non fermandosi nemmeno quando lo vide aprire la bocca e spalancare gli occhi, sconcertato da tanta volgarità e boccheggiante per essere rimasto senza parole.
“E se osi anche solo rivolgermi la parola ti isso al posto della bandiera e faccio si che ti centrino in pieno!” concluse con fiatone, dandogli uno spintone per farsi spazio e raccogliere le munizioni da dargli.
“Ma… ma io…” provò a dire il moro, mortificato e sorpreso da tanta rabbia. Perché ogni volta che prendeva l’iniziativa dovevano avercela tutti con lui?
Marco lo fulminò con lo sguardo, zittendolo all’istante. “Non. Una. Parola.” sibilò, piazzandogli tra le braccia una cassa di missili. Con quelli e la buona mira di Killer avrebbero di certo sfondato il Tiger, bastava solo che Ace li avesse riportati in fretta e furia al Red Fury senza esplodere prima.
“E ora tornatene sul carro.” Concluse aspramente il biondo, dandogli le spalle per rientrare dallo sportello senza guardarsi indietro. Peccato che, come aveva avuto modo di capire durante quegli anni, Ace non era un tipo a cui bastava dare una strigliata per sistemare le cose, no. Lui era impulsivo, troppo, e fastidiosamente testardo.
Proprio per quell’aspetto il moro richiamò l’attenzione di Marco. “Si può sapere perché ce l’hai con me adesso? Cosa diavolo ti ho fatto?”
E Marco era troppo nervoso per lasciar correre, quindi si voltò, restando fuori in balia degli spari a rispondere a squarciagola a quelle domande, guardando Ace curvo davanti a lui per non essere a portata di tiro, con l’espressione determinata e concentrata, i capelli scompigliati dal vento, la divisa sporca di terra e le labbra dischiuse per il respiro accelerato.
“Ti sembrava il caso di uscire in mezzo a questo delirio?” si sfogò allora, non risparmiandogli più nulla. “Piovono missili e tu non hai niente di meglio da fare che uscire allo scoperto! Hai così tanta voglia di morire, per caso?”
“Avevamo finito le munizioni e senza non riusciremo mai ad uscirne vivi! E il vostro carro è guasto! Cos’altro avrei potuto fare, secondo te?” rispose piccato Ace. Accidenti, erano in una situazione critica, certi rischi andavano corsi. Era un soldato e lo sapeva; aveva passato anni nell’esercito e aveva imparato che restarsene fermi con le mani in mano non avrebbe portato a nulla. Si doveva morire, prima o poi, per un motivo e per l’altro, perciò tanto valeva farlo combattendo e non nascondendosi. “Dovevo provarci, lo capisci?”
“E tu capisci che è un suicidio? Sei davvero così stupido, Ace?” Marco proprio non riusciva a capirlo. Avrebbero potuto fare retro marcia e affiancarli, così da potersi passare le munizioni con meno rischi. Ci sarebbero state tante altre possibilità da prendere in considerazione ma, ovviamente, Ace aveva scelto quella più pericolosa.
“Senti, non ho tempo da perdere e devo tornare dai miei compagni. Tu vedila un po’ come ti pare, io non so che altro dirti.”
Detto ciò, il moro fece per scendere e tornare da dove era venuto, quando un altro missile andò a schiantarsi a pochi centimetri dall’altro lato del carro, smuovendo il terreno e facendo inclinare il Blue Flame.
Marco afferrò la maniglia dello sportello per non scivolare e riuscì a rimanere a bordo, mentre il carro si rimetteva in posizione una volta che l’impatto fu passato. Riusciva persino a sentire le bestemmie e le maledizioni dei suoi uomini dall’interno.
Poi voltò il capo per assicurarsi che Ace stesse altrettanto bene, ma non lo vide.
“Ace!” lo chiamò, sporgendosi immediatamente oltre il bordo per cercarlo. Doveva essere caduto per terra durante l’impatto. Fortunatamente lo vide a pochi passi da lui, sdraiato su un fianco e intento a massaggiarsi la testa per la botta improvvisa subita.
Lo richiamò più forte, riuscendo a farsi sentire e tirando un sospiro di sollievo nel constatare che era vivo e illeso.
