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Autore: Sea    22/10/2015    1 recensioni
Il ragazzo della biblioteca è il classico esempio di ragazzo emarginato, lontano dalla società e dai contatti amichevoli, ma dietro il suo aspetto e i suoi modi c'è una storia complessa, una grave perdita. La vita sembra essersi stancata di lui, ma Ed continua ad andare al lavoro e a combattere contro il suo patrigno e il suo fratellastro per non perdere l'eredità di suo nonno: la sua casa. Sua nonna e la sua chitarra sono le uniche cose che gli restano, ma gli eventi prenderanno una piega inaspettata e tra un lavoro e l'altro, Marina entrerà prepotentemente nella sua vita.
Ecco una nuova storia dopo Afire Love! Spero di non deludere le aspettative. :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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XV




Il silenzio quasi lo assordava.
Il buio della stanza era rischiarato dalle luci dei lampioni sulla strada. Il salotto dava sul giardino, al piano di sotto, quindi era sgattaiolato cercando di non fare alcun rumore.
Era terrorizzato. Se Ben lo avesse scoperto lì, sarebbe stata la sua fine. Aveva paura anche del suo stesso respiro, mentre tirava fuori il passepartout dalla tasca. Gli bastò un’occhiata per capire che fosse inutile anche provare, era troppo vecchio, fu quindi costretto a prendere i ferri del mestiere, solo che quelli facevano rumore.
Fissò la porta, cercando di auto convincersi che non ci fosse nessuno. Più guardava l’ingresso buio, più si faceva paranoie. Non sapeva assolutamente da dove cominciare. Prese il primo arnese tra le dita, ma non entrò nella serratura. Il secondo, più piccolo, sembrò andare bene, ma non riuscì a far scattare il meccanismo. Il terzo doveva essere quello buono. Cercando di non fare alcun rumore, infilò il ferretto nella fessura e cominciò a lavorare. Sentiva di esserci quasi, ma doveva fare un movimento preciso. Guardò verso la porta per mezzo secondo e poi tornò a concentrarsi: con un movimento lento del polso, la serratura scattò. Girò il ferro per sganciare la sicura e la teca fu di nuovo aperta.
Dietro quei vetri c’erano centinaia di documenti. Ben era furbo, aveva nascosto l’ago nel pagliaio, ma oramai era fatta e prima dell’alba avrebbe dovuto riportare tutto indietro. Infilò le buste gialle e bianche sotto la maglia del suo pigiama e socchiuse la teca, sfilando il ferretto. Dovette ripercorrere l’intero cammino come se stesse camminando sulle uova, con una lentezza tale da permettergli di scorgere le prime luci dell’alba. Doveva sbrigarsi, aveva troppo poco tempo.
In camera sua fece una prima selezione di ciò che avrebbe dovuto esaminare e cosa no, scartando quelli che per certo erano documenti di sua nonna o di sua madre. Li aveva guardati così tante volte che li riconosceva a prima vista. Tutto il resto fu infilato nel suo zaino e messo in spalla.
Col cappello in testa, aprì la finestra della sua camera chiusa a chiave e calò una vecchia scala di corda che aveva recuperato dalla cantina. Il legno della casa scricchiolava mentre scendeva, mettendogli ansia, ma ben preso fu a terra. Una volta fuori dal cancello, montò in sella alla bici e si diresse dritto in biblioteca.
 
Aveva pedalato più veloce che poteva ed aveva aperto la porta sul retro in tempo record, ora maneggiava la fotocopiatrice come se fosse stata la sua chitarra. Doveva sbrigarsi. Presto. Nemmeno guardava ciò che stampava, avrebbe perso troppo tempo.
Col fiato corto e il sudore sulla fronte, cercava di controllare il tremito delle mani e di rimettere ogni cosa al proprio posto, altrimenti Ben lo avrebbe scoperto di certo.
