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Autore: WibblyVale    17/10/2015    2 recensioni
Una neonata nell'ospedale di Konoha viene sottoposta ad un esperimento genetico e strappata alla sua innocenza. Crescendo diventerà un abile ninja solitaria, finchè un giorno non verrà inserita in un nuovo team. Il capitano della squadra è Kakashi Atake, un ninja con un passato triste alle spalle che fatica ad affezionarsi agli altri esseri umani. La giovane ninja sarà in grado di affrontare questa nuova sfida?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Kakashi raggiunse Konoha il più velocemente possibile, per quanto avrebbe preferito fare le cose con calma. Quell’ultima (e questa volta l’ultima per davvero!) litigata con Shiori era sembrata così definitiva.
Aveva sempre desiderato per lei che tornasse a casa, non perché tornasse insieme a lui (non che non ci avesse sperato), ma perché potesse vivere la vita più felice e normale possibile. Voleva che tornasse dalla sua famiglia, che riabbracciasse il nipote che tanto amava, invece…
Quell’uomo che la stava portando via da coloro che più amava, doveva essere davvero importante, più di tutti loro evidentemente. Non avrebbe mai creduto che per lei potesse esistere qualcuno di più importante di Shikamaru.
Una solitaria e fastidiosa lacrima cadde dal suo occhio e lui l’asciugò il più velocemente possibile. Lui non piangeva più da tanto tempo, figurarsi per un donna. Lei però non era una donna qualunque. Lei era…
Non importa più, pensò mentre attraversava i corridoi che portavano al punto più alto del Palazzo del Fuoco. Vide l’Hokage davanti ad una porta, circondata da un gruppo di shinobi.
Tsunade Senju era vestita con la lunga tunica bianca e tra le mani teneva il copricapo simbolo del suo nuovo status sociale.
“Kakashi sei in ritardo!” lo sgridò.
“Mi scusi signorina, ma ho avuto un contrattempo.”
Jiraiya si voltò verso di lui.
“Stai bene? Mi sembri pallido.”
“Sono solo un po’ stanco.”
Mentre diceva queste parole, Shikaku uscì dall’ombra. Le gambe gli tremarono: cosa avrebbe potuto dire a quell’uomo? La verità? No, avrebbe fatto troppo male. Una bugia? Mentire lo faceva sentire sporco.
Ci avrebbe pensato più tardi. Ora doveva sostenere il futuro Hokage. Indossò la maschera Anbu. Tsunade voleva accanto a sé, per la cerimonia di investitura, solo persone di cui si fidava. Il Copia-ninja era stato onorato di ricevere quella richiesta.
Tsunade si mordicchiava l’unghia del pollice, nervosa. Il suo più vecchio amico le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla.
“Andrà tutto bene.” la confortò.
“È tutta colpa tua! Dovevi accettare l’incarico!” lo redarguì lei nervosa.
“Io?” chiese lui con fare sorpreso. “Non ho la metà delle capacità che avresti tu. Poi la letteratura ne risentirebbe.” scherzò.
Tsunade scoppiò a ridere.
“La letteratura ti ringrazierebbe se smettessi di scrivere quei… romanzi.”
Si era calmata. Jiraiya l’aveva calmata. Si chiedeva come aveva fatto tutti quegli anni a non deprimersi senza la sua compagnia.
Fece qualche passo e fu pronta ad uscire. Kakashi sorrise. Era una nuova era per Konoha e Tsunade sarebbe stata un’ottima Hokage.
 
Tenzo stava sdraiato sul suo letto, ancora interamente fasciato, ma cominciava a riprendersi. Il Copia-ninja stava raccontando a lui e Shikaku la sua missione. A quanto pare Shiori si stava avvicinando al suo obiettivo, allora perché Kakashi sembrava così depresso.
“Ti ha detto qual è il tempo stimato per la fine della missione?” chiese il Nara.
“No, ma dovevano ancora capire bene a che luogo si riferivano le mappe.”
