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Autore: seasonsoflove    14/10/2015    5 recensioni
"Era quasi ora di pranzo alla Storybrooke High School, e Belle era seduta in classe insieme ai suoi compagni.
Belle era la tipica ragazza...atipica.
Graziosa ma di una bellezza antica, di classe. I lunghi capelli rosso scuro leggermente mossi, la carnagione pallida, le guance rosee, gli occhi di un azzurro irreale, il viso tondo, e il corpo minuto."
AU!Highschool - Young!Storybrooke.
Pairing (Rumbelle/SwanQueen e altri possibili)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Belle, Emma Swan, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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This time tomorrow
where will we be?




Quando Robert si svegliò, per un momento si trovò in uno stato di confusione tale, da non capire neanche dove fosse.
Era a Boston? Ma no, quello non era lo spoglio muro bianco della stanza in cui aveva dormito la sera precedente…ma non era neanche a casa sua…
Qualcosa di gelido si appoggiò ai suoi piedi e lo riportò alla brusca realtà.
Era la camera di Belle.
E la sua proprietaria in quel momento dormiva beatamente dandogli le spalle, il respiro regolare e i capelli sciolti sul cuscino. E la cosa fredda che lo aveva svegliato, non erano altro che i piedi di Belle stessa.
“Dev'essere terribile dormire coi piedi freddi.” mormorò Robert.
Rimase un momento immobile.
Era andato tutto bene. Il cellulare non aveva squillato, il telefono di casa nemmeno.
In strada si sentiva il vociare allegro di bambini: era sabato e probabilmente non era nemmeno troppo presto, vista la calda luce del sole che filtrava dalle tende.
Aveva dormito con Belle, pensò poi.
Si erano addormentati abbracciati, questo lo ricordava bene…chissà per quanto erano rimasti abbracciati. Era una bella sensazione. Faceva leggermente male ora, a mente lucida, mentre il buio della confortevole notte se n’era andato, ma era anche una bella sensazione stare lì nel letto con lei, sapere di aver dormito insieme a lei, di aver condiviso qualcosa di così importante…
Non c’era tempo per crogiolarsi nella nostalgia e nei pensieri, era ora di alzarsi.
“Belle.” Mormorò quindi.
Non giunse risposta.
Dopo il terzo richiamo decise di passare a qualcosa di più forte e fisico.
Si mise a sedere e soppesò, improvvisamente imbarazzato, le sue opzioni. Poteva chiamarla ancora più forte ma non sembrava una cosa molto carina.
Poteva scrollarla…no, era una cosa che Regina avrebbe fatto a lui. Anzi, probabilmente gli avrebbe tirato un calcio o qualcosa del genere.
Poteva cantare o arruffarle i capelli…sì. Doveva fare qualcosa di gentile ma deciso. Magari non cantare, quella non era una buona idea ripensandoci.
Prima però doveva assolutamente bere qualcosa: aveva la gola secca.
Senza far rumore, zampettò in cucina dove trovò una gran desolazione all’interno del frigorifero. Controllò anche negli stipetti ma, con grande delusione, vi trovò ben poco di commestibile. Probabilmente il papà di Belle, in sua assenza, viveva di cibo d’asporto o precotto. Nel freezer non c’erano nemmeno i gelati che si ricordava di aver sognato.
Riuscì comunque a procurarsi un bicchiere di succo e ne preparò uno anche per Belle. Dopodiché tornò di sopra, raggiungendo il lato del letto e fermandosi di fronte alla ragazza.
Si passò una mano tra i capelli spettinati, estremamente dubbioso.
Era davvero carina mentre dormiva e sembrava anche molto serena.
Si trovò inconsapevolmente a sorridere…se solo avesse potuto svegliarsi accanto a quel viso ogni mattino…sarebbe stato meraviglioso.
Si avvicinò lentamente e portò la mano vicino al suo volto.
Le picchiettò dolcemente il naso e attese.
Lei lo arricciò brevemente e gli angoli della bocca si alzarono.
Robert sorrise felice: aveva fatto centro.
Le toccò di nuovo il naso e la guancia. Questa volta un vero sorrisino si aprì sul volto di Belle che scosse la testa mugugnando qualcosa.
“Svegliati Belle French.” Disse a quel punto.
Belle aprì un occhio e vi sbirciò attraverso.
“Cosa succede?” biascicò.
“Niente.” Rispose lui tranquillo “E’ solo ora di alzarsi. Dobbiamo andare da tuo padre.”
Lei aprì entrambi gli occhi.
Dopodiché con una smorfia di fastidio li richiuse e infilò la testa sotto il cuscino.
“La mia vita è una merda. Voglio morire.” Pigolò.
“Su, dai.”
“Odio tutti!” La voce giungeva attutita dal cuscino.
“Dobbiamo fare colazione, io ho molta fame. Quasi quasi invidio tuo padre che in questo momento avrà già mangiato la colazione offerta dall’ospedale e si starà chiedendo cosa stia facendo quella pigrona di sua figlia…” disse Robert sedendosi sul letto vicino a lei.
“Ma tu hai sempre fame!?”
“Mi serve cibo ed energia per crescere.”
Belle scosse la testa e tirò un calcio alla coperta.
“Non cresci più, Robert. Al massimo cresci in larghezza.”
“Ho fame. Devo crescere ancora qualche centimetro, anche il mio medico ne è convinto.” Ripeté lui ostinato.
“Allora vai a mangiare.”
“Non c’è cibo nel tuo frigo.”
Lei riemerse, spettinata, dal cuscino.
“Come sarebbe a dire!?”
“C’era poco e niente e sicuramente nulla di adatto ad una colazione come si deve. Solo succo. Ecco qui.” Le porse il bicchiere.
Belle si mise a sedere anche lei e lo afferrò, bevendone un gran sorso.
Gold considerò che avrebbe davvero voluto dirle che era molto carina anche appena sveglia. Voleva farla felice e farla sentire bene, ne aveva sicuramente bisogno dopo la giornataccia precedente.
“Sei molto carina anche a quest’ora del mattino.”
Lei gli lanciò un’occhiataccia.
“Come sarebbe a dire – anche - ?”
Robert alzò le spalle.
“Alcune persone al mattino sono diverse da come appaiono di giorno.”
Belle aggrottò la fronte, sorseggiando il succo, poi lo osservò.
“Tu invece sembri un po’ stupido.” Dichiarò infine.
Robert aprì la bocca tra l’indignato e lo scioccato, mentre Belle prorompeva in una risatina.
“Cos’ho che non va!?” abbaiò lui.
“Niente dai, non te la prendere. I tuoi capelli fanno ridere però. Sono spettinati e strani.” Sghignazzò.
“E’ sempre così. Io mi sforzo e dico una cosa carina, tu invece ti prendi gioco di me e ridi dei miei capelli o delle mie espressioni. Sei proprio una piccola ingrata! “
“E tu sei proprio pedante.” Dichiarò Belle, finendo il bicchiere di succo ed appoggiandolo sul comodino “Sei così chiacchierone e lamentoso ogni mattina?”
No pensò lui. Ma averla lì in qualche assurdo modo lo riempiva di energia. Anche se bisticciavano, anche se lei lo prendeva in giro…era bello.
Era come quando stavano insieme, pensò incredulo, non era cambiato niente. Aveva scoperto che in quelle settimane Belle non era cambiata, il suo senso dell’umorismo era lo stesso, le cose che la facevano ridere erano le stesse.
Anche il sorriso di Belle, nonostante la preoccupazione negli occhi, era spontaneo, ed era sempre lo stesso.
Improvvisamente si sentì speranzoso.
Forse qualcosa stava cambiando. Forse quella nottata insieme aveva dato modo ad entrambi di ritrovarsi…
“Sono chiacchierone quando serve.”
“Cioè sempre, soprattutto se devi lamentarti di cose inutili.”
“Ma non è vero! Tu invece-“
“Che palle che sei.” Mormorò lei esausta.
Si ributtò tra i cuscini e chiuse gli occhi. Anche il suo stomacò brontolò ma decise di ignorarlo.
Cercò di ignorare anche la sensazione di calore che si era diffusa a partire dal suo cuore mentre rideva con Robert e lo prendeva in giro. Non poteva e non doveva pensarci. Lui era lì perché voleva starle vicino, perché era in una situazione spinosa. Le loro strade si erano momentaneamente incrociate di nuovo, ecco tutto. Nient’altro.
Si concentrò sul da farsi.
Pensò a suo padre e l’ansia tornò ad attanagliarle lo stomaco. Aprì gli occhi nuovamente.
“Dai, vai a mangiare qualcosa.” Disse infine, vedendo che Gold la fissava pieno di aspettativa.
“Vedo che non vuoi collaborare. Lo immaginavo. Dunque ti dico cos’ho pensato.” Si bloccò e aspettò un cenno d’assenso per continuare.
“Allora, adesso vado un momento a casa. Faccio una doccia e mi cambio, poi passo al bar e…e prendo qualcosa da mangiare per tutti e due. Che ne dici?”
Belle ci pensò su un momento, guardandolo di sottecchi.
“Non è una cattiva idea…ma…quanto starai via?”
“Pochissimo.”
“Se suona il cellulare?”
Robert si morse il labbro mentre il volto di Belle si faceva teso e pallido.
“Rispondi.” Disse semplicemente “Poi mi chiami. E io arrivo subito.”
Lei annuì.
“Se sei sotto la doccia non senti.”
“Lo sentirò, promesso.”
“Ti porti il cellulare nella doccia?”
“Sì.”
Lei inarcò le sopracciglia, perplessa.
“Ascolta…Andrà tutto bene. Davvero.”
Belle continuava a guardarsi intorno a disagio. Così ansiosa, spettinata, appena alzata, col suo pigiamino azzurro sembrava dannatamente indifesa.
Fu questo che spinse Robert ad afferrarle la mano.
“Sarò di ritorno fra pochissimo. E andremo da tuo papà e lui starà bene, io sarò con te e staremo bene anche noi. Okay?”
Dopo qualche momento, lei annuì, stringendogli la mano di rimando.
Sarebbe andato tutto bene.
Doveva andare tutto bene.
 
