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Autore: Atra    11/10/2015    4 recensioni
Vi siete mai chiesti come sarebbe andata la storia di Final Fantasy VIII se Seifer avesse avuto una sorella?
Beh, io sì e questo è il risultato:
Il sangue è un vincolo.
E dai vincoli non ci si può liberare.
E non si può nemmeno scegliere senza farsi male.
O senza subire perdite.
Cosa scelsi io? Perché scelsi?
Quando avrei potuto cambiare qualcosa, feci tutto ciò che era in mio potere?
Il sangue è un vincolo.
Lo rimane anche quando è versato.
Potrai perdonarmi adesso, Seifer?

Buona lettura e spero che vi piaccia!
Genere: Azione, Comico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Seifer Almasy, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legami'
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Una lunga treccia di capelli rosso amaranto scivola con un fruscio sul vestito bianco della donna, fermandosi oscillando oltre la sua spalla.
Il primo, preciso raggio lunare della serata si posa lì, riflettendosi sui sottili nastri d’argento intrecciati fra i capelli.
Gli occhi purpurei della donna ripercorrono con lentezza esasperante il cammino di quel pallido raggio, mentre il suo viso si solleva lentamente in una risposta istintiva alla lieve brezza che sfiora le lunghe tende bianche davanti all’ingresso per il balcone.
Al di là del tessuto trasparente, la città di Esthar comincia ad accendere le sue luci, annientando in un solo secondo il primato speciale della luna come unica fonte luminosa.
Di fronte al balcone un palazzo si illumina completamente di azzurro, disegnando i contorni severi della figura nera in piedi, appena sfiorata dal movimento volubile e circolare delle tende.
La donna china lo sguardo in silenzio, fino a puntarlo sul tavolino di vetro alla sua sinistra, sulla cui superficie si riflette un universo di luci che non è necessariamente il cielo.
Un’unghia scarlatta, lucida del riflesso della luna e affilata come la lama di un coltello cala sul piano di vetro con un tintinnio che viene subito inghiottito dal silenzio pesante, come un urlo che soffoca il mormorio del debole. Contemporaneamente i rintocchi di un pendolo si levano a sfaldare con indolenza l’atmosfera della sera taciturna, seguiti dal ticchettio delle unghie sul vetro.
Dieci rintocchi. Dieci ticchettii.
Le dieci di sera.
Le gambe della donna si districano l’una dall’altra e il tessuto della veste fruscia contro la pelle quando lei si alza dalla sedia. La gonna bianca ondeggia sotto l’alta cintura rossa, giocando ad avvicinarsi e allontanarsi alle gambe pallide, la cui pelle nuda è illuminata dalle luci della città nel profondo spacco laterale della veste, dove il chiaroscuro nasconde il resto.
Le lunghe e sottili sopracciglia ad arco si sollevano in una domanda silenziosa e impaziente, colta forse dall’uomo che sta davanti a lei, il quale si volta lentamente, il viso nascosto dall’andirivieni delle tende come l’instancabile moto di un’onda.
L’uomo muove alcuni passi, sollevando una mano ad aprirsi un varco per entrare nella stessa stanza della donna. Alle sue spalle il palazzo cambia colore e diventa verde acido, il cui riflesso si posa sulla linea della mascella di lei, nel momento in cui piega le labbra scarlatte in un sorriso provocatorio.
-Zefer, non dirmi che la cosa ti turba-.
La voce della donna tradisce un divertimento sottile e quasi fuori posto, ma nel suo sguardo non c’è traccia di pentimento. Sulla sua fronte un ornamento a forma di occhio tintinna quando lei fa oscillare il collo per scostarsi dalla spalla la treccia.
Una ragnatela di linee nere e spezzate le abbraccia la parte superiore del busto sopra la veste, fin appena sotto il seno. Per una frazione di secondo, quello che potrebbe sembrare solo uno scialle ha un fremito.
L’uomo davanti a lei stringe i pugni, lo sguardo glaciale indurito dal risentimento dipinto su un viso che sembra terribilmente familiare.
Poi soffia delle parole, una smorfia di amarezza quando le assapora:
-Io non sono abbastanza-.
La donna allarga il sorriso in cui si intravede lo scintillio dei suoi denti, prima di socchiudere lentamente le labbra e sollevare ancora di più le sopracciglia:
-È vero - constata, levando un’unghia per pungersi la guancia - Non sei abbastanza-.
Zefer socchiude gli occhi azzurri, scuotendo la testa. I lunghi capelli biondi gli sfiorano la base del collo e lui li allontana con uno scatto della mano:
-Sto facendo del mio meglio- dice seccamente, scrutando poi l’espressione sul viso di lei, che si è resa d’un tratto indecifrabile.
-Non basta comunque - ribatte la donna, battendo le lunghe ciglia - Me ne serve un altro-.