“Dovevano?” gli fece eco il moro.
Tenzo sbiancò.
“Shiori ha dei compagni che l’aiutano.” spiegò l’Hatake senza scomporsi.
“Ci si può fidare?”
“Si.”
“Bene.” commentò tranquillo l’uomo più grande. “E con i suoi poteri?”
“Ancora nessuna soluzione, ma sono sicuro che farà di tutto per riaverli.”
“Le mancano, vero?” domandò Tenzo, tentando di puntellarsi sui gomiti. “Quando ha scoperto di non averli era sotto shock, ancora non capiva cosa le stava succedendo. Però era chiaro che… soffrisse.”
“Si, le mancano.” rispose il Copia-ninja. “Ora, se non vi dispiace, ho appuntamento con i miei allievi.”
Uscì senza troppe cerimonie. Sapeva di avere un atteggiamento strano, ma non aveva troppa voglia di parlare, o ricordare, i giorni che aveva passato con Shiori in quel momento.
Insomma, si erano detti che si amavano, sembrava che lei stesse per tornare, poi tutto era cambiato. Era definitivo ormai, lei aveva una vita là fuori a cui non voleva rinunciare. L’uomo incappucciato, Shiori ed Amaya avrebbero formato una famiglia felice. Anni prima, Kakashi era sicuro che l’avrebbe costruita insieme a lui.
Dopo aver girato per i corridoi dell’ospedale, raggiunse la camera di Sasuke. Naruto e Sakura erano con lui e gli stavano raccontando per filo e per segno la cerimonia di investitura a cui avevano appena partecipato.
“Sensei!” lo salutarono i suoi allievi.
“Salve ragazzi. Sasuke tutto bene?” chiese rivolgendosi all’Uchiha, che sembrava più cupo del solito. Probabilmente, l’incontro con il fratello gli aveva lasciato un segno indelebile. Di certo, provava una gran rabbia. Sperava solo che Orochimaru non l’avesse vinta.
“Tsunade-sama mi ha curato. Per fortuna ora sto meglio.” spiegò pacato.
L’Hatake incrociò lo sguardo di Naruto, che gli sorrise e si mosse nervoso sulla sedia. Sembrava preoccupato. Kakashi decise che se ne doveva occupare.
Quindi dopo aver passato un po’ di tempo nella stanza di Sasuke, annunciò di voler tornare a casa e propose al biondo di accompagnarlo. L’Uzumaki acconsentì con gioia e, insieme, uscirono dall’ospedale.
Kakashi teneva le mani in tasca e guardava davanti a sé, mentre Naruto camminava spensierato come sempre con gli occhi fissi al cielo e le braccia incrociate dietro la testa.
“C’è qualcosa che non va, Naruto?”
L’Uzumaki si fermò di scatto, fissando il suo maestro con aria sorpresa.
“Si vede così tanto?”
Il Copia-ninja sorrise.
“Un pochino. Ti va di parlarmene?”
Naruto fece come per pensarci su, poi acconsentì. Così i due andarono al campo dove solitamente si allenavano con la squadra e si sedettero sull’erba.
“Si tratta della Volpe. Dal nostro ultimo incontro sembra muoversi dentro di me. Qualche notte fa mi sono trovato fuori dal mio letto, senza sapere come ci fossi arrivato. Crede che stia prendendo il controllo?”
Il genin era preoccupato. Non voleva perdere il controllo su sé stesso, questo il suo maestro lo capiva perfettamente.
“Hai parlato con Jiraiya?”
“Si, ma ha detto che probabilmente è solo effetto dello stress a cui sono stato sottoposto. Il sigillo è ancora intatto.”
“Credo che Jiraiya abbia ragione.” Ma a lui queste cose tecniche non interessavano. Era un ragazzo istintivo e sentiva che c’erano dei problemi. “Senti, noi faremo di tutto perché tu possa imparare a controllare quel potere. Non lasceremo che il Kyūbi prenda il controllo su di te.” lo rassicurò.