In realtà, a quell’ora non poteva accedere nessuno, nemmeno lui, ma le telecamere erano rotte da Agosto, quando un fulmine aveva colpito la centralina e aveva fatto diversi danni. Di foglio in foglio, sentì il tempo sfuggirgli dalle mani e quando il suo orologio gli segnalò con un bip che fossero le sei del mattino, cominciò la sua corsa contro il tempo.
Non si era nemmeno chiuso il cappotto che ora svolazzava durante la pedalata, era senza fiato e frenò bruscamente fuori dal cancello.
Sistemò di nuovo la bici sotto la veranda e tornò alla scala. Le 6:15.
Era di nuovo in camera sua e si rimetteva il pigiama. Radunò i documenti e si diresse in salotto, assicurandosi di avere i ferri. Le 6:20.
Riaprì la teca che la stanza era semi illuminata e l’ingresso era ben visibile, ciò significava che anche lui poteva essere visto con più facilità.
Ripose una alla volta le buste nella teca, cercando di disporle così come le aveva trovate. Le 6:25.
Riprese il ferro e lo infilò di nuovo nella serratura. Aveva quattro minuti, dopodiché la sua sveglia avrebbe suonato.
Sudava freddo, i capelli rossi si erano attaccati alla fronte, ma la luce gli permise di lavorare abbastanza in fretta. Mise in atto quel lavoro di polso e chiuse la teca. Con un ultimo sguardo, si assicurò che ogni cosa fosse al suo posto, niente tracce o segni, poi uscì dal salotto e tornò in camera sua.
Quando si fu chiuso la porta alle spalle, la sua sveglia suonò. Fece attenzione a non spegnerla subito, simulando il suo risveglio. Zittito quell’affare, tirò dentro la scala di corda e la nascose sotto al letto.
Si sedette sul materasso e fece mente locale su dove avesse nascosto i documenti, in biblioteca.
Alle 6:35 guardò l’orologio e sospirò, portandosi le mani al viso e poggiandosi sulle ginocchia, scaricando la tensione.
Ce l’aveva fatta.
 
Zzzzz zzzzz.
| Hai appuntamento con lo zio Fred domani alle 16:30 davanti alla stazione. |
Marina era incredibile, non riusciva a pensare altro. Cioè, al loro abbraccio ci pensava eccome – anche se non riusciva a darsi una buona motivazione – ma l’adrenalina di quella mattina lo aveva scombussolato.
Non aveva chiuso occhio per quasi tutta la notte, al massimo aveva dormito un paio d’ore e alle 8 precise aveva aperto la porta della biblioteca.
Marina era al lavoro e lui non aveva alcun motivo per restare sveglio. Non poteva nemmeno tirare fuori le sue fotocopie, data la fila al bancone. La curiosità lo torturava, ma avrebbe dovuto pazientare.
  • Pel di carota – alzò lo sguardo dal modulo che stava per sistemare. – ho bisogno di un libro.
Era quel ragazzo, quello che Marina aveva zittito. Lo guardò dritto in faccia e non seppe cosa pensare di lui. Poteva davvero essere così stupido? Quello continuava a fissare il suo livido e la cosa lo infastidiva parecchio, ma dovette forzarsi e rispondere senza apparire scortese.
  • Dimmi pure.
Mister Figlio di papà si risvegliò dal suo stato di trance e gli comunicò il titolo.
“Lo scarabeo stercorario: l’antenato dei viventi”. Questo gli mancava.
Si avviò a cercare il volume e passando davanti ad un tavolo più affollato, vide i ragazzi voltarsi al suo passaggio. La stanchezza gli permise di limitarsi a fare il suo lavoro senza spendere ulteriori energie per ricambiare l’occhiata, così tornò indietro e diede il libro al bellimbusto, per poi tornare a compilare i moduli. Ringraziò il cielo che il dolore alla ferita fosse sempre meno intenso e che la biblioteca facesse mezza giornata.
