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Autore: determamfidd    18/10/2015    1 recensioni
La battaglia era finita, e Thorin Scudodiquercia si svegliò, nudo e tremante, nelle Sale dei suoi Antenati.
La novità di essere morto sparisce in fretta, e osservare i propri compagni presto lo riempie di dolore e senso di colpa. Stranamente, un debole barlume di speranza si alza nella forma del suo parente più giovane, un Nano della linea di Durin con dei capelli rosso intenso.
(Segue la storia della Guerra dell'Anello)
(Bagginshield, Gimli/Legolas) Nella quale ci vuole tempo per guarire, i membri morti della Compagnia iniziano a guardare Gimli come se fosse una soap opera, Legolas è confuso, il Khuzdul viene abusato, e Thorin è quattro piedi e dieci pollici di sensi di colpa e rabbia.
[Traduzione]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gimli, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Non possono venire» disse infine Galadriel, raddrizzandosi e gettando indietro la testa. I suoi occhi vedevano ancora con quella strana e potente altra vista. Celeborn guardò lo Specchio, e come sempre, vide il volto di sua moglie riflesso verso di lui.

«Allora cosa faremo?» disse ad alta voce, e tutta la sua anima la cercava. Lei gli toccò dolcemente la mente in rassicurazione, e poi iniziò ad allontanarsi dalla piccola radura.

«L'ho già fatto una volta. Ora dovrò farlo di nuovo» disse piano «Sembra che ci sia ancora bisogno del fuoco dei Noldor.»

«Meleth» la chiamò Celeborn, sorpreso.

Lei si voltò per guardarlo, i suoi piedi nudi schiacciavano l'erba bagnata di rugiada. «Thranduil è bloccato dall'oscurità di Dôl Guldur, come noi. I Nani sono sotto assedio nella loro fortezza. Gli Uomini hanno respinto i loro assalitori, ma ora l'ira e la vendetta del Nemico cadrà su di loro, e rapidamente.»

Celeborn contemplò le nuove per un momento, sentendone il peso sulle sue spalle. «E quanto a Lórien del bocciolo?» disse infine.

Il Bocciolo già appassisce, amore mio” disse lei nella sua mente, e tornò da lui per accarezzargli la guancia con la mano “Lo sai come lo so io”

Lui non poté dire nulla a questo.

Non si può salvare Lothlórien” disse lei, triste e dolce e finale.

Lui annuì, e poi guardò negli occhi stellati di lei. «Allora lascia che noi mostriamo che questo fiore ha ancora delle spine.»

L'ho già fatto una volta, e sembra lo dovrò fare di nuovo” le palpebre di Galadriel si abbassarono. «Thranduil sarà irato dal tempo che ho aspettato per usare la mia forza.»

«Thranduil non comprende appieno il prezzo che paghi per usarla» disse Celeborn con vigore. Senza che lei lo avesse detto, lui sapeva dov'era la sua mente. «Vuoi andare a Dôl Guldur.»

«Sì»

Celeborn prese le mani di lei nelle sue e respirò del suo odore. Tra i respiri, tra i battiti di cuore, poteva sentire la grande stanchezza di lei, il suo grande sforzo. Il suo potere era l'unica cosa che proteggeva questi boschi dorati. Lei lo portava senza mai lamentarsi.

Come sempre, lei rispose al suo pensiero. «Userò il potere e la grazia che ancora mi rimangono in un'ultima azione decisiva, prima che lo sforzo di difendere i nostri confini mi porti oltre ogni speranza di grandi azioni. Gli Anelli degli Elfi si indeboliscono. Presto io cadrò davanti agli instancabili, invadenti tentacoli di Mordor. Vorrei essere io a mettere a segno il primo colpo, e vorrei che fosse uno dannoso.»

Celeborn alzò la sua mano e la baciò. Non c'era bisogno che parlasse.

Se userò tutta la forza che mi rimane a Dôl Guldur, e fallisco” disse, e lui sapeva perché non aveva parlato ad alta voce “allora Lothlórien e Boscoverde cadranno”

«Non fallirai» non era una rassicurazione, quanto una preghiera «Non fallirai.»

Lei gli sorrise, serena e bellissima e dorata, una lancia di luce resa carne. «Ho superato le mie prove» disse, e lo baciò «Ho visto la tentazione, e l'ho rifiutata. Cos'è questa prova, rispetto a quella? Cos'è la morte rispetto alla corruzione dell'Unico Anello? No, non temere per me, mio argento. Temi per la Terra di Mezzo piuttosto. Loro ne hanno più bisogno di me.»

«Anche io ho bisogno di te, e sempre ne avrò e sempre ne ho avuto» disse Celeborn, e appoggiò la testa contro alla tempia di lei per un momento. Lei era calda e viva nelle sue braccia.

«Non puoi perdermi» sussurrò lei al suo orecchio «Non possiamo essere separati per sempre, e tu sempre mi troverai ad aspettare alla fine di ogni mare. Ma io devo farlo.»

«Sì» Celeborn chiuse gli occhi, e percepì i lunghi secoli dietro di sé; tutti quegli anni, tutte quelle guerre, tutte che preparavano una strada a questo luogo e tempo «E non lo dovrai fare da sola.»


Era molto freddo nelle tombe. Bombur si guardò attorno, e rabbrividì. La sua testa girava ancora per le stelle del Gimlîn-zâram.

«Perché qui?» si chiese.

«Forse non è stata poi una grande idea» disse Bifur preoccupato, e accarezzò distrattamente la schiena di Bombur mentre parlava «Forse è troppo presto. Dovremmo...»

«Sto bene, barufûn» disse Bombur con la sua voce bassa, e raddrizzò le palle e alzò il suo volto tondo e allegro «Sto bene.»

«Vorrebbe che le sue trecce fossero fatte bene – in modo appropriato, intendo» disse la Nana davanti a loro, accorgendosi del suo errore e correggendolo quasi distrattamente «Posso farlo. E poi, non è che io possa farlo per mio» si interruppe, e poi guardò le sue dita.

«Non devi spiegarmelo, bambina» disse la Regina – no, la Regina Madre – con stanchezza.

«Sembra invecchiata di un secolo» sussurrò Bifur, ma Bombur non aveva occhi che per sua figlia maggiore.

«La nostra rondinella speciale, la nostra bambina sorpresa» disse, fissandola. I suoi capelli castani erano legati in una semplice treccia da lavoro, la barba era disadorna e il suo abito vecchio e semplice. Le sue maniche erano arrotolate fino al gomito. L'uniforme di un lavoro brutto e sporco.

La Nana sospirò e si strofinò gli occhi per un momento, e poi tornò alla sua occupazioni di intrecciare spessi capelli bianchi in due lunghe trecce. Le braccia di lui facevano male tanto sentiva il bisogno di abbracciare di nuovo la sua bambina. Lei tirò su col naso, e se lo strofinò. Era rosso.

Bombur strinse il braccio di Bifur, e i suoi occhi pizzicavano e bruciavano. «Ah, Barís. Non piangere, cucciola.»

Barís si passò di nuovo il braccio sugli occhi, e poi si interruppe con un'imprecazione per cercare un fazzoletto. Il borbottio che ne risultò fu tremendamente rumoroso nella cripta fredda e silenziosa.

«Mi spiace» mormorò, e si rimise in tasca il fazzoletto mentre le sue guance diventavano rosa.

La Regina era seduta accanto a lei, la sua mano teneva strettamente una fredda e senza vita. Bombur guardò sulla panca davanti a loro ancora una volta – e poi allontanò in fretta gli occhi dal disastro che erano i resti del Re. «Non c'è bisogno di scuse» disse.

«Solo» Barís agitò una mano verso il corpo. Il braccio caldo di Bifur sotto le sue dita era l'unica cosa che impediva a Bombur di correre da lei e cercare di abbracciarla.

«No, niente scuse» ripeté Thira, e infine guardò verso Barís «Io non potei seppellire i miei genitori. Erano Nani Bruciati: non potei mai prepararli per tornare alla pietra. Nemmeno io ho mai fatto una cosa simile prima» deglutì «Non mi aspettavo di doverlo fare per lui. Non per lui.»

Gli occhi di Barís si abbassarono. «Era sempre sembrato così. Beh. Invincibile.»

Thira sorrise. Non vi era calore. «Aye, sì. Era bravo a far finta.»

«Almeno tu puoi riportarlo alla pietra» disse Barís infine «Almeno tu hai questo.»

Thira mise una mano sul braccio di Barís. «Li riporteremo qui. Lo riporteremo. Barís, mio figlio se ne occuperà. Te lo giuro! Avrai il corpo di tuo padre, per piangerlo e per seppellirlo.»

La labbra di Barís si strinsero. «Vorrei-» esclamò, e poi si controllò. Poi si strofinò di nuovo la faccia. «Che utilità ha desiderare, però? Il mio Babbo è morto, e desiderare non lo riporterà indietro.»

«Bombur – khulel, abbad. Sono qui» disse Bifur, piano «Sono qui.»

Bombur quasi si tagliò l'interno della guancia mordendolo.

«Se i desideri fossero maiali, cavalcheremmo tutti» disse Thira, e rise senza allegria «Lo diceva spesso.»

«Mi chiamava cucciola» disse Barís. La sua bellissima voce era ruvida e rotta. «E io ho avuto quella idea maledetta da Mahal. E l'ha ammazzato. Il mio babbo.»

«Oh no, no non puoi farti questo, cara ragazza» disse Bombur con improvviso calore «Non era colpa tua. Non era colpa tua che non abbia funzionato, e non era colpa tua che io abbia deciso di andare là fuori con la mia gamba ferita e tutto!»

Lo sguardo di Thira era duro e affilato. «Hai cercato di salvarci tutti. Non vedo coltelli nelle tue mani, Maestra Cantante.»

Barís chinò la testa. «Vorrei» disse ancora.

«Mio marito fece la stessa cosa: cercò di salvarci tutti. Così fece anche tuo padre» Thira scrollò le spalle: un movimento così rilassato, anche se la sua espressione non lo era affatto «Così hanno fatto molti altri, molti che provarono e morirono. Ti darai colpa anche delle loro morti?»

La bocca di Barís si contorse mentre lei lottava con i suoi singhiozzi. «Mio zio...»

«Aye» Thira guardò di nuovo la pallida, prosciugata, scavata forma di suo marito. Senza l'enorme forza della sua personalità, era facile vedere quanto vecchio fosse – quanto stanco e spossato. «Ha fatto una scelta. Scelse di salvare i Bizarûnh. Non annoverare la sua scelta fra i tuoi fallimenti. Negherai loro le loro decisioni nel tuo desiderio di condannare te stessa?»

Barís fece un orribile suono spezzato, nella gola.

Thira continuò a guardare con malinconia infinita ciò che era stato Dáin Piediferro, Re Sotto la Montagna. La sua barba bianca era pulita e intrecciata ordinatamente, coprendo le terribili ferite sul suo petto e sulle sue braccia. La sua pelle era pulita dal sangue e dal fango, pallida e secca alla vista, le palpebre chiuse, dei vuoti iniziavano a scavarsi sulle sue guance e ai lati del suo naso Durin.

«A volte le cose non funzionano» disse lei piano, in voce lontana, quasi sognante «A volte le idee migliori, le intenzioni migliori, sbagliano. E ciò non è colpa di nessuno – o dovrebbe essere colpa di tutti. In un altro mondo, avrebbe potuto funzionare. Chi può dirlo? Senza il tunnel, il Popolo di Dale sarebbe arrivato al santuario della Montagna? Dale sarebbe un cimitero fumante ora, se non fosse stato per Bofur e Bombur e per il mio vecchio sciocco cinghiale? Il piccolo allegro Gimizh sarebbe morto, o forse il Principe Ereditario di Dale sarebbe morto, tutti intrappolati sottoterra e massacrati, se non per il mio Thorin e per tuo padre? Se non per il diversivo di Dáin? Se Brand non avesse deciso di andargli incontro?»

«E in ogni caso – cosa importa? Le cose sono come sono. Loro sono tornati alla pietra, e noi siamo qui. E la vita va avanti. Ricordiamo. Hai cantato quella canzone, sbaglio? Te la porterai con te per sempre ora. Quel momento... è una parte di te. Questo momento è una parte di me» gettò indietro la testa e i suoi occhi si fermarono sul tetto con le sue decorazioni solenni e ornate «Siamo tutti dei momenti e delle scelte, alla fine.»

«E ora so perché il vecchio furbo e perspicace Dáin Piediferro scelse di sposare un'artigiana dell'acciaio sconosciuta e timida» sussurrò Bombur. Bifur grugnì in conferma, il volto serio e duro.

Barís chiuse gli occhi, e infine annuì. La sua bocca era ancora premuta in una brutta linea, tremava ogni tanto mentre lei controllava le sue emozioni a malapena. «Lo so, Maestà» disse in un sussurro «Ma vorrei ancora non averci mai pensato.»

«Posso capirti. Spesso desidero – desideravo – che il mio stupido marito non avesse la passione di salvare tutti all'ultimo momento» disse Thira, e sorrise un poco. A differenza di prima, era un sorriso sincero. «Andiamo, Barís. Saremo una famiglia, non devi essere così formale. Mio figlio e tua sorella, eh?»

«Piccola idiota» Barís tirò su col naso, e legò una lunga treccia bianca, appoggiandola rispettosamente sul petto fermo e senza vita del Re «Non riesco a crederci.»

«Io penso sia meraviglioso» la mano di Thira cercò di nuovo quella fredda e dura, e trovandola la strinse «Così meraviglioso. Lui ne sarebbe stato estasiato.»

«Anche Babbo» Barís si strofinò gli occhi un'ultima volta, e poi sospirò, a lungo e con stanchezza «Viziava tutti i miei nipoti in modo oltraggioso, e loro si arrampicavano sulla sua sedia e gli tiravano il naso e la barba e gli chiedevano dolci e storia.»

«Non mi chiamava Babbo da più di trent'anni» disse Bombur con voce debole «Ero Papà o 'adad, mi chiamava... dopo la Missione, dopo i soldi...»

«Non ce n'era bisogno però, vero?» disse Bifur «Tu sei sempre rimasto Babbo.»

«Ma cambiò tutto, cambiammo tutti così tanto» Bombur si tirò la sua lunga treccia «Noi... le fu insegnato a parlare in modo più appropriato, e smise di chiamarmi Babbo.»

«A me sembra che non abbia mai smesso di farlo dove conta» Bifur si voltò verso suo cugino, e massaggiò dolcemente la schiena di Bombur «Va tutto bene, ragazzo. Ti ci abituerai.»

«Il Consiglio vorrebbe un matrimonio a tutti i costi» sbuffò Thira, e poi scosse la testa e sorrise al volto immobile di Dáin «Come avresti riso di loro, caro. Insistere sul protocollo appropriato di Erebor nel bel mezzo di una guerra.»