“Forza, torna qui che rientriamo!” gli disse, porgendo una mano verso di lui e incitandolo a sbrigarsi.
Quando i loro occhi si incontrarono, però, capì dal suo sguardo che lui non aveva nessuna intenzione di arrendersi perché voleva a tutti i costi portare a termine la sua missione.
La cassa con le munizioni era volata ad un paio di metri da loro, giusto nel tragitto che il ragazzo doveva fare per tornare al carro, ma anche in un punto scoperto dove i nazisti avrebbero potuto sparare. E, di certo, avevano notato che un soldato era volato fuori da un carro.
Nemmeno il tempo di formulare quel pensiero e due colpi vennero indirizzati giusto verso di Ace, mancandolo per poco e facendolo rannicchiare d’istinto su se stesso per proteggersi.
“Dannazione, Ace! Vieni qui, muoviti!” urlò il biondo, sporgendosi ulteriormente.
“Non posso!” rispose il giovane, mettendosi carponi e cercando la cassa. “Agli altri servono le munizioni!”
“Li contatteremo via radio e gli diremo di retrocedere per recuperarle!”
“No!” ripeté Ace con testardaggine. “Ho detto loro che ce l’avrei fatta, non posso tirarmi indietro!”
“Razza di idiota! Torna qui!”
All’ennesima risposta negativa, Marco si stancò di tutta quella scena. Comprendendo che Ace non si sarebbe mosso di un millimetro senza quello schifo di cassa, decise di prendere in mano la situazione e, recuperato un mitra, giusto per ogni evenienza, saltò giù dal carro e corse a grandi falcate verso le munizioni, superando Ace che lo guardò come se avesse visto un fantasma, e facendo una scivolata sull’erba per abbassarsi e uscire dalla linea del fuoco nemico, rotolando giusto accanto alle munizioni.
Afferrò il manico in ferro posto su un lato ed iniziò a strisciare sul terreno umido per le piogge passate, trascinandosi avanti con un gomito, reggendo anche l’arma e tenendo d’occhio Ace davanti a lui e il combattimento tra i due carri alle sue spalle. Sembrava che il Red Fury avesse deciso di prendere l’iniziativa, avanzando sempre di più e di gran carriera, tenendo occupato il Tiger e continuando a colpirlo con missili di piccolo calibro, senza dargli un attimo di tregua. In quel modo, almeno, Ace e lui avrebbero avuto il tempo di mettersi in salvo.
“Sei diventato matto? Potevano ucciderti!” gli urlò contro il ragazzo quando si trovò a circa un metro da lui.
Quasi scoppiò a ridere Marco, roteando gli occhi al cielo e rispondendogli con parecchio sarcasmo. “Senti da che pulpito!”
Gli piacque parecchio osservare Ace sbattere i pugni a terra con stizza e mettere il broncio e fu un barlume di pace in mezzo a tutto quel caos.
Per quel motivo non si preoccupò più di tanto per se stesso, nonostante il dolore atroce e il fischio assordante che iniziò a ronzargli nelle orecchie quando un missile riuscì a colpirlo, mandando in frantumi la loro speranza di riuscire a portare le munizioni al Red Fury, ormai lontano.
Aprì gli occhi e vide tutto offuscato. Tutt’attorno a lui c’era il fumo e frammenti di terra e metallo che rimbalzavano nell’aria. La mitragliatrice era andata in frantumi, così com’era sicuramente toccato alle ossa delle sue costole, data l’orrenda sensazione di avere il torace in fiamme. Provò a muoversi, ma ottenne solo un’altra scarica di fitte atroci. Forse aveva dirittura gridato per il dolore, ma non riusciva a sentire niente.
Aprì nuovamente le palpebre, sostituendo il buio con la sagoma indistinta di Ace, composta da una macchia nera, probabilmente i suoi capelli, e una più chiara, il viso, riverso su di lui, e la sensazione di essere scosso per le spalle. Gli facevano male anche quelle.
“Marco? Marco? Rispondimi, cazzo!”
