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Autore: coldmackerel    22/10/2015    2 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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The 6th ward
CAPITOLO 25: Graffiti

0 mesi, 18 giorni

Sorprendentemente, le cose non cambiarono poi tanto, nonostante Levi fosse fuori dai giochi da un tempo ormai indefinito. Lui ed Eren litigavano ancora per suonare il piano, Levi era ancora perlopiù uno stronzo, Eren lo informava della cosa abbastanza spesso, e entrambi continuarono a vivere come se non fosse cambiato nulla. L’unica differenza era che Levi aveva un sacco di tempo libero dal lavoro. Certo, aveva dovuto mettere un piede nella fossa per prendersi delle ferie, ma, ehi, le ferie sono sempre ferie.

L’ansia di allontanarsi dal proprio corpo era man mano scomparsa, come Eren aveva anticipato, ma non l’aveva mai lasciato del tutto libero. Si sentiva come una nave senza ancora, disperatamente perso in un mare inesplorato, e con nulla a fare da punto fermo. Ed era una sensazione difficile da ignorare, nonostante Levi stesse facendo del suo meglio. Nei momenti in cui peggiorava, si trovava sempre a pensare ad Annie, Bertholdt e Reiner che erano stati costretti ad accettare quell’esistenza incoerente come la loro nuova realtà. E ogni volta che pensava a loro, ringraziava silenziosamente Erwin per essersi preso la briga di ottenere il permesso di staccargli la spina. Poteva anche andare bene come esistenza temporanea, ma anche i sei mesi a cui erano stati costretti gli altri mocciosi, a lui sembravano troppi da poter sopportare.

D’altro canto, Levi era in una situazione differente. Lui odiava questo stato di esistenza, ma solo perché aveva un posto in cui tornare, e, più ci pensava, più non era sicuro se avrebbe veramente scelto il nulla rispetto a questa realtà. Morire gli faceva ancora terribilmente paura. Ai mocciosi faceva grandi discorsi, ma alla fine sapeva che le sue rassicurazioni e il vago filosofeggiare erano perlopiù stronzate. Loro erano più coraggiosi di quanto lo sarebbe mai stato lui, e anche se si sentiva una merda a pensarla così, non poteva fare a meno di sentirsi sollevato del fatto che lui si sarebbe svegliato da questo incubo.

Spregevole.

L’unico vero sviluppo eccitante dell’ultimo periodo erano state le grandi attenzioni che aveva avuto Erwin nei confronti del precedentemente disperato caso di Eren. Le piccole onde di attività cerebrale erano diventate più frequenti in quelli che erano ora dei controlli rigorosi. E, sebbene fosse decisamente frustrato, da quello che Levi poteva giudicare, Erwin aveva accettato il possibile errore di diagnosi e si era immerso in ore di tedioso monitoraggio e infinite prove e test. Per quel che riguardava Eren, gli si doveva concedere che, nonostante le novità positive, era rimasto responsabilmente realista riguardo l’intera faccenda.

Quando Levi gli dava qualche aggiornamento del suo periodico spiare Erwin durante le sue attività, Eren lo ascoltava educatamente ringraziandolo dell’informazione, ma non si esaltava mai. Il che, in realtà, faceva arrabbiare un po’ Levi, perché era lui quello che si supponeva essere il testardo scettico. Quello era il suo ruolo.

In ogni caso, i due avevano continuato a vivere le proprie esistenze, in una ruotine ormai comprovata, piena di eclettici mix di improvvisazioni jazz, Beethoven, un sacco di battibecchi, e altrettanti lunghi, confortevoli silenzi. Solo che Levi non era un granché in grado di dormire, quindi lasciava spesso ad Eren quell’attività. Non che almeno uno dei due avesse idea del motivo per cui Eren fosse in grado di dormire. Da quel che ne sapevano, nessuno degli altri mocciosi era riuscito mai a farlo.

Quella sera era trascorsa più o meno come le altre, con Levi a suonicchiare un nuovo solo su una decisamente non convenzionale progressione armonica, mentre Eren si lamentava del fatto che fosse il suo turno di suonare.

“Lo sai,” disse Eren pensierosamente. “Credo di avere ragione.”

“A qualsiasi cosa tu ti stia riferendo, ne dubito altamente.” rispose Levi con leggerezza. Stuzzicare Eren era uno dei suoi passatempi preferiti.

“No sul serio,” insisté Eren, senza perdere il suo tono di ragionevolezza. Il suo tentativo di farlo arrabbiare era fallito. Ritirata. “Alla fin fine sei veramente Bruce Willis.”

“Ah, grandioso,” sbraitò Levi. “Il mio paragone preferito è ancora qui a tormentarmi.”