Alle 12:30, quando tutti furono fuori, prese le sue fotocopie e le infilò nello zaino e si avviò al caffè. Sembrava una giornata come tante, ma quando entrò nella caffetteria per pranzare, si accorse che Marina non si sarebbe accomodata con lui. Ordinò il solito ed andò a sedersi. Chinò la testa sulle braccia, desiderando dormire, così chiuse gli occhi. Ascoltava il chiacchiericcio della gente, ma non poteva accorgersi della persona davanti a lui.
Una mano picchiettò sulla sua spalla e lo fece ridestare. Scattò, credendo che fosse il cameriere, ma la figura familiare di Marina prese forma davanti a lui.
  • Scusa. – disse lei, sorridendo.
Non riusciva a spiegarsi la sua presenza lì, ma era felice di vederla.
  • Marina. Cosa…?
Lei, senza troppi complimenti, si accomodò sul divanetto accanto a lui e si sfilò il cappotto.
  • Speravo davvero di trovarti qui. Ho bisogno di un libro, così mi sono fatta sostituire e sono venuta. – spiegò placidamente, mentre si sistemava i capelli lunghi.
Ed vide i suoi occhi verdi studiarlo con discrezione, ma la lasciò fare. Oramai ci stava prendendo l’abitudine ed un po’ gli piaceva che lei si preoccupasse. Lo faceva sentire bene.
  • Puoi farmi questo favore? – chiese alla fine.
  • Ma certo.
Le sembrava particolarmente assonnato e stanco, ma il pranzo che il cameriere ora gli porgeva lo avrebbe rifocillato. Buon appetito – e cominciarono a mangiare. Di boccone in boccone, Marina sentiva le forze rinvigorire, dopo quella mattinata. Fare tutto da sola era a dir poco stressante, soprattutto con la mostra e la gita da programmare. In realtà, il libro era solo una scusa. Le serviva davvero, ma non era indispensabile averlo per quel pomeriggio, tuttavia aveva voluto assecondarsi per quella volta.
  • Grazie per avermi rimediato quell’appuntamento. – fece lui, una volta giunto a metà porzione di fish and chips.
  • Figurati. – fece lei.
  • Mi accompagni?
Sorrise ed annuì, quasi sorpresa da quella richiesta, ma non troppo. Quella notte aveva riflettuto sul fatto che quel loro imbarazzo era assurdo, sembrava quasi che stessero tornando indietro, quando invece avevano stretto un rapporto di amicizia anche abbastanza confidenziale. Così, aveva deciso che almeno lei avrebbe dovuto controllare meglio le sue emozioni e non travisare le sue parole, e doveva farlo per il bene di entrambi. Quindi, quella richiesta era da considerarsi normalissima.
Piuttosto, era curiosa di sapere cosa avesse scoperto.
  • Allora, Edward, si può sapere cosa hai scoperto?
Lui per un attimo la guardò spaesato, poi si ricordò dei documenti che aveva nello zaino. Boccheggiò, senza sapere da dove cominciare, ma poi decise di riprendere esattamente da dove era rimasta, cioè dall’avvocato Foster. Le raccontò di Bingley, della sua visita a casa e del modo in cui si era presentato. Tralasciò i dettagli del suo amichevole dialogo con Ben, ma lei aveva già capito e per un attimo abbassò gli occhi verdi, evitando i suoi. Se ne dispiacque, ma continuò cercando di non far trasparire quel sentimento. Le mostrò i suoi appunti e le spiegò della legge 137.
  • Cavolo. Anche se non capisco una cosa. – fece lei, aggrottando lo sguardo – Perché mai Ben sta facendo tutto questo? Cioè, se il testamento è già sparito, parte della casa va comunque a lui. Perché assumere un avvocato?
  • È quello che mi chiedo anch’io. – rispose, facendole capire che era proprio quel punto che lo preoccupava. – Se si sta affannando, c’è sicuramente qualcos’altro sotto. In ogni caso – continuò a spiegare – ho intenzione di rintracciare il vecchio notaio di mio nonno, perché a quanto pare la legge prevede che alcune copie del testamento debbano essere conservate in archivi permanenti, quindi…
  • C’è ancora una speranza!