“Sensei, posso chiederle perché invece lei è così triste?” domandò poco dopo il Jinchuriki.
“Si vede tanto, eh?”
“Un pochino.” fece imitando il tono di voce del proprio maestro. “Le va di parlarmene?”
“Non molto.”
“Aveva la stessa faccia quando siamo tornati dalla missione nel Paese dell’Acqua.”
Kakashi sospirò e alzò la testa verso il cielo.
“Ho avuto un brutto rientro.” ammise.
“Presto le cose miglioreranno.” affermò il Jinchuriki convinto.
Nonna-Tsunade era un po’ pazza, ma sarebbe stata un ottimo Hokage.
“Lo spero proprio, Naruto. Lo spero proprio.”
I due si lasciarono qualche ora dopo. Naruto era più tranquillo e Kakashi aveva preso la decisione di parlare con l’Eremita. Il Ninja Leggendario avrebbe fatto bene ad occuparsi dell’educazione del giovane genin. Solo lui conosceva perfettamente le intenzioni di Minato-sensei, tanto più che possedeva la chiave per aprire il sigillo e permettere al suo allievo di controllare la Volpe.
Rientrato in casa passò dalla cucina. Sullo scaffale stava ancora la sua foto con Shiori. Sembrava stesse lì con il solo intento di prenderlo in giro. Prese la cornice tra le mani e ne sfiorò il vetro.
“Addio.”
Portò la fotografia in camera sua e la infilò nel cassetto del comodino.
Forse avrebbe dovuto dire a Tenzo che lei non avrebbe più fatto ritorno, ma anche la sua famiglia meritava di sapere. Magari con l’aiuto del castano sarebbe riuscito a spiegare quella situazione che, ogni volta che ci pensava, gli spezzava sempre di più il cuore e lo gettava nello sconforto più totale.
 
Shikamaru stava seduto a cavalcioni su un ramo di una grande quercia e dondolava le gambe avanti e indietro pensieroso. Il Quinto Hokage l’aveva appena proclamato chunin. A quanto pare la sua performance agli esami aveva colpito molte persone. Un giorno o l’altro avrebbe dovuto ringraziare quella Seccatura per essere stata un avversaria be’… così seccante.
La porta scorrevole che portava al giardino si aprì strusciando. Poi, un rumore di passi leggeri e delicati sul prato si fece sempre più vicino. Era Ino, lo sapeva. Riconosceva i passi dei suoi compagni di squadra senza alcun problema.
Lei si guardò intorno per qualche secondo, poi alzò lo sguardo verso di lui.
“Che ci fai lì?”
“Penso.” rispose lui monosillabico.
La bionda sospirò e risalì l’albero infondendo chakra nei suoi piedi. Quando raggiunse il ramo su cui era seduto Shikamaru, gli si sedette di fronte.
“Non credo che ci reggerà entrambi.”
“Stai dicendo che sono grassa?” ringhiò lei.
Il Nara sbuffò, ma non si fece tirare dentro una litigata inutile. La ragazza rimase imbronciata qualche minuto, poi tornò a sorridergli.
“Come mai qui?”
“Mio padre doveva parlare con tuo padre. Ci ha detto della tua promozione. Sono qui per complimentarmi.”
“Grazie.” disse lui con un tono di voce incolore.
La Yamanaka allungò un piede verso di lui, dandogli un leggero calcio sullo stinco.
“Si può sapere che ti prende? Dovresti essere felice! Io lo sono.”
“Si, ma...”
“Ma?”
“Non lo so. È una seccatura.” rispose meccanicamente, sperando che la sua compagna si accontentasse di quella risposta.
Ino sorrise benevola. Shikamaru era la persona più intelligente che conosceva, ma a volte era davvero un’idiota.
“Te la caverai alla grande.”
Lui alzò lo sguardo verso di lei.
“Come fai ad esserne sicura?”