“Sei solo arrabbiato perché avevo ragione.”

Come non detto, missione riuscita. Eren era caduto nella sua trappola.

Levi gli lanciò uno sguardo raggelante. “Ah, per favore. Non è vero.”

Stringendo gli occhi, Eren fece quell’espressione che faceva sempre quando non era preparato ad arrendersi durante una discussione. “Be’, Haley Joel Osment non è morto nel Sesto Senso. Questa è la stessa cosa quando alla fine Bruce Willis realizza di essere morto. Sei stato fottuto per molto tempo, cretino. Il tuo stupido cervello malfunzionante ti ha fatto vedere gente morta sin dall’inizio – e non per qualche concessione divina.”

“Non sto morendo,” gridò Levi. “Bruce Willis sei tu. Chiuso il discorso.” Eren gli stava sorridendo a 32 denti. Quindi era lui quello che era stato appena preso in giro? Questa era nuova. Eren aveva usato il suo stesso gioco contro di lui. Il ragazzo stava iniziando a imparare un po’ troppo velocemente per i suoi gusti. “Credo di preferire il paragone con Jack Nicholson.” concluse Levi aspramente.

“Perché sei pazzo.” Non era una domanda.

Levi sospirò. “Perché sono pazzo,” confermò. “Ed è colpa tua.”

Eren sembrava un po’ troppo orgoglioso della cosa. Certo che Levi non poteva proprio farsi tormentare da uno spirito meno rompipalle, eh?

Parlando di rompipalle, a Levi venne in mente la sua visita di quella mattina all’ospedale, per controllare se Hanji stava veramente innaffiando il suo alberello di Giuda. Con un certo senso di colpa, l’infermiere aveva realizzato che la collega si era subito preoccupata di prendersi cura del giovane albero, senza perdere un attimo di tempo. A volte era irritantemente premurosa – sebbene completamente fuori di testa. D’altro canto, era probabilmente quello il motivo per cui andavano d’accordo. Fatti della stessa pasta, come si è soliti dire. Durante la sua visita, si era fermato anche all’ufficio di Erwin. A quanto pareva, l’uomo aveva finalmente informato Mikasa e Armin del fatto che le onde vitali di Eren stavano diventando sempre più prevedibili, e che avevano dato prove abbastanza consistenti da iniziare a pensare un piano per tentare di farlo risvegliare dal coma. Le stranezze saltuarie non erano poche, ma perlomeno c’era qualcosa adesso.

“Erwin proverà a svegliarti nel giro di un paio di settimane,” disse Levi di spalle. “Non è in grado di predire nulla, e comunque sarà un terno al lotto, ma pensavo che lo volessi sapere comunque.” Quando Eren non rispose, Levi si girò un pochino verso di lui. Sembrava arrabbiato. “Che succede?”

Eren fece spallucce con irritazione. “Avrei semplicemente voluto che niente di tutto ciò fosse accaduto. Le probabilità di riuscita sono pessime, ma non riesco a fare a meno di sperare. E’ una tortura.”

“Già.” concordò Levi. Cos’altro avrebbe mai potuto dire?

“Dovrei sperarci?” chiese piano Eren.

Levi rise, e l’altro lo fulminò con lo sguardo. “Ragazzo, stai morendo e sei preoccupato che avere qualche speranza possa rendere la situazione peggiore? Finché tieni conto di avere poche chance, non credo ci siano problemi. Consolati, deficiente. Non importa se è una bugia o no.”

Alzando gli occhi al cielo, Eren affondò tra i cuscini del divano. “Mi dovrei prendere in giro allora?”

“Sì, segui il mio esempio,” ridacchiò Levi, facendo rifiorire il suo solo con un veloce arpeggio discendente. “Però, sul serio, non diventare come me. Non mi sei mai piaciuto da cinico. Lascia a me quella parte, ragazzo.”

“Ti invidio davvero,” ammise Eren con lieve imbarazzo. “Sto cercando di essere contento del fatto che tu ti sveglierai, ma alla fine sono solo folle d’invidia. E’ ridicolo.”

“E io sono uno stronzo perché sono felice di non essere al tuo posto,” disse Levi, facendo spallucce. Non c’è nessuno da impressionare qui. Sentiti arrabbiato, triste, confuso… al diavolo, sentiti invidioso – non importa.”

Eren rise brevemente. “Sono felice del fatto che non sei un moralista. Il fatto che sei una persona tremenda è decisamente meglio di stare con qualcuno che mi direbbe di essere coraggioso e cazzate simili. Quella sarebbe stata la cosa peggiore possibile.”

“Le persone buone fanno schifo,” concordò Levi, sorridendo alla tastiera mentre le sue dita l’accarezzavano con gentilezza. “Ti fanno solo sentire una merda.”