Marina sorrise sinceramente, quasi impaziente di mettersi alla ricerca di quella copia. In effetti, era l’unica possibilità che restava ad Edward per sbarazzarsi di Ben e Jef, lo aveva capito.
  • Cosa chiederai allo zio Fred?
  • Voglio sapere di che tipo di cause si occupa lo studio Foster&Martins.
Marina annuì e lui, ancora una volta, ebbe l’impressione che lei volesse dire qualcosa, ma poi la vide annuire sommessamente. Prendendo un altro boccone, si sentì più leggero e attribuì quella sensazione al fatto di aver condiviso le sue informazioni con Marina, ma ancora doveva raccontarle la cosa più importante.
  • Ho… - cominciò – ho recuperato alcuni documenti dalla teca.
Lei alzò lo sguardo quasi shockata, senza pronunciare parola.
  • Stanotte – spiegò a bassa voce – ho usato dei vecchi attrezzi di mio nonno e sono riuscito ad aprirla, poi ho fotocopiato tutto. Sono nel mio zaino.
Lei puntò lo sguardo sull’oggetto in questione.
  • Non li ho ancora guardati.
Lì dentro, potevano esserci degli ottimi indizi per capire cosa stesse combinando Ben. Marina avrebbe voluto aiutarlo subito, ma poco dopo sarebbe dovuta tornare al lavoro.
  • Io devo tornare a scuola, tra un po’, ma se vuoi…puoi raggiungermi lì e possiamo studiarli insieme.
Edward vide le sue guance arrossarsi e non potè fare a meno di sentirsi in imbarazzo anche lui. Voleva davvero il suo aiuto, per capire, così accettò senza troppi complimenti.
Terminarono il pranzo in silenzio e salutarono il proprietario baffuto prima di uscire.
  • Che libro ti serve? – disse lui, facendola rinsavire.
  • Ah! Un libro di didattica che avevo già preso in prestito. Sei sicuro che non ci siano problemi?
In realtà non poteva entrare nessuno dopo la chiusura, ma dopo tutto quello che Marina aveva fatto per aiutarlo, dopo la sua carezza così rincuorante, prenderle un libro era il minimo che potesse fare. E poi il suo capo era al comune, non sarebbe spuntato fuori dopo la chiusura.
  • Nessun problema.  – disse.
Si avviò verso la biblioteca, attraversando la strada, ma si fermò quando non la vide accanto a lui. Quando si voltò, Marina era ferma fuori al caffè in attesa. Vieni – la chiamò – Non preoccuparti – e lei, dopo qualche tentennamento, lo seguì nel retro, ricordando quel giorno in cui il suo capo stava per scoprirli. Tuttavia, ebbe fiducia in lui e stette in silenzio. Quando lui aprì la porta, si guardò intorno prima di entrare, poi lo seguì nella stanzetta buia e si richiuse la porta alle spalle. Dopo qualche secondo al buio, lui accese la luce e si diresse nella sala grande.
  • Titolo? – chiese, preparando un modulo.
  • Didattica Generale e Progettazione Scolastica.
Osservò la sua calligrafia e notò che aveva alterato l’orario del prestito. Lo seguì, su sua richiesta e si inoltrarono tra gli scaffali. Non ci volle molto e la sua altezza rese più facile l’operazione.
  • Ecco a te. – sorrise lui.
  • Grazie, Edward. – rispose, prendendo il libro dalle sue mani e infilandolo in borsa.
  • Figurati.
Vide chiaramente che il suo amico evitava il suo sguardo e guardava altrove, preso dall’imbarazzo. Cosa stava succedendo? Eppure, non aveva fatto niente.