«Bomfrís è ancora un po' nel panico. Beh, quando dico “un po'”...» Barís rise, e poi sospirò di nuovo. Le sue spalle si rilassarono dalla loro postura rigida e difensiva. «In cos'altro posso essere d'aiuto? Lui è pulito, e i suoi capelli sono come dovrebbero essere...»

Gli occhi di Thira brillarono. «Sempre così servizievole, vero?»

Barís batté le palpebre.

«Non credere che non mi sia accorta di come sei sempre attorno alla mia fucina, Maestra Cantante. Per tutte le tue meravigliose scene da spettacolo, sei piuttosto umile, no? Sempre servizievole, sempre che aiuti gli altri» Thira chinò la testa «Ora, cosa c'è di così interessante nei miei laboratori in particolare, mi chiedo? Non una vecchia secca che lavora l'acciaio, per Durin.»

Un rossore salì sul dolce volto tondo di Barís, e lei tossì a disagio. «Io... voglio rendermi utile.»

«A una delle mie artigiane in particolare, eh» Thira sbuffò una risata «Neanche quello è passato inosservato, giovane Alrísul. Per quanto artista di talento, non sei esattamente una grande attrice.»

«Dobbiamo parlarne ora? Qui?» disse Barís implorante. Poi si strofinò di nuovo gli occhi «Oh, non serve a nulla in ogni caso.»

«Ora è il momento migliore per parlarne» disse Thira «Questa è una fine. Vai a fare un inizio, bambina.»

«Facile per te da dire» Barís guardò giù il pacifico colto di Dáin.

«No. Non è facile per me da dire» disse Thira, e la sua voce era improvvisamente fredda e tagliente, come acciaio contro acciaio «Questo non è il mio inizio; per me, questa è una fine. Il mio amore giace davanti a noi, senza vita né respiro. Non è facile per me da dire.»

«Perdonami» disse Barís in fretta «Voglio dire, è solo. Non so da dove iniziare. A volte credo che Bani non conosca nemmeno il mio nome...»

Gli occhi di Thira si addolcirono. Poi la sua mano si alzò nuovamente, e lei strinse la spalla di Bomfrís in rassicurazione. Le sue dita dure e sottili erano secche e callose. «Ricorda, scelte e momenti, Barís» disse gentilmente «Bani è una ragazza molto concentrata, e tende a perdersi nel suo lavoro. Si irrita facilmente se viene interrotta in qualsiasi modo, e spesso di dimentica di mangiare nel suo zelo.»

Barís ci pensò un attimo, e poi guardò la Regina Madre in modo piuttosto disperato. «Cosa dovrei fare con queste informazioni?»

Thira strinse ancora la spalla di Barís. «Ti verrà in mente, bambina. Il momento arriverà, e con esso, la tua scelta.»

«Quindi è lei quella di cui è infatuata Barís?» chiese Bombur «Alrís si rifiutava di dirmelo.»

Bifur annuì. «Bani figlia di Bana, falegname. Molto intelligente, molto maldestra, molto impaziente. E molto distratta» aggiunse amaramente.

Barís fece una smorfia di indecisione. «Ma... se va di nuovo tutto male?» mormorò.

«Allora sarà così che andranno le cose, no?» Thira lisciò il ciuffo di capelli bianchi di Dáin, sparati in aria sulla sua fronte. Le sue dita ruvide rimasero lì un istante. «Ma ricordati questo, Linguacristallina. A volte, se sei molto coraggiosa, molto onesta, molto fortunata... a volte, per una volta, va tutto bene.»

Poi la Regine Madre alzò lo sguardo e sorrise alla cantante. C'era tristezza in quel sorriso, ovviamente – ma Bombur poteva intravedere l'ombra di un giovane fabbro con determinati occhi toccati dal fuoco e la pelle liscia in esso: il fantasma della Nana che aveva rubato il cuore di Dáin Piediferro. «E se sei molto, molto fortunata?» disse piano «allora continua ad andare tutto bene, e continua. Ed è semplicemente – semplicemente , sempre giusto, per tutta la tua vita. Fino a un giorno, magari centotrenta anni dopo, quando infine la tua fortuna si esaurisce. E finisce.»


Haban cercò di non appisolarsi per la stanchezza. Le Case di Guarigione erano troppo pacifiche, e lei troppo esausta. Non ricordava di essere mai stata così stanca in tutta la sua vita o la sua morte – nemmeno quando i suoi ragazzi erano piccoli. I suoi occhi bruciavano. Era una sensazione nuova.

«Stai bene?» sussurrò Narvi accanto a lei. Haban alzò la testa di scatto, battendo le palpebre rapidamente.

«Sono sveglia, sono sveglia» borbottò.

Narvi la guardò seriamente, le sopracciglia corrugate. Qualcosa – forse quel pozzo senza fondo di rabbia e dolore – la faceva andare avanti, pensò Haban. Narvi non sembrava nemmeno lontanamente stanca quando dovrebbe. «Dovresti dormire» fu tutto ciò che disse.

Haban sbadigliò, e poi agitò una mano. «Aye, tra un po'. Voglio assicurarmi che stia bene.»

Narvi alzò gli occhi al cielo. «Dubito che qualcosa succederà qui. A meno che quel vecchio erborista ronzante non lo annoi a morte con le sue chiacchiere.»

Haban grugnì, e poi si girò di nuovo verso Faramir, sdraiato sotto le coperte, la testa girata leggermente. «Non è quel genere di ferita» disse. Lo sguardo di Narvi fu sorpreso, e poi annuì con aria pensierosa.

«Aye. Davvero non è quel genere di ferita» come sempre, la mente acuta della sua amica vide esattamente dov'erano rivolti i pensieri di Haban.

«Ebbene, io non so cosa stia succedendo» disse la loro compagna inaspettata. Frís stava guardando accigliata il giovane Uomo, muovendo i piedi esasperata. Era venuta per dare il cambio ad Haban, ma la Nana Barbafiamma sarebbe testardamente rimasta fino a quando non fosse stata sicura che Faramir stava bene.

L'aveva impressionata, quel giorno nei boschi dell'Ithilien. E Haban non era facilmente impressionata. Lo guardò in modo quasi materno, prima di soffocare un altro sbadiglio sotto la mano.

«Haban, spiega» disse Narvi con quei suoi modi bruschi. C'erano stati vari fraintendimenti fra loro prima che Haban capisse che la brevità di Narvi non era effettivamente maleducazione: solo lei era sempre tre passi avanti a tutti gli altri, e diventava impaziente.

Frís alzò un sopracciglio al tono di Narvi, ma Haban scrollò le spalle con un sorriso. «È solo il suo modo di fare» disse, e si strofinò un occhio «Va bene, allora: Faramir sta guarendo bene, ma non sa ancora di suo padre... di come è morto.»

Frís, benedetta lei, capì al volto. Grazie a Mahal per delle compagne intelligenti. «Oh» disse, e osservò l'Uomo «E stai aspettando di vedere come prenderà la notizia?»

«Aye» Haban guardò i due piccoli Hobbit seduti con le pipe in mano, che chiacchieravano allegramente accanto all'Uomo «E con quei due, non passerà molto tempo prima che venga fuori.»

«Sono più saggi di come erano» aggiunse Narvi improvvisamente «Faranno un lavoro migliore di altri, con notizie del genere.»

«Se qualcuno può addolcirgliela, suppongo siano loro» sospirò Haban. I suoi occhi le facevano davvero male. Anche il suo collo. Perché la altre razze erano così dannatamente alte! Le faceva venire dei dolori alla schiena che nessun genere di esercizio riuscivano a calmare.

Frís strinse le labbra per un momento. Poi fece un cenno verso una figura che giaceva immobile poco lontano, completamente ferma sotto le coperte. «Sta ascoltando» disse.

«Aye, da un po' ormai» Narvi incrociò le braccia «È molto brava a passare inosservata, ma non abbastanza brava.»

«Immagino abbia avuto ampie opportunità di far pratica nella Edoras di Gríma Vermilinguo» disse Frís cupa. Poi si voltò verso Haban. «Perché ti importa tanto?»

«Ad Haban piace Faramir» disse Narvi, e ghignò allo sguardo furioso e tradito di Haban «Pensa sia uno bravo. Lo fissa come un tagliapietre davanti a una gemma senza prezzo da quando ha scoperto chi fosse.»

«Avrebbe potuto fermare Frodo e Sam, e li ha lasciati andare» disse Haban, alzando il mento «Il ragazzo non aveva nessuna cura della sua vita. Suo fratello era l'unico a cui sembrava importasse di lui, e ora non ha più una sola anima al mondo. E poi, non incontro spesso qualcuno abbastanza furbo da ingannare me nelle trattative.»

«Vedi?» Narvi rise, prima di stringere il braccio di Haban «Aspetta, cos'ha detto quel piccoletto ora?»

«Qualcosa sui peli dei piedi rovinati?» chiese Frís, e tutte e tre si avvicinarono per ascoltare.

«È incredibilmente vergognoso, ovvio» disse Pipino, ghignando «Non riuscirò a guardare nessuno negli occhi nella Contea. Dovrò rimanere ai confini fin quando i miei piedi non saranno di nuovo rispettabili.»

«Penso che ci daranno noie più grosse che per la nostra mancanza di peli dei piedi perfettamente pettinati, Pip» ridacchiò Merry «Non mi hai detto come gli hai persi, però. Non mi avevi detto che eri in battaglia!»

«Oh no, non temere!» Pipino si raddrizzò e indicò il cugino con la pipa «Ve le lascio tutte a voi Cavalieri incoscienti e ai vostri cavalli e ai vostri tremendi, sciocchi spettacoli eroici. No grazie! No, era» e poi si fermò, il suo volto sbiancò al ricordo. I suoi occhi andarono a Faramir prima di scivolare via.

«Eeeeee eccoci» sospirò Narvi.

«Povero» Frís si massaggiò il naso e fece un respiro.

Faramir sembrò rendersi conto che la storia di Pipino girava attorno a lui in qualche modo, e guardò i due Hobbit con sospetto. «Cos'era?»

«Pipino!» soffiò Merry, e Pipino gemette.

«Mi dispiace, mi dispiace così tanto, non volevo...»

Faramir si sedette meglio sul letto. «Mastro Pipino, non mi dirai ciò che intendi? Ha a che fare con me, non è vero? Stai parlando di me in qualche modo, è ovvio.»

«Lui è sempre molto ovvio» confermò Merry, guardando storto suo cugino.

Pipino gemette. «Mi sono messo di nuovo il piede in bocca, vero?»

Faramir lo fissò per un momento con sguardo serio, e poi le sue labbra si aprirono leggermente in comprensione e si voltò. «Ah.»

«Faramir?» disse Pipino «Stai. Stai bene?»

«Non era un sogno delirante dunque» mormorò Faramir, e si sdraiò di nuovo e si tirò le coperte fino alle spalle «Era reale.»

Merry e Pipino si guardarono preoccupate. «Cosa?» disse Merry.

«Fiamme» disse Faramir, la voce spenta «Fiamme, e il volto di mio padre deformato da dolore e disperazione. È successo davvero dunque?»

Pipino si strinse il ginocchio con una mano, le nocche bianche. Poi si fece forza e disse chiaramente e con dolcezza: «sì invero. Ero lì, ti ho fatto rotolare via dal fuoco. Ma, tuo padre... lui...»

Gli occhi di Faramir si chiusero con terribile finalità. «Vedo. Allora devo ringraziarti per avermi salvato la vita.»

«E Gandalf» disse Pipino, e il suo viso era l'immagine dell'infelicità «Faramir, io-»

Merry si piegò in avanti e prese la mano di Faramir, stringendola. «Starai bene» disse, in voce chiara e ferma «Davvero. Li renderai orgogliosi.»

«No» disse Pipino, e il suo volto era sincero e preoccupato «Tu li rendi già orgogliosi.»

Faramir fece una smorfia.

Haban fece un respiro, e lo rilasciò bruscamente. «Dannazione, non dovrebbe importarmi tanto» ringhiò «La morte di Denethor non è stata una gran perdita per il mondo. Dev'essere la mia stanchezza, che mi fa sentimentale.»

«Era il padre del ragazzo, non importa quanto pessimo fosse» disse Frís gentilmente.

«Ed era stato avvelenato dalla disperazione di Sauron» sputò Narvi «Se non fosse stato per il Palantír e per le menzogne di Mordor, Denethor avrebbe potuto essere il Sovrintendente che serviva nell'ora del bisogno? Gandalf una volta disse che un tempo era stato un Uomo saggio e intelligente...»

«Un'altra vita persa all'ombra dunque» disse Frís infine, e le tre Nane si girarono verso Faramir, silenzioso e immobile, sotto le sue coperte.

«È solo al mondo» disse Haban nel silenzio «Sua madre, suo fratello, suo padre – tutta la sua famiglia, ormai.»

«Il popolo lo ama» disse Frís «Gli vogliono bene.»

«Aye, c'è quello» Haban sospirò, e poi un movimento in un angolo catturò la sua attenzione. Gli occhi di Éowyn erano ora spalancati, e lei stava guardando accigliata il soffitto.

«Sta ancora ascoltando» mormorò Narvi.

«Mi dispiace tanto, Faramir» disse Pipino misero. «Ci ho provato davvero.»

Faramir non disse nulla, ma annuì.

Poi i due piccoli Hobbit si stavano arrampicando sul letto e stringendo Faramir, come avrebbero fatto per Boromir. «Mi dispiace tanto» ripeté Pipino, e Faramir fece un piccolo suono strozzato nella gola.

«Va avanti e piangi. Ti sentirai meglio dopo» disse Pipino, accarezzando la testa di Faramir con mani dolci e goffe. Dopo un altro singhiozzo soffocato, Faramir lo fece.


Víli si massaggiò la fronte, davanti al loro tavolo abituale nella grande sala da pranzo nelle Sale di Mahal. «Lo sapete che la politica non è mai stata il mio punto forte» disse a disagio «So come funziona in generale, ma ci sono correnti e interessi e trucchi lì che non capisco a basta. Penso che mi servirebbe un po' d'aiuto per questo.»

Thrór si alzò dal tavolo di scatto, la fronte corrugata e gli occhi determinati. Hrera trattenne un piccolo sospiro accanto a lui, e si alzò a sua volta. «Tanto vale» disse con voce brusca, e poi toccò suo marito sulla spalla «E tu: cerca di non farti innervosire.»

«Più facile a dirsi che a farsi» disse Thrór, e scosse la criniera cespugliosa con uno sbuffo «Va bene, figliolo, facci strada.»