“Allora credo di doverti ringraziare per essere uno stronzo.” ridacchiò Eren.

“Quando vuoi, ragazzo. Davvero – quando vuoi. Non che abbia qualche alternativa.”

Sorridendo con determinazione, Eren si mise a sedere sul divano. “In questo caso, vaffanculo per aver avuto una seconda chance. E vaffanculo perché ti sveglierai.” Non era detto con cattiveria, ma comunque con sottintesa sincerità.

Levi fece spallucce. “Va bene. Be’, vaffanculo a te e al fatto che devi morire.”

Entrambi si rilassarono in un silenzio comunicativo, mentre Levi continuava a suonicchiare un brano infinito, e un piacevole senso di realtà sembrava appropriarsi del loro mondo inconsistente.





0 mesi, 15 giorni

Per la mancanza di qualcosa di meglio da fare, e anche perché a volte non riuscivano a mettersi d’accordo su chi avrebbe dovuto suonare il piano, Levi ed Eren passavano un sacco di tempo a camminare. Non andavano da nessuna parte in particolare, e non avevano nessuna destinazione precisa – era solo un modo come un altro per perdere tempo. Il clima era ancora rigido, ma ora che l'esistenza di Levi era a sua volta spiacevolmente fredda, l’aria esterna non faceva più una grossa differenza.

Oggi avevano camminato un po’ più in là del solito, dirigendosi nelle vicinanze di una delle aree più urbanizzate della periferia. Erano in un vecchio quartiere con un numero infinito di edifici alti e sottili, stretti insieme in un disegno incredibilmente d’effetto. Ogni angolo era pieno di ragazzini seduti sui gradini, a dribblarsi una palla da basket, o semplicemente in piedi a fare qualcosa. Sebbene non fosse un’area incredibilmente povera, sicuramente non stavano nascendo ceppi di famiglie borghesi nella comunità. Levi era cresciuto in posto praticamente identico a quello che stavano attraversando e la puzza di gas di scarico delle auto, di vernice da quattro soldi e di sigarette gli erano piacevolmente nostalgici.

Piccole comunità come quelle avevano un certo fascino. Quando non hai la possibilità di aspirare a qualcosa di più oltre un lavoro sicuro e un piccolo appartamento, le persone rendono altre cose quelle importanti nella loro vita: così le famiglie diventano unite, i vicini si trattano come veri vicini, e i bambini crescono combattendo le proprie lotte e proteggendo i loro amici e vicini. Quello che gli mancava in benessere materiale, loro lo sostituivano con la lealtà e l’interesse mutuale a sopravvivere. Le persone ricche rubano per diventare ancora più ricche, mentre quelle povere rubano solo per sopravvivere.

Il crimine è differente nel mondo delle classi sociali basse, e a Levi mancavano le strade più di quanto avrebbe voluto ammettere. Camminando in quel quartiere, mentre il sole si nascondeva dietro un muro spesso di nuvole grigie, era come essere a casa.

“Questo posto mi ricorda quello in cui sono cresciuto.” osservò Eren.

Levi annuì. “Anche a me.”

“Ho conosciuto Armin e Mikasa nel mio vecchio quartiere.” Eren stava fissando un gruppetto di adolescenti che si stavano prendendo in giro tra di loro, tirandosi addosso un pallone da calcio vecchio e sporco. “Adoravo quelle strade diroccate,” disse affettuosamente. “Ne sono successe così tante lì.”

Sorridendo leggermente, Levi annuì ai suoi simili ricordi. “Mi sento quasi dispiaciuto per quei bambini ricchi che non hanno mai avuto modo di vivere in strada. Come fanno ad andare avanti senza passare quello che abbiamo passato noi?”

“Con i soldi, direi,” rise Eren. “A me invece non dispiace. Perlomeno hanno quasi tutti entrambi i genitori, e abbastanza soldi per pagare le bollette ogni mese.”

Levi annuì, concordando. Era un po’ distratto, e un po’ più che affascinato dai graffiti che decoravano praticamente ogni angolo del quartiere. Ma senza essere irrispettosi o crudi, solo artistici. Le persone spesso non sanno distinguere i graffiti dal vandalismo. L’interesse nelle gang era forte nel quartiere povero dove era cresciuto lui, ma quello che lo aveva veramente attirato erano i graffiti. L’odore delle bombolette spray e la soddisfazione di aver marcato il territorio come tuo con disegni improvvisati, e colorati sfoggi di creatività, lo incantavano.

Mentre giravano un angolo, un giovane ragazzo con il cappuccio della sua felpa nera a nascondergli il volto, si materializzò di fronte a loro, con un grosso borsone appeso alla spalla.