Ace non riusciva a bloccare il fremito delle sue mani e del suo corpo, non quando Marco era a terra davanti ai suoi occhi, in un lago di sangue e con il petto squarciato, senza rispondere ai suoi richiami e urlando soltanto tutta la sua sofferenza.
Non poteva vederlo morire. Marco non doveva e non poteva permettersi di morire, non quando aveva fatto tutto quello solo per colpa della sua testardaggine.
“Stringi i denti, ti porto vicino al Blue Flame!” decise sul momento, mettendosi in ginocchio e afferrando il biondo da sotto le ascelle per spostarlo, ottenendo in risultato altre grida.
“Lasciami… qui. Lasciami qui!” comprese tra un urlo e l’altro, ma scosse il capo, reprimendo un moto di tristezza e le lacrime che gli stavano inumidendo gli occhi, continuando ad indietreggiare fino al carro armato, mettendosi dietro ad esso e iniziando a battere una serie di colpi contro la parete per richiamare qualcuno fuori.
Grazie a Dio, uno dei sottoposti del Sergente Phoenix mise fuori la testa dallo sportello, chiamando Marco per capire cosa fosse successo.
“Vista!” strillò Ace, alzando un braccio per farsi individuare, mentre con l’atro si toglieva di dosso la giacca per fermare l’emorragia in corso sul petto di Marco. “Siamo qua! Il Sergente è ferito!”
Non ascoltò cosa rispose il caricatore, ormai li aveva avvisati e finché restavano dietro al Blue Flame erano fuori tiro.
Sperò con tutti se stesso che i ragazzi ce l’avrebbero fatta anche senza di lui e delle munizioni, dato che da lì non si sarebbe più mosso. Doveva badare a Marco; alla sua faccia sempre più pallida; alla sua camicia sempre più rossa a causa del sangue che stava perdendo; al respiro sempre più affannato che aveva e alla sua disperazione che gli stava togliendo tutta l’aria.
“Non morire. Ti prego non provare a morire. Ti prego, ti prego!” sussurrava, premendo la stoffa sul petto e coprendogli il viso con il suo, parlandogli vicinissimo nella speranza di farsi sentire, di tenerlo sveglio e di mantenerlo in vita.
Ne aveva visti tanti di soldati trapassare e nel corso degli anni aveva perso tanti compagni e amici, come Heat ad esempio, ma si era sempre ripetuto che era normale routine, cose da tenere sempre ben presenti senza mai dimenticare che tutti, in guerra, erano dei bersagli. Ogni giorno poteva essere l’ultimo per chiunque e ogni buonanotte poteva essere un addio. Non si sapeva mai quello che sarebbe potuto succedere.
L’idea di perdere Marco, però, gli faceva davvero paura e sentiva che non sarebbe riuscito a sopportarla. Fin da quando si era buttato in mezzo alle mine perché lo aveva visto cadere e restare indietro aveva capito che da quel momento sarebbero stati in qualche modo legati. All’inizio lo aveva fatto perché rappresentava un compagno d’armi in difficoltà e il suo spirito da eroe impulsivo aveva preso il sopravvento. Quando poi era diventato lui la vittima, Marco non aveva battuto ciglio e lo aveva tratto in salvo, portandolo con sé, salvandosi a vicenda. Una volta era bastata affinché entrambi trovassero un ottimo amico, un compagno leale, una persona che ci sarebbe sempre stata, nonostante la differenza d’età, i gradi dell’esercito, i plotoni e tutto il resto.
Marco era suo il suo amico, il suo compagno e quella persona che vedeva come una costante nella sua vita, perciò no, non poteva perderla.
Rivolse gli occhi scuri al cielo, con le lacrime che avevano solcato le guance sporche, bagnandole e lasciandovi delle scie più chiare. Guardò le nuvole grigie, i pochi spiragli di sole e il fumo e la polvere che li circondava, mentre in lontananza i colpi delle cannonate non tacevano. Guardò il cielo e si mise a pregare, sperando che qualche Divinità ascoltasse un amico di Bible.
“Dio, ti prego, aiutaci.”
 
*
 
“Wire, a tavoletta! Assicurati di affiancarlo! Killer, prendi bene la mira e fa il culo a quello stronzo!”