 
 
Quando Emma si svegliò il mattino seguente ci mise un po’ per mettere a fuoco la situazione. Doveva essere presto, la sveglia non era ancora suonata e non sentiva i caldi raggi del sole filtrare dalle tende.
Tenne gli occhi chiusi, ben decisa a riaddormentarsi e far così calare quel fastidioso mal di testa, così famigliare eppure così sgradevole…
Cercò di girarsi, per trovare una posizione più confortevole e improvvisamente realizzò di essere imprigionata.
Due braccia erano strette saldamente intorno alla sua vita e appoggiato alla sua schiena, c’era un corpo che in quel momento le procurava un gran caldo.
Rimase immobile, ricordando che la persona che condivideva con lei il letto in quel momento, era Regina Mills.
E in quel momento era abbarbicata contro la sua schiena e la teneva stretta, come se avesse paura di lasciarla scappare.
Emma esitò, indecisa sul da farsi.
Se si muoveva, rischiava di svegliare la ragazza.
Se rimaneva ferma rischiava di non addormentarsi più. Inoltre la situazione era leggermente imbarazzante.
Insomma, non che Emma provasse fastidio, certo che no. Lei non era una persona molto fisica ma in quel momento non si sentiva a disagio. Tuttavia avrebbe voluto girarsi. La spalla destra sulla quale era appoggiata iniziava a dolere e l’idea di appoggiarsi a quella sinistra era allettante.
Provò a muoversi, con lentezza.
Regina rimase immobile e continuò a respirare tranquilla, profondamente addormentata.
Così, sempre lentamente, Emma riuscì a girarsi su sé stessa.
Si trovò a pochi centimetri dal viso di Regina e rimase perplessa. Questo non l’aveva calcolato.
La ragazza era profondamente addormentata e sembrava serena.
Emma sorrise, quasi automaticamente. Era felice di vederla dormire così con tranquillità, era felice che non avesse passato la notte in bianco, vergognandosi di dormire con la sua professoressa di psicologia che ormai poteva dirsi sua amica, era felice dello splendido rapporto che stava costruendo con lei, era felice di aver trovato una persona come lei…
Chiuse gli occhi serena, preparandosi ad addormentarsi di nuovo, quando la sveglia suonò facendola sobbalzare. Regina si destò all’improvviso e aprì gli occhi.
Accadde tutto molto velocemente.
La ragazza cacciò un urlo e con uno scatto si mise a sedere sul letto, stringendo a sé il cuscino ed esclamando indignata:
“CHE COSA STAVA FACENDO!”
Emma, per lo spavento, rotolò su sé stessa e in men che non si dica, finì a terra, cadendo dal letto con un sonoro ‘tonf’.
Riemerse pochi secondi dopo tenendosi la testa mentre la sveglia continuava a trillare.
“Spegniti, merda!” urlò Emma afferrando il cellulare con violenza.
Regina la guardava con tanto d’occhi.
Dopo qualche momento di incertezza, finalmente il telefono si quietò.
“Che cosa stava facendo.” Ripetè immediatamente Regina.
“Buongiorno anche a te.” Biascicò Emma.
Era già stanca di quella giornata.
Fino a pochi minuti prima era tutto così confortevole e piacevole…
“Buongiorno un corno. Perché mi sono svegliata con la sua faccia a pochi centimetri dalla mia!?”
Emma scosse la testa e si alzò, barcollando verso il bagno.
“Mi spiava mentre dormivo!?” le abbaiò dietro Regina.
“Ma piantala.” Borbottò Emma, cercando lo spazzolino da denti.
Regina la raggiunse e afferrò il tubetto del dentifricio.
“Non lo riavrà finchè non mi dirà perché mi ha spiata mentre dormivo.”
Emma la fissò esterrefatta.
“Spiata?”
“Sì.”
“Tu sei pazza. Sono le otto del mattino, dammi un attimo di tregua.”
“La sua faccia era sì e no a cinque centimetri dalla mia!”
La professoressa si guardò allo specchio.
Aveva delle occhiaie tremende e i capelli avevano apparentemente mal sopportato la serata precedente e la nottata.
“ALLORA!?”
“Senti, stavo dormendo. Non so perché la mia faccia fosse vicina alla tua ma si dà il caso che possa succedere, condividendo un letto.”
Regina incrociò le braccia.
“Non mi piace essere guardata mentre dormo.” Dichiarò.
L’altra alzò le spalle con indifferenza.
“Non mi piace e mi fa sentire a disagio. E vulnerabile.”
“Nessuno ti ha guardata mentre dormivi. Smettila.” Borbottò Emma infastidita.
“Beh la prossima volta non si avvicini più così tanto a me.” Concluse Regina con enfasi.
“E chi si avvicina!” esclamò la professoressa “Basta! E poi sei tu quella che si è appiccicata a me per tutta la notte!”
La ragazza spalancò la bocca e, con grande stupore di Emma, arrossì furiosamente.
“Di che diavolo parla!?”
“Mi sono svegliata e tu mi tenevi tutta stretta, tipo wrestling. Quindi qui l’unica che si deve lamentare sono io, che sono stata usata come cuscino e che mi sono trovata con la schiena sudata!”
Regina non disse nulla. Buttò il tubetto del dentifricio al suo posto ed uscì dal bagno.
Emma lo afferrò e le disse “Nella valigia ci sono dei biscotti se hai fame!”.
Sentì la porta della camera sbattere.
“Quanta teatralità per niente.” Sospirò Emma. Si lavò i denti rapidamente e si preparò a raggiungere Regina.
 