-Quindi ti liberi di me?- sbotta improvvisamente lui con la voce ridotta ormai a un ringhio.
Il mento della donna scatta in alto e contemporaneamente l’uomo crolla in ginocchio, un gemito di dolore e frustrazione che gli sfugge dalle labbra.
L’aria si fa improvvisamente rovente, poi gelida come se l’ossigeno fosse ghiaccio mentre la donna muove qualche passo sul pavimento con il piede nudo.
-Modera la tua impulsività quando mi parli- lo rimprovera senza far trasparire alcuna emozione, rilasciando subito dopo la tenuta del controllo mentale.
La temperatura torna normale, ma l’uomo non si alza dal pavimento e rimane lì, annichilito e piegato.
-Vuoi liberarti di me?- domanda di nuovo, nella voce ridotta ad ansito la prudenza mista a nervosismo.
La donna si prende tempo per rispondere, percorrendo con lo sguardo il corpo dell’uomo, soffermandosi sulla cicatrice dalla vaga forma di cuore incisa sulla sua tempia. Le gambe di lei si fermano a un soffio dal viso di lui, mentre china il busto a sfiorare con le labbra proprio la cicatrice, accarezzandogli il mento con un'unghia.
-Quando ti ho scelto - la donna si risolleva in piedi e troneggia su di lui, mezza illuminata dalla luce verde fuori dalla stanza - Hai ricevuto questa cicatrice come pegno del nostro legame. Il simbolo è eterno e come tale il vincolo che ci lega-.
Il sussurro della donna ha un che di ipnotico e Zefer socchiude leggermente gli occhi, abbandonandosi alla sensazione di sollievo sospinta dalle parole di lei.
Quando lui riapre gli occhi la donna non si è ancora mossa, una mano posata sulla pancia ad accarezzarla pigramente. Quando il tessuto bianco della veste si tende sotto la sua mano, affiora un sottile rigonfiamento.
Alla vista di questo, Zefer sorride teneramente e si azzarda a passarsi una mano sulla guancia appena pungente di barba:
-Credevo...- comincia, ma la donna lo interrompe, arrestando anche la sua mano:
-La gravidanza mi sta indebolendo e sto perdendo il controllo sui miei poteri- riassume seccamente, per evitare qualsiasi parola di scusa di cui non ha certamente bisogno.
-È il segnale che stai per avere un successore?- domanda Zefer timidamente, arrischiandosi anche a mettersi in piedi.
La donna lo lascia fare, perdendo lo sguardo nelle pieghe del suo abito:
-Oppure è il segnale che la mia natura di umana e quella di Strega non vanno d’accordo- osserva tranquillamente.
Un brivido scorre lungo la schiena di Zefer e lui si stringe nella sua giacca grigio scuro.
-E dire che credevano che le Streghe fossero sterili...- mormora, ancora incredulo del miracolo che ha davanti.
La donna piega verso il basso un angolo delle labbra in una smorfia di disprezzo:
-Credono tante cose su di noi. Te ne stupisci ancora?-.
Zefer si affretta a scuotere la testa, prima di lasciarsi sfuggire un sospiro, il volto teso a dimostrare che vuole riportare il discorso su un terreno doloroso:
-Dunque, se hai ancora bisogno di me...- comincia, interrotto poi ancora una volta dalla Strega, nei cui occhi si riflette il cambiamento di colore dell’edificio di fronte da verde a viola:
-Me ne serve un altro, Zefer. Ho bisogno di un altro Cavaliere-.
L’uomo ha un istante di vacillamento, prima di serrare forte i denti e i pugni:
-Come posso trovartene uno, quando siamo nella più grande guerra che si sia mai scatenata?- sbotta, uno strano tic che gli muove le palpebre.
La Strega solleva un dito, mentre con l’altra mano riprende ad accarezzarsi la pancia:
-Non ho detto che sarai tu a cercarlo - puntualizza, riabbassando poi l’unghia - Io l’ho già scelto-.
Zefer spalanca gli occhi, muovendo un passo in avanti:
-Chi? Chi hai scelto?- domanda, sul volto la diffidenza di un bambino verso il nuovo compagno della madre.
La Strega temporeggia, crogiolandosi nell’ansietà di cui l’aria è ormai pregna fino a stillare sul viso del suo compagno gocce di sudore:
-Qualcuno che possa non solo aiutarmi a domare il mio potere, ma che possa darmi un degno successore- dice infine, voltando le spalle a Zefer.
-Ma cosa...di cosa stai parlando?-. La voce di lui le arriva patetica, assoggettata, inutile. Il suo Cavaliere è stato inutile, finora.
Non è riuscito nemmeno a darle il successore di cui ha bisogno.
-È un maschio, Zefer. Ed è debole- commenta aspramente lei, avvicinandosi al tavolino di vetro e sollevando il coperchio della scatola d’argento posta al centro.