Non vedendo tornare Ace e avendo la brutta, bruttissima sensazione che qualcosa fosse andato storto, il Sergente Eustass aveva deciso di rischiare il tutto e per tutto, avanzando in prima linea, con il Blue Flame a fornirgli un fuoco di copertura, e sparando con insistenza al carro nazista, riuscendo ad aprire una breccia sulla carrozzeria e regalandosi una possibilità di riuscita.
Aveva preso il posto del caricatore per aiutare Killer e ormai mancava poco alla resa dei conti. Erano vicinissimi al Tiger che continuava a tenerli sotto tiro, peccato solo che fosse troppo pesante per superarli in velocità, anche se continuava ad avere un certo vantaggio in fatto di potenza di fuoco.
Quel problema lo risolse Trafalgar senza che nessuno glielo avesse chiesto e facendola in barba a tutti i giudizi negativi che si era beccato da quando era salito a bordo di quel dannato carro.
Non aveva mai smesso di sparare, caricando di continuo la mitraglietta e sostenendo il pilota, ma cercando nel frattempo una qualche soluzione a quel casino in cui si erano andati a cacciare. Perciò, preoccupato per la sorte di Ace che non era più tornato indietro e desideroso di salvare la sua pellaccia e quella di quei poveri diavoli che si ritrovava come compagni, scaricò le ultime pallottole con una precisione invidiabile, non sprecandole come avrebbe fatto chiunque, ma rivolgendole in un particolare punto del Tiger nemico, esattamente verso la postazione del copilota, conscio che non ci sarebbero state corazze o altro per permettere alla mitragliatrice di muoversi liberamente.
Aveva ignorato la richiesta di Wire di mirare altrove e aveva persistito nel suo intento, ghignando come un bastardo quando il nemico aveva cessato per un momento di rispondere al fuoco, segno che aveva fatto fuori il suo copilota rivale.
“Killer, adesso!” ordinò in quell’esatto istante Kidd.
“Arriva!”
Trattennero tutti il respiro, mentre l’ultima munizione pesante che avevano tenuto da parte veniva scagliata contro il Tiger, facendo risuonare nell’area circostante il rumore dell’esplosione, anche se all’interno del Red Fury l’unico suono che tutti avevano nelle orecchie era quello dei loro cuori che sembravano voler saltare fuori dal petto di ognuno.
La torretta nemica esplose, così come la parte superiore della corazza e il motore del carro armato tedesco andò in fiamme, spegnendosi con un sussulto, mentre il fuoco si espanse all’interno e all’esterno, mangiandosi ogni traccia nazista che era in esso.
Il silenziò durò ancora per qualche minuto, mentre fuori tutti si quietava e il fumo scendeva a depositarsi a terra.
Un sospiro carico di sollievo proveniente da Wire ebbe il potere di riscuotere tutti, mentre il pilota si rilassava stremato contro il sedile. “Porca puttana.” esordì con aria sfatta. “Stavolta ce la siamo vista davvero brutta.”
Ancora qualche secondo di silenzio e poi anche gli altri si permisero di rilassarsi, lasciando che la tensione li abbandonasse e rimanendo senza uno straccio di forza in corpo, ma felici di essere ancora tutti interi.
“Wow, è stato…” iniziò a dire Killer, indeciso su come concludere la frase. “E’ stato…”
“Meglio di qualsiasi sbronza.” completò Wire, ricevendo un cenno di assenso.
“E la mira di Law?” aggiunse ancora il cannoniere, scostandosi dagli occhi la frangia bionda che gli si era appiccicata alla fronte per il sudore.
“Una precisione chirurgica direi.” disse a quel punto il Sergente Kidd, rivolgendo un’occhiata più che stupita e grata al diretto interessato, il quale era ancora impegnato a realizzare il fatto che Killer lo avesse chiamato per nome.
Sbatté le palpebre quando Wire gli diede una sonora pacca sulla spalla. “Bravo Doc.” si complimentò sorridente.
Doc?” fece Law, guardandolo stranito.
“Ma certo! Doc, il tuo nuovo soprannome!”