 
Regina uscì dalla stanza di Emma Swan sbattendo forte la porta.
Si appoggiò al muro e respirò a fondo.
Cos’è che la turbava così tanto? Avrebbe dovuto essere felice e invece...
Aveva dormito con Emma, avevano dormito abbracciate, stando a quanto aveva appena scoperto, si erano svegliate vicine e invece che godersi il momento, invece che gioirne, aveva come al solito reagito male…
Tamburellò nervosa le dita sul muro, indagando i propri sentimenti in quel momento.
Si sentiva imbarazzata. Molto imbarazzata. Inoltre era arrabbiata per quella stupida sveglia: come si faceva a tenere una sveglia così alta? Probabilmente Emma era una di quelle persone che avevano difficoltà a svegliarsi, una di quelle che rinviava la sveglia all'infinito.
Continuò a pensare.
Più di ogni cosa, si disse con sincerità dopo qualche minuto, era delusa.
Delusa dal fatto che non fosse accaduto nulla.
“Cosa volevi che accadesse?” si chiese amaramente. Non lo sapeva nemmeno lei, non sapeva darsi una risposta.
Forse l’avrebbe saputo se avesse avuto il coraggio di ammettere come stavano le cose con Emma. Ma non era il suo caso.
Era arrabbiata e delusa perché Emma era così…tranquilla con lei. Così a suo agio. Così indifferente rispetto a tutto ciò che Regina considerava ambiguo.
Troppo a suo agio le disse una vocina maligna.
Troppo a suo agio per essere qualcosa di più che un’amica.
Accadde all’improvviso: la porta della Blanchard si aprì e Margaret Blanchard in persona uscì dalla sua stanza, in camicia da notte e con una cuffia per capelli in testa.
Regina arretrò orripilata.
“Mills?” borbottò la Blanchard osservandola bene, dischiudendo gli occhietti cisposi.
Regina non osò aprire bocca.
Era una visione tremenda e sicuramente l'avrebbe tormentata a lungo.
La porta dietro di lei si aprì all'improvviso ed Emma ne uscì veloce.
Si bloccò nel vedere la collega e Regina di fronte a lei. Riflettè rapidamente.
Scoccò uno sguardo di puro orrore a Margaret Blanchard, dopodichè sorrise calorosamente a Regina.
“Allora, vuoi entrare?” disse alla ragazza.
“Io…ecco..." la voce si perse nel nulla.
“Cosa succede Emma? Ho sentito una porta sbattere, ero in bagno e mi sono presa uno spavento…” pigolò la Blanchard.
“Niente di cui preoccuparsi eccessivamente…Regina è qui perché mi ha chiesto di parlare di una questione riguardante la sua compagna di stanza. Ma è urgente, ci sono stati dei problemi durante la notte.”
Regina annuì molto convinta.
“Problemi gravi.”
La Blanchard le scrutò dubbiosa.
Poi, dopo alcuni brevi ed imbarazzanti convenevoli, Regina rientrò mogia mogia nella camera di Emma e l’altra professoressa tornò in camera tenendosi la pancia per il crescente mal di stomaco.
 
 
“La tua drammaticità non conosce confine.” Sbottò Emma infine, chiudendo la porta.
Regina alzò gli occhi al cielo e si risedette sul letto, svuotata di qualunque energia. Le forti emozioni che provava, miste all’orrore puro causato dalla visione di Margaret Blanchard, l’avevano duramente provata.
“Mi dia quei biscotti di cui parlava.”
La professoressa frugò nella valigia, afferrò il pacchetto e glielo lanciò.
“Stai bene comunque? Hai dormito bene?”
“Sì. Lei?”
“Direi di sì.” Rispose sorridendo Emma.
Passò qualche minuto in cui l’unico rumore udibile fu lo sgranocchiare di Regina.
“Non sono drammatica.” Disse lei dopo un po’. “Ma non mi piace essere presa in giro.”
“Non ti stavo prendendo in giro.”
“Sì invece…mi ha preso in giro perché l’ho…l’ho-“
Si bloccò.
Morse un biscotto con rabbia.
“Perché l’ho abbracciata questa notte. Inconsapevolmente, OVVIAMENTE, mentre dormivo. Che poi è tutto da vedere. Non ci sono prove di questo, non mi stupirei se si fosse inventata tutto.” concluse piccata. Incrociò le braccia e guardò fuori dalla fienestra.
Emma scosse la testa sconsolata, poi aprì l’armadio e tirò fuori una camicia bianca. La mostrò a Regina.
“Può andare?”
Ricevette un cenno di assenso.
“Non ti ho presa in giro comunque…mi sono solo difesa.”
L’altra sbuffò.
“Non metta i jeans con quella camicia.” Le disse poi.
Emma si voltò e la guardò interrogativa.
“Non le stanno bene.”
Rimase in silenzio, aspettando, chiedendosi perché l’avesse detto e spiando la reazione della professoressa.
Emma aggrottò la fronte perplessa.
“Okay…”
Regina esitò. Voleva terminare il suo discorso.
Così finì il biscotto e parlò.
“Da cosa si è difesa?”
“Dalle tue accuse ingiustificate! Non sono di certo una che spia gli altri mentre dormono!” Emma si bloccò e poi riprese con enfasi "E solo perchè non ho tanti amici a Storybrooke non significa che- che io sia una tipa stramba. Ecco tutto!"
“Va bene, va bene.” la canzonò Regina. Salì in piedi sul letto e saltò qualche volta.
“Le dà fastidio?” chiese poi.
“Che salti sul letto? No, lo faccio sempre anche io.”
La ragazza scosse la testa.
Quella conversazione si stava rivelando piuttosto difficile.
Sperava di riuscire a ricavarne qualcosa.
Emma finì di sistemare l’armadio e si girò e con un balzo fu sopra il letto, in piedi, di fronte a lei.
“Ventotto anni per niente.” Commentò Regina sarcastica.
L’altra sorrise.
“Direi che è ora di dividerci. Spera che la tua compagna sia in camera, altrimenti mi sentirà.”
“Non possiamo rimanere qui a saltare sul letto? A mangiare i biscotti e a chiacchierare.”
“Mi piacerebbe ma lo ritengo poco fattibile.”
Regina sbuffò e scese dal letto. Stava raccattando i suoi vestiti quando l’occhio le cadde nuovamente sul libro di fiabe dentro la valigia di Emma.
“Non vuole proprio dirmi per chi è quel libro?” si decise a chiedere.
Si girò e la guardò con aspettativa.
“Te l’ho detto, è per una persona.”
“Dovremmo essere amiche. Circa.” le fece notare Regina.
“Lo siamo. Circa.”
La ragazza osservò bene Emma.
Era davvero intenzionata a non risponderle.
E di nuovo, come la sera precedente, ebbe la netta sensazione che ci fosse qualcosa di non detto.
Forse era solo una sua idea e ad Emma piaceva fare la misteriosa o forse iniziava a conoscerla meglio e a notare i lati più nascosti del suo carattere.
Se fosse stato un uomo, un amico…perché non dirlo? Perché non essere onesta se millantava di volerle essere amica?
Scrollò le spalle infastidita.
“Come vuole lei.”
Ma Regina non era mai stata una persona arrendevole.
 
