Once
upon a time
Invernume*,
anno 1399 secondo
il
Calendario della Contea.
Il
fiato stava diventando via via sempre più corto,
ma Estella continuò imperturbabile la sua corsa.
Sapeva
che la sua timidezza la spronava sempre a nascondersi
da chi non conosceva, ma suo fratello Fred non aveva il diritto di
riprenderla
così duramente, ricordandole quanta così poca
forza di volontà riversasse nel provare
ad uscire dal suo guscio perenne.
D’altronde,
a Boldigenio era conosciuta soprattutto
per la sua eccessiva ritrosia verso gente che non rientrava nelle sue
uniche ed
abituali compagnie, le stesse che condivideva con Fredegario, e non era
la
prima volta che eludeva le visite di coloro che lei reputava perfetti
sconosciuti,
sebbene avesse dei legami di sangue. Ma quella volta Fredegario,
solitamente
talmente adorabile che sua sorella era convinta che avrebbe potuto
vivere per
sempre accanto a lui, aveva preteso da lei un atteggiamento diverso; le
aveva
perfino consigliato di non arrossire così facilmente,
perché in fondo non c’era
niente di cui vergognarsi. Già, niente che lui riuscisse a
capire.
‘Sei
una Tuc, oltre che una Bolgeri’
ripeteva sempre come
una nenia.
Non
si accorgeva che sua sorella fosse così di
natura, e che di Tuc avesse soltanto la sua sete di avventura, la sua
spropositata
curiosità e talvolta l’abilità di
cacciarsi nei guai. Per lei incontrare
persone nuove era come tuffarsi in un precipizio: troppe emozioni che
si
accumulavano nella testa, troppo batticuore che rischiava di renderla
incapace
persino di salutare cortesemente. Era troppo, decisamente troppo per
una come
lei. Neanche lei stessa in fondo capiva il perché di tutto
questo. Solo con Fred,
e quando erano insieme ai loro amici in comune Estella riusciva ad
essere un
po’ più estroversa. Si rendeva conto che lui in
quei frangenti tirava un sospiro
di sollievo, ostentando un certo orgoglio nei suoi confronti. Ma
avrebbe potuto
essere orgoglioso di lei a prescindere, magari basandosi su
ciò che lei sapeva
fare, e non su come si rapportava con gli altri.
Non
poteva essere come lui voleva, tanto meno poteva
sopportare le sue paturnie, la cosa molto probabilmente più
fastidiosa che ci
potesse essere in tutta la Contea.
Arrivò
all’estremità Est del Campoponte, sulla riva
sinistra
del Brandivino, e si sedette sull’erba umida raccogliendo le
gambe in un
abbraccio ed affondando il viso fra le ginocchia. Non aveva neanche
voglia di
osservare l’acqua che scivolava via dalle pietre immaginando
come il corso del
tempo le erodesse insieme alla corrente; e questo era davvero grave.
Le
venne l’impulso di piangere, ma si trattenne.
Lasciarsi andare alle lacrime l’avrebbe rammollita.
“C’era una
volta una Hobbit timida di nome Estella...”
Arrossì
nel sentire il suo nome in un momento come
quello, ma non appena si rese conto che a parlare era stato Merry
roteò gli
occhi esasperata: quel che voleva adesso era rimanere sola, e non era
un bene
che qualcuno senza alcuna colpa si prendesse l’onere di
ricevere dei rimbrotti
da parte sua. Merry la conosceva: sapeva che dopo aver litigato con il
fratello
era necessario che sbollisse in pace prima di avere un qualsivoglia
contatto
verbale con chiunque; eppure quel giorno chissà
perché aveva deciso di importunarla.
Estella
provò a lanciargli un’occhiata in tralice,
giusto per mettergli addosso un po’ di soggezione - a volte
funzionava -, nel
mentre si rese conto che lo Hobbit aveva la sua pipa accesa in una mano
e nell’altra
un libro aperto. Ciò che catturò la sua
attenzione, però, fu che in risposta Merry
cominciò a ridere, e subito Estella rituffò la
testa fra le ginocchia, molto
più rossa di vergogna e rabbia di prima.
Se
voleva ridere, poteva andare a divertirsi da
un’altra parte. Merry rischiava di attirarsi tutta la stizza
che stava
provando, ed Estella non voleva. Non era mica per causa sua se era
arrabbiata.