Solo dopo diversi secondi lui tornò a guardarla e si diresse nuovamente verso il bancone in ciliegio. Facendo tintinnare le chiavi, la invitò con un gesto a rientrare nello stanzino e quando lei fu dentro, chiuse la porta che dava sulla sala. Vederlo compiere quell’azione così abitudinaria, la fece incantare per qualche istante, riuscendo per la prima volta a dargli un’identità definita. Forse era la naturalezza con cui compiva quel gesto che le dava quell’impressione. Quando lui si voltò, distolse lo sguardo, ma fu quasi certa che si fosse accorto del suo comportamento. Infatti, lui si immobilizzò e abbassò lo sguardo, chiedendosi cosa stesse pensando Marina e perché mai si sentisse così agitato. Ed per qualche secondo non riuscì a muoversi o a parlare, troppo preso dall’improvviso silenzio. Era terribilmente confuso, forse aveva fatto qualcosa di sbagliato? Aveva detto qualcosa che l’aveva turbata? Forse non doveva raccontarle tutte quelle cose, magari lei si sentiva in dovere di aiutarlo, quando invece doveva studiare per la sua tesi.
  • S-scusa. – disse.
Senza attendere risposta, si avviò alla porta, sicuro che lei lo avrebbe seguito all’esterno. Marina, confusa da quella sua affermazione, rimase muta e intanto lo seguì verso l’angolo della stanza. Quando furono davanti alla piccola porta, si decise a parlare, ma nello stesso istante lui spense la luce.
  • Edward – e il buio li avvolse.
Sentì il tintinnio delle chiavi dissolversi in silenzio, senza poter distinguere l’espressione di lui, in piedi davanti a lei.
  • Per cosa… - riprese – per cosa ti sei scusato?
Silenzio. Nell’angolo del piccolo stanzino, le mancava l’aria. Lui sembrava immobile, non percepiva alcun cenno da parte sua. Il cuore prese a batterle più velocemente, improvvisamente tesa. Quel lungo tacere, la agitava.
Sentì un suo sospiro e poi la sua voce.
  • Per averti coinvolto. – Marina continuava a non capire. – S-se non fosse per me, avresti molto più tempo di riposare e studiare.
Aprì la bocca, mortificata da quel suo pensiero.
  • M-ma no! – cercò di spiegare – Non pensarlo affatto! Io ti aiuto con piacere. – fece una pausa. – Ci tengo.
Sperò di averlo rassicurato. Doveva aspettarselo, quella testa rossa non poteva certo mutare carattere nel giro di così poco tempo. Ancora una volta, le fece tenerezza.
  • Davvero? – la sua risposta era quasi un sussurro.
  • Certo. – rispose dolcemente, per metterlo a suo agio, anche se quel buio non aiutava certo a comunicare.
Un istante dopo, credette si aver distinto il suo sorriso nell’oscurità e nel suo petto il cuore fece una capriola. L’angolo in cui erano immobili sembrava privarla dell’aria, ma due secondi dopo si ritrovò a trattenere il respiro: i suoi occhi, abituatisi al buio, distinsero il suo profilo estremamente vicino. Sentì il suo respiro caldo sfiorarle il naso. Forse si stava solo impressionando, ma cominciava a credere che Edward si stesse avvicinando a lei.
Mentre Marina cercava di capire se quella fosse solo la sua immaginazione, Ed cercava di capire cosa stesse succedendo, ma la sua mente sembrava essersi incantata. Sentiva il profumo di Marina invadergli le narici. In quel momento, era grato di averla conosciuta: da quando l’aveva incontrata, gli aveva fatto solo del bene e ancora non sapeva come l’avrebbe ripagata. Sentiva che un forte sentimento – quello dell’abbraccio – cominciava a legarlo a lei e la voglia di risentirlo nel petto quasi superava la volontà di manifestare la sua gratitudine.
Eppure, in quel momento non riusciva a fare niente. Lei era immobile, nel buio e nel silenzio. Voleva dirle qualcosa.
  • Marina…
Si avvicinò a lei, accorgendosi che le distanze tra loro erano già abbastanza ridotte. Involontariamente, le sfiorò la mano e il cuore gli balzò in gola. Deglutì, senza capire cosa stesse accadendo al suo corpo, cercando di concentrarsi su ciò che aveva da dire, ma ormai sentiva di aver perso il controllo. Era così dannatamente vicina e il suo profumo era così buono. Sentì di nuovo la sua mano e da quel momento, abbandonò qualsiasi speranza di compiere un’azione logica.