La sua mano si risolleva, stringendo fra indice e medio un foglio ripiegato, che allunga con lentezza esasperante al suo compagno, il quale prima di prenderlo le lancia uno sguardo interrogativo.
-La mente di Odine non mi è utile solo in campo bellico- commenta lei con una risata di scherno, osservando lo sguardo stranito dell’uomo.
Lo sguardo di lui scorre avido sul pezzo di carta e quando lo abbassa, i suoi occhi sono lucidi:
-Sopravvivrà?- domanda con voce rotta, suscitando una reazione dura nella donna:
-Il foglio parla chiaro, Zefer. “Debolezza mentale” vuol dire che non è sicuramente in grado di reggere un potere così grande come il mio. Ma il bambino è forte e diventerà un guerriero come te. E poi...hai mai pensato a una Strega maschio?-.
I tratti scolpiti sul suo viso si distendono poi in una maschera levigata, quando lei accenna l’ombra di un sorriso canzonatorio.
-Allora...potremmo riprovare. Perché devi per forza...- domanda lui. La terza interruzione arriva con forza, provocata dalla caduta di un vaso sopra il comodino.
-Perché non c’è tempo, Zefer! - esclama la donna, voltandosi appena a guardare i cocci di cristallo sparsi a terra e la macchia dell’acqua allargarsi sotto i petali di una rosa rossa - Con la guerra in corso non posso più permettermi di aspettare. Ormai è da un anno che ci scontriamo con Galbadia e quello che abbiamo guadagnato sono stati solo cadaveri. E tradimenti. Ho bisogno di un successore ora-.
L’uomo sfida lo sguardo della donna, in cui brilla una luce strana...quasi come di perdita di controllo.
-Nessuno ti toccherà mai con un dito. Ti proteggerò io-. Zefer socchiude gli occhi allo sguardo derisorio della Strega, mentre la ragnatela che la avvolge ha un altro fremito:
-E chi proteggerà te, Zefer? Sanno che non potranno arrivare a me senza eliminare te per primo-.
Zefer si batte una mano sul petto, il guanto in maglia che tintinna sulla spilla che chiude il suo mantello:
-Non succederà nemmeno questo. Sono il...-.
-...il migliore guerriero di Esthar, lo so - completa la Strega, quasi compiacendosi nel prenderlo in giro, prima di proseguire il discorso - Tuttavia, hai quasi ragione: sicuramente il popolo non si rivolterà ora-.
La Strega si avvicina al suo compagno, superandone la figura irrigidita per uscire sul balcone. Le tende si aprono senza nemmeno sfiorarle la pelle, mentre Zefer si volta a guardarla contro la luce dell’edificio, diventata ormai rossa.
-Ma durerà poco - riprende la donna, muovendo il collo e la treccia che le arriva in fondo alla schiena - Durerà poco perché mi serve più potere. E per il potere qualcuno deve soffrire, anche se per fare del bene.
Ripetimi cosa ti hanno detto riguardo a Timber, Zefer-.
Il cavaliere deglutisce e d’istinto drizza la schiena, come un araldo che spera di ricevere la clemenza del padrone quando porta cattive notizie:
-Timber sta cadendo sotto il dominio di Galbadia. Questo significa l’accesso allo sfruttamento gratuito delle immense foreste che la circondano. Ormai è questione di giorni: i focolai di resistenza stanno...-.
-Basta, per Hyne- lo interrompe la Strega, sollevando una mano. Zefer si zittisce immediatamente, i capelli spostati all’indietro da una decisa ondata di energia. L’uomo barcolla all’indietro prima di riacquistare stabilità, cosa che avviene quando la Strega riabbassa la mano e osserva amaramente:
-Voi umani giungerete a consumare voi stessi e ciò che vi circonda per il potere. Dove passate lasciate sempre l’impronta del vostro stivale sgraziato; ciò che è toccato dalla vostra mano è cenere al vento e ciò che è toccato dal vostro pensiero è già morto.
Siete la parte più folle del grande Hyne, perché è stato lui a crearvi in un attimo di follia e sempre navigherete e danzerete in essa-.
L’uomo rimane in silenzio, mentre la Strega si volta a fissarlo, l’insieme di linee intricate sul suo petto che si muove e inizia a sollevarsi.
-Vinzer Deling ha già perso la partita - continua la donna - la prima battaglia l’ha vinta la follia, la seconda la vincerà la morte. E i tanti litiganti mi apriranno la via cadendo l’uno per mano dell’altro...allora, non vi dimenticherete mai di me-.
Il torace della Strega ormai è nudo, il seno coperto dal vestito che non ha spalline, mentre un paio d’ali nere come la pece e dalle linee spezzate e appuntite si distendono dietro di lei.