“Tutti ne abbiamo uno.” spiegò il rosso, fissandolo divertito. “Li avrai notati di sicuro. Per esempio, Wire si chiama Bible; Killer è, beh, è Killer; io sono il Capitano e Ace è Flame.” Concluse, anche se dopo le ultime parole una nota preoccupata prese il sopravvento, facendo irrigidire tutti, Trafalgar compreso, il quale aveva intuito tutto, davo che i suoi occhi e quelli di Kidd erano rimasti in contatto fino ad allora, permettendogli di recepire tutta la nuova ondata di tensione che era calata sul Sergente al ricordo del loro compagno rimasto fuori.
“Merda!” mormorarono entrambi all’unisono, facendo scattare in piedi anche Wire e Killer, affrettandosi tutti a mollare ogni altra cosa per precipitarsi fuori dal carro e correre al Blue Flame, setacciando ogni centimetro del campo di battaglia.
Il sapore della vittoria era già scomparso mentre correvano in mezzo all’erba, dividendosi per cercare il ragazzo e chiamandolo a gran voce, ignorando la stanchezza e aumentando la velocità per arrivare prima all’altro carro e chiedere informazioni.
Non sarebbe servita a niente la vittoria se in cambio avessero scoperto di aver perso quel matto di Ace, su ciò erano d’accordo tutti, soprattutto Law che aveva appena realizzato che stare in compagnia di quei soldati non era tanto male; condividere con loro ogni momento della giornata, ogni ricordo, ogni pasto, dolore o gioia che fosse. Pazienza per gli insulti, le incomprensioni e le antipatie, ormai quella era diventata la sua famiglia e lui doveva supportarla, esattamente come loro avevano fatto con lui, accettandolo alla fine tra loro.
Si impose di allungare il passo, stringendo i denti e sperando solo che Ace non se ne fosse andato così presto.
 
*
 
Si era arrangiato come aveva potuto con il minimo indispensabile, accumulando il maggior numero di garze e bende possibile e recuperando tutti i kit di pronto soccorso presenti nei carri armati, giusto per non trovarsi ad intervenire con materiali rustici che avrebbero potuto peggiorare la situazione.
Anche se, ad un’occhiata esperta, e Law era un esperto, c’era poco da salvare.
Non aveva perso tempo quando aveva visto il Sergente Phoenix più morto che vivo tra le braccia di Ace, il loro caricatore scapestrato, ma sano e salvo. Non si era lasciato prendere dalla commozione o dai sentimenti di amicizia e fratellanza che aveva sentito pungere nello stomaco, da qualche parte dentro di lui, e non era corso ad abbracciarlo, come aveva fatto Heat, seguito da Killer, no. Si era concentrato solamente sul militare, affiancandolo e notando che anche Ace non aveva degnato gli altri di uno sguardo, mormorando solamente un’unica e precisa frase, ovvero un ‘Ti prego, fa qualcosa.’
E Law ci stava provando da parecchio. Dove non poteva intervenire aveva piazzato bende e suture di emergenza, fermando tutte le piccole emorragie per focalizzarsi poi unicamente sulla ferita principale, quella più grave.
Dentro di sé, però, sapeva che poteva fare ben poco, almeno finché fossero rimasti in mezzo a un campo, senza una sala operatoria decente e attrezzata al punto giusto. nemmeno lui poteva fare miracoli, per quanto lo avesse desiderato.
Poteva almeno lavorare in pace grazie all’intervento di Kidd, che aveva provvisto a tenere lontani tutti dall’area in cui si era piazzato, impedendo a chiunque di avvicinarsi per guardare, curiosare, disperarsi e distrarlo.
Erano volati persino un paio di cazzotti, tra gli uomini del Blue Flame e quelli del Red Fury. Pure Ace era stato messo al tappeto, trovandosi da solo contro tre, ma a suo favore si poteva dire che aveva lottato come un dannato, impressionando più di qualcuno perché, da quello che Kidd aveva mormorato, pareva non aver sentito dolore quando lo avevano riempito di pugni sia all’addome che al viso. Aveva incassato, spingendo per raggiungerlo e assistere all’operazione disperata che stava compiendo, parlando da solo a vanvera, ma quello era quasi normale come comportamento, e farneticando parole al vento e discorsi su come Marco non se lo meritasse, sul fatto che era lui quello che doveva essere al suo posto, dandosi continuamente delle colpe dettate dalla paura e dal dolore.