«Verrò anch'io» disse una voce inaspettata, e Dwerís si alzò da una panca vicina. La madre di Dwalin e Balin era una Nana alta e brizzolata, con spalle enormi e una bella barba castana con una linea tinta di verde al centro e due uguali sulle tempie. La sua pelle era coperta dai segni delle battaglie e della spada. «Non vado a controllare mio figlio minore da un po' di tempo.»

«Lady Dwerís» disse Víli, sorpreso «Non credevo avresti voluto...»

Lei lo guardò seriamente. «Mio marito ha passato il tempo a litigare con suo fratello, aye, ma io non sono stata con le mani in mano. Ed non è Lady, grazie mille.»

«Le mie scuse, Guerrierum Dwerís» disse Víli in fretta, e si diede un calcio mentalmente. Maleducato!

«Nessuna offesa, ma tienilo a mente» lei guardò Thrór e Hrera, prima di concentrarsi di nuovo su Víli «Qual'è il problema principale della discussione?»

«Cibo» Víli sospirò, e si strofinò di nuovo la fronte. Oh, la politica gli dava l'emicrania. «Non basta per tutti i rifugiati della Montagna. Stanno litigando per quello, e c'è un piccolo gruppo di Gente di Dale che è tremendamente ciarliero. Bard sembra non riuscire a far leva su di loro.»

«Ebbene, è Re solo da qualche giorno» disse Hrera pratica «Avrà per forza qualche guaio.»

«Stiamo sprecando tempo» disse Thrór, e spostò il peso da un piede all'altro.

«Calmati, caro» disse Hrera, senza guardarlo, anche se la sua mano si posò delicatamente sul suo polso in un gesto di conforto «Andiamo a vedere perché tutta questa confusione.»

Le panche attorno al Gimlîn-zâram erano affollate. Sembrava che tutti stessero dando il massimo, guardando ogni volta che potevano, mentre gli eventi nella Terra di Mezzo iniziavano ad accelerare e cadere verso la loro conclusione. C'era a malapena spazio attorno alle acque, e tutti e quattro i Nani dovettero affollarsi su una panca.

«Leva il gomito dal mio fianco»

«E dove dovrei metterlo? Sulla tua faccia?»

«Impertinente»

«Bambini» disse Hrera con stanchezza «Non voglio dovervi mettere in punizione.»

Víli fissò l'acqua, e sperò che si sbrigasse, in fretta. Dís stava ancora aspettando, dopotutto.

La prima cosa che udirono, arrivando ad Arda con la luce stellare ancora negli occhi, fu il suono della voce di Dwalin, che borbottava. Dwerís fece un mezzo sorriso e fece un passo verso di lui.

«Così simile a suo padre» la udirono mormorare – anche se Víli ne fu perplesso. Dopotutto, Dwalin era praticamente identico alla sua alta e fiera madre, mentre Balin era più simile al suo serio, pacato padre.

«...non riesco a credere a quei due» stava ringhiando Dwalin «Sei sicura che non posso affondargli l'ascia in testa? Ci risparmierebbe due fastidiose bocche da sfamare, dopotutto.»

Orla scosse la testa leggermente. «Niente spargimenti di sangue nella sala del trono.»

«Peccato» Dwalin guardò dritto davanti a sé, le sue sopracciglia aggrottate in un'espressione rabbiosa.

«Tranquillo, tranquillo» Orla sembrava divertita.

«Ero terzo in linea di successione una volta» mormorò Dwalin «Mahal sa che Balin avrebbe rifiutato all'istante. Ho schivato una bella freccia.»

«Sei secondo in linea di successione ora, no?» chiese Jeri innocentemente «Intendo, finché non arriva il piccoletto, sei tu ora l'erede.»

«Non temere! Ascoltare queste idiozie patetiche e lamentose tutto il giorno?» lo sguardo di Dwalin divenne persino più nero «Io non sono Dáin, non ho la pazienza per queste sciocchezze. Gli farei passare la voglia di essere drammatici molto in fretta.»

Jeri ghignò. «Sarebbe una Erebor interessante, diciamo.»

Orla alzò gli occhi al cielo.

«Non importa come la mettiamo» disse Dori frustrato, le braccia incrociate e la voce alzata «noi non abbiamo cibo! Tutte le lamentele del mondo non cambieranno questo fatto!»

«E la colpa di chi è?» disse una alta donna secca di Dale in tono stridulo «Eh? Chi ha spedito tutti i nostri soldati in un orribile tunnel, e ci ha lasciati senza protezione? Chi ha aperto i Cancelli di Dale e ci ha gettato fuori dalle nostre case?»

«Questa è tutta colpa di Brand!» disse un altro Uomo di Dale, un tipo dal volto untuoso e la puzza sotto il naso «Sua! E sì, Bard – tu gli hai dato il tuo supporto, ci hai minacciato per farci stare zitti quando obbiettammo... e ora guardaci!»

«Non posso sopravvivere così» gemette la donna «Ho una costituzione delicata! Sverrò!»

«Va avanti» ringhiò Dwalin.

«Oh, Lady Inorna mia cara» piagnucolò l'Uomo untuoso «Calmati! Sii forte!»

«Svenire non vi darà altro cibo» esclamò Dori «Non ce n'è abbastanza nemmeno per noi Nani: pensate davvero che vogliamo far morire tutti di fame di proposito? Stiamo dividendo nel modo migliore possibile; nessuno viene scelto per un trattamento preferenziale, nemmeno noi.»

I denti di Bard erano serrati quando disse: «se fossimo rimaste, le nostre difese sarebbero state distrutte e i nostri soldati massacrati come maiali-»

L'Elminpietra si schiarì la gola.

«Va bene, forse non come maiali» si corresse Bard «Ma saremmo stati sconfitti. Avete visto quanto era grande quell'esercito Esterling, come me. Saremmo stati annientati!»

«Tutto ciò che ti importa è la tua reputazione!» lo accusò Inorna con lacrime negli occhi «Non di noi, non di coloro che si meritano molto più di questo... questo lurido buco nel terreno, questa tomba polverosa! Io sono una nobile!»

Ogni Nano, sia vivo che morto, fischiò per l'affronto.

«Inizio a pensare che Dwalin dovrebbe fare come vuole» borbottò Thrór.

Hrera si massaggiò il naso. «Longobarbi.»

«Abbiamo provato, sì. E abbiamo fallito. Ma se fossimo rimasti dov'eravamo e non avessimo fatto nulla, morte e distruzione e peggio ancora sarebbero stati su di noi» disse Bard, con voce molto controllata «Ciò che è fatto è fatto. Dobbiamo arrangiarci come possiamo.»

Lady Selga di Dale si alzò allora dal suo posto al tavolo del consiglio, il volto ancora teso per il lutto. «Almeno abbiamo provato» raspò «Almeno abbiamo fatto qualcosa.»

«E fallito!» ringhiò l'uomo untuoso «Le nostre case, il nostro oro, i nostri affari! Perduti, per i vostri fallimenti!»

«Lord Krummet, temo che gli Orchi abbiano avuto più a che fare con la perdita del vostro prezioso oro che noi» disse l'Elminpietra vagamente irritato.

«Oh, sverrò, aiutami Krummet!» gemette Inorna, e si mise una mano sulla fronte in una posa così esagerata che diversi Nani dovettero trattenere delle risatine «Il mio cuore mi batte così forte: mi serve del vino, mi serve del formaggio e della frutta e dei pasticcini – dovete aiutarmi, dovete salvarmi! A nessuno importa?»

«Oh, mia cara signora!» Krummet andò verso di lei e la sorresse in un'unticcia parodia di galanteria «Ecco, mia cara, respira ora!» poi riportò i suoi occhi porcini sul Consiglio «Come osate essere tanto crudeli verso un'anima così dolce, generosa e delicata!»

«Generosa!» Selga rise «Oh sì, è certamente ciò per cui è così famosa, Inorna. Generosità e gentilezza. Oh, assolutamente.»

«Mio Re, mio Re» frignò Inorna, guardando Bard con occhioni luccicanti «Dovete dirgli di – no, dovete obbligarli ad aiutarmi! Mio adorato Bard, vi prego! Ho sempre creduto in voi!»

«Lo stava insultando due secondi fa» disse Glóin in aperta confusione «E ora cosa, pensa di poter essere una buona Regina per Bard di colpo?»

«Non ha fatto altro che insultare tutti dal minuto in cui ha messo piede nella Montagna, e senza dubbio si pensa più speciale e meritevole di ogni altra Regina mai vissuta» disse Mizim sottovoce «Voglio le mie frecce.»

Glóin la guardò divertito. «Ora, in genere sono io a dirlo, mio gioiello.»

«Ho sacrificato così tanto» gemette Inorna, stringendo la giacchetta sporca di Krummet «Sono stata così benevolente. Mi merito molto più di questo, circondata da queste bestioline vili e i loro modi avidi e gelosi...»

«Come osi» disse Dís, e la sua voce di mithril cadde come una mazza di pietra nella conversazione, bloccandola all'istante. Il cuore di Víli si strinse. «Come osi. Non sai nulla – nulla – di ciò che abbiamo perso. Non sai nulla di cosa noi abbiamo sacrificato per salvare le vostre vite.»

«Dís» disse Víli, a malapena un respiro.

La mano di Thrór si posò sulla sua spalla. «Lo so» disse, piano «Lo so.»

Víli fece un respiro profondo.

«Se pensi» disse Bard, con voce che era controllata a malapena «che voi siate le uniche persone di Dale che hanno perso, e sofferto-»

«Non solo Gente di Dale» disse Jeri dal suo posto accanto al trono, bassum e durum «Non c'è un solo Nano sotto questa Montagna che può dirsi intoccato dall'assedio e dai nostri sforzi di spezzarlo. Non uno.»

«Siete vivi, idioti» disse Bofur «Mi sentite? Siete VIVI. Ora, andate a esser vivi da un'altra parte, mi fa male le testa ad ascoltarvi.»

«Per quanto?» disse Inorna, premendosi una mano sul petto, i suoi occhi pieni di lacrime «Questo non è vivere, nascosti in questi sporchi buchi!»

«Io lo faccio» disse Dwalin.

«Io potrei non fermarti» mormorò Orla. I suoi occhi erano duri per il disgusto.

«E ora siete tutti in cospirazione contro di me, è chiaro!» strillò Inorna «Perché dovrei essere trattata in questo modo? Sono delicata, sono speciale, non ci si può aspettare che io faccia come i miseri e bifolchi!»

«Questa è la brutalità dei Nani messa in evidenza, mia cara» disse Krummet con quello che probabilmente pensava essere un tono duro. Invece uscì come una specie di lamento imbronciato. «E tu sei così saggia, dolce Inorna, così saggia... sì, sono tutti in combutta contro di noi, non c'è altra spiegazione al loro comportamento bruto. Brand e Bard e Dáin devono aver tramato in segreto, non c'è dubbio. Ma io sono qui, gentile signora, dolce signora! Io ti difenderò dalle loro-»

All'unisono, Dwalin e Orla fecero un passo avanti dalle loro postazioni. Poi, in un inquietante silenzio, Dwalin estrasse la sua enorme ascia da battaglia e Orla alzò l'ascia dal lungo manico da cui veniva il suo soprannome. In perfetta sincronia, presero due sassi e iniziarono ad affilare le armi.

Zzzick. Zzzick. Zzzick.

Inorna e Krummet misero subito fine alle loro scenate.

«Questo è il mio ragazzo» disse Dwerís orgogliosamente.

Selga allontanò lo sguardo da loro, le labbra arricciate in disgusto. «Ad ogni modo, il Primo Consigliere ha ragione. Brave persone hanno pagato il prezzo di rimediare ai nostri fallimenti» disse, e i suoi occhi andarono verso il terreno.

Sia le spalle di Bard che quelle dell'Elminpietra si abbassarono. «Aye» disse l'Elminpietra «L'hanno fatto.»

«Troppi» aggiunse Bofur, e il suo volto era duro «Decisamente troppi.»

Dori picchiò un piede irritato. «Scusatemi! Buongiorno? Torniamo al punto? NON C'È ABBASTANZA DA MANGIARE. La Montagna morirà di fame in meno di tre settimane se non troviamo altre risorse!»

Glóin si schiarì la gola. «Aye, Dori ci riporta al succo del discorso – per così dire. Cosa possiamo fare? Idee?»

Merilin improvvisamente fece un passo avanti dal sinora silenzioso gruppo Elfico. «Abbiamo ancora del pan di via. Lembas. Sazia in fretta, è nutriente, e la ricetta è molto semplice. La condivideremo coi vostri cuochi.»

«Bene, bene» Glóin si accarezzò la barba e annuì «Ora, potrebbe esserci qualcosa nascosto nelle credenze della gente...»

Bard parlò. «E il rimpinzimonio? C'è abbastanza farina?»

Bofur rabbrividì. «Io non ho rischiato la vita per mangiare del rimpinzimonio. Preferisco provare la roba Elfica prima di offrirmi volontario per quell'inutile esercizio masticatorio di un pasto.»

L'Elminpietra si passò una mano fra i capelli e si appoggiò sui gomiti, il volto pensieroso. «È inverno, e ci sono pochi pesci nel Fiume Flutti» disse «ma potrebbero esserci. Nelle pozze profonde ci sono strani pesci con antenne e occhi enormi: dovremmo madare degli esploratori.»

«Non ne voglio più di pesce» giunse un borbottio petulante vicino alla sedia di Laerophen.

«Mangerai ciò che c'è, ragazzo mio» disse Bofur.

Genild chinò la testa bianca. «Mia moglie è brava quando si tratta di fare sottaceti e conserve. Ne abbiamo una credenza piena. Senza dubbio Barur Panciapietra potrà farli durare per molto.»

«Ma» disse Jeri, gemendo.

«Zittum, carum, Ma sta lavorando» disse Genild, e si piegò in avanti e picchiò un dio sul tavolo «Ecco qualcosa da considerare: so per certo che i Nani possono durare molto di più con meno cibo degli Uomini, anche se non saprei per quanto riguarda gli Elfi. Forse le conserve di Beri potrebbero aiutare ad allontanare almeno per un po' quei disturbi da deficienze...»

«Buona idea, chiederò anche a quelli del mercato, senza dubbio hanno qualche magazzino nascosto» disse Glóin, e se lo appuntò.

«Signor Bofur, odio chiederglielo» iniziò Dori, toccando Bofur su un braccio. Bofur sospirò e abbassò la testa.

«Aye, parleremo con Alrís, vedrò se posso dare un'occhiata all'inventario di Bombur. Era bravo quando si tratta di tenere cose speciali. Potrebbe avere persino della marmellata da qualche parte»

«Pagherò per averla, allora» disse Inorna immediatamente «Pagherò, anche se il cielo sa che dovreste darmela e basta... ma se devo giocare secondo le vostre sordide regole, allora vi darò oro per razioni migliori, sono ricca, posso...»

