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Autore: Bolide Everdeen    22/10/2015    0 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 9, Andrea White.]
L'importante era la mente, che la sua mente evacuasse da un momento all'altro, che optasse per distaccarsi da quel terreno in modo immediato.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Pillole

Le pillole erano di colori vari, azzurro, rosso, giallo; non ne distingueva il significato nel cambiamento dei toni. L'importante era il risultato, i ghirigori che la sua mente avrebbe disegnato da un momento all'altro, appena i suoi orizzonti avessero optato per una direzione alternativa, accompagnandolo là. Un'altra volta, un altro giorno. Altre ore da smaltire. Poteva iniziare.

Qualcosa tentò di manifestarsi alla mente di Andrea, un'idea, un'immagine, caratteristiche che non riusciva a delineare o sospettare. Per quale argomento erano collegate alla sua mente? Per quale mezzo dovevano infiltrarsi fra lui e il tavolo, le pillole, sotto quella capanna casuale del distretto 9? Volevano intervenire, prima che potesse dimenticare, in un'occasione in più, in un'altra lustra e passiva violenza. L'importante era la mente, che la sua mente evacuasse da un momento all'altro, che optasse per distaccarsi da quel terreno in modo immediato. Tracciare sagome di cadaveri su cui depositare la memoria del padre scomparso in un incidente e del fratello volontario per gli Hunger Games. Sua madre, non ricordava quando avesse perso sua madre. Forse, era un effetto e la somma di vari arti appartenenti a persone indifferenti, un mostro assemblato per quel frustrante scopo che era divenuto la sua vita. La forza, la potenza, la macchina nei suoi muscoli. Troppi pensieri. Sarebbe dovuto evacuare, ora.

Andrea White. Diciassette anni. A questo si riduceva la sua succinta carta d'identità, almeno quella stilata nella mente. Nessuna indicazione su una provenienza, nessun numero che seguiva la parola distretto, un numero dal valore minimo come la morale delle persone di quel luogo originarie; dei nomi per distinguere i suoi parenti, dei concetti per distanziarli dalla definizione di parenti. Le stesse parole. Le stesse pillole. Come se le era procurate? Le aveva rubate. Le aveva rubate, sì, casualmente, passeggiando, rimirando, fiutando come un segugio diretto verso la sua passione, verso la sua necessità. Si era procurato un lavoro, lo frequentava, eppure le ore covate all'interno di quel paesaggio per lui erano irrilevanti, dei soli che valicavano il cielo e si precipitavano di nuovo sulla Terra. Lui, sarebbe potuto precipitare ogni giorno tramite le pillole.

Oh, basta. La sua mano corse al tavolo, afferrò quella manciata, le ingerì con il massimo della potenza e della fretta. Droga, di chissà quale tipologia. Ribadì che l'importante era il fine. Il fine era comprensibile, inequivocabile, interamente presente e inconfondibile: ferirsi, ad un certo modo. Sanguinare, e dilapidare le proprie memorie. Tanto, il suo corpo non avrebbe avvertito nulla, di quella dipendenza, di quella variazione. Era una necessità indiretta, una credenza di possedere un'arma, quando invece era uno scudo. Però, era ottimo. Era ottimo, e sufficiente per scacciarsi.

Accanto alle pillole, Andrea notò appena la lama insanguinata che aveva adoperato nel tentativo di rendersi più umano, più vulnerabile, di estraniare dal suo copro la presenza dei suoi parenti, dei suoi unici conoscenti, probabilmente. Cacciare ciò in cui l'avevano tramutato, l'uomo bionico, il ragazzino destabilizzato, un corpo contro una mente. Una sagoma contro delle sensazioni. La più comune era l'odio, l'odio per essere stato rinnegato, l'odio per essere stato tradito. Sarebbe sempre stato tradito. Però, aveva le pillole. Almeno, avrebbe potuto conservarsi con esse. Le pillole erano la sua salvezza. Quei segni sulla pelle potevano essere intercettati con lo sguardo, ricordandogli che i suoi arti non avvertivano l'assenza di sangue, la sostituivano, nessuna striatura della pelle li rabbuiava. Erano sempre lì. Come i traditori. Erano loro, i traditori. I primi traditori mai conosciuti.

Non ricordava quando aveva iniziato con le pillole. Forse, quando la temporanea sensazione di appagamento seguita alla scomparsa del padre e del fratello si era frenata, aveva manifestato di nuovo le ombre del mondo. Quella persona ti odia. Quella persona è un'ipocrita. Quell'altra ti invidia. Il loro potenziale obiettivo è ucciderti. Sì, ucciderlo, eppure non avrebbero conosciuto il metodo, non appena la sua violenza non si sarebbe manifestata in involontari riflessi, nei suoi continui bisogni. Avrebbe voluto ucciderli, tutti quanti. Non sapeva cosa lo trattenesse. Si trattava della distanza. Della distanza della paura, del terrore che loro nutrivano per lui. Da un lato, lo elevava al di sopra di ogni sensazione, lo lodava più di ogni cielo. E lo tramortiva. Perché era consapevole che il timore non derivava da lui.

Attese qualche secondo, in silenzio. La mano attendeva il congedo dopo aver eseguito il compito. L'unico dettaglio che non lo detestava erano quelle pillole; solo perché esse erano inorganiche, non era concesso loro il lusso dei sentimenti. Anche lui avrebbe desiderato, ogni tanto, che quella presente e potente oscurità smettesse di opprimerlo, invece rimaneva sveglio. E, con ogni grido, con ogni necessità, con ogni riflesso di persona, si espandeva, ampliava, raggiungeva i livelli della volta celeste, delle stelle, combatteva le stelle, desiderava il buio. Desiderava il buio, in tutti i sensi. Il nulla ad avvolgergli le mani, la combustione a giustificare la sua violenza. Però non poteva adoperare la violenza, se non con le mura dismesse di una casa disabitata ritrovata casualmente e in solitudine dopo il suo esodo. Perché era scappato? Credeva che quella sensazione ampliata nel suo stomaco fosse l'effetto del suo distretto originario? No, era il mondo. Dovunque, nemici. Dovunque, assenza di silenzio.