Alla fine il Sergente Eustass aveva perso la pazienza e, con un destro più micidiale del solito, lo aveva messo a dormire, probabilmente la cosa migliore che avesse potuto fare.
La faccenda, dunque, era tutta nelle mani di Trafalgar, felice di poter tornare ad operare e a mettere in uso le pratiche che aveva imparato e che amava, anche se avrebbe preferito di gran lunga essere altrove e con le mani dentro al corpo di qualcun altro, non della persona alla quale Ace, di certo, teneva di più.
Doveva, però, dimenticarselo, in modo da lavorare meglio e di rendere stabili i parametri del biondo, almeno fino a quando non sarebbero arrivati i soccorsi.
“Tra quanto saranno qui?” chiese distrattamente all’uomo che sapeva essere alle sue spalle, ma che fino a quel momento aveva rispettato la sua richiesta di rimanere in religioso silenzio, restando solo a portata di orecchio per eventuali bisogni.
Eustass si riscosse, passandosi una mano tra i capelli scarmigliati e scendendo a distendere i nervi del collo. “Un’ora, circa. Due al massimo. Apoo e gli sbandati invece dovrebbero spuntare a breve.” rispose monotono, fissando di sottecchi il lago di sangue in cui il ragazzo moro era immerso.
Lo vide annuire senza sentore nient’altro, continuando nel suo lavoro con maestria, senza fermarsi, senza sbuffare, senza imprecare o pregare, semplicemente con gli occhi fissi sul petto squarciato e su quello che doveva fare.
Kidd si chiese dove trovasse tutta quella calma, quando anche lui non riusciva a mettere a tacere la morsa che gli aveva attanagliato stomaco, pancia e viscere. Non ce la faceva a pensare positivo, non dopo che aveva visto le condizioni di Marco. Salvarlo sarebbe stato solo un miracolo.
Dal canto suo, Law era intenzionato a mettercela tutta e a segnare il suo primo e importante punto contro la Signora in Nero, in barba il destino, la falce e l’oblio.
Si estraniò dal mondo, non accorgendosi nemmeno del ricongiungimento di Foxtrot e Sunny, arrivati nel giro di poco, tornando con i piedi per terra solamente quando si vide affiancato da un gruppo di soldati medici del convoglio di Barbabianca.
Per fortuna, perché sentiva che stava quasi per raggiungere il limite, ma fortunatamente era riuscito a tenere in vita il Sergente Phoenix abbastanza a lungo da concedergli una possibilità. Informò i medici delle sue condizioni, delle ferite, delle operazioni che aveva praticato e si assicurò che tutto fosse in ordine quando lo caricarono su un furgone contraddistinto da una croce rossa sgargiante. Si sentiva un po’ più fiducioso, sapendo che presto lo avrebbero operato d’urgenza con tutto il necessario.
Si diede una veloce ripulita, lavandosi e disinfettandosi le mani prima di salire a bordo e continuare il suo lavoro con un team di esperti.
Una mano gli si posò sulla spalla prima che si avvicinasse al camioncino.
“Ehi.”
Law si voltò a fronteggiare Kidd che, serio in viso e senza traccia della voglia di scherzare o fare dell’ironia, lo ringraziava, a modo suo, tra le righe. “Ben fatto, Doc.”
Il ragazzo scrollò le spalle, schiudendo le labbra in un ghigno che stonava in quel contesto, ma che faceva parte del suo essere. Gli diede le spalle e si affrettò, non prima di aver lasciato la sua risposta.
“Aspetta che sia fuori pericolo, poi ne riparliamo.”
 
*
 
Dovevo esserci io al tuo posto. Dovevo esserci io al tuo posto. Dovevo esserci io al tuo posto.
Non riusciva a pensare ad altro Ace, fissando apatico il furgone dentro al quale era sparito Marco. Non i medici, non Law, non la barella, non il corpo insanguinato coperto da lenzuola, ma Marco e basta.