 
Robert frenò bruscamente davanti a casa e scrutò dubbioso la sua abitazione. La macchina di sua madre non c’era, doveva essere già uscita.
Curiosamente però, notò che quella di suo padre era al suo posto nel parcheggio.
Peter Gold era in casa.
Robert rifletté un attimo ma poi decise che non gli importava: avrebbe biascicato qualche scusa, avrebbe semplicemente detto che Boston gli aveva fatto schifo e che aveva deciso di tornare prima. Tanto a suo padre non sarebbe importato.
A suo padre importava solo quando si trattava di mettergli pressione su cose inutili.
Zampettò rapido per il vialetto e aprì la porta di casa.
Sentì un ululato selvaggio e sorrise.
Bobik arrivò di corsa, abbaiando forte e scodinzolando. Gli si lanciò contro mentre Robert lo accarezzava e lo stringeva.
“Hai visto? Papà è tornato prima del previsto!” esclamò felice. “Ma sei tutto sporco e puzzolente...non ti hanno fatto il bagno!?” aggiunse poi, guardandolo criticamente.
Decise che avrebbe portato Bobik da Belle e che insieme lo avrebbero lavato. Il piccolino aveva tutte le zampe sporche di fango ed emanava uno strano odore che a Robert sembrò proprio fogna.
Così avviò verso il soggiorno con il cagnolino alle calcagna e stava per aprire la porta ma qualcun altro fu più veloce.
Suo padre uscì rapidamente dal salotto, stupito ed imbarazzato al tempo stesso.
“Ciao.” Disse Robert guardingo.
“Ciao laddie.” Rispose subito l’altro.
Sembrava estremamente a disagio.
“Credevo fossi a Boston.” Disse dopo un lungo momento.
Robert alzò le spalle.
“Non mi piaceva così sono tornato prima. Faceva schifo. Meglio Yale.”
Suo padre annuì.
Non si spostò di un centimetro. Rimase impettito di fronte alla porta del soggiorno, immobile.
“Dovrei…” iniziò Robert, indicando la porta alle sue spalle.
“Cosa? Non ce l’hai una camera tua!?”
Il ragazzo lo fissò stupito.
“Ci sono dentro le ciotole di Bobik.” Spiegò poi.
“Lo so.”
“Mi servono.”
“Non possono rimanere lì?”
“Devo andare a casa di Belle e portarle lì.”
Peter sorrise.
“Vi frequentate di nuovo quindi?”
Robert non rispose.
“Posso passare?”
Ma suo padre non si spostò.
“Dai laddie, vai a farti una doccia, puzzi, non vorrai mica andare a casa della tua ragazza conciato così.”
Robert sospirò.
“Immagino di no.”
“Allora fila in bagno canaglia.” Gli diede una pacca scherzosa sulla spalla.
Dopodiché si girò, entrò in soggiorno e chiuse la porta.
Il ragazzo fece un passo verso la sua camera da letto ma si fermò di colpo.
C’era qualcosa che non tornava.
Non aveva idea di cosa fosse ma ne era certo.
Era sempre stato un buon osservatore e qualcosa lo aveva inconsapevolmente turbato. Lo realizzava ora, dopo aver parlato con suo padre, ma lo stesso atteggiamento dell’uomo lo aveva stupito.
Tornò nell’ingresso rapidamente e diede un’occhiata agli attaccapanni.
C’era un soprabito rosso, un soprabito rosso che non aveva mai visto, da donna e che di sicuro non apparteneva a sua madre.
Si avvicinò lentamente mentre Bobik abbaiava senza convinzione, come a voler richiamare la sua attenzione.
“Zitto.” Mormorò Robert.
Scrutò da vicino la giacca.
Dopodiché si avviò spedito verso il soggiorno.
Spinse la maniglia ma scoprì che la porta era chiusa a chiave.
“Fammi entrare.” Disse ad alta voce.
Suo padre non rispose.
“Apri la porta!”
“Cosa fai ancora qui? Vai di sopra.” Sentì la voce di suo padre, attutita al di là della porta.
“Ti ho detto di aprire la porta.”
“Sto lavorando. Vai di sopra.”
“Se non lo fai giuro che la sfondo a calci.” Esclamò tremante.
Vedendola ancora chiusa, tirò un pugno forte sul legno, procurandosi un gran male alle nocche.
Bobik guaì terrorizzato.
“APRI!” Sbraitò Robert, improvvisamente furioso.
Sapeva benissimo perché suo padre non apriva, sapeva benissimo perché non lo aveva lasciato entrare in soggiorno poco prima, lo sapeva ma voleva vederlo con i suoi occhi.
“Robert ma che cazzo-“
Tirò un altro pugno sulla porta, più forte del precedente.
E improvvisamente suo padre comparve davanti a lui, arrabbiato e spaventato.
“Che cosa pensi di fare stronzetto!? Questa porta è costata più della tua macchina!”
Robert fece un passo avanti.
Spinse suo padre da una parte ed entrò.
Rimase immobile a fissare una donna, una giovane donna sulla trentina che in quel momento si stava chiaramente rivestendo, che lo guardò di rimando.
Sentì suo padre afferrargli la spalla e dirgli qualcosa ma non vi prestò attenzione.
In quel momento contava solo la donna di fronte a lui, che sembrava cercare le parole, cercare delle scuse, ma si limitava ad arretrare portandosi le mani alla bocca.
Dopo qualche secondo, Robert decise che ne aveva abbastanza.
Con le orecchie che fischiavano e il viso bollente, si voltò di scatto, si scansò bruscamente da suo padre e corse su per le scale.
Bobik lo seguì allarmato, mentre lui raggiungeva la sua camera, sbatteva la porta si sedeva sul suo letto e affondava il viso tra le mani.
Respirò a fondo e cercò di calmarsi. Respirò più e più volte, sempre più lentamente, finchè non riuscì a riordinare i pensieri.
Se lo aspettava.
Lo sapeva, si disse, sapeva che tipo di uomo era suo padre.
Non c’era nulla di strano in quello che aveva appena visto, in fondo lo sospettava da sempre, averlo visto non cambiava di sicuro la situazione…doveva solo evitare di pensarci, non era niente di importante. Non cambiava nulla. Doveva pensare piuttosto al da farsi: era la cosa migliore.
Doveva tornare da Belle e doveva farlo subito, quella era la cosa che davvero contava. Le aveva promesso che ci avrebbe messo poco, che sarebbe tornato da lei con la colazione…non c’era tempo per nient’altro. Tutto il resto passava in secondo piano. Suo padre poteva fare quello che voleva, tanto Robert non lo aveva mai stimato e mai lo avrebbe fatto...
Annuì lentamente, da solo. Si alzò, aprì l’armadio e sfilò dei vestiti puliti, stranamente calmo. Prese anche la sua t-shirt preferita con cui stava tanto comodo in casa, una bella t-shirt blu che a suo parere lo snelliva e lo alzava. L’avrebbe portata a casa French e l’avrebbe indossata così si sarebbe sentito a suo agio.
Sentì dei passi sulle scale e suo padre apparve scarmigliato sulla sua porta.
“Robert, dobbiamo parlare.”
Robert lo guardò attentamente da capo a piedi.
“No.” Mormorò poi.
Non gli importava nulla. Non voleva saperne niente e voleva uscire al più presto da quella casa.
“Ascolta, non è come-“
“Stai zitto.”
Peter Gold si passò una mano tra i capelli, disperato.
“Ti prego. Non dire niente a tua madre.” Disse infine.
Robert deglutì.
“Lei penserebbe male…non capirebbe. Questa famiglia-” Si interruppe e si inumidì le labbra con agitazione crescente “Tu…tu non vuoi che ci succeda qualcosa, giusto?” gli chiese infine supplicante.
Il ragazzo rimase immobile.
Non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo e di ciò che suo padre gli stava chiedendo.
“Avanti laddie, non-“
“Non voglio sentire più niente. Mi fai schifo. Mi fate schifo tutti. Me ne vado.”
Tremante afferrò il suo zaino di scuola e vi infilò dentro i vestiti. Camminò rapido verso il bagno, travolgendo suo padre e ignorando le sue parole, afferrò quanto gli serviva, scese le scale e si avviò rapido verso l’uscita.
“ROBERT!” Gli urlò dietro Peter “FERMATI!”
Ma Robert non si fermò.
Prese in braccio Bobik e non chiuse nemmeno la porta di casa. Corse fuori, salì in macchina e partì.
 

“Idiota” disse semplicemente Regina entrando in camera.
Kristin era sdraiata sul letto sfatto e la guardò interrogativa.
“Buongiorno!” esclamò poi sorpresa. Sembrava intenta in quella che pareva una delicatissima opera di travaso.
“Adesso la smetti di bere questa merda.”
Regina le strappò di mano la bottiglia.
“Mamma mia come sei acida, Reginella. Ti è andata male la nottata?” le chiese Kristin con finta dolcezza.
“Sono rimasta chiusa fuori. Vedi un po’ tu.”
“Beh ma non ti ho vista qui fuori sullo zerbino quando sono tornata…deduco che hai passato la notte altrove.”
Ammiccò.
Regina alzò gli occhi al cielo e si diresse verso il misero bagnetto. Iniziò a svuotare il contenuto della bottiglia nel lavandino.
“COSA STAI FACENDO!” Urlò Kristin allarmata.
“Evito l’espulsione ad entrambe.” Borbottò Regina.
“Che caz-“
“La Swan ha saputo della nottata.” Disse semplicemente.
Con un balzo Kristin le fu accanto e con altrettanta rapidità la spinse contro il muro.
“Hai fatto la spia?”
Regina strinse gli occhi.
“No. Ho dovuto chiamarla perché non sapevo dove dormire. Ma siccome è una persona comprensiva ha detto che se ci sbarazziamo di questa roba velocemente, non farà rapporto. E smettila di fissarmi così, tanto non mi fai paura.”
L’altra la lasciò andare con un ringhio.
Pochi minuti dopo, tutte le bottiglie erano state svuotate e altrettanto svuotata sembrava Kristin che aveva ripreso il suo naturale sguardo vacuo e fissava sconsolata il soffitto.
“Ho ancora una serata qui. Come farò?”
“Come facciamo tutti.”
Regina si stava vestendo rapidamente.
Emma le aveva dato una ventina di minuti per far sparire le prove della loro nottata brava, per lavarsi e vestirsi. Era stata una gentile concessione e questo Regina lo sapeva bene.
“Ringraziami piuttosto che ti ho evitato il gramo destino che ti aspettava.” Mormorò poi rabbiosa, allacciandosi un bottone della camicia.
“Dove hai dormito?” le chiese improvvisamente Kristin.
Regina non rispose.
“Allora?”
“Non sono affari tuoi.”
“Chi è il fortunato?”
“Smettila!”
Kristin sbuffò.
"Mi hai rovinato il week-end. Almeno dammi qualche dettaglio divertente. Alllora, hai dormito con la Blanchard?” domandò.
“Devi chiudere quella bocca. Hai capito?” Ringhiò Regina.
Kristin rise.
“Deve proprio piacerti la Blanchard per difenderla così…cosa ti attira di lei? Il taglio di capelli? O magari le orecchie a sventola. O magari sotto quelle gonne da suora ha-”
“BASTA!”
La mora respirò a fondo per calmarsi.
“Ora entrerò in bagno. Quando esco non voglio più sentire le tue stronzate. La Blanchard fa schifo e tu sei una drogata. Non disturbarmi ulteriormente.”
Senza voltarsi, si diresse spedita in bagno e chiuse la porta sbattendola.
 