La vista iniziò ad offuscarsi coloritamente, a contorcersi mentre qualcosa si formava nei suoi occhi. Immagini. Allucinazioni. Il volto indefinito di una persona, senza sesso, senza età, senza esistenza. Una tonalità corrispondente ad una nota, evitando ogni oscillazione fra l'acuto ed il grave, che gli sussurrava. Vieni con me, seguimi. La sola dolcezza che la vita gli avesse presentato, quella voce, quella schiena che decideva di infiltrarsi in una direzione ottima per il suo umore, per la sua visione, per i suoi piedi. La seguiva, semplicemente, si fidava, si prostrava nel ringraziamento della sua esistenza. Perché tu non sei sempre con me? La figura era un'allucinazione; la figura era presente. La sensazione era vivida. Qualche sentimento si ravvivava nelle sue mani, non era un reale sentimento. Era un desiderio puramente fisico, era il fondersi del suo animo realmente con il suo corpo. Unicamente in quelle occasioni. Quando la figura frenava il suo camino, si voltava verso di lui, sussurrava un “Ecco qui” e concedeva alle macchie di ritirare la propria sorpresa. Tutto ad un tratto, la notava. La scena.

Si presentava in modo quasi invariato, ed Andrea non poteva che ricavarne allegria. Cadaveri riversi a terra, ancora screziati da un rivolo di sangue, nel contemplare con placidità il cielo, annunciando la loro morte. In silenzio. Senza parlare, coltivavano il loro metodo. In mezzo a loro, una via, sassi cupi che fecondavano la terra creando un percorso. La figura si appartava, gli concedeva di osservare il posto. Gli concedeva di essere lodato da essa. Andrea le donò un ultimo sguardo, e notò qualcosa di vagamente paragonabile ad un sorriso. Un sorriso asettico, senza alcun significato. Senza alcuna condanna. Benvenuto, e buon viaggio. Qualcosa di simile si poteva ravvisare anche nella sua faccia. La presenza di un appagamento.

Cavalcava il viottolo, fino ad un palco, un'intelaiatura color cremisi sostenuta da pali metallici. Dei gradini gli imponevano di essere saliti, allora lui obbediva, diveniva il dio di quella struttura. Un momento prima, il posto era spento. L'attimo dopo, brillava, brillava per causa sua, e presentava il riflesso di una seconda sorpresa. Una sagoma sanguinante appesa ad una colonna, ottenebrata dalle torture subite fino ad allora, in attesa di una liberazione. Suo padre. Quel palco era il luogo della sua vendetta, e lui era il diretto artefice.

Sorrideva, ancora sorrideva. Si avvicinò alla figura, consapevole che nessuno e il mondo lo stavano osservando, che la presenza di quei cadaveri era solo per lustrare la strada, purificarla per il suo passaggio. Arrivava presso il palo, ed osservava la testa calante, il desiderio di una conclusione, possibilmente favorevole. La sagoma sussurrava. Per favore, figliolo. Per favore.

L'eco si fondeva con un'altra tonalità; quella di un bambino. Per favore, per favore. Era la sua tonalità, il suo passato. Il suo passato, e non poteva lasciarlo lì a giacere nella pietà. No, quella era la sua occasione, la sua viva occasione. I suoi pugni si presentarono a lui prima di riuscire a chiamarli. Gli donò uno sguardo; comprese. Cominciò con il sopprimere la supplica.

Carne contro carne. Durezza contro antica durezza; forza costruita e detestata contro nuova debolezza. Mentre l'aria si annullava, mentre si congedava negli urli nell'uomo, Andrea rincarava. Desiderava solo di concludere con l'ingiustizia di quelle urla, l'ingiustizia dell'indulgenza, osservava il suo muoversi come da un punto estraneo. Nonostante non avesse lame, il sangue iniziava a colare, copiosamente, a divenire il rivestimento delle sue mani, delle sue braccia, del palco; sangue denso, profumato, viscidamente nero, quello di mostro, di un essere inumano. Il suo, forse. Sangue che s'infittiva, quando la carne di suo padre marciva. Diveniva irrespirabile, colmata solo dal sapore del sangue. La sua droga secondaria. La sua violenza che si amplificava, e lui che diveniva vivo.

Si svegliava da quel torpore dopo minuti od ore, comprendeva di essere sveglio. Squadrava la stanza, squadrava le sue nocche, deturpate da inediti lividi.

Inediti lividi. Non c'era niente di più stupendo.

 

Spazio autrice

Ehilà.

Ecco la diciassettesima fan fiction della serie “500 - Behind the scenes”, ispirata ai personaggi (non creati da me) della storia interattiva “500”. Qui si parla del tributo del distretto 9, Andrea White, una delle figure più inquietanti, dato che il suo corpo (come si dovrebbe riesumare dal testo) è stato modificato geneticamente al fine di renderlo più forte, donargli più capacità atletiche.

Non ho nulla da dire. Se voi ce l'avete, invece, anche commenti negativi (ho necessità di comprendere cosa c'è di errato, adesso che ho iniziato una nuova storia), mi donereste un regalo enorme nel lasciare la vostra testimonianza. Okay, sono di fuori.

Alla prossima (già, già, sarò ancora qui, prima o poi),

Bolide

 
  
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