Marina quasi scattò quando sentì la mano di Edward avvolgere la sua. Sentiva che nessuno dei due stava più respirando e giunse ad una conclusione più che assurda. Nella sua fantasia, Ed stava per baciarla, ma sapeva che non lo avrebbe fatto, nonostante lei lo volesse più di ogni altra cosa. Per un attimo aveva pensato che, data la breve distanza tra i loro volti, potesse farlo lei, ma prima ancora che potesse dissuadersi, sentì il suo naso sfiorare il proprio.
Credette che il suo cuore si fosse fermato.
La mano di Ed stringeva la sua sempre di più e lei tese la mano libera al suo viso, percependo chiaramente la sua barba. Stava per succedere davvero. Sentiva il suo respiro sulla bocca.
Sono impazzito – pensò lui, privo della sua lucidità. Aveva dimenticato cosa stesse facendo ed anche in quel momento, non avrebbe saputo spiegarlo. Sapeva solo che Marina aveva poggiato di nuovo la mano sul suo viso e che lui le stava stringendo la mano. Sentiva un istinto sconosciuto risvegliarsi in lui, qualcosa che non sapeva riconoscere, eppure era chiaro ed insistente più della fame e della sete. Il cuore gli martellava nel petto, il dolore che sentiva non era più dovuto alle sue ferite. Chiuse gli occhi e – senza nemmeno rendersi conto dei suoi movimenti – le sfiorò le labbra.
Stava per baciare Marina, ma il forte rombo di un tuono fece spaventare entrambi.
Trasalirono, aprendo gli occhi. L’aria sibilò nelle loro gole, interrompendo definitivamente quel momento e lasciando il posto a qualcosa di decisamente più imbarazzante.
Marina era terrorizzata: lui stava per baciarla, aveva sentito le sue labbra. Come avrebbe fatto a guardarlo in faccia? Si accorse di aver afferrato la sua spalla, forse per lo spavento, così tirò subito via la mano, riportando la sua attenzione su di lei. Pochi secondi dopo, Ed stava aprendo la porta con una fretta inusuale e lo vide uscire fuori. La luce la confuse.
Edward stava davvero per baciarla.
 
Un altro tuono squarciò il silenzio.
Si fermò in mezzo alla neve e cercò di respirare, guardando il cielo nuvoloso. Stava per nevicare.
Si passò una mano sul viso, provando a capire cosa fosse successo, ma non giunse ad alcuna conclusione logica. Cosa diamine stava facendo? Era forse impazzito? Marina era solo un’amica!
Continuò a rimproverarsi, chiedendosi come lei l’avesse presa e come avrebbe fatto, d’ora in poi, a guardarla negli occhi. Si sentiva sconvolto. Sentì i suoi passi avanzare nella neve dietro di lui. La cosa migliore che poteva fare il quel momento era non perdere la calma. Si voltò, sapendo di essere rosso come un pomodoro, e la vide. Guardava altrove, altrettanto imbarazzata. Non potendo guardarla troppo a lungo, con fare nervoso si diresse a chiudere la porta del retro, infilando poi le chiavi in tasca. Non sapeva cosa dire.
  • A-allora – scattò, sentendo la sua voce. – C-ci vediamo a scuola?
La sua voce tremante ricevette come risposta un Sì talmente fioco che pensò non lo avesse sentito. Lei si tormentava le mani e non lo guardava.
  • Ti aspetto lì. – disse, dopodiché la vide voltarsi e andare via.
La osservò avanzare nella neve con la sua solita andatura, senza mostrare alcun tipo di tensione. Quando non la vide più, Ed si ridestò dal suo stato di confusione e avrebbe voluto prendersi a schiaffi.