 
Quando Robert suonò il campanello di casa French, lo colpì con estrema violenza e ripetutamente, forse più del dovuto.
La porta si aprì e Belle, ancora in pigiama ma con una tazza di tè in mano, lo guardò interrogativa.
“Beh?”
“Non aprivi!” si giustificò Robert. Dopodiché entro senza esitare, lo zaino in una mano e nell’altra il guinzaglio del piccolo Bobik.
Belle spalancò gli occhi stupita mentre il cagnolino le si lanciava addosso con gioia e guaiva forte, mordendole i pantaloni del pigiama. Dopo settimane che non la vedeva, pareva ben deciso a farle capire quanto gli fosse mancata.
“Lui cosa ci fa qua?”
“E’ con me. Non potevo lasciarlo a casa da solo. Era triste e sporco.”
Lasciò cadere lo zaino per terra con violenza.
Si girò respirando forte.
Doveva calmarsi immediatamente. Aveva cercato di distrarsi lungo la strada, ma niente aveva avuto effetto, neanche il suo cd di canzoni preferite.
Belle era molto perplessa. Tentava di tenersi lontana dalla lingua di Bobik che in quel momento cercava di raggiungere la sua faccia, nel frattempo osservava il ragazzo con sguardo critico.
“Non ti sei cambiato i vestiti?” chiese infine.
Lui scosse le spalle infastidito.
“Faccio la doccia qui. Ho i vestiti di ricambio nello zaino.”
“E la colazione?”
Si colpì la fronte col palmo della mano.
“Ecco cos'era! L’ho dimenticata. Cazzo.”
Belle si alzò e lo guardò bene.
Sembrava scosso, in ansia e molto arrabbiato. Lo vedeva dal modo scattoso in cui si muoveva per la cucina prendendo una tazza di tè e bevendola, lo vedeva dalla sua espressione.
“Robert, cosa succede?”
Lui non la degnò di uno sguardo. Finì di bere e appoggiò la tazza sul tavolo.
“Allora il tè c’era. Dov’era? Non l’avevo trovato prima.”
“Nell’ultimo stipetto, dietro il barattolo del caffè. Robert, cosa c’è?”
Finalmente il ragazzo alzò lo sguardo.
“Niente.” Rispose con estrema lentezza.
Bobik si sedette e abbaiò forte e più volte.
“Stai zitto tu.” Sbottò Robert.
Belle rimase immobile.
Non aveva idea di come agire. Qualche mese prima gli si sarebbe avvicinata e l’avrebbe abbracciato, gli avrebbe chiesto cosa stava succedendo e gli avrebbe dato la sua disponibilità per parlarne. Ma ora…
“Vado a farmi una doccia.”
“Perché non l’hai fatta a casa tua?”
“Era occupata.”
Lei incrociò le braccia.
“Hai tre bagni.”
“Erano…erano occupati tutti e tre” rispose lui evasivo.
“Cosa succede?”
“Niente ti ho detto. Se ti dico niente è niente!” esclamò.
Afferrò lo zaino e lo aprì, estraendone i vestiti puliti, lo spazzolino da denti e l’accappatoio.
Belle gli si avvicinò con fare bellicoso.
“Non sono stupida. Esci di casa allegro e petulante, torni furioso. Ora dimmi cos’è successo o la doccia te la scordi.”
Robert respirò a fondo.
“Ne parliamo dopo.”
“Ne parliamo ora.”
“Ti ho detto di no!” esclamò improvvisamente furibondo.
“E io ti ho detto di sì!” disse lei alzando esponenzialmente la voce, altrettanto arrabbiata.
Quello era esattamente il motivo per cui si erano lasciati. Il fatto che Robert il più delle volte non avesse il coraggio di guardare in faccia la realtà, di parlare, di affrontare i problemi.
“Non puoi costringermi a parlare se non voglio.”
“No, certo. Non potevo neanche quando stavamo insieme, figurati se posso adesso.” Commentò lei sarcastica.
Robert strinse i pugni, respirò a fondo e Belle seppe di aver fatto centro. 
Era stato sleale forse, ma avrebbe funzionato e lo sapeva.
“Sono arrivato a casa mia” iniziò infine, tremante “E ho trovato mio padre che se la spassava con una tizia che- che non ho idea di chi sia. Me ne sono andato più in fretta che potevo perché mi ha fatto schifo quello che ho visto.”
Belle aprì la bocca senza riuscire ad emettere un suono.
Nessuno dei due parlò per un minuto buono.
“Contenta?” chiese lui infine.
“Robert io-“
“Vado a farmi la doccia.”
“Aspetta!”
Ma non ottenne niente: il ragazzo si girò di scatto e camminò spedito verso il bagno.
“Torna subito qui! E’ il mio bagno e posso sbatterti fuori di casa finché voglio!” sbraitò lei a vuoto.
Sentì la porta chiudersi.
Bobik abbaiò, frustrato e triste.
“Merda” Mormorò Belle tra i denti.
Rimase un momento immobile.
Aveva due scelte: poteva fregarsene e lasciare che se la sbrigasse da solo. Avrebbe fatto la doccia, sarebbe uscito calmo e tranquillo, lo sapeva. Non ne avrebbe di sicuro più parlato. Avrebbe semplicemente fatto finta di non averle mai detto niente.
E in fondo Belle lo sapeva, non erano affari suoi, non più, che cosa le importava se lui stava male e non riusciva ad esprimersi? Lei provava ad aiutarlo, ci aveva provato fin dall'inizio, ma se lui non voleva…
La scelta era allettante.
Poi c’era una seconda scelta, la più difficile, quella di farsi ancora una volta coinvolgere.
Belle si morse il labbro. Lì in piedi nella sua cucina, con un ridicolo pigiama addosso e una tazza di tè in mano, sentì chiaramente di essere di fronte ad un bivio cruciale.
Fregatene – disse dentro di lei una vocina maligna.
Rimase ancora un momento immobile mentre Bobik guaiva.
Fu seriamente tentata di tornarsene in camera a finire il tè.
Poi i suoi piedi si mossero automaticamente e prima che se ne accorgesse, era davanti alla porta del bagno.
 