Comunque una bella mossa, quella di inventare una storiella sulla base
di quel
che stava accadendo in quei precisi istanti. Merry sapeva come far leva
sulla
sua curiosità ed il suo amore per le storie. Estella sorrise
contro il tessuto
del vestito. Si sentiva alquanto vulnerabile, ma la smania di sapere
come
avrebbe proseguito il racconto fu più forte.
“Da quel che
ne sapeva Merry, Estella era scappata per via di una sgridata presa da
suo
fratello. Si era nascosta per non fronteggiare Hobbit che non conosceva
nonostante ciò andasse contro la buona educazione e
nonostante quegli Hobbit
fossero dei lontani parenti. Perch, come abbiamo già detto
all’inizio di questa
storia, Estella era timida, molto più di un Hobbit
qualunque, e presumo non se
ne possa fare una colpa. Ma invece di restare a casa, si era
avventurata in
prossimità del Terminalbosco, nonostante suo fratello glielo
avesse proibito
per ragioni che il sottoscritto non conosce. Potrebbe chiederglielo, ma
non sa
come potrebbe reagire Estella, perciò se ne astiene.”
Estella
rise spontaneamente ma subito tacque, un po’
per non dargli soddisfazione, un po’ per ascoltarlo ancora.
Da
bambina si era persa nel Terminalbosco, e fu
ritrovata dal fratello soltanto due ore dopo. Sana e salva, ma provata.
Solo
lei e Fredegario erano a conoscenza del fatto, nessun altro - anche
perché si
sarebbero trovati in guai seri. Ai genitori avevano detto di essersi
attardati
dai Baggins, a Hobbiville.
Un
giorno glielo avrebbe raccontato.
“Merry
andò a cercarla e la trovò. Provò a
dissuaderla a tornare subito a casa, ma lei
non demorse perché credeva che Merry si fosse messo alla sua
ricerca su esclusiva
richiesta del fratellone Fredegario. Ma non sapeva che questa era solo
una
parte della verità. Se n’era preoccupato anche lui
stesso.”
Estella
udì il leggero tonfo del libro che si
chiudeva, e Merry
che inspirava un po’ di
fumo per poi espirarlo via. Poi si fece silenzio; solo il rumore
dell’acqua del
fiume rompeva la quiete assoluta che si era creata.
Poi
l’odore di erba pipa invase le sue narici
all’improvviso, e fu per quel particolare che Estella
poté constatare che Merry
era a pochi passi da lei.
Si
impose di non cedere. Nonostante l’avesse aiutata
a calmarsi non riusciva del tutto a perdonargli l’irruzione.
Ficcanaso
che non sei altro.
“Merry tese la
mano verso di lei, e sperò che Estella la accettasse per poi
tornare a casa.
L’ora di cena era tremendamente vicina, e lei amava mangiare,
come tutti gli
Hobbit.”
Lei
non poteva vedere niente, ma era certa che se
avesse sollevato gli occhi, l’avrebbe vista quella mano; e
molto probabilmente
si sarebbe lasciata convincere. E no, ovviamente non doveva succedere.
Odiava
essere così prevedibile.
“Ma Estella
era testarda, e tante altre cose insieme. Chissà quando
cominciava la parte Tuc
e finiva quella Bolgeri, in Estella. Lei lo ignorò, o
perlomeno fece finta, perciò
Merry non la costrinse” disse Merry, quasi
assecondando la sua condotta. “Però,
riuscì a strapparle la promessa di
tornare a casa prima del buio.”
Con
un gesto involontario, Estella annuì debolmente.
Merry doveva aver visto il suo assenso perché
esclamò “Bene!”, così allegro
che
ad Estella parve di essergli riconoscente.
Lo
udì allontanarsi fischiettando, e solo quando fu
certa di essere sola Estella fece riemergere la testa riccioluta. Fece
per
alzarsi, quando notò qualcosa di rotondo davanti a
sé.
Una
melagrana.
Doveva
averla lasciata Merry. Solo lui sapeva che
quello era il suo frutto preferito.
*Invernume
corrisponde ad Ottobre.
NDA
Questo
è un piccolo esperimento - ambientato prima
della Guerra dell’Anello - su Estella Bolgeri – la
mia omonima *^* - in vista
di una ipotetica long, un piccolo abbozzo sul carattere che potrebbe
avere.
Potrebbe cambiare, o rimanere più o meno su queste
direttive. Per chi non
ricorda bene, è la sorella minore di Fredegario, figlia di
Odoacre Bolgeri e
Rosamunda Tuc.
Scusate
il titolo banale, ma non ne trovavo altri.