«Il cibo sarà diviso equamente» disse l'Elminpietra con voce che non ammetteva repliche. Thrór annuì in approvazione.

«Non comprato da coloro che hanno ricchezze e potere» disse Dori.

«E nessuna minaccia o lamentela o persino svenimenti cambierà questo fatto» concluse Bard.

Inorna tremò, raddrizzandosi. «Questo... questo è...!» sputacchiò per la rabbia e il suo contorto narcisismo.

«Sta andando bene» mormorò Thrór a Hrera, che gli prese la mano «Finora sta rendendo onore al trono.»

«Bard va meno bene» disse lei piano «Quei due idioti egoisti non lo vedono ancora come il loro Re. Temono i Nani, però, anche se ci disprezzano. L'Elminpietra dovrà guidare questa sortita. Deve usare quella paura per ridurli al silenzio, o loro guadagneranno un posto da cui soffocare ogni tentativo di ragionamento.»

Víli si massaggiò le tempie. «Non lo sopporto» borbottò «Non so come facciate voi a farlo.»

«Pratica. E birra – molta, molta birra» disse Thrór asciutto, e poi Hrera zittì entrambi.

«Vedi cosa avevamo contro di noi?» disse Bard, piegandosi per sussurrare all'orecchio dell'Elminpietra. I nuovi Re si scambiarono uno sguardo di comprensione, e poi l'Elminpietra diede una pacca sulla spalla di Bard.

«Hai la mia più profonda compassione» disse.

«E comunque, con cosa ci vorresti pagare? Bottoni? Aria calda?» aggiunse Glóin, un po' maleducatamente. Mizim ridacchiò.

«Eccolo il mio vecchio orso, sapevo che non ti saresti controllato per sempre» lei sorrise.

Dori picchiò il piede. «A-hem!»

«Giusto. Torniamo al punto» Dwalin si grattò la pelata «Penso che noi abbiamo dei liquori e del vino da qualche parte. Sarà dura separarcene – sono degli anni in cui sono nati i nostri ragazzi – ma saranno più utili nelle mani di Barur. Li farà durare.»

Bofur sospirò pesantemente. «E io credo di avere della birra in dispensa.»

«Durerà molto, stufati e zuppe e simili» disse Dori, annuendo. Glóin fece un altro appunto.

«Ci serve una distribuzione centralizzata» disse l'Elminpietra, parlando sopra ai nuovi sussurri mentre il suo espanso Consiglio iniziava a pensare a un piano «Senza dubbio molti nasconderanno il loro cibo, ed è comprensibile. Ma altri ne potrebbero soffrire. Dobbiamo rendere chiaro il fatto che dobbiamo agire tutti insieme.»

«Possiamo fare una grande pubblicità al contribuire» suggerì Mizim «Magari farlo in pubblico?»

«Aye, buona idea» l'Elminpietra annuì «Ciò che non abbiamo è la carne...»

«Ci sono degli uccelli sulla Montagna...» disse Laerophen, e Glóin fece una smorfia.

«Aye, ma se colpisci un corvo o un tordo, probabilmente desidererai essere preso dagli Orchi»

Laerophen lo guardò senza battere le palpebre. «Sono un Elfo. Se non sarò in grado di distinguere un'anatra, un piccione, un corvo o un tordo da quattrocento passi, potrai limarmi le orecchie e chiamarmi un Uomo.»

Ci fu una risatina sotto la sua sedia. «Questa era buona.»

La bocca di Glóin tremò, come se stesse lottando contro un ghigno. «Piccolo traditore, nipote» disse.

«Se vi serve una distribuzione centralizzata, allora io ho dell'esperienza...» iniziò Krummet in tono untuoso.

«Grazie per l'offerta, Lord Krummet, ma i tuoi servigi non sono necessari» disse l'Elminpietra in tono che non ammetteva discussioni.

«Ah, vedete, vedete!» Inorna li indicò tutti col dito «Questo è BLATANTE favoritismo, e pregiudizio verso gli Uomini!»

Bard si alzò di colpo, il rumore della sua sedia molto forte. «Sparite» disse, chiaramente e fermamente «Smettetela con queste lamentele, smettete di infilarvi dove non siete voluti, e. Sparite.»

Loro sbiancarono vedendo l'espressione sul suo volto, e quando Dwalin alzò la sua ascia in modo tranquillo e minaccioso, entrambi gli sciocchi leccapiedi egoisti girarono sui tacchi e corsero.

«Grazie a Mahal» disse l'Elminpietra ferventemente «Sei molto più paziente di me, Bard.»

«Non avrei avuto il potere di farlo, se non fossi stato al mio fianco» disse lui, chinando la testa «Perciò questa vittoria è tua.»

L'Elminpietra ghignò improvvisamente, un lampo di denti bianchi fra la corta barba rossa. «Scommetto è stato piacevole, vero?»

Bard ghignò a sua volta. «Sono quindici anni che lo volevo fare, ma quei due sono sempre stati troppo ricchi e potenti da allontanare. Hanno usato mio padre come uno zerbino nei suoi ultimi anni, tanto vecchio e stanco era. Dannazione. È stato fantastico.»

«Bene, almeno ce ne siamo presi cura» grugnì Dwalin, e si rimise l'ascia sulla schiena «Potremmo usare le mie truppe per distribuire il cibo, se vi serve gente coordinata e centralizzata.»

Dori strinse le labbra. «Non credo, Signor Dwalin» disse, pensandoci su «L'Esercito ha già abbastanza da fare, grazie mille. Ci sarà anche un assedio, ma non ricordo di aver dichiarato la legge marziale.»

«Penso abbiamo superato da un po' quel punto ormai, no?» disse Orla.

«Possibile, possibile» Dori agitò una mano «In ogni caso, in quanto rappresentante eletto delle Gilde e in quanto Quartiermastro delle forze di Erebor, vorrei offrire i miei servigi. In congiunzione con Barur Panciapietra e i rappresentanti degli Uomini e degli Elfi, ovviamente...»

Dís si lasciò ricadere nella sedia, e poi si girò verso il nuovo Re. «Perfetto» disse semplicemente.

«Aye» disse lui, annuendo «Mastro Dori, ci fai onore.»

Laerophen, dopo un breve momento di sussurri con Merilin, disse: «la mia seconda in comando Merilin è felice di rappresentare gli Elfi e lavorare insieme a Mastro Dori per assicurare giustizia e correttezza.»

«Inoltre, io so la ricetta del lembas, e lui no» disse Merilin asciutta.

«Io rappresenterò la Gente di Dale» disse Selga, guardando Bard, che annuì.

«Nessuno meglio di te. Posso presentarvi formalmente Lady Selga, nipote della Principessa Sigrid e mia cugina.»

«Incantato» disse Dori, con un rapido inchino «A dopo il tè: lavoro per prima cosa. Glóin, sembra lei abbia già iniziato a fare un inventario: potrei chiederle di tener conto dei numeri e dei rapporti?»

Glóin ridacchiò. «Aye, mio vecchio amico. Mi annoio a morte in pensione.»

«Anch'io voglio aiutare Dori!» giunse uno squittio da sotto la sedia di Laerophen.

Dori fece una smorfia.

«Nell'interesse di mantenere Dori sobrio, forse è meglio di no» disse Dís «Gimizh, tu puoi aiutare me nel dire alla gente della raccolta del cibo. Tu e i tuoi piccoli amici.»

Un sospiro petulante arrivò da sotto la sedia dell'Elfo. «Oh, ve bene.»

«Vi servirà qualcuno per fare la guardia ai magazzini» disse Genild, tirandosi la treccia della barba «Lo farò io. C'è poco da fare sulle mura oltre a tirar frecce, e io non sono mai stata brava come arciere.»

L'Elminpietra si voltò verso Laerophen e Bard, e disse: «Lady Genild è veterana della Battaglia delle Cinque Armate, e la conosco dalla mia infanzia nei Colli Ferrosi. La sua lealtà è impeccabile e indistruttibile, e io personalmente garantisco per lei. È anche una pericolosa guerriera.»

Jeri fece una smorfia. «Va bene, ammetto che Ma è una buona scelta per fare la guardia ai magazzini.»

«Aspetta che lo dica alla tua 'amad» disse Genild, gli occhi brillanti nel suo duro volto rugoso.

Jeri alzò gli occhi al cielo. «'amad vorrà fare la guardia assieme a te.»

«Mmmh. Ci conto»

Jeri storse il naso.

Dori, Selga e Merilin si guardarono cautamente. «Molto bene allora» disse Dori infine «vogliamo iniziare?»

Dís si alzò, e iniziò ad andare. «Lady Dís?» la chiamò Selga «Ve ne andate?»

«Non penso di poter essere molto utile ai procedimenti, Lady Selga» disse Dís in voce senza emozione, senza nemmeno fare una pausa «Potrebbe essere per via del fatto che non sono affamata ultimamente.»

Il cuore di Víli affondò un poco nel suo petto, e lui strinse le mani ai fianchi.

«Non molto» disse Hrera gentilmente, e gli accarezzò la spalla «Non molto ormai.»


«È la pausa fra le martellate» mormorò Gimli, e strinse la pipa fra i denti «Lo sento nelle ossa. La roccia trema sotto i miei piedi.»

«Per una città che è stata appena salvata dalla rovina, c'è poca gioia nell'aria» disse Legolas, e guardò la grande pianura rivoltata che era il Pelennor. Erano seduti nel giardino in cima al settimo livello, guardando la città. La cittadella era alle loro spalle, e un vento ghiacciato soffiava contro i loro volti. A Gimli c'erano voluti quattro tentativi per accendere la pipa.

«Almeno Merry sta guarendo bene» disse Gimli cupo, e prese una boccata dalla pipa e si lisciò i ciuffi della barba che stavano, nuovamente, scappando dalle trecce «Dopo tutti i dolori che ci sono costati, sarei rattristato nel trovarlo ancora a letto.»

«Saresti rattristato ben oltre i dolori che ci sono costati, non prendi in giro nessuno» disse Legolas, sorridendo.

«Aye, è stato bello visitarli, e parlarvi» concesse Gimli «E la riserva di Foglia di Pianilungone di Pipino è sempre benvenuta.»

Legolas storse il naso. «Per te, forse.»

Fu a queste parole e questa vista che Thorin arrivò: l'Elfo e il Nano seduti nella debole luce del sole sotto un antico albero bianco. A un osservatore casuale, senza dubbio apparivano come sempre: due amici, che passavano il tempo insieme e respiravano un po' d'aria fresca. Però, Thorin ora poteva vedere i dettagli più sottili: il modo in cui Legolas si appoggiava leggermente alla spalla robusta di Gimli, il modo in cui Gimli sembrava rilassarsi contro il fianco di Legolas, i piccoli segreti tocchi tra mani rapide.

Sembravano abbastanza contenti, e la tensione abbandonò le spalle di Thorin.

«Hanno fatto la pace e sistemato le faccende fra di loro» disse, quasi a se stesso «Bene. Questo è un bene.»

«Ed eri felice di vedere Arod, non far finta di nulla» rise Legolas.

Gimli tirò su col naso. «Lui è un cavallo di Rohan, no? È abituato a un certo stile di vita. I Rohirrim trattano i loro cavalli come dei parenti, alcuni di loro. Volevo assicurarmi che stesse bene, ecco tutto.»

«Non sono stato io a portargli le carote e mele che erano nei nostri piatti»

«Io non le avrei mangiate, e non mi piace sprecare cibo» Gimli toccò il ginocchio di Legolas «Avrei potuto fare a meno di tutta la gente che fissava ad ogni modo. E tu! A cantare per tutta la strada dell'andata e del ritorno, come se non sentissi tutti gli occhi che seguivano ogni nostro passo!»

Legolas chinò la testa. «Ti davano fastidio? Mi era sembrato di vederti camminare a ritmo e accarezzarti la barba...»

Gimli morse la pipa, e inspirò un paio di volte. La sua faccia dava tutte le risposte.

«Meleth» sussurrò Legolas, e si piegò fino a quando il suo mento non fu sulla testa rossa di Gimli «Fissano un Elfo e un Nano, i primi che abbiano mai visto, gli strani compagni del misterioso Sire Gemma Elfica. Se posso portare della musica in questo luogo triste dopo i tumulti della guerra e il suono dei macigni, perché non farlo?»

Gimli borbottò qualcosa di indistinto, e poi toccò di nuovo il ginocchio di Legolas. «Gentile, ghivashelê. E io non ho nulla contro di loro e dei loro sguardi: sono solo stanco di essere una curiosità, ecco. Almeno qui nella Cittadella solo le guardie possono fissarci.»

«Allora potrò cantare qui?» chiese Legolas.

Gimli rise, un rombo profondo. «Come se qualcuno potrebbe mai impedirti di cantare!»

Thorin guardò su. Le Guardie della Cittadella erano nel cortile come sempre, risplendenti nei loro mantelli e elmi alati. Metà della loro attenzione era fissa sulla strana coppia, anche se per il resto erano immobili.

«Si è tagliato di nuovo la barba» mormorò Frerin accanto a Thorin, e Thorin annuì e se lo tirò vicino. Si rendeva conto che Frerin era ancora scosso, ancora ferito, ma confidava che il suo furbo, intelligente fratello minore conoscesse i limiti della propria forza.

E, inoltre, non c'erano battaglie qui.

«Sarà per Dáin, suppongo» continuò Frerin, e la sua bocca di strinse leggermente. La sua mano si alzò per toccare le basette corte e ruvide su un lato del suo volto, e i suoi occhi andarono a occhieggiare il terzo membro del loro piccolo gruppo.

Dáin aveva il volto teso, e la sua mascella tremava. «Non l'avrebbe dovuto fare» mormorò «Non serve.»

«Gimli osserva le tradizioni, anche fra stranieri» gli disse Thorin. Poi fece a suo cugino un mezzo sorriso triste. «È Nano come sempre, nonostante le sue compagnie attuali.»

«Come se l'amore di un Elfo potrebbe cambiarlo» Dáin sbuffò piano. Qualcosa catturò la sua attenzione, e fece un cenno verso le porte della cittadella. «Guardate là.»

Frerin socchiuse gli occhi, più acuti dei loro. «Aragorn» disse, e poi sussultò «Ha un aspetto orribile.»

La testa di Thorin si allontanò da Dáin, e là c'era davvero Aragorn. Il suo volto era esausto e tirato, e i suoi occhi erano terribili. «Gimli» disse, rapido e brusco.

La testa di Gimli si alzò immediatamente. «Mio Re?»

«Guarda il tuo amico» disse, e Gimli si alzò (con qualche sforzo – sembrava che la battaglia lo avesse lasciato abbastanza rigido e dolorante), e cercò con gli occhi fino a notare il loro comandante.

«Ragazzo» disse piano, e fece cenno a Legolas, prima di iniziare a correre.