La aprì senza neanche bussare.
“Ma che modi sono!?” abbaiò Robert.
Era in mutande e calzini, aveva un ridicolo paio di boxer larghi con dei cactus disegnati sopra. Belle non glieli aveva mai visti e lo ringraziò mentalmente per non averli mai indossati in sua presenza. Fece fatica a trattenere una risata.
Quindi entrò e si richiuse la porta alle spalle. Si appoggiò al muro e incrociò le braccia, cercando di non far cadere lo sguardo su quei ridicoli boxer e sui calzini a righe blu e nere.
“Vattene subito. Mi sto spogliando.” Riprese lui arrabbiato.
“Non me ne vado finché non ne parliamo.”
“Ti ho detto che mi sto spogliando!”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Pensi che mi importi? Non hai niente che io non abbia già visto.”
Robert pestò i piedi arrabbiato.
“Non si può neanche avere un minimo di privacy qui! Non è corretto! Sai anche quanto sono pudìco!”
A quel punto Belle non riuscì più a trattenersi. Scoppiò a ridere di fronte all’esterrefatto sguardo del ragazzo che per tutta risposta si coprì con un asciugamano, indignato.
“Piantala di fare l’idiota.” Disse infine, tornando seria.
“Va bene. Allora stai pure qui mentre mi spoglio e mentre mi faccio la doccia, se la cosa ti rende felice. E’ evidente che ti piace vedermi nudo. Buon per te, goditi lo spettacolo.” Dichiarò furibondo.
Cercò di togliersi un calzino ma non ci riuscì, così saltellò fino al muro dove si appoggiò per non cadere.
“E non ridere! Non ci provare!” sbraitò.
Belle aspettò pazientemente che si calmasse.
Finalmente riuscì a togliersi i calzini, poi si bloccò.
“Allora!? Esci dal bagno!”
“Prima parliamo.”
“No! Adesso io entrerò in doccia e-”
“Va bene. Come preferisci, ma mi ci hai costretta tu.” Disse Belle con tono di sfida.
Dopodiché con un gesto fluido si tolse la maglietta del pigiama e rimase in reggiseno.
Robert sgranò gli occhi e la sua rabbia parve svanire per qualche secondo, sostituita da uno sguardo di sinceri ammirazione e stupore.
Poi si girò sdegnoso dall’altra.
“Non sono in vena.” Dichiarò.
“Di cosa?”
“Di fare…quello.”
Belle incrociò le braccia.
“Non ho alcuna intenzione di fare qualcosa con te. Se entri in doccia però, io ti seguo. Finché non parli. Anche a costo di farmi la doccia con te.”
Robert si appoggiò al muro, sospirando.
“Per favore.” Mormorò improvvisamente stanco.
Belle si avvicinò e gli si piazzò davanti.
“Ci ho pensato molto prima di entrare in bagno. Perché tu non sei mai onesto quando hai qualche problema, non parli mai. Poi ad un certo punto sbotti…e dopo basta, ti chiudi in te stesso. E no, non dovrebbe importarmi per niente, dovrei riuscire a fregarmene soprattutto perché…finisco col farmi male.” Si interruppe e riprese, con voce calma eppure amareggiata “Però mi importa, che io lo voglia o no. Quindi ora mi dici come stanno le cose e cos’è successo. Altrimenti quella è la porta di casa mia, ma se esci, non avrai mai più niente a che fare con me. Mai più in tutta la tua vita.”
Robert aprì la bocca a vuoto e strinse l’asciugamano convulsamente.
“Non lo faccio perché sono curiosa e lo sai.” Lo guardò dritto negli occhi “Lo faccio perché sono sicura che tu abbia bisogno di parlare. Tu sei stato molto gentile con me ieri e ora io voglio aiutare te. Quindi siediti qui.” Indicò il bordo della vasca “E parla.”
Robert si guardò intorno disperato, capendo di essere finito in una trappola.
Fu seriamente tentato di andarsene. Rivestirsi e andarsene da quella casa, chiudere con Belle per davvero, una volta per tutte. Smetterla con quella farsa, smettere di sognarla e di essere innamorato di lei, smettere di vederla e di continuare a sperare che col tempo le cose si sarebbero riaggiustate.
Ma guardando quegli occhi azzurro cielo, vedendo quel viso, non riuscì a muovere un muscolo.
Ripensò alla notte appena passata. Se qualcosa si stava smuovendo, quello non era il momento di opporsi.
Belle voleva solo aiutarlo.
Quella era una chance che gli stava dando. Probabilmente era l’ultima.
E in fondo, sapeva di aver bisogno di parlare con qualcuno, forse con l’unica persona che davvero lo capiva e teneva a lui. Non avrebbe retto a lungo il peso della situazione, non da solo.
Deglutì.
“Non possiamo parlarne dopo che ho fatto la doccia?”
Lei non rispose, limitandosi a guardarlo male.
Così Robert si sedette, ancora arrabbiato, sul bordo della vasca da bagno, dove Belle lo raggiunse.
“Ti ho già detto cos’è successo.” Borbottò poi.
“Sì.” Disse lei con gentilezza “Non mi interessano i dettagli. Vorrei sapere come ti senti tu.”
Lui ci pensò un po’ su.
“Non lo so.” Ammise infine.
“Sei arrabbiato?”
“Sì, ma non stupito. Insomma, so che uomo è mio padre.”
“Quindi-“
“Quindi sono…sono arrabbiato e…e schifato. E anche in dubbio. Mi sento in colpa perché…lui mi ha chiesto di non dirlo a mia madre. È stato quello che mi ha scioccato più di tutto il resto...e io non so…non-“
Si interruppe, incapace di proseguire e scrollò le spalle sconsolato.
Picchiettò le dita sulla vasca da bagno, fissando le piastrelle bianche.
“Cosa pensi di fare? Ha in mente qualcosa?” si informò Belle.
Osservò come ipnotizzata la mano di Robert. Ci sarebbe voluto così poco per
raggiungerla…
Strinse la propria mano intorno al bordo della vasca, costringendosi a stare ferma.
“Non lo so. Non voglio ferire nessuno. Lui ha detto che se parlo…ci faremo tutti del male…e ha ragione.” Mormorò lui.
Belle alzò lo sguardo dalla sua mano irrequieta e valutò che forse era la prima volta che lo vedeva così vulnerabile. Era lì, seduto, con quelle sue ridicole mutande, i capelli spettinati e l’espressione affranta.
E in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per essere ancora la sua ragazza, per poterlo stringere e dirgli che insieme avrebbero trovato una soluzione, che lei ci sarebbe stata per lui sempre e che non lo avrebbe mai abbandonato. Che lo amava e che anche se suo padre era l’essere più miserabile sulla faccia della terra, lui non era così, era un bravo ragazzo ed era il suo ragazzo, e insieme avrebbero affrontato qualunque cosa.
“Non devi farlo ora.” Disse infine. “Prenditi del tempo.”
Era il massimo che poteva fare, pensò tristemente.
Lui annuì stanco.
“Hey!” mormorò Belle. Si avvicinò a lui e gli diede un colpetto sul braccio,
costringendolo a voltarsi dalla sua parte. Gli sorrise e quello era il primo, vero sorriso che gli dedicava dopo tanto tempo. Poi appoggiò il mento sulla sua spalla. Forse questo poteva concederselo.
“Non devi avere fretta. E’ una brutta situazione e tuo padre non è stato molto gentile a chiederti di mentire ma puoi prenderti del tempo per
riflettere.”
“Sta sera a casa come farò a-” iniziò Robert. Venne interrotto.
“Sta sera dormi qui. Va bene? Io odio guidare e tu puoi accompagnarmi all’ospedale. In cambio potrai stare qui. Facciamo la spesa insieme, portiamo Bobik fuori, cuciniamo qualcosa che ci piace per cena…e potremo parlarne se vorrai, e decidere cosa fare. Ti sembra una buona idea?”
Lui ci pensò un po’ su, scrutando pensieroso i suoi calzini che giacevano abbandonati vicino al termosifone.
“Sì.” Borbottò poi.
Belle sorrise, poi gli lasciò un veloce bacio sulla spalla e si alzò in piedi.
Forse in seguito si sarebbe pentita di tutta quella confidenza ma in quel momento le sembrava importante seguire l’istinto e lasciar perdere qualsiasi convenzione. Nessuno poteva decidere come si sentisse e cosa dovesse fare, nessuno tranne lei.
 “Scusami se-“ iniziò Robert.
“Non fa niente.”
Non aveva voglia di sentire le sue scuse. Non servivano, non erano richieste e non avevano mai portato a nulla.
“Okay.”
Riprese a picchiettare la ceramica della vasca da bagno.
“Allora. Vuoi farti questa doccia?” esclamò Belle, battendo improvvisamente le mani, afferrando una spugna e lanciandogliela.
“Non ne ho più voglia.” Mormorò lui mogio.
“Beh, devi farla perché puzzi. E perché anche io puzzo e dopo di te dovrò farmela io. Quindi ora aprirò l’acqua e me ne andrò, tu ti toglierai quelle ridicole mutande coi cactus e non le indosserai mai più.”
Finalmente a Robert scappò una risata.
“Non sono così brutte.”
“Sono orrende ma ti ringrazio di non averle mai indossate in mia presenza.”
“Oggi le ho-“
“Oggi non conta.”
Lui annuì.
Mentre Belle usciva dal bagno, Robert le urlò dietro un semplice “grazie”. Era stato un grande passo in avanti.
 
Uscì dal bagno in accappatoio, quasi mezz'ora dopo, borbottando rabbioso qualcosa contro il phon di casa French.
Si sentì estremamente offeso quando Belle gli scoppiò a ridere in faccia, indicando i suoi capelli che in quel momento avevano perso ogni controllo e viaggiavano nell’aria senza curarsi dell’ira del loro legittimo proprietario.
“Sembrano tanti fili da cucito impazziti!” aveva esclamato Belle indicandoli.
Robert aveva pestato i piedi furioso e aveva cercato di sistemarseli con le mani. Nel farlo, aveva alzato e le braccia e l’accappatoio gli si era aperto lasciandolo completamente nudo in soggiorno.
A quel punto, rosso in viso, si era coperto velocemente ed era fuggito in bagno.
Belle dovette passare quindici minuti buoni a convincerlo pazientemente che no, assolutamente non aveva visto nulla e che comunque la cosa non l’avrebbe minimamente turbata.
Dopo numerose peripezie i due finalmente riuscirono a salire in macchina e a dirigersi frettolosamente verso l’ospedale, non prima però di aver acquistato due grossi cornetti al cioccolato da Granny’s.
 