“Perché io e Choji saremo sempre con te.” affermò lei come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Se non ti fidi di me, potresti usare la pergamena che ti ha regalato tua zia.”
Il moro scosse la testa. Aveva promesso a Shiori che non l’avrebbe raccontato a nessuno, ma ai suoi migliori amici non aveva potuto mentire.
“No, non la userò.”
“Perché?”
Ino non era solita mollare la presa. Accidenti a lei! Gli avrebbe fatto sputare tutto ciò che voleva sapere.
“È l’ultimo regalo che mi ha fatto, a volte penso che sapesse quasi quello che le stava per accadere.”
“Che sciocchezza! Come poteva prevederlo?”
“Già! Sono proprio stupido.” Rise passandosi una mano dietro la nuca in imbarazzo.
“Senti che ne dici se andiamo a dare a Choji la buona notizia?” domandò la Yamanaka. “Sarà felice almeno quanto me. E magari lui riesce a toglierti quell’espressione idiota dalla faccia!”
Il ragazzo annuì i seguì la compagna per le strade di Konoha. Queste erano fiocamente illuminate e silenziose. Ino continuava a parlare e Shikamaru si permise di rilassarsi un tantino. Si ritenne fortunato, i suoi amici gli erano vicini. Asuma si era già complimentato con lui e aveva detto che l’avrebbe aiutato a gestire la nuova situazione. Inoltre, lui aveva tutte le carte in regola per cavarsela. Non sapeva nemmeno perché si stava preoccupando così tanto.
Mentre camminavano Naruto passò loro accanto senza degnarli nemmeno di uno sguardo.
“Che gli prende?” chiese la bionda scioccata dal comportamento del Jinchuriki.
“Non lo so.” rispose il moro, ma uno strano brivido gli era scivolato lungo la schiena.
 
Quella sera, dopo il solito allenamento, Naruto si era messo a dormire. Faticò ad addormentarsi. Sembrava che una parte di lui si stesse aspettando qualcosa di brutto. Dopo un lungo tempo, che lui aveva passato a rigirarsi nel letto, alla fine si addormentò.
Poco dopo, però, i suoi occhi si sbarrarono di nuovo. Il colore delle iridi però non era più azzurro come il cielo, ma rosso e ribollente come la lava. Il Kyūbi si stiracchiò a disagio  in quel piccolo corpo. Muovere quelle minuscole membra era un insulto per un essere grande e potente come lui.
Ringhiò sommessamente e si tolse il pigiama. Si guardò allo specchio. Quel deplorevole piccolo corpicino lo tratteneva. Odiava che quello stupido esserino avesse così tanto controllo su di lui.
Si mise addosso l’appariscente tutina arancione e procedette ad adempiere al suo compito. Odiava doverlo fare, ma era costretto. Quel maledetto Uchiha l’aveva controllato. Era stanco di quei boriosi bastardi. Come si permettevano di controllarlo?
 
Qualche settimana prima Naruto aveva affrontato Itachi Uchiha. Il moro aveva approfittato dell’occasione per usare il suo potere oculare e infiltrarsi nella mente del giovane genin.
Si addentrò nel subconscio di Naruto, finché non si trovo in un luogo oscuro. Un leggero strato di liquido, probabilmente una rappresentazione fisica del chakra, copriva il pavimento e gli lambiva i piedi fino alle caviglie.
In fondo a quel lungo corridoio vi era una gabbia con appuntato su di essa un sigillo. Al suo interno, immersa nella più totale oscurità vi era una creatura enorme, costretta in un minuscolo spazio.
Itachi non l’aveva mai visto da così vicino. L’aveva visto, mentre era al sicuro tra le mura del suo quartiere. Ricordava bene quel pelo arancione che splendeva alla luce della luna, quel ringhio basso e feroce che l’aveva fatto tremare.
 
Kurama se la dormiva della grossa nella sua angusta gabbia. Non gli importava che il suo contenitore prendesse qualche pugno, anzi forse se li meritava pure. Ad un tratto, però il suo sonno fu disturbato.