Legolas, che stava fissando il vecchio albero bianco, batté le palpebre. Poi si girò per vedere Aragorn appoggiarsi pesantemente contro le mura della cittadella, e presto stava correndo verso di lui, superando Gimli con facilità.

«Mellon nín, cosa succede?» disse, afferrando il braccio di Aragorn e sorreggendolo.

La testa di Aragorn si alzò, e i suoi occhi erano lividi sul suo volto. «Io...»

«Bene, fallo sedere» disse Gimli brusco, arrivando subito dopo Legolas «Le risposte aspetteranno, ma lui sta per collassare.»

«Ha dormito?» chiese Dáin «Era nelle Case di Guarigione...»

«Haban dice che andò a dormire dopo averle visitate» disse Thorin, grattandosi la testa «Non riesco a pensare a nessun altro impegno, né alcuna emergenza a cui sarebbe servita la sua attenzione. Pochi lo conoscono di vista, anche se si sta spargendo la voce in città dopo che il suo stendardo era stato visto sulle Navi Nere. E i guaritori delle Case, Haban dice che c'erano delle pettegole di prim'ordine: avranno fatto la loro parte, e le lingue si muoveranno fino a tarda notte. Però solo Imrahil e Faramir, di tutti gli Uomini di Gondor, conoscono il suo vero volto e il suo nome. Per tutti gli altri è solo il Sire Gemma Elfica.»

«Le voci sono solo voci» confermò Dáin, e si morse il labbro per un momento «Questa non è semplice stanchezza. C'è qualcos'altro.»

Gimli, che stava facendo sedere Aragorn sul cerchio di pietra attorno all'albero morto, sbuffò. «Sarebbe bello lasciare a dopo le speculazioni, almeno finché il ragazzo non preso un po' d'acqua e una boccata d'aria e fumato un po'. Avremo presto le nostre risposte. Voi altri! Andate da qualche altra parte!» alzò la voce per parlare alle Guardie della Cittadella, che sembrarono davvero molto sorprese di ricevere un ordine simile da un Nano.

Forse fu la loro sorpresa che li fece obbedire, o forse fu Legolas che aggiunse: «faremo noi la guardia all'Albero Bianco. Non dovete temere nessun tradimento da noi, perché non siamo forse giunti in aiuto di Minas Tirith nell'ora del bisogno? Rimanete vicini, ma dateci spazio, per favore.»

Loro si inchinarono leggermente, e se ne andarono. Uno o due lanciarono sguardi curiosi dietro di sé entrando nella caserma vicino alla Cittadella.

La testa di Aragorn dondolava in avanti, e Legolas doveva sostenerlo con una mano sul petto per impedirgli di cadere. «Non l'ho mai visto così prima d'ora» disse, lanciando a Gimli uno sguardo preoccupato.

«No, nemmeno io» disse Gimli, e cercò nel suo borsello da cintura con dita goffe e frettolose, estraendone una fiasca «Ecco, acqua.»

Legolas la prese e la portò alle labbra di Aragorn. Lui bevve due grandi sorsi, e poi si lasciò ricadere indietro. Il suo colore era un po' migliorato: più simile al suo normale marrone abbronzato, e non quel grigio sporco e malaticcio.

«Adesso, respira, e poi dicci cosa nel nome di Mahal hai fatto a te stesso» disse Gimli, e si sedette accanto all'Uomo e scambiò uno sguardo preoccupato con Legolas.

Aragorn bevve un altro sorso d'acqua, e poi alzò la testa con un certo sforzo. «Ho guardato nel Palantír.»

Thorin fu paralizzato dall'orrore.

Gimli no. «Hai fatto cosa?!»

«Perché avresti fatto qualcosa del genere?» domandò Legolas «Quella pietra è piegata alla volontà di Sauron: è lo strumento della disperazione di Denethor! Perché, Aragorn? Perché, quando la vittoria sul campo è stata nostra?»

«La vittoria su questo campo, sì» gracchiò Aragorn «Ma non di questa guerra.»

Ci fu un respiro brusco dalla parte di Dáin, ma Thorin non poteva prestargli attenzione. Qualsiasi cosa suo cugino avesse realizzato, avrebbe dovuto aspettare.

«Parla chiaramente» disse Gimli, anche se le sue mani gentili tradivano la sua preoccupazione «Non sprecare forze per motivi e ragioni. Cos'è successo?»

Aragorn chiuse gli occhi e si appoggiò di nuovo a Legolas e Gimli, lasciando che lo sorreggessero... come, Thorin poteva vedere ora, si era sempre appoggiato a loro per tutto il loro viaggio. «Minas Tirith è al sicuro per ora» disse, la voce debole ma sicura «Ma anche un battaglia come quella che abbiamo combattuto è vana se la vera missione non viene compiuta.»

«Frodo e Sam» disse Legolas, annuendo.

«Frodo e Sam» confermò Aragorn «Sappiamo da Faramir che hanno preso il passo di Cirith Ungol. Se sono sfuggiti sia alle attenzioni di Minas Morgul e al terrore che vive in quel passo, ora devono attraversare tutte le orde di Mordor raccolte sulle piane del Gorgoroth...»

«Una finta» grugnì Dáin «Sta provocando il nemico, lo attira fuori.»

«Basta motivazioni, ho detto» lo zittì Gimli, e si bagnò le mani per posarle sulla fronte di Aragorn «Non ho le tue abilità, ma tu scotti. Ecco, così dovresti sentirti meglio.»

«Sì» Aragorn si appoggiò alle ruvide, callose mani di Gimli «Chi avrebbe detto che i Nani hanno tanta gentilezza in loro?»

«Mi sorprende sempre» disse Legolas dolcemente, e Aragorn rise debolmente.

«Ci avete messo fin troppo, coppia di muli testardi»

Quando le orecchie di Legolas diventarono scarlatte e Gimli si schiarì la gola, Aragorn sorrise e aprì gli occhi. «Sono pieno di gioia per voi due» disse semplicemente.

«Sei pieno di sciocchezze e banalità, sciocco Uomo» borbottò Gimli, e mise altra acqua sulle fronte di Aragorn «E mio zio è – era – un guaritore. Non siamo completamente fatti di pietra, sai.»

«Sono sicuro che Legolas potrà confermarlo» disse Aragorn, e la sua voce era un po' più forte – e un po' maliziosa.

Legolas tossì. «Torniamo alla tua storia. Noi siamo solo un dettaglio secondario.»

«La felicità non è mai un dettaglio secondario» disse Aragorn, eppure fece un gemito di sconfitta «Molto bene.»

«Un altro sorso» disse Gimli, premuroso come un uccello col suo pulcino «Poi possiamo riempire la mia pipa...»

«No, niente pipa» disse Aragorn, anche se ubbidì e bevve un altro sorso d'acqua «Lui è circondato da fiamme e oscurità e fumo. Ora non riuscirei ad affrontare nemmeno le scintille familiari dell'erba della Contea.»

«Gli hai parlato» disse Legolas.

«Io non dissi una parola» Aragorn si lasciò ricadere indietro, sostenuto dai suoi amici, e la borraccia dondolò debolmente nelle sue mani.

«Ha lottato con l'Ombra» disse Thorin, e Frerin si strinse al suo fianco «Ecco perché è così prosciugato, così stanco. Per tutta la sua forza, Aragorn non è che un Uomo mortale, e ha ora affrontato la volontà di Sauron in persona.»

«L'hai visto, allora» disse Gimli, e i suoi occhi erano duri e spaventati «Ragazzo, respira ancora un momento.»

«Smettila di preoccuparti, Gimli» disse Aragorn, e diede una pacca sulla spalla di Gimli «Starò bene... fra un momento o due.»

«Sei quasi caduto di faccia, e non pensare che non abbia capito che eri venuto a cercarci» replicò Gimli «Qualcosa in quella tua testa spelacchiata sa che devi cercare i tuoi amici se sei nei guai. Quindi zitto e lasciami preoccupare se voglio. Mi piacerebbe vederti cercare di fermarmi – fai paura quanto un gattino in questo momento.»

Aragorn sorrise di nuovo. «Nani» disse Legolas con affetto.

Gimli tirò su col naso, e Frerin fece lo stesso. «Aye, va bene, sì, possiamo tutti ridere si me più tardi, quando stai meglio» disse severamente «Se voi due la smetteste di farmi spaventare a morte, sarebbe fantastico. Anzi, siamo in una città liberata da ogni pericolo, e tu trovi comunque un modo di farmi diventare i capelli bianchi!»

Dáin alzò gli occhi al cielo. «Oh, è uno di quel genere. Maleducato per il sollievo.»

«Anche tu saresti maleducato, se i tuoi amici avessero l'abitudine di spaventarti a morte così spesso» rispose immediatamente Gimli – e poi un'espressione di puro orrore attraversò il suo volto quando si rese conto di aver parlato con la sua famiglia ad alta voce davanti ad Aragorn «Ah, io...»

«Voglio delle risposte, e presto» Aragorn si raddrizzò per guardare Gimli a lungo e severamente «Sul perché parli come se stessi rispondendo all'aria, perché borbotti fra te e te così spesso. Non mi dissuaderai, Gimli figlio di Glóin.»

Gimli deglutì. «Prima tu finisci la tua storia, e poi potrai sentire la mia» promise, e la sua voce era molto più calma della sua tempesta di preoccupazione e panico.

Legolas si premette una mano contro il petto, l'espressione sincera. «Non è nulla di pericoloso, lo giuro» disse.

«Quindi tu lo sai? Che sto dicendo, certo che lo sai» Aragorn si levò i capelli dagli occhi, e poi si passò una mano tremante sul volto. Non aveva potuto usare gli strumenti che gli Uomini usano per radersi in qualche settimana, e la sua normale peluria stava iniziando a diventare una barba rispettabile. Raspava sotto la sua mano. «La mia storia... non è lunga. Guardai nella pietra, e le fiamme mi portarono in un regno oscuro. Lì mi aspettava. Sauron, ammantato di ombre e incoronato di fuoco, il suo occhi un terribile marchio bruciante nella mia mente. Non avevo mai sentito nulla di simile, mai provato tanta paura nella mia vita. Ci vollero tutte le mie forze, ma non gli dissi alcuna parola, non gli diedi alcuno spunto.»

«Ma egli ti mostrò qualcosa, come lo mostrò a Denethor?» chiese Legolas.

«Lo fece» il volto di Aragorn si indurì, e parve più simile che mai alle statue degli Argonath. Duro, mortale, antico e freddo. «Gli mostrai l'Anello di Barahir, la Spada che fu Spezzata. Lo udii sussurrare i miei nomi, uno dopo l'altro, finendo sempre con Elessar, Elessar. E mi tagliò fino al midollo e congelò il mio sangue, e io lottai contro i suoi sussurri. Ma non fu abbastanza per spezzare la mia volontà.»

«Mi mostrò grandi regni e eserciti, tutti miei da comandare» la risata di Aragorn era vuota «Non dissi nulla. Quando mai nella mia vita ho desiderato eserciti e regni, anche se seguono la mia stirpe come cani da caccia? Le pelli dei Raminghi del Nord furono abbastanza per i miei antenati, e sono sempre state abbastanza per me. Quando si rese conto che il potere non è una tentazione per me, provò con un'altra tattica. Mi mostrò ricchezze oltre ogni misura, e mi disse che sarebbero state mie se avessi abbassato la mia spada. Mi mostrò la forza della Torre Oscura, infinite orde di Orchi tutti in marcia, in marcia. Il Palantír non può mentire, può solo essere costretto a mostrare ciò che il suo padrone desidera. Non ho dubbio che queste cose fossero vere: la ricchezze, gli eserciti, tutto. A per tutto il tempo, mi incitò ad abbassare la mia spada. E in quello, io ritrovai il mio coraggio.

«Teme la Spada che fu Spezzata. Teme il sangue nelle mie vene, nonostante tutte le sue debolezza» Aragorn sembrava meravigliato e perplesso «Lo sentivo. Il dolore di perdere la sua forma non lo lasciò mai, e non ha mai perdonato Isildur per quello. Come deve aver gioito della rovina di Isildur!»

Thorin mise una mano cauta sulla spalla di Frerin, e lasciò che le sue dita si stringessero protettivamente.

«Allora cosa di mostrò, mellon?» chiese Legolas, a malapena un sussurro «Cos'è che ti ha ferito tanto?»

«Arwen» le labbra di Aragorn si strinsero, e quel poco colore che aveva riguadagnato lasciò le sue guance «Mi mostrò Arwen.»

Il respiro di Legolas si mozzò, e Gimli lo guardò con occhi scuri e inespressivi, prima di girarsi di nuovo verso il loro amico.

Aragorn continuò con voce piena di angoscia, ma il suo volto rimase risoluto. «Ha speso talmente tanto della sua grazia, delle sue arti, proteggendo me e la sua casa. Sapevo di averla percepita quando il fiume Isen mi portò via, lo sapevo.»

«Spiega la tua straordinaria fortuna, suppongo» grugnì Gimli, anche se la sua espressione era ancora preoccupata.

«Fece promesse a te» disse Legolas «E minacce a lei.»

Aragorn annuì una volta, lentamente. «Mormorò che avrei dovuto solo abbassare Andúril, e lei sarebbe stata guarita, il dono mortale e destino mortale portati via, e noi avremmo vissuto insieme e in pace per l'eternità. Ma se avessi continuato a oppormi...»

«Mente» disse Gimli.

«Mente, ma nelle sue menzogne c'è un grano di verità, ed è questo che le rende tanto facili da ingoiare» disse Aragorn con voce rotta «Sta morendo. Lord Elrond me lo disse, quando ci incontrammo. La vita di Arwen è legata al destino dell'Anello... e il destino dell'Anello è legato a due piccoli, coraggiosi Hobbit.»

Improvvisamente, Thorin ricordò una conversazione – sembrava anni prima, non settimane – fra il vecchio Bilbo e la donna Elfo. La sua bellezza luminosa era diminuita, persino allora, e lei sembrava triste e debole e scontenta. «Ecco cosa la affliggeva.»

«Hobbit che hanno le piane del Gorgoroth davanti a sé, e quell'infinito mare di Orchi che hai visto» disse Gimli con un sospiro «Verità mista a bugie. Inizio a capire meglio Denethor. Che cosa deve aver visto, che lo portò a tanta disperazione!»

«Allora mostrarti a Sauron e dichiarare la tua stirpe non è servito a nulla? Ha distrutto il nostro vantaggio, credi?» disse Legolas, e corrugò la fronte «Abbiamo confidato nella segretezza per tanto tempo. La tua discendenza è rimasta nascosta, e al sicuro, per secoli.»