All’ospedale filò tutto liscio.
Robert si appollaiò in sala d’attesa come la sera precedente, tenendo Bobik tra le braccia, mentre Belle si dirigeva un po’ ansiosa verso la stanza di suo padre.
Lo trovò in piena forma e molto chiacchierone.
Apprese che aveva già litigato con un’infermiera per avere una doppia dose di pane e burro.
“Hai appena avuto un infarto!” aveva esclamato Belle esterrefatta.
“Non era un infarto! Era…qualcosa di meno…pericoloso! E poi insomma, avevo fame!” si era giustificato suo padre.
Belle gli fece chiaramente capire che una volta a casa si sarebbe messo a dieta e che lei l’avrebbe controllato personalmente.
Parlarono del più e del meno.
Non gli accennò di Robert, sapeva bene che Moe non lo apprezzava particolarmente da quando si erano lasciati e sebbene avesse evitato accuratamente di dirgli cos’era successo, una parte di lei era convinta che lo sapesse.
“Come sei venuta qui?”
“In autobus. Tra l'altro, vicino a me si è seduta una signora che...”
Non le piaceva mentire ma l’aveva reputato necessario.
Più difficile sarebbe stato mentire nell’area ristoro dell’ospedale, quando Robert e Belle stavano sorseggiando una cioccolata calda e improvvisamente apparvero sulla soglia Tink e Killian.
 
 
Regina era sdraiata sul letto, pensierosa.
Il week-end era ormai alla frutta. Quel sabato sera non avrebbe combinato niente, lo sapeva bene: l’alcool era finito insieme al week-end e lei era stufa di rischiare di finire nei guai.
Emma le aveva fatto intendere perfettamente che non ci sarebbero più stati strappi alla regola per i restanti giorni a Boston.
“Cosa pensi di fare questa sera?” si era quindi informata Regina, guardando la sua bionda compagna di stanza.
Kristin aveva alzato le spalle.
“Andrò in giro ad esplorare. A cercare ciò che tu mi hai buttato via. Bastarda.”
E così quel sabato sera, Regina sarebbe rimasta sola in camera.
Sbuffò, annoiata, fissando le pareti spoglie.
Non era stato un brutto fine settimana in fin dei conti.
Certo, forse non aveva portato con sè tutto ciò che lei avrebbe voluto, ma non poteva dichiararsi completamente delusa. Inoltre non aveva nemmeno dovuto fare i compiti.
Chissà come stavano Belle e Robert, si chiese distrattamente.
La Blanchard li aveva informati della situazione del padre di Belle la mattina precedente.
Ma a lei non importava.
Insomma, provava un vago sentimento di dispiacere nei confronti di Belle ma non era qualcosa di particolarmente allarmante.
Più allarmante, decisamente più allarmante, era la sensazione di calore che si diramava dal suo stomaco ogni volta in cui pensava ad Emma e alla notte precedente.
Arrossì infastidita.
Chissà cosa stava facendo Emma in quel momento, magari era bloccata in camera con la Blanchard a sorbirsi un lunghissimo discorsi sui problemi intestinali di quest’ultima…
Si girò sul fianco e controllò il cellulare. Nessuna novità.
Infine Regina si ricordò di quel curioso libro di fiabe e realizzò che quel week-end aveva portato con sé qualcosa di estremamente importante: una finestra sulla vita di Emma. Qualcosa di cui lei, Regina, non era al corrente. Qualcosa che aveva voglia di scoprire.
 

La situazione non era particolarmente brutta, valutò Belle.
Si erano seduti lì, loro quattro, nellla caffetteria del primo piano dell'ospedale.
Certo, lo sguardo furioso di Tink non lasciava spazio a nessun dubbio, ma in compenso Killian aveva un sorriso raggiante che andava da un orecchio all’altro.
Dopo aver spiegato cos’era successo a Moe French (Tink aveva abbandonato momentaneamente il broncio e uno sguardo preoccupato l’aveva sostituito), Killian aveva incautamente proposto di bere qualcosa insieme, tutti e quattro.
Al momento di tornare ognuno ai propri affari, Tink era riuscita a prendere un secondo Belle da parte e a sussurrarle: “al più presto dobbiamo parlare.”
Belle aveva annuito.
 
 
Poi c’era stata la cena.
Quando aveva promesso a Robert di farlo rimanere a cena, non aveva minimamente pensato che preparare qualcosa insieme sarebbe stato così problematico.
Già la spesa si rivelò un’impresa non da poco.
Avevano seriamente litigato sui vegetali da comprare. Robert odiava le zucchine mentre Belle le amava. Viceversa, Belle odiava le carote e Robert insisteva assolutamente per inserirle nell’insalata.
Già provati da questo, arrivati al momento di scegliere la carne, la situazione era esplosa.
“LA CARNE ROSSA FA MALE!” aveva urlato Belle di fronte ad uno stupito macellaio.
“VA BENE! COMPRIAMO UNO DI QUEI MERDOSI POLLI!”
Robert si era calmato solo quando Belle gli aveva concesso di comprare un’intera vaschetta di gelato che avrebbero mangiato dopo cena. 
 
 
Preparare la cena effettiva non era stato meno faticoso della spesa. Bobik ci aveva messo del suo, mettendo in atto tutta una serie di piccoli furti che inizialmente erano passati inosservati ma successivamente avevano portato Belle ad arrabbiarsia con Robert e ad esclamare "ma quel cane non riesci proprio ad educarlo!?" per poi riceversi in risposta un seccatissimo "se è stupido è colpa tua che hai scelto male!"
Dimenticarono inoltre le patate sul fuoco e le trovarono tutte bruciacchiate. Seguì una crisi isterica di Robert in cui si mise a dichiarare a gran voce che non era colpa sua e che era il fornello di casa French che chiaramente non funzionava e che lui, Robert, era sempre stato un bravissimo cuoco.
Ebbero un momento di pace solo quando misero la carne nel forno.

Belle si sdraiò sfinita sul divano, mentre Robert camminava agitato per il soggiorno.
“Non sarà pronto prima di mezz’ora, puoi calmarti.”
“Già. Lo so. Ma…voglio essere sicuro che vada tutto bene. Ecco.”
Belle l’aveva osservato con la coda dell’occhio.
Sicuramente si sentiva in colpa per aver lasciato bruciare le patate, nonostante non volesse ammetterlo.
“Dai, vieni a sdraiarti qui.” Gli aveva detto infine, sorridendo.
Robert l’aveva guardata, stupito.
Belle si era spostata leggermente sulla destra, lasciandogli una porzione di divano sul quale sdraiarsi accanto a lei.
Considerò che sarebbero stati molto vicini e che forse la cosa poteva metterla a disagio. Magari non aveva valutato bene le distanze.
“Sicura?”
Lei alzò gli occhi al cielo e gli fece segno di accomodarsi.
Così Robert si sdraiò goffamente accanto a lei e fissò il soffitto senza muovere un muscolo. Sentiva la spalla della ragazza attaccata alla sua, così come tutto il resto del corpo. Mosse i piedi, nervoso.
Poi sentì una mano scompigliargli i capelli.
“La smetti di fare il cretino e ti calmi?” gli chiese Belle, sempre sorridendo, il viso vicino al suo.
Forse troppo vicino.
Il ragazzo annuì lentamente.
“Sono solo un po’ in ansia per…tutta la situazione.”
“Lo so. E io sono qui per aiutarti.”
Robert mugugnò qualcosa.
“Come?” domandò Belle, guardandolo candidamente.
“Non ho voglia di parlare.” Ripetè Robert.
Lei annuì.
“So anche questo. Non ce n’è bisogno se proprio non vuoi…cerca…cerca solo di stare tranquillo.”
“È che non ci riesco.”
Rimasero per qualche momento in silenzio.
“Sei davvero carino con questa t-shirt blu.” Disse Belle all’improvviso alzando il volto e scrutandolo bene.
Robert si illuminò. La sua t-shirt non l’aveva mai tradito e ora più che mai, gli aveva fatto fare un’ottima figura. Doveva assolutamente indossarla più spesso.
“Lo pensi davvero?” chiese però guardandola di sottecchi.
“Sì. Il blu ti sta bene. Sembri più alto.”
"Davvero?" Esclamò speranzoso.
"No. Ma sei carino lo stesso."
Il ragazzo scoppiò finalmente a ridere mentre Belle si univa a lui e gli dava una leggera testata sulla spalla.
“Visto?” disse infine. “Ci vuole poco per rilassarsi.”
Robert annuì, grato. Guardò la sua t-shirt con orgoglio.
“Ora accendo la televisione e guardiamo qualcosa, ti va?”
Cinque minuti dopo si erano appisolati entrambi, sdraiati vicini sul divano, mentre la carne in forno cucinava e per la casa si diffondeva un delizioso odore.
 