 
Aveva rigato dritto verso la scuola senza fermarsi nemmeno una volta, altrimenti sarebbe corsa indietro da lui e avrebbe fatto una sciocchezza. Edward – maledetto ragazzo – a volte non riusciva a capirlo, ma sapeva che si trovasse in una posizione particolare: era così ingenuo che, probabilmente, si era lasciato trasportare dal momento, senza pensare davvero a cosa stesse facendo. Proprio come un bambino. Non aveva esperienza ed era chiaro anche alle mosche che non sapesse distinguere bene le relazioni sociali, figuriamoci i sentimenti. Non fece altro che sospirare lungo la strada, pregando che la tempesta andasse a scatenarsi altrove.
I tuoni continuavano a farla sobbalzare, suscitando poi la risata di qualcuno.
  • Hai paura dei tuoni?
Si voltò e il pallido fratellastro di Edward le sorrideva dal suo cappotto nero.
  • Te l’avevo detto che non mi sarei arreso. Sei troppo carina.
Le occhiaie che aveva intorno agli occhi e il viso scavato, la distrassero dal rispondere, ma prima o poi avrebbe dovuto aprir bocca.
  • Cosa vuoi? – disse soltanto.
  • Uscire con te.
  • Non se ne parla. – rispose senza bisogno di pensarci.
  • Guarda che sono un bravo ragazzo, perché mi rifiuti?
  • Non mi interessi.
  • Capirai che non posso farmi scappare un bocconcino come te, quindi dovrò insistere.
Ad ogni frase sembrava avvicinarsi e lei non aveva più spazio per scappare, era quasi spalle al muro. Aveva ancora il cuore a mille per quell’attimo in biblioteca con Edward e quel tizio era l’ultima cosa che le serviva.
  • Senti, non sono un bocconcino e non voglio uscire con te. – disse seccamente.
  • E dai! – quello sfilò la mano dalla tasca e le prese un braccio, avvicinandola.
  • Lasciami! – lo strattonò Marina, definitivamente infastidita.
Non smetteva di camminare, ma quello continuava a seguirla. Cominciava ad essere preoccupata.
  • Oh, scusa! – alzò le mani lui. – Ma la prossima volta riuscirò a rubarti un bacio.
Marina si avviava al cancello della scuola, oltre il quale lui non poteva passare senza il permesso del personale, ma si fermò di colpo udendo i freni di una bici fischiare alle sue spalle. Edward aveva accostato accanto a loro e guardava Jef col volto scuro.
  • Che ci fai qui, idiota? – fece Jef, senza più curarsi della presenza di Marina.
  • Ti sta dando fastidio? – chiese direttamente a lei.
Sembrava che a momenti sarebbe sceso dalla bici per saltare addosso al viscido e non poteva certo lasciare che si azzuffassero fuori alla sua scuola, dunque fece di no con la testa, nonostante fosse una tremenda bugia. Non poteva rischiare il licenziamento.
  • Certo che no – disse Jef – io e Marina siamo amici, vero? – continuò, guardandola.
  • Vattene. – insistette Ed e dal suo sguardo, il fratellastro doveva aver capito che per Marina si sarebbe preso anche più di qualche botta, quindi sorrise viscidamente alla ragazza e poi si dileguò.
Soli, i loro occhi si incontrarono e la tensione si trasformò in imbarazzo, di nuovo. Oltrepassarono il cancello in silenzio e solo allora Marina notò che Ed aveva portato la chitarra.







Angolo autrice:

Salve bella gente, scusate se non ho aggiornato nel weekend come avevo detto, ma sono stata a Milano ed ero totalmente catturata dai preparativi. Tuttavia, credo che con questo capitolo mi sia fatta un po' perdonare. :)
Cosa ne pensate? Quella che leggerete più avanti è la mia parte preferita della storia, quindi vi prego fatemi sapere cosa ne pensate.
Beh, che altro dire...ci vediamo presto con il prossimo capitolo, io intanto vado al cinema a vedere Jumpers for Goalposts - non vedo l'ora - lo vedrete anche voi?
Ringrazio ancora per le tantissime visite, è sempre bello vedere che la storia viene seguita!
Ciao! :)

S.

  
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