Un ragazzo alto e moro con una lunga tunica nera gli si parò davanti. Aprì un occhio con aria indifferente. Il ragazzo era chiaramente un Uchiha. Non voleva più parlare con quelli. L’avevano usato fin troppe volte per i loro sordidi fini.
Il Nukenin però non cedeva. Restava lì impassibile ad aspettare che lui gli desse udienza.
“Che vuoi?” chiese infine scocciato.
“Sono qui a nome di Isobu.”
La Volpe sbarrò gli occhi. Suo fratello gli aveva rivelato il suo nome? Doveva essere accaduto qualcosa di molto grave.
“Vai avanti.”
Itachi fece un passo avanti e fissò gli occhi nei suoi. Un brivido attraversò la schiena dell’ennacoda. Conosceva quella sensazione, l’aveva già provata con Madara e con quel tizio mascherato che l’aveva convinto a distruggere Konoha.
“Shiori Nara, come ben sapete, è viva. Sta cercando il potere di Hamura. Io sono convinto che non si farà irretire, ma sono necessarie delle precauzioni.” spiegò calmo.
 “E io perché dovrei aiutarti?”
“Perché l’Eremita delle sei Vie ha spiegato a voi ed ai vostri fratelli come fare a fermare un’ennesima catastrofe. Ma anche perché vi costringerò a farlo.”
Il Kyūbi ringhiò.
“Voi maledetti Uchiha!”
“Non posso permettervi di prendere il sopravvento su Naruto. Il vostro sigillo si disattiverà quando avrete la possibilità di parlare con Kakashi e per il tempo necessario perché questo avvenga.” continuò ignorandolo.
“Kakashi non è la persona più adatta. Il moccioso Nara è perfetto. Lui è il puro di cuore.”
“No!” fu la perentoria risposta del ragazzo. “Shikamaru non sa la verità e, inoltre, Shiori non vorrebbe che gli venisse affidato un tale peso.”
“Stupido umano! Credi che mi importi qualcosa di cosa quella ragazzina voglia o non voglia?”
“A me si. Ed anche ad Isobu, perciò farete come vi viene detto.” Quella conversazione stava diventando più difficile di quanto Itachi avesse immaginato. “È solo una precauzione. Lei non lo farà mai.” affermò fiducioso nella sua amica.
Il demone scoppiò a ridere. La risata echeggiò per quel luogo tetro e senza fine.
“Isobu è sempre stato un sentimentale e tu sei un ingenuo se credi che lei non sia soggetta all’incanto che ha quel potere.”
“Ha intenzione di distruggerlo.”
“Ne dubito fortemente.” sottolineò pacato.
“In ogni caso, consegnerete il messaggio a chi vi ho detto io.”
“Si, mio padrone.” fece con ironia.
“Mi dispiace che la mia gente vi abbia costretto a fare cose che non volevate, ma io non sono come loro.”
“Ah no?” chiese sarcastico.
“No, io… io sto cercando di fare la cosa giusta.”
“Uccidere il tuo intero clan è stata la cosa giusta?” colpì malvagio Kurama, sapendo di ferirlo.
L’Uchiha strinse i pugni.
“Non è a voi che devo delle spiegazioni.”
“No, certo che no. Ma quello che hai fatto è crudele persino per i miei standard.” Voleva che soffrisse. Se lo meritava, visto che voleva soggiogarlo al suo volere.
“Già e credo che dovrò convivere con quella crudeltà per il resto della mia vita.”
Kurama si accorse che era come se tutto gli scivolasse addosso, come se niente potesse più ferirlo. Era consapevole di ciò che aveva fatto e nessuno poteva punirlo più di quanto lui già non facesse con sé stesso.
“Fate quello che vi ho detto. Portate il messaggio.”
I suoi occhi rossi con le tomoe che giravano impressero in lui quell’ordine. L’immagine di un lago nascosto tra le foreste apparve nella sua mente. Una serie di trappole da superare, e come superarle.