-Adele...- mormora Zefer, prendendosi la testa fra le mani e percependo la perdita di controllo della donna come un’eco senza fine nella sua mente mortale.
-Il popolo deve sapere che la fine è già scritta - la voce di Adele si sdoppia, due toni che si rincorrono, si scontrano in armonia e disarmonia - Ma prima deve piegarsi, spezzarsi, rompersi e strisciare. Voi umani non siete fatti per governare. Da ora in poi lo farà la successione delle Streghe. E tutto resterà così com'è, tranne voi-.
I piedi di Adele si staccano dal suolo, mentre lei solleva le mani in alto e rovescia il collo per abbandonarsi al potere, incurante di essere la contraddizione vivente delle proprie parole.
-Adele, combattilo!- l’urlo di Zefer è come un urlo di disperazione nella battaglia, mentre le sue braccia scattano in avanti ad afferrare un corpo che non è più suo.
Un corpo che non è più di nessuno, solo dell’avidità di un potere che lo sta consumando come fuoco nelle vene e nella testa, nelle sue pupille a forma di cuore e nel suo petto che le unghie della Strega cercano di squarciare.
Un corpo abbandonato all’aria sopra e sotto, davanti e dietro di esso, che lo spinge sempre più in alto senza offrirgli un appiglio.
Un corpo legato, suo malgrado, alla terra tanto odiata, a cui prima o poi dovrà tornare sempre e diventare cenere come i mortali che lo spirito immortale disprezza dall’interno della propria prigione.
E il corpo di Adele è pronto a tornare alla terra, interrompendo la propria ascesa e cominciando a precipitare di nuovo.
Le braccia di Zefer lo accolgono prontamente, mentre lui finisce in ginocchio nel tentativo di contrastare il dolore bruciante della frusta mentale di lei, che cerca di respingerlo.
-Non...ti lascio...andare-. Lui spezza le parole tra i denti, nel tentativo di riconoscere altro sapore da quello della ruggine che gli finisce in gola e nelle narici, mentre il corpo fremente della sua compagna e padrona è scosso dagli spasmi.
-Adele...ti prego-.
La voce di Zefer risuona stranamente familiare.
-Adele, torna indietro...-.
Torna indietro.
Improvvisamente gli occhi di Adele si aprono all’improvviso fra le braccia del suo Cavaliere, una mano che scatta verso il ventre. Quando la ritira, il bagnato sulla sua pelle scintilla sul giallo sfolgorante dell’edificio.
-Zefer-. Un nome, un ordine e un migliaio di altre parole nascoste.
-Maledizione! -. Un’imprecazione, un ringhio e un migliaio di altre cose che possono e devono aspettare.
-Ma è troppo presto!- continua lui, riacquistando l'autocontrollo.
-Per noi Streghe è tutto più veloce...la vita...la morte...la nascita- mormora Adele, puntando lo sguardo verso il cielo e lasciando che il suo sguardo navighi lì.
Zefer abbandona il corpo della compagna poggiandole la testa sul freddo pavimento del balcone, mentre la pozza di liquido trasparente si allarga sotto di lei.
Il Cavaliere passa correndo accanto al comodino, degnando appena di uno sguardo i cocci di cristallo per terra.
Sotto la rosa rossa si allarga una macchia di liquido trasparente. Nel punto in cui l’acqua sfiora i petali, piccole volute di rosso si allungano avide come fumo.



Bene, eccoci qua. Allora, ci avete capito qualcosa? Non so quanto potevate aspettarvelo, ma la principale componente di FFVIII non poteva mancare anche in questo remake, anche se rivisitata totalmente.
Dato che il mio è un rimaneggiamento, ho deciso di stravolgere un po' tutto a partire comunque dalla storia reale.
Ad esempio, avete visto che l'aspetto di Adele non è metà uomo e metà donna, ma è decisamente femminile. Non preoccupatevi, la storia farà luce su tutte le domande che saranno sicuramente sorte dopo questo capitolo (e ricordatevi che sono le stesse domande che si farà qualcuno quando riprenderà conoscenza...), anche riguardo alla natura della Strega.
Adele è un personaggio che ha da sempre avuto poco spazio nella storia e il suo carattere è poco delineato...quindi ci ho pensato io, cercando anche di ricostruire la sua storia.
Riguardo a Zefer...è il padre del bambino che sta per nascere (quindi nella mia storia è falso che le Streghe non possano procreare...anche questo per fini precisi) e il Cavaliere della Strega. Tuttavia, Adele ha bisogno di un altro Cavaliere. Strano, ma è dovuto al fatto che la gravidanza sta intaccando l'equilibrio del suo potere e Adele deve essere davvero molto potente.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tutti coloro che seguono questa storia. Un saluto e al prossimo!
Ah, stay turned, mi raccomando!

   
 
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