«Un segreto va tenuto solo se protegge, altrimenti non è altro che un peso. È un sacrifico necessario, e la decisione di dichiararmi fu fatta quando alzai il mio stendardo davanti alla Rocca di Erech» Aragorn sorrise, un sorriso teso e infelice «Non abbiamo i numeri per affrontare la Terra Nera. Non possiamo invaderla. Non possiamo distruggere il Cancello. Ma possiamo attirarli fuori. Possiamo forzare la sua mano.»

Gimli fece un lento “ah” di soddisfazione. «È vendicativo, e se, come dici, non si è dimenticato quella spada e cosa gli è costata, allora perderà completamente la testa. Vorrà schiacciarti solo perché sei tu. Orgoglio e rabbia. Una debolezza utile, quella.»

Orgoglio e rabbia. Orgoglio e rabbia. Schiacciarti solo perché sei tu. Una debolezza utile. Orgoglio e rabbia...

Frerin pizzicò il braccio di Thorin. «Smettila» ringhiò.

Thorin lo pizzicò di rimando. «Tu smettila» borbottò «Sto bene. Smettila di preoccuparti.»

Frerin alzò un sopracciglio. «Tu per primo.»

«Ne hai parlato con Gandalf?» chiese Legolas.

«Non ne ho visto il bisogno» disse Aragorn, e la sua voce risuonava, pesante e regale, per quanto stanca «Questa è la mia ora, anche se non l'ho cercata. La pietra è mia di diritto, e la decisione era mia da fare. Se posso fare una scelta sola per il bene della Terra di Mezzo, che sia questa. Se potrò salvarli, lo farò. Il mio dovere è chiaro.»

«Mi sembra familiare» mormorò Dáin, e guardò Thorin con occhi scintillanti.

Frerin ridacchiò. «Effettivamente.»

«Quindi, marceremo contro il Nero Cancello?» disse Legolas, e soffiò piano fra i denti «Un topo che sfida un leone.»

Il Morannon era impenetrabile. Non avevano nessuna speranza di successo. Tutto dipendeva da Frodo – l'ha sempre fatto. Thorin incrociò lo sguardo di Dáin, e vide le sue stesse conclusioni riflesse in esso.

«Questo topo ha una spada famosa, e amici fedeli» disse Gimli, e si sedette di nuovo «Stai il meglio possibile senza una birra e una notte di riposo, suppongo. Per favore evita di scioccarmi per la prossima ora o due, se ce la fai.»

Aragorn rise. Era debole, ma reale. «Ci proverò, amico mio.»

«Allora sono contento»

«E ora ho delle domande» Aragorn si raddrizzò, e fisso seriamente il Nano «Con chi parli quando nessuno è lì per risponderti?»

«Un'ora, ho detto!» protestò Gimli «Non è passato nemmeno un minuto!»

«Meleth nín» mormorò Legolas, e la sua mano dalle lunghe dita toccò la spalla di Gimli, leggera come una foglia che cade «Hai promesso.»

Aragorn aspettò, silenzioso e impaziente.

Gimli sospirò. «Vero» poi lasciò che il mento gli ricadesse al petto «Perdonami, mio Re.»

«Diglielo, Gimli. Non fa del male a nessuno, e potrebbe aiutare» disse Thorin, e Frerin lo guardò con espressione curiosa. Dáin fece un suono sorpreso.

«Ne sei certo?» insistette Gimli, e Thorin lottò contro l'istinto di dire no, tieni i nostri segreti, tienili al sicuro nel tuo cuore oltre la portata di coloro a cui non importano davvero. Ma no. C'erano cosa più grandi, e bisogni più grandi, dei segreti. Il fato della Terra di Mezzo era uno di essi.

Alzò il mento. «Hai avuto ragione prima d'ora. E io confido che tu avrai di nuovo ragione. Aragorn dice il vero: la nostra segretezza è solo un peso quando non ha motivazioni. Proteggere il nostro popolo è una cosa. Proteggere la Missione di Frodo è un'altra. In questo, tu sei stato più saggio di me, mia stella. Vedi davvero chiaramente. Parla ora, e dai ad Aragorn la speranza di cui ha bisogno.»

Dáin lo guardava molto curiosamente, ma infine annuì anche lui. «Aye, diglielo, ragazzo. Lasciaci aiutare come possiamo. Ci sono cose più importanti del nostro orgoglio.»

Gimli deglutì. «Molto bene» poi si voltò verso gli altri membri dei Tre Cacciatori, strinse la mascella e le spalle e disse senza preamboli: «sento le voci dei Morti.»

Gli occhi di Aragorn si spalancarono.

«Oh, per carità di Mahal, il ragazzo tiene il cervello nei bicipiti?» gemette Dáin «Avrebbe dovuto arrivarci con calma.»

«Gimli non è sottile» borbottò Frerin. Si stava coprendo il volto con le mani. «Per niente.»

«È figlio di Glóin: la sua ascia è più sottile di lui, è vero» Thorin si massaggiò la fronte. Trovò che stava sorridendo un po' stupidamente. Oh, mia stella, mi rallegri sempre quando ne ho bisogno! «Diretto e onesto, è fatto così.»

«Diretto!» Dáin sbuffò forte «Thorin, io sono diretto, e riesco comunque a fare una finta o due. Gimli è come un ariete verbale.»

«Non lo sono» borbottò Gimli, il volto diviso fra rabbia e divertimento «Non vedo il motivo di scheggiare la pietra poco a poco. Meglio tagliarla subito e farla finita.»

«I morti?» disse Aragorn cautamente.

Gimli alzò una mano. «Ora, prima di pensare che io sia impazzito, dovrei spiegarmi meglio» disse «I Nani Morti, i miei congiunti. Hanno un qualche modo per vederci, qui nella Terra di Mezzo, attraverso le nebbie sul mare e la morte stessa. Non so come. Ma sin da Lothlórien-» qui, Aragorn si raddrizzò stupefatto «-ho riconosciuto le loro voci, e udito le loro parole. Col tempo ho imparato a percepire la loro presenza al mio fianco, e ora riesco a distinguere coloro che seguono i miei passi. Uno in particolare è stato la mia guida e la mia luce...» Gimli si leccò le labbra e le sue parole si fermarono.

«I Sentieri dei Morti» disse Aragorn, come se stesse capendo in quel momento «Eri rimasto indietro non solo per paura, ma perché li potevi sentire vicini dopo...»

«Aye, e vederli, come vedemmo i disonorati, anche se loro sparirono una volta che lasciammo la Montagna maledetta» disse Gimli «Sono qui, mentre parliamo.»

Aragorn si voltò verso Legolas. «Tu credi a questo?»

«L'ho visto coi miei stessi occhi» disse Legolas, alzando il mento come se stesse difendendo Gimli da una qualche critica «Gli hanno dato notizie da altri regni che lui non avrebbe potuto sapere in nessun altro modo, e io riuscii a riconoscere le forme di alcuni Nani nella penombra della Rocca di Erech; Nani che so personalmente essere morti.»

«Notizie?» Aragorn saltò sulla parola come un gatto che caccia «Allora hanno visto...»

Gimli annuì. «Aye. Vedono tutto.»

«Possono dirci di Frodo e Sam?» disse Aragorn, e Gimli fece una smorfia.

«Quando e se vorranno. Quando e se lo permetteranno»

«Frodo Baggins vive, ed è libero» disse Thorin immediatamente «Lui e Sam sono ancora insieme. Sono entrati a Mordor, e ora stanno attraversando i monti verso la piana oscura. Diglielo, Gimli.»

Gimli ripeté, e poi si strofinò la fronte. «Così dice il mio Re. Ecco, uno di loro. Sembra che li stia collezionando ultimamente.»

«Grazie a Elbereth, non ho agito incoscientemente e gettato tutto nella rovina» Aragorn si rilassò, e poi aggrottò le sopracciglia «Il tuo Re?»

«Thorin Scudodiquercia» disse Gimli, orgoglioso e forte e Nanico come la musica stessa della terra «Melhekhelê, il mio re dei re, la mia guida, il mio mentore. È la sua voce che sento, più forte e più chiara di tutte; la sua voce mi porta luce e speranza.»

«Sono quasi ottant'anni che è morto» disse Aragorn stupefatto «Mi ricordo delle notizie a Granburrone quando non ero che un bambino!»

«Aye» la voce di Gimli ora tremava di orgoglio «È vero. Ma nemmeno la morte può fermare un Nano quando sono decisi a fare qualcosa.»

Se i suoi occhi andarono a Legolas mentre parlava, beh, nessuno di loro ne fece menzione.

«Lasciami vedere se ho capito bene. Tu senti la voce di un grande eroe defunto del tuo popolo, che parla nella tua mente?» disse Aragorn dubbioso.

«Tu ci hai guidati dentro e fuori dal Bosco Dorato, ci hai portato lungo la via del Dimholt e comandato un esercito di spettri, e una donna Elfo ha usato le sue arti per proteggere il tuo culo gracile da mezzo mondo di distanza» disse Gimli, incrociando le braccia e alzando le sopracciglia «Quindi cosa vorresti dire?»

Legolas coprì il proprio sorriso con la mano.

«E Thorin Scudodiquercia non è che una delle voci che sento. Lo sento da decenni, da quando ero uno spelacchiato ragazzo sciocco e piuttosto incosciente nelle Ered Luin. Non lo riconobbi fino a Lothlórien, quando mi fu concesso di guardare nello Specchio della Dama e lo vidi lì. Negli ultimi mesi molti altri si sono uniti a lui. Questo, o l'orecchio della mia mente è molto più attento di prima.»

«Parlamene, allora» disse Aragorn, avendo evidentemente deciso di fidarsi della parola di Gimli. Sembrava che aver menzionato lo Specchio di Galadriel lo avesse fatto riflettere. Thorin si chiese se non trovava strano che un Nano avesse potuto guardare in uno dei grandi misteri degli Elfi.

«C'è anche Dáin Piediferro, Zabadâl belkul, il Ristoratore della mia casa» Gimli chinò la testa «Lui è una nuova voce, e un nuovo dolore per me. Sento anche mio zio, e mio cugino Balin. Nori e Ori, Lóni e Frár, tutti i miei amici e i miei familiari che ora dormono nella roccia. Sono tutti vicini, e a me è concesso il grande dono di percepire la loro vicinanza. Non so come, ma mi fa chiedere: per quanti secoli i nostri amati ci hanno osservati, vicini come il respiro, e lontani come la luna? E noi non ne sapevamo nulla.»

Legolas mosse un mano, e le sue dita si strinsero attorno al grosso polso di Gimli in rassicurazione.

Battendo le palpebre, Aragorn disse lentamente: «deve essere un conforto. Sapere che sei amato, e che coloro che furono prima di te sono orgogliosi di te. Avere il sangue del sangue che ti osserva, e non sentirti indegno davanti ai loro occhi. Non temere la debolezza, perché la loro forza è parte di te.»

«Non direi» disse Gimli ruvido «Ho fatto delle cose decisamente stupide, e sono stato tremendamente spaventato. Sono stati irritati con me tanto quanto orgogliosi, ma non c'è nulla di strano in questo. Ti faccio sapere che si dice spesso che un gruppo di Nani sono una Mandria di Nani[1], e non è molto sbagliato. Ma aye, è un conforto. Ero un Nano solo prima di saperlo. Ora so che nessun Nano è mai davvero solo, non importa quanto strano sia il suo cammino.»

«Gimli» disse Thorin «digli di non temere il suo sangue. Esso è solo il suo sangue. Difetti e fallimenti non vengono tramandati per generazioni come un naso di famiglia. Ora che si è dichiarato, che sia il Re che è e non il Re che altri sono stati. Deve governare come se stesso, come chiunque e qualsiasi cosa desideri essere. Non è il pallido riflesso di coloro che furono prima di lui; non deve imitarli, né rendere propri i loro fallimenti» il ricordo della pesante armatura d'oro di suo nonno sulla sua schiena apparve nella sua mente, e lui la spinse via con determinazione «Lui è una persona a sé, è completo così com'è. Lui è Aragorn, e Aragorn è più che sufficiente.»

Frerin premette insieme le loro spalle, e lui sentì la presenza ferma e rassicurante di Dáin dietro di sé.

«Il mio Re ha delle parole per te, Aragorn» e Gimli ripeté precisamente il messaggio di Thorin. Alla fine, Aragorn sembrava ancora più scosso di prima.

«Tutto questo è difficile da credere, ma lo trovo meno strano del tuo comportamento ultimamente» disse, pallido in volto, e scosse la testa «Vi ringrazio, Maestà, dal profondo del cuore. Ma Gimli, di tutte le risposte che mi avresti potuto dare, questa è una che non avrei mai previsto. Sentire i morti! Avevo pensato che forse tu fossi stato sotto il sole per più tempo di quanto un Nano dovrebbe.»

«Stupidaggini» sbuffò Gimli «Come se un po' di luce potesse confondermi.»

«Disse colui che osò chiedere tre dei capelli dorati della Dama di Luce come suo desiderio» mormorò Legolas.

«Chiudi quella bocca impertinente, Elfo» disse Gimli senza rancore «Ora, ragazzo, ti ho sorpreso a sufficienza? Possiamo riportarti alla Cittadella?»

«Se vi torno, dovrò essere di nuovo Sire Gemma Elfica. Dovrò tenere un consiglio» Aragorn gemette, e si spinse in piedi su gambe tremanti. Gimli lo sorresse, e Legolas mise una delle braccia del Ramingo attorno alle proprie spalle. «Devo dire a Gandalf ciò che ho fatto. Imrahil dovrà ricevere istruzioni chiare su cosa fare dei Sudroni che sono sopravvissuti. Non ci sono abbastanza tende, né abbastanza traduttori – e ci sono ancora tre o quattro Olifanti ancora vivi, anche se feriti, e bisogna fare qualcosa anche di quelli... e Gandalf, sì, Gandalf deve sapere, ci serve il suo consiglio, dobbiamo raccogliere tutte le nostre forze... ma non troppe per lasciare Gondor senza protezione, perché Éomer non disse che c'era un secondo esercito in attesa? Saremo così pochi, forse solo qualche migliaio...»

«Zitto ora, un piede dopo l'altro» disse Gimli, e insieme lui e Legolas aiutarono il loro amico ad attraversare il cortile e tornare al grande edificio in marmo nero e bianco.

«Sta già pensando come un Re. Povera anima» disse Dáin, con sentimento.

Thorin grugnì. «Aye, con tutto ciò che porta. Speriamo che la corona non pesi su di lui quanto lo fece su di me o su di te.»

«Questo è il motivo per cui non ho mai voluto il tuo maledetto lavoro, Thorin»

«Però l'hai fatto così bene, e ti si addiceva tanto» rispose Thorin. Le vecchie provocazioni scherzose gli venivano così naturali.

«Dovevo farlo bene, no? Mi stavi letteralmente perseguitando» rispose Dáin, e sorrise a Frerin «E poi certo, non potevo deludere i miei cugini grandi.»