 
Erano le nove e mezza di sera circa, e in casa French non volava una mosca.
Dopo il pomeriggio movimentato e le notevoli fatiche nel preparare la cena, Belle e Robert avevano deciso semplicemente di sdraiarsi sul letto e fare ognuno le proprie cose. Per poco non avevano fatto bruciare anche la carne: si erano svegliati mentre il timer del forno suonava forte. In qualche modo erano riusciti a mangiare e alla fine, sfiniti, avevano deciso di spostarsi in camera da letto.
Così Belle era immersa nella lettura di un libro di letteratura tedesca che le sarebbe servito per un’interrogazione, mentre Robert, dopo aver controllato nervosamente la libreria della ragazza, ne aveva sfilato un volume a caso ed aveva iniziato a leggerlo.
L’orologio ticchettava piano, mentre i due giovani si godevano la quiete della sera. Bobik dormiva beato ai piedi del letto.
Ogni tanto, senza volerlo, Robert lanciava qualche occhiata Belle.
Quella era la loro ultima serata insieme, pensò amaramente. Il loro tempo stava per scadere, l’indomani sarebbe arrivata Ruby, la zia di Belle, e lui avrebbe lasciato quella casa per non farvi più ritorno.
Era stato davvero bene.
Nonostante il pensiero di ciò che lo attendeva a casa, nonostante il ricordo di ciò che aveva visto quella mattina che continuava a tormentarlo, nonostante tutte le chiamate di suo padre che aveva ignorato…era stata una bella giornata. Strana ma bella.
Avere Belle intorno era anche meglio di come ricordasse. Era sempre così vitale, gli sembrava di avere un piccolo sole sempre accanto. Non importava cosa accadesse, la piccola Belle French trovava sempre un modo per rialzarsi, più forte di prima, e di far rialzare gli altri con lei.
“A cosa stai pensando?”
Robert si girò stupito mentre la ragazza lo guardava, un leggero accenno di sorriso stampato sul volto.
“A niente. Sto leggendo.” Indicò il libro per dare forza alla propria affermazione.
“Hai lo sguardo vitreo da circa dieci minuti.”
Lui non disse nulla e si fissò dubbioso i calzini.
“Hai sonno?”
“No.” Rispose lentamente “Pensavo solo che è stata una bella giornata, nonostante tutto.”
Lei annuì.
“Lo è stata. Incredibile ma vero.”
Passò ancora qualche minuto nel quale cercò di concentrarsi sulla pagina del libro di chimica che stava leggendo.
“Facciamo qualcosa?” chiese infine.
Non riusciva a focalizzarsi su ciò che c’era scritto su quei fogli.
La testa continuava a vagare altrove, anche verso posti pericolosi nei quali non avrebbe dovuto fermarsi.
“Stiamo facendo qualcosa. Stiamo leggendo!” Commentò Belle senza staccare gli occhi dal libro.
“Intendevo…qualcosa insieme. Non so, tipo un gioco.”
“Che gioco?”
“Non saprei...qualcosa di società...”
Lei ci pensò un po’ su.
“Vuoi giocare a scacchi?”
“No, mi mette ansia prima di dormire.”
Belle annuì pensierosa, poi improvvisamente si illuminò.
“Ti va di scrivere qualcosa?” chiese.
Robert aggrottò la fronte dubbioso.
“Non saprei…non è che io sia un grande scrittore in erba.”
“Beh, non si può mai dire, a volte l'ispirazione arriva nei momenti più improbabili. Aspetta, prendo il pc.”
Si alzò e raggiunse la scrivania dove vi era posato sopra il laptop. Lo prese e tornò a letto.
“Ho i piedi freddissimi” si lamentò poi.
Gold sorrise.
“Avevi i piedi freddi anche questa mattina.”
“Ce li ho sempre freddi.”
“Non dev’essere piacevole.”
“Infatti.”
Aprì il computer con un gesto rapido e lo accese. Robert la guardò incredulo mentre lei sorrideva e indicava lo schermo.
“Coraggio. Scriviamo una storia.”
Lui aggrottò le sopracciglia.
“Su?”
“Non lo so. Se fosse già scritta lo saprei ma deve ancora essere scritta quindi…”
Entrambi tacquero mentre il computer si avviava.
Ci mise parecchi minuti.
“È un po’ lento…è che...è che non è proprio nuovo...” si scusò ad un certo punto Belle. Aveva le guance leggermente rosse, notò Robert; ne dedusse che in qualche modo se ne vergognava.
“Anche il mio fa così, è terribile. Tutti i computer sono lenti!” Le disse, cercando di sembrare incoraggiante.
“Già…il mio particolarmente. Dovrò cambiarlo prima o poi. L’ho chiesto a papà per quando andrò all’università. Speriamo che…beh…” non terminò la frase.
Robert annuì, sentendo però il cuore stringersi, un po’ al pensiero di Boston, un po’ di fronte all’atteggiamento di Belle, così umile e triste e rassegnato.
Fissava semplicemente lo schermo del suo computer, nel suo pigiamino azzurro e con quella strana espressione un po’ irritata e un po’ disillusa, eppure allo stesso tempo anche tranquilla, come se fosse abituata a tutto quello e in qualche modo, le andasse bene.
“Oh, finalmente!” esclamò poi.
Aprì Word e fissò lo schermo bianco.
“Dunque?” gli chiese poi.
Robert la guardò interdetto.
“Ehm…C’era…c’era una volta?”
Lei battè le mani contenta.
“Vada per il tradizionale. Allora… -c’era una volta…- Cosa c’era una volta?“
“Un coccodrillo.” Disse poi Robert, dopo averci pensato.
“Sei serio? Perché?”
“Perché mi sembra carino come incipit! Non smontarmi così, dai!”
“Va bene, va bene” la ragazza alzò gli occhi al cielo “Cosa faceva questo coccodrillo?”
“Il coccodrillo…si era innamorato di una bella ragazza.”
Belle sorrise.
“Si dice fanciulla se vuoi scrivere una fiaba.”
“Quanto sei pignola!”
“Allora, c’era una volta un coccodrillo, che amava una graziosa fanciulla. Ma il coccodrillo…viveva sotto l'influsso di una terribile maledizione.” Dichiarò Belle, scrivendo mentre le minuscole lettere comparivano sullo schermo.
Robert rimase fermo un secondo.
“La storia ha un lieto fine?” chiese poi.
Lei sorrise.
“Ma certo. Alla fine vivranno felici e contenti ed innamorati. Sennò che storia è?”
Gold annuì, felice e mentre Belle aggiungeva frase dopo frase, sempre più entusiasta e piena di idee, si rese conto di amarla ora più che mai e che forse se il coccodrillo e la fanciulla potevano avere un lieto fine, allora anche loro potevano sperarci.









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This time tomorrow -  Gaz Coombes

Sciao beli.
Beh, non ho pubblicato a Natale. Visto? 
Poteva andare peggio.
Bentrovati e bentrovate, sono felice di vedere che l'ultimo capitolo abbia riscontrato successo nonostante gli aggiornamenti discontinui. Passando a questo, sono dubbiosa per un paio di cosine, ma credo che ormai sia normale. Spero di essere riuscita a mantenere Belle e Gold IC, così come Regina ed Emma. Tink e Killian hanno fatto una piccola apparizione ma non finisce qui, nel prossimo capitolo ne sapremo di più ed indagheremo le menti di tutti i nostri protagonisti. Lo so che i fan della Swan Queen sono molto frustrati e forse mi odieranno, ma vi prometto che le cose si svilupperanno. Non subito, ma lo faranno. 
E anche i Rumbelle. Anche se a loro #nagioiapiccolapiccola l'ho concessa. A Robertrumple però no. Quello mai. Povero ragazzo. 
Insomma, che dire? So che è dura seguire gli aggiornamenti ma cercherò di impegnarmi di più (avendo finito le lezioni universitarie ho molto più tempo libero) affinchè i capitoli riprendano ad uscire regolarmente, almeno una volta al mese. Nel frattempo, se avete voglia, lasciate un commentino e fatemi sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuto il capitolo, se c'è qualcosa che non vi è piaciuto, se i personaggi sono IC o OOC...critiche e recensioni positive sono entrambe le benvenute! 
Quindi vi saluto e vi lascio con un ...banner? credo si chiami così!?  carinissimo che una fan mi ha inviato su Twitter! 
Alla prossima, a presto spero, un bacione e grazie a tutti quelli che mi seguono. 




 
   
 
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