“Isobu si trova lì?” chiese sconcertato.
“Si ce l’ho portato io per tenerlo al sicuro dall’Akatsuki.”
La Volpe mosse le sue nove code a disagio.
“Hai fatto questo per lui?”
“Si, sto cercando di rimediare alle mie crudeltà.” affermò con tono di sfida.
“Buon per te.” rispose indifferente il demone. Anche se per un secondo Itachi pensò di vedere della gratitudine nei suoi occhi.
L’Uchiha si trasformò in uno stormo di corvi e lui non lo vide più. Kurama si rigirò nella sua stretta gabbia pensieroso.

 
Il Kyūbi si godeva la sensazione dell’aria sulla pelle. Certo era la pelle di quell’odioso ragazzino, il corpo di quell’odioso ragazzino, ma quella sensazione era pur sempre meravigliosa, profumava di libertà.
Quanto tempo era rimasto intrappolato in quegli inutili umani, esseri odiosi, superbi, pieni di vizi. Si erano permessi di metterlo in catene, a Lui che era una creatura così antica, così potente.
Inoltre, i suoi Jinchuriki parevano diventare sempre più fastidiosi. Mito Uzumaki era una donna posata e potente. Certo soggetta alle esagerazioni e alle esuberanze tipiche del suo clan, ma pur sempre un’ospite silenziosa e delicata.
Kushina Uzumaki era l’esatto contrario. La temeva, lei aveva un potere su di lui che Mito non aveva mai avuto. Al contrario della donna più anziana, però, non si rivolgeva a lui con il debito rispetto. Lo trattava quasi come se fosse un suo pari.
Naruto, poi, era il peggio del peggio. Un inetto, un contenitore indegno, nemmeno in grado di comportarsi da normale ninja. Credeva che Kurama, una creatura di una potenza inimmaginabile, avesse bisogno del suo aiuto. Che aiuto poteva dargli un esserino così minuscolo?
Il moccioso Nara e la mocciosa Yamanaka gli passarono accanto, lui fece finta di non notarli. Se fosse stato per lui il ragazzino avrebbe adempiuto al suo destino, ma quel bastardo di suo fratello si era messo in combutta con quell’Uchiha per impedirglielo. Non tutte le speranze però erano perdute. Lui otteneva sempre quello che voleva.
Doveva fare le cose per bene. Non perché gli interessassero quei microbi che avevano popolato la terra, rovinandola e rendendogli la vita impossibile, ma perché l’aveva promesso a suo Padre.
Agoromo era stato l’unico umano a trattarli come pari, a rispettarli per ciò che erano. Nessun altro aveva più avuto la capacità di convincere Kurama a fidarsi di lui. Isobu, a quanto pare, l’aveva fatto con Shiori e con quell’Uchiha, ma non c’era da meravigliarsi. Il Tricoda aveva sempre detto che per quanto deboli, alcuni di quegli umani avevano la stoffa per diventare degli ottimi alleati.
Quello che lo sorprendeva di più era suo fratello Gyuki. Sapeva che lui aveva fatto amicizia con il suo Jinchuriki, non riusciva a capire il perché. Farsi controllare da un umano, lasciargli usare il proprio potere come se fosse suo, no Kurama non  l’avrebbe mai fatto.
Arrivò davanti alla porta della casa del Copia-ninja. Quell’appartamento pareva persino più minuscolo della sua gabbia, ma forse era solo una sua impressione. In fondo, a lui tutto pareva troppo piccolo. Bussò con decisione e aspettò pazientemente che il proprietario di casa venisse ad aprire.
Un leggero sorriso apparve sulle labbra del suo piccolo contenitore. Era vero che essere obbligato a fare qualcosa lo innervosiva parecchio, ma l’espressione tra lo scioccato e il terrorizzato del ninja con i capelli argentati, in parte lo ripagò di quella forzatura.
  
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