La bocca di Frerin si spalancò. «Cugino grande?» squittì.

«Aye, beh, sei sempre mio cugino grande, no?» Dáin chinò la testa in modo deferenziale: un guerriero grosso e brizzolato, nel pieno dei suoi anni, che mostrava solenne rispetto verso un adolescente mezzo cresciuto con la barba mezza tagliata «Sei più vecchio di sedici anni, dopotutto. Certe cose non cambiano.»

Frerin sembrava molto giovane, e molto compiaciuto. «Lo sono, no?»

Thorin alzò un sopracciglio verso Dáin, come per dire lo so cosa stai facendo, vecchia volpe.

Dáin gli fece l'occhiolino. Fidato di me. Lo farà felice.

Thorin sospirò, e alzò gli occhi verso il cielo grigio e cupo.

«Cugino grande» disse Frerin felicemente, e gonfiò il petto.

«Che succede qui?» giunse una nuova voce – e una bollicina di aria luminosa riempì il petto di Thorin. Si voltò per vedere Bilbo che guardava perplesso i presenti. «Chi è... non sarà il Dúnedan, quello?»

«Se intendi dire Aragorn, aye» disse lui. Frerin lo guardò curioso per un momento, e poi fece un piccolo “oh” di comprensione.

«Aspetta, cosa, perché parla così» disse Dáin confuso, e Frerin andò da loro cugino e lo prese per un braccio.

«Te lo spiego io, solo sta zitto per un momento» sibilò, e iniziò a sussurrare all'orecchio di Dáin. Thorin non gli prestò attenzione. Era tutta fissata sullo Hobbit – lo Hobbit che ora teneva il suo Nome nelle sue morbide, sicure manine.

«Ciao Bilbo» disse, dolce e profondo.

Le palpebre di Bilbo si abbassarono, le sue guance divennero rosa. Si schiarì la gola. «Sì, eh. Ciao di nuovo» si tirò l'orlo del panciotto, e poi disse: «non so ancora dirlo.»

«Non mi importa» disse Thorin, sorridendo «Sono felice di vederti.»

«E io di vedere te, eh. Dohyarzirikub»

«Quasi» disse Thorin, e si obbligò a non sorridere a Bilbo come un idiota, ma tornò a guardare Legolas che aiutava Aragorn a salire per le scale della grande Sala. Gimli stava portando la maggior parte del peso dell'Uomo mentre l'Elfo li guidava. «Dohyarzirikhab. L'ultima sillaba. Khab.»

«Khab» ripeté Bilbo «Dohyarzirikhab» poi fece uno dei suoi piccoli suoni impazienti, il volto molto irritato «Sembra di lavarsi la bocca con sabbia e ghiaia, cielo...»

«Lo dirò al nostro Creatore, la prossima volta che ci parlerò» rise Thorin «Senza dubbio sarà offeso dal sentire che pensi così male della lingua che ci donò.»

«Penserei piuttosto che una descrizione simile sia un complimento per lui, e non un insulto, o non è stato sempre lui a fare la sabbia e la ghiaia?» disse Bilbo, e incrociò le braccia. Sembrava piuttosto compiaciuto della sua risposta intelligente... più o meno. «Ed è l'ultima sillaba quella che mi dà tanti guai.»

«Forse ora perdonerai Kíli per averti chiamato Mastro Boggins, uhm?»

«Mai» Bilbo tirò su col naso. Un sorriso gli stava tirando gli angoli della bocca.

«Lo Hobbit è qui?» Thorin sentì Dáin esclamare.

«Quello è tuo cugino, me lo ricordo» disse Bilbo, annuendo verso Dáin, e poi guardò le scale «Aspetta, ed ecco il tuo ragazzo Gimli.»

Il mio ragazzo Gimli, lo chiama pensò Thorin, e non lo corresse.

«Perché...» Bilbo si accigliò e strinse gli occhi, facendo un paio di passi verso le persone che si allontanavano. Poi sussultò in sorpresa e fece una corsetta, dicendo: «no, no, no, non è possibile! Non può essere giusto!»

«Bilbo?» lo chiamò Thorin, confuso.

«Si stanno tenendo per mano?» disse Bilbo, e si voltò (Mahal lo salvi, gli Hobbit erano agili!) di scattò per guardare di nuovo Thorin, pieno di confusione «Si stanno tenendo per mano! Ma Legolas è un Elfo?»

Oh, eccoci. «Aye, è vero.»

Bilbo lo guardò incredulo. «E Gimli è un Nano!»

«Sembra che la tua vista sia acuta come sempre, Mastro Baggins» rispose lui, secco come la polvere.

«Ma...!» Bilbo agitò le mani in aria senza parlare «Come mai tu non stai uccidendo qualcuno, allora?»

Thorin fece finta di nulla, e ignorò le risatine che venivano da Dáin e Frerin poco lontano. «Uno Hobbit erudito come te sa di certo che gli Elfi hanno avuto relazioni con membri di altre stirpi prima d'ora» disse, il più calmo possibile.

«Tu! Ma – ma» sputacchiò Bilbo e gli agitò un dito in faccia, e poi lo scosse verso il trio ora scomparso «Quello...!»

«Abbastanza» abbassando la voce, Thorin disse: «e certo, un Nano non può scegliere di nuovo, una volta che ha scelto.»

Bilbo lo fissò. «Non ti credo» dichiarò piatto, e poi alzò le mani, come per dire a tutta Minas Tirith «Non ti credo! Mi confondi sempre, impossibile, stupido...»

«Sì, sì, sciocco, confuso, insolente vecchio Nano, lo so» mormorò Thorin, e sorrise all'espressione stupefatta su quella cara faccia espressiva «Ad essere onesto, mi ci è voluto del tempo per accettare la cosa. Gimli ama chi ama. La sua scelta non è una che avrei previsto, né una che ho accettato facilmente. Conosco Legolas meglio di quando morii, però, e ha dato prova di sé più volte. È degno del migliore di noi. Hanno la mia benedizione. E sarei il più grande degli ipocriti se punissi Gimli per amare qualcuno che non è della nostra razza.»

Bilbo, stupefatto e interrotto a metà predica, chiuse la bocca di scatto. Un piede peloso grattò il terreno. «Oh, eh. Bene allora. Bene» balbettò «Eh. Buono? Sì, suppongo sia qualcosa di buono.»

«E certo, mio nipote mi ha aiutato a vedere le cose più chiaramente» Thorin guardò a Est, dove le grandi nuvole si gonfiavano e confondevano sopra ai picchi delle montagne «Sta tenendo d'occhio il tuo, anche ora. Potremmo andare a vedere come sta.»

Improvvisamente, Bilbo fu di nuovo serio. «Bene» disse, gli occhi pieni di quell'acciaio Hobbit che sembrava sempre rinascere nelle circostanze più avverse «Andiamo a vedere come sta Frodo, allora.»

«In un momento. Lo dico agli altri» Thorin annuì, e poi tornò da Frerin e Dáin (che lo guardavano con identiche espressioni divertite).

«Aspetta – Kíli ti ha aiutato a capire?» urlò Bilbo, il tono dubbioso.

«Sì» rispose Thorin senza fermarsi, e poi alzò le mani e diede sia a suo fratello che a suo cugino una sberla sulle spalle «Smettetela voi due.»

«Se ricordo bene, tu non eri proprio la simpatia fatta a persona quando ero in ansia per chiedere a Thira di sposarmi» disse Dáin acido, e Frerin ridacchiò.

«Sei ridicolo, a fare gli occhi da pecora all'aria»

Thorin fece un respiro profondo e si rassegnò ad essere la fonte del loro divertimento per un po'. «Come ho fatto a dimenticarmi di quanti scherzi voi due siete stati responsabili» ringhiò «Meraviglioso.»

Dáin e Frerin ghignarono.

«Andiamo a controllare Frodo e Sam ora» disse Thorin, ignorando i loro volti allegri e occhi brillanti (senza dubbio avrebbe trovato un vassoio di metallo, freddo come il ghiaccio, ai piedi del letto stanotte, che aspettava solo il tocco dei suoi piedi nudi) «Bilbo vorrebbe vedere suo nipote, e Fíli e Kíli si meritano una pausa.»

«Da quello che mi dice, è Nori che avrebbe bisogno di una pausa da Fíli e Kíli» disse Dáin, ancora ghignando.

«Kíli ti ha aiutato a capire» borbottò Bilbo, scuotendo la testa «Beh, in ogni caso sono felice. Felice che finalmente riesci a vedere il buono negli Elfi. Anche se confesso che sono ancora stupito nel non vederti fortemente contro l'idea di Gimli che cammina con il figlio del Re degli Elfi.»

«Kíli ha una sua saggezza, per quanto inaspettata» disse Thorin, sentendo il bisogno di difendere il suo namadul.

Frerin lo guardò scetticamente. «Non è quello che dice Fíli. Fíli lo chiama un idiota. Sempre.»

«Fíli ha dovuto scusarsi per l'incoscienza di suo fratello per quasi centocinquanta anni» disse Dáin alzando le spalle «Non mi sembra strano.»

«Fíli deve avere la pazienza delle montagne, allora»

«Una parola» disse Bilbo «Pony.»

«Andiamo da loro ora» Prima che tutti voi iniziate a unire le vostre forze nel prendermi in giro non aggiunse Thorin. Chiuse gli occhi, e confidò che le stelle li raccogliessero tutti e li guidassero nell'oscurità.

Il vento era identico, soffiava gelido sul suo volto. Quello era però tutto ciò che era rimasto identico, e Thorin aprì gli occhi per vedere la scena di un incubo. Fumo nero riempiva l'aria, e nulla cresceva fin dove l'occhio poteva arrivare. Erano su un'alta collina, e le pietre erano sciolte in forme contorte sotto i loro piedi, come se la terra d Mahal stesse lottando contro gli orrori che le erano stati gettati sulla schiena. La pianura si stendeva davanti a loro, coperta da sagome di tende e luccichii deboli di armi. Ogni tanto si poteva vedere il barlume di fuochi in fosse profonde, come bocche di drago che respiravano nel cielo notturno.

E all'orizzonte – nemmeno a quaranta miglia di distanza – erano i pendii della grande montagna di fuoco, che si innalzava nelle proprie ceneri sporche, apparendo enorme e tetra e finale. Dietro di essa, mezza nascosta nell'ombra e coperta da un proprio manto di pericolo, era il dente rotto che era Barad-dur.

Frerin si congelò, e la parola “irrîn” uscì senza suono dalle sue labbra.

Dáin lo guardò, e poi mise un braccio amichevole attorno alle spalle del giovane Nano. «Orrendo, vero?» disse, in voce bassa ma sicura «La cosa più brutta che io abbia mai visto. Sua Signoria Monocola non è un grande architetto, questo è certo: io e te avremmo potuto fare un lavoro migliore bendati e ubriachi. Guarda quant'è scomoda! Spero che quelle inutili spine lo infilzino dritto nel suo vecchio Occhio.»

Frerin lo guardò con gratitudine, e annuì.

«Questo è tutto ciò che rimane, a parte il pan di via Elfico. Abbiamo finito il cibo che ci ha dato Faramir» Thorin udì Sam che diceva, e poi li vide. Erano per metà coperti dal manto di Lothlórien di Sam, e vestiti nelle pelli luride e nell'armatura di piccoli Orchi.

Il volto di Frodo era così magro, più magro di quanto uno Hobbit dovrebbe mai essere. I suoi occhi, enormi e blu, erano iniettati di sangue e nervosi e vacui, e cerchi così profondi da essere quasi neri scavavano la pelle attorno a essi. Le sue labbra erano secche e screpolate, e mormorava sottovoce ogni tanto.

Bilbo coprì il suo lamento con mani tremanti, e i suoi occhi erano pieni di dolore. «Ragazzo mio» sussurrò fra i suoi palmi. La voce era piena di senso di colpa.

«Shhh, ora» Thorin desiderava poter abbracciare lo Hobbit e dargli conforto «Lo so che è terribile. Ma lui vive. Vive, e ha ancora Sam.»

«Che cosa ti ho fatto» sussurrò Bilbo, e le sue piccole spalle si piegarono sotto il suo dolore.

«Non è stata colpa tua, Bilbo» disse Thorin, e si voltò per guardare direttamente negli occhi dello Hobbit. Bilbo lo guardò con riluttanza. «Non sei responsabile delle opere dell'Anello. Questa non è. Colpa. Tua.»

La gola di Bilbo si mosse furiosamente mentre fissava Thorin. Poi serrò gli occhi.

«Ecco, Padron Frodo, prendete un altro sorso» disse Sam dolcemente, e portò una borraccia alla bocca di Frodo. Frodo non sembrò accorgersi di aver bevuto tutta l'acqua, porgendo la borraccia vuota a Sam e ricadendo contro la piccola rientranza rocciosa nella quale si nascondevano.

«Non ne vuoi un po'?» chiese debolmente.

«Non ho sete» disse Sam in quel suo modo diretto e coraggioso, rimettendo a posto la borraccia e sorridendo «In ogni caso, a voi serve di più.»

«Ciao ancora zio, zietto, cugino» disse Fíli, e indicò gli Hobbit «Li avevano quasi trovati, forse mezz'ora fa. Una piccola lite fra un Orco e un guerriero Morgul. Però l'hanno scampata.»

Thorin si girò verso suo nipote e premette insieme le loro fronti per un momento. «Come stai tu?»

Fíli sorrise, anche se debolmente. «Meglio di Frodo.»

«Ne ho avuto abbastanza di questo deserto puzzolente» disse Nori, e dondolò da un piede all'altro «È troppo aperto.»

«Anch'io» borbottò Kíli, e poi guardò su verso il fuoco inquieto in cima a Barad-dur «Odio quando il suo Occhio ci passa sopra. Mi fa sentire... più che nudo, se sai cosa intendo.»

«Aye, lo so» Thorin guardò di nuovo Frodo e Sam «Com'è il fardello?»

«Chiama e chiama» disse Fíli «Frodo dice che lo vede sempre ora, come un anello di fuoco tenuto davanti ai suoi occhi.»

Un suono afflitto giunse dalla direzione di Bilbo.

«Dovremmo fare un altro sforzo» disse Frodo, senza aprire gli occhi.

«Riposate un momento, caro Padrone» disse Sam, e guardò la pianura con la disperazione sul suo volto onesto «Così tanti, e tutti in movimento come insetti in estate. Non mi piace affatto l'aspetto di tutto ciò. Però, dove vive tante gente ci devono essere pozzi o acqua corrente, e naturalmente della roba da mangiare. E questi sono Uomini, non Orchi, se non erro. Ebbene, qualunque cosa abbiano da mangiare o da bere non possiamo ottenerla. Non c'è modo di scendere se non per quella strada, ed è troppo aperta.»