Si sentiva sempre peggio, non per le ferite superficiali riportate, non per il freddo, non per la fame o il sonno, ma per i sensi di colpa che lo stavano lentamente logorando. Se Marco non ce l’avesse fatta, se fosse morto, lui non…
Basta!
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Non doveva nemmeno lontanamente pensarci a quella probabilità, doveva sperare e pregare quel Dio, amico di Wire, che gli desse una mano. Glielo doveva, sarebbe stata una dimostrazione della sua esistenza e lui avrebbe saputo ringraziarlo a dovere, lo prometteva e lo giurava, ma Marco doveva a tutti i costi stare bene.
Doveva stare bene perché non si meritava una fine del genere, col corpo dilaniato e in quelle condizioni tanto tragiche. Per cosa poi? Per aver voluto a tutti i costi fermarlo e aiutarlo, tenendolo al sicuro, mentre lui aveva praticamente ignorato quei suoi tentativi, continuando a mettersi in pericolo. Se solo fosse stato più attento e meno impulsivo come sempre, a quell’ora nessuno sarebbe in pericolo di vita e quella sensazione di angoscia che gli stava lasciando lo stomaco sottosopra non ci sarebbe stata.
Portò le mani a stringere i capelli. Era stato uno stupido, uno sciocco, infantile come poche volte gli era capitato di essere. Aveva messo in pericolo i suoi compagni, quelli di un altro convoglio e Marco, il quale stava sicuramente lottando tra la vita e la morte a causa sua.
Dovevo esserci io al tuo posto.
E lui non poteva fare altro che starsene con le mani in mano ad aspettare qualcosa che non sapeva nemmeno se sarebbe arrivato.
Si accorse di aver iniziato a piangere solo quando tirò su col naso, strofinandosi subito gli occhi con la manica della divisa, incurante che fosse sporca di terra e che potesse irritargli gli occhi. Tanto non avrebbe potuto stare peggio, si sentiva già come se gli fosse passato sopra un carro armato.
Anche se sembrava perso nei suoi pensieri tanto da essersi estraniato dal mondo, fu il primo ad accorgersi di Law che, spossato, scendeva con calma dal camion, aggrappandosi ad esso come se avesse avuto paura di cadere da un momento all’altro.
In pochi attimi, Ace era davanti a lui e lo sorreggeva tenendolo stretto per le braccia, puntandogli in faccia le sue iridi scure, un silenzioso invito a dirgli tutto senza perdere troppo tempo in sciocchezze.
Law accennò un sorriso stanco, trattenendo uno sbadiglio. Era spossato.
“Calmati.” lo avvisò pacato, tergiversando un pochino. Si sarebbe impegnato a fare lo stronzo e a tenere il compagno sulle spine, ma nello sguardo di Ace leggeva una paura talmente radicata che nemmeno ci riuscì a scherzare. “E’ stabile ora.” soffiò comprensivo, vedendosi ignorare in quell’esatto istante, mentre il corvino saltava sul camion, entrando senza nemmeno chiedere se era il caso e se poteva vederlo. Lo avrebbe fatto anche in caso di risposta negativa, ecco perché il dottore lo lasciò fare, avviandosi verso la tenda che avevano allestito in quelle ore i ragazzi, desideroso solo di potersi riposare un poco.
Non sarebbero ripartiti prima di aver sistemato i feriti, in particolare il Sergente Phoenix, ed era certo che anche i gruppi sarebbero stati riorganizzati perché, se ci aveva visto giusto, e lui non si sbagliava mai, qualcosa gli diceva che sarebbero stati presto a corto di un compagno.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice.
Wooo, domani diluvia, due ff in un giorno, LOL.
Questo, se Dio e tutti i Santi vogliono, sarà il penultimo capitolo. Spero che l’ultimo non arrivi troppo tardi, ma ho buone aspettative e voi non perdete le speranze, anche perché c’è ancora taaanto amore da vedere e il diabete deve salire alle stelle, anche se credo che ci scapperà il morto. Ultimamente almeno uno deve sempre morire .-.
Anyway, buona domenica e… e boh, torno a mangiare la torta che è il compleanno del mio papi, lol.
 
Grazie ancora per le belle recensioni, sono contenta che l’idea sia piaciuta ;______________;
 
See ya,
Ace.
  
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