«Eppure dobbiamo tentare» disse Frodo.

«Mi immagino come sarà» disse Sam cupo «Dove la pianura è più stretta, gli Orchi e gli Uomini saranno semplicemente ammassati gomito a gomito. Vedrete, Padron Frodo.»

«Lo vedrò, se arriveremo fin lì.»

Sam sospirò e iniziò a rimettere le loro poche cose nello zaino sulla sua schiena. Esitò, e poi chiese: «Vi chiedo perdono, Padron Frodo, ma avete idea di quanta strada dobbiamo ancora fare?»

«No, nessuna idea precisa, Sam» rispose Frodo, arrotolato su se stesso con le braccia attorno al petto «A Granburrone, prima di partire, mi mostrarono una pianta di Mordor disegnata prima che il Nemico tornasse qui; ma la ricordo molto vagamente. Temo, Sam, che il fardello si farà molto pesante, e che avanzerò con ancor maggior lentezza man mano che ci avvicineremo.»

«È proprio ciò che temevo» borbottò Sam, e guardò le cose nel suo zaino, scuotendo la testa «Ebbene, per non parlare dell'acqua, dobbiamo mangiare di meno, Padron Frodo, o altrimenti muoverci più rapidamente.»

«Cercherò di essere più veloce, Sam» disse Frodo, facendo un respiro profondo «Coraggio! Incominciamo un'altra marcia!»

Tirandosi in piedi a vicenda, iniziarono a camminare lentamente nell'oscurità. «Ed è tutto quello che possono fare» disse Fíli, e le sue mani si strinsero e si riaprirono «Mi sento così inutile. Tutto quello che possiamo fare è camminare accanto a loro, ora dopo ora e miglia dopo miglia.»

«È tutto quello che chiunque di noi possa fare» rispose Thorin, e accarezzò il volto di Fíli «Non disperare, namadul. Non sono soli, anche se non lo sanno. Possiamo onorarli così.»

«E li aiuta molto» borbottò Nori, e poi il silenzio cadde su di loro mentre barcollavano nella Terra Nera.

Passò ora dopo ora, e il sentiero era crudele. Frodo barcollava, e si appoggiava continuamente a Sam. Thorin e i suoi compagni non dissero nulla mentre li seguivano passo dopo passo, e nel profondo del suo cuore Thorin urlava per l'ingiustizia di questa Missione e per ciò che aveva fatto a queste due pacifiche, gentili, allegre creature.

Lo sguardo di Bilbo era troppo terribile da sopportare.

Quando il debole bagliore del sole era quasi scomparso dietro le montagne occidentali alle loro spalle, qualcosa cambiò. «Aspettate un momento» disse Sam inaspettatamente, mettendo una mano contro il petto di Frodo e guardando accigliato gli eserciti «Forse è solo il buio che mi gioca uno scherzo, ma non potrebbe essere che si stanno muovendo?»

In quel momento risuonò un corno, echeggiato da altri che risuonarono per l'enorme valle deserta. Frodo dondolò, il rumore parve levargli l'equilibrio.

«Ebbene, ecco un po' di fortuna» disse Sam, stupefatto, e si sistemò lo zaino sulle spalle «Usiamola bene!»

«Aye, stanno andando a Nord» disse Dáin, e si voltò verso Thorin con un ghigno sulle labbra «La finta di Aragorn ha funzionato. Sua Signoria sta correndo spaventato, e lancerà tutto verso i Cancelli.»

«Non ha ancora funzionato, e Aragorn non ha nemmeno raccolto le sue forze» disse Thorin, mentre i molti campi iniziavano a svanire e lunghe, scintillanti, sferraglianti file fatte solo di soldati iniziavano a muoversi per le pianure, come serpenti in armatura.

«L'ha fatto Aragorn?» chiese Kíli, e si raddrizzò un poco «Beh, grazie a Mahal. Non penso che avrebbero mai avuto una possibilità di attraversare quel tappeto di acciaio.»

«Speriamo fossero troppo di fretta per portarsi via il loro cibo» aggiunse Nori.

Dopo un'altra ora di cauto attraversamento dei Morgai, Sam infine imprecò. «Non abbiamo altra scelta, Padron Frodo» disse «Dobbiamo prendere la strada che avevano visto prima da sopra. Non c'è modo di scendere né a est né a ovest, e tornare indietro ci riporterebbe dritti in quel nido di vespe – solo che ora lo abbiamo colpito con un bastone.»

Frodo guardò avanti a sé, ansimando. Ogni respiro scuoteva il suo piccolo corpo.

La preoccupazione attraversò il volto di Sam, e lui prese la mano di Frodo. «Padron Frodo? Padron Frodo?» disse, il più gentilmente possibile «Dobbiamo prendere quella strada. Dobbiamo prenderla e tentare la fortuna, se la fortuna esiste a Mordor. Meglio consegnarci che continuare a vagare, o cercare di tornare indietro. Il cibo non ci basterà. Dobbiamo fare una corsa!»

«Va bene, Sam» disse Frodo, con una voce inespressiva che produsse con qualche sforzo «Conducimi, finché ti rimane ancora della speranza. La mia è scomparsa del tutto. Ma non posso correre, Sam. Ti seguirò stancamente.»

«Prima di incominciare a marciare avete bisogno di riposo e cibo, Padron Frodo. Prendete!»

Sistemando Frodo all'inizio della strada, mezzo nascosto da una sporgenza, Sam gli diede una razione del loro prezioso pan di via, e fece un cuscino del suo mantello Elfico. Frodo mangiò meccanicamente, e quando finì scivolò in un sonno agitato e nervoso.

Quando fu certo che il suo Padrone stava dormendo, Sam si alzò e la guardò in modo malinconico. «Ebbene, Padrone» borbottò Sam fra sé e sé «Ti dovrò lasciare per qualche ora di tempo e tentare la fortuna. Devo procurare dell'acqua, o non potremo andare avanti.»

«Sam» disse Fíli, la mascella che tremava «ha mangiato a malapena negli ultimi due giorni. Continua a dare tutto a Frodo.»

Thorin non osò guardare Bilbo. «Leone della Contea» mormorò, ed era tutto così ingiusto.

Sam strisciò fuori dal loro nascondiglio, e scattò da roccia a roccia con un silenzio e velocità tipicamente Hobbit. Nessun Nano avrebbe potuto seguirlo, nemmeno quelli fantasma. Bilbo si voltò verso Thorin, e i suoi occhi chiesero la domanda. Thorin annuì, e Bilbo scomparve dietro il giardiniere, rapido e agile e sicuro come ai vecchi tempi.

Thorin lo guardò andare: una macchia accesa di rosso e verde e oro tra la polvere nera di Mordor, e cercò di ignorare la piccola parte di sé che gioiva di quanto facilmente fossero ricaduti nel loro vecchio rapporto: sapere la direzione dei pensieri dell'altro, seguire senza domande la guida dell'altro.

«Thorin!» urlò Frerin, riportando la sua attenzione a Frodo.

Gli occhi giovani di suo fratello avevano notato una figura scura, dalle mani grandi e sibilante, che strisciava sulle rocce sopra il nascondiglio di Frodo. «Dannazione!» imprecò, e guardò la direzione nella quale Bilbo e Sam erano spariti «Sono troppo lontani!»

«Scappati, sì» soffiò Gollum, e i suoi occhi brillavano della luce dei folli «Bene, ce ne prenderemo cura noi, vero tesoro? Gollum, Gollum!»

La voce sibilante della creatura era una sporca carezza contro le loro orecchie, e Thorin rabbrividì di disgusto. «Seguiteli, ci serve Sam!» esclamò a Frerin e Kíli, che iniziarono subito a correre.

«Ah – sono i più veloci, hanno le possibilità migliori» disse Dáin, fissando Gollum «Quello...»

«Un tempo era uno Hobbit» finì Thorin «O qualcosa di molto simile.»

«Quello è ciò che l'Anello può fare» aggiunse Fíli, e odio sincero era sul suo volto.

«Calmati» gli disse Thorin. Gli occhi di Fíli andarono a lui.

«Ormai ho visto Frodo Baggins lottare con quella cosa per settimane e settimane, l'ho visto divorarlo vivo dall'interno» disse, basso e feroce «Non ho mai odiato nulla quanto quel piccolo cerchio d'oro.»

«È quasi su di lui» disse Nori bruscamente, riportandoli al presente.

Le mani di Gollum si muovevano, morbide e forti e avide, sopra la pietra torturata mentre strisciava sempre più vicino all'addormentato Frodo. Tutto il tempo mormorava. «Chiamano il povero Sméagol spia, sì, e poi loro vanno a ssssspiare dove non dovrebbero! Oh, molto bello, molto giusto, quanto è giusto, oh sì Tesoro! Sporchi Hobbit, non devono... non devono... e il grassone porta i ssssuoi occhi cattivi via, porta via la spada Elfica e la luce Elfica e lascia il Padrone tutto sssssolo! Ora è il momento, mio tesoro, mio caro! Sssssì, ora!»

«Allontanati!» giunse l'urlo di rabbia, e Sam giunse con Pungolo che brillava blu nella sua mano «Sparisci, schifoso!»

Gollum fece uno strillo di terrore, e sparì in un secondo, i piedi prensili svanirono oltre la sporgenza.

«Appena in tempo» sospirò Kíli, e si strofinò il volto «Deve smetterla di rischiare così!»

«Ebbene, la fortuna non mi ha tradito» disse Sam, guardando il luogo dove Gollum erano scomparso «Non basta essere circondati da migliaia di Orchi, senza che anche quel fetido essere non venga a ficcare qui il suo naso?» strinse le mani e tornò picchiando i piedi dove Frodo dormiva, e si sedette con un'espressione irritata sul volto.

«Ha trovato dell'acqua?» chiese Thorin a Frerin, e lui annuì.

«Acqua sporca e puzzolente, aye. Ma si può bere, ne ha provata un po'. È il meglio che troveranno da queste parti, direi»

Bilbo aveva gli occhi sbarrati e tremava di rabbia fissando le sporgenze. Sembrava incapace di trovare parole con cui esprimere la sua furia, e il suo respiro usciva rapido e forte dal suo naso.

«La Missione non è finita» disse Thorin, il più piano possibile «Gandalf una volta disse a Frodo che la tua fu una pietà che un giorno avrebbe potuto governare il fato di molti. Non pentirti di aver salvato una vita, Bilbo – nemmeno quella. È un disgraziato e un mostro, ma sai che non lo è sempre stato.»

Bilbo batté le palpebre, e poi rabbrividì. «Oh, accidenti, perbacco, dannazione» gemette, e poi la sua voce si alzò fin quasi a un grido «Certo che lo so! Lo vidi quando lo risparmiai: era identico a un vecchio Hobbit rachitico, triste e solo... e io ho portato quella cosa malvagia per quanto, Thorin Scudodiquercia, non puoi dirmi una sola maledetta cosa di cosa possa farti al cuore, cosa faccia alla mente e al corpo! Certo che avevo pietà di lui! Ma lui ucciderà Frodo, vuole uccidere il mio coraggioso ragazzo...» le sue mani si infilarono nei suoi capelli, e lui iniziò a piangere «Come sei riuscito a farlo? A guardare tutto questo orrore e tristezza e follia, incapace di impedire che accadesse, per così tanto?»

Thorin lasciò che la tempesta di dolore e orrore e rabbia passasse su di lui – non si era anche lui sentito così? Poi andò verso dove Bilbo ansimava e tremava, sentendo gli sguardi degli altri sulla sua schiena. La sua mano si alzò, dita che sfioravano i capelli ricci di Bilbo. «Te l'ho già detto, idùzhib» disse serio «L'ho fatto per te.»

Bilbo lo guardò con guance bagnate di lacrime, la bocca spalancata.

Poi svanì.

La piccola mano di Frerin strisciò sulla spalla di Thorin e rimase lì. Da poco lontano veniva il suono di centinaia di stivali, che marciavano sempre più vicini.

TBC...

Note

Dúnedan – "Uomo dell'Ovest", ovvero Numenoreano – è così che Bilbo chiama Aragorn nel capitolo "Il Consiglio di Elrond"

[1] il termine originale era “Quarrel of Dwarves”. “Quarrel”, oltre a riferirsi a un gruppo di animali, può anche voler dire “litigio”. [Torna alla storia]

Morgai – parte orientale degli Ephel Duath, i monti che formano un recinto attorno a Mordor.

Dwerís – Nanum nonbinary che utilizza pronomi femminili. Il verde nella sua barba lo simboleggia, ed è anche un omaggio all'originale barba blu di Dwalin nel libro.

Genild e Beri – Dal blog di determamfidd: “Jeri è l'unicum figlium di Beri figlia di Kori, concepitum quando Beri aveva solo 72 anni nelle Ered Luin. Beri era una giovane rabbiosa, impulsiva e incosciente – un soldato e l'ultima di una famiglia un tempo rispettata che aveva perso gran parte della loro ricchezza in esilio. I modi aggressivi e imprudenti di Beri dovettero fermarsi di colpo, e dovette calmarsi in fretta dopo la nascita del figlium. Beri non parlò mai di chi fu il padre se non con Jeri stessum. […] Nonostante le circostanze, Beri fu un'ottima madre per l'avventurosum, curiosum, intortodossum, logicum e indipendente Jeri. Beri era determinata a dare la vita migliore possibile al figlium, e spesso faceva la minatrice in luoghi pericolosi e andava di pattuglia ai confini per pagamenti extra. […] Fu quando Jeri aveva quasi cinquant'anni che la Missione a Erebor ebbe successo. Beri e Jeri si mossero in una delle grandi carovane Naniche da Ered Luin alla Montagna Solitaria. Fu in questo periodo che la piccola famiglia iniziò a cambiare vita, la fortuna di Jeri iniziò e le sue capacità [di soldato] iniziarono a essere notate. […] [Quando Jeri aveva circa settant'anni] Beri incontrò e sposò Genild figlia di Gorild, una vecchia compagna di Dáin II Piediferro. Genild era una Nana dei Colli Ferrosi e veterana della Battaglia delle Cinque Armate. Come Beri, Genild era una Nana non più giovanissima, e aveva abbandonato l'idea di trovare l'amore. A Jeri piacque subito Genild e gioì della fortuna della madre. Jeri in genere chiama Beri “'amad” e Genild “Ma”.”

Parte del dialogo è preso dal capitolo “La Terra d'Ombra”. Sono stati fatti riferimenti al capitolo “L'Ultima Discussione” (in particolare, la visita di Legolas e Gimli a Merry e Pipino, e la loro camminata per Minas Tirith) e alle Appendici.

Si è stato scelto di usare la linea temporale del film invece che del libro per quanto riguarda l'uso del Palantír di Aragorn (nei libri, lo usa prima di attraversare i Sentieri dei Morti).

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

   
 
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