“Ho già visto questo look.” ridacchiò Levi.

Guardandosi intorno per accertarsi di avere via libera, il ragazzo posò delicatamente la borsa a terra, e ne tirò fuori una bomboletta di pittura spray di alta qualità. Però, prima ancora di riuscire anche solo a finire di agitarla, una poliziotta bassa e tarchiata, con i capelli legati in una coda ordinata, lanciò un grido verso di lui: “Spero per te che tu non stia pensando di fare qualche graffito su quel muro, ragazzo.”

Il giovane lasciò cadere la bomboletta per lo spavento, e iniziò a correre dal lato opposto del vicolo. Per un momento sembrò come se la poliziotta stesse per inseguirlo, ma invece si limitò a una scrollata di spalle. “Ah, questi ragazzi.” mormorò, confiscando la bomboletta caduta. Levi la guardò tornare alla sua macchina e andarsene, lasciando lui ed Eren da soli in quella viuzza.

Il borsone nero era rimasto abbandonato a terra.

Una tentazione irresistibile.

Levi osservò il muro che il ragazzino aveva pensato di taggare. Era stato imbiancato recentemente, ed era pericolosamente pulito – la tela perfetta. Nessuna sorpresa sul fatto che il ragazzo lo volesse marcare. Eren sentì che l’attenzione di Levi si era diretta verso il borsone nero e si inginocchiò per esaminarne il contenuto. Dentro c’erano quasi due dozzine di bombolette di vernice spray nuove, di vari colori tutti di alta qualità.

“Dovremmo probabilmente liberarci di queste.” disse Eren.

Levi annuì. “Infatti.”

“Non sarebbe una cosa positiva se finissero nelle mani sbagliate.”

Levi annuì di nuovo. “Probabilmente.”

Dopo un momento, Eren piegò la testa di lato, ancora pensando alle bombolette di vernice spray. “Vuoi usarle per disegnare su questo muro tanto quanto me?”

“Cristo, iniziavo a pensare che non me l’avresti più chiesto.”

Eren era alquanto poco dotato con la vernice spray, e quindi optò per fare giusto qualche disegno piccolino ai lati del muro, non volendo rovinare lo spazio principale o disturbare il lavoro di Levi. Così al centro di quella grande tela, Levi aveva dato vita ad un disegno dallo stile cubico, deciso, che mostrava la giungla di cemento in cui era cresciuto. Era fin troppo colorato, quasi esagerato, ma Levi si sentiva fiero del suo lavoro. Il fatto che non faceva più pratica non l’aveva reso meno capace di quanto era quando aveva iniziato da giovane.

E così rimasero lì per ore, con Eren a scarabocchiare negli angoli del muro, e Levi a lavorare meticolosamente al suo capolavoro. Alla fine, quando Levi fu soddisfatto, firmò il disegno con il suo vecchio nome di strada, per poi fare un passo indietro e ammirare il frutto delle sue fatiche.

“Quindi in pratica eri il Picasso delle gang di strada o cosa?” chiese Eren dubbiosamente. “Pensavo che i graffiti fossero semplicemente simboli delle gang, firme o riferimenti a droghe.”

“Nessun graffitaro che vale qualcosa chiamerebbe quella roba arte,” sbottò Levi. “I veri graffiti sono più della tua firma in un posto, ragazzo.”

Eren fece spallucce. “Ormai ho rinunciato a capirti.”

“Ti ci è voluto parecchio.”

Di buon umore e ricoperti di schizzi, gocce e macchie di vernice, i due si diressero verso casa, con Levi che si sentiva stranamente loquace. Normalmente, era Eren quello che parlava abbastanza da rompergli i timpani mentre lui faceva finta di ascoltare (o faceva finta di non ascoltare), ma, questa volta, Levi si mise a raccontare, una storia dopo l’altra, delle sue avventure per le strade, intrattenendo Eren con i suoi numerosi incontri con la legge, e tutte le stranezze che avevano reso la sua vita in strada coinvolgente come ancora la trovava.

Non aveva mai pensato molto alla sua infanzia o adolescenza fino a quel momento. Era stato tutto nascosto ordinatamente in un cassetto chiuso a chiave nella sua mente, archiviato come ‘inutile’ o ‘irrilevante’. Così parlò della sua vecchia gang. Parlò del suo primo contatto con il jazz in quel bugigattolo di bar ad un paio di isolati da casa sua. Parlò di tutto. Parlò e basta.

Levi aveva cancellato tutto fino a quando non era quasi morto. Ed era tornato a pensarci solo ora che aveva questo strano, disperato bisogno di provare la sua esistenza. Nessuno sapeva nulla di Levi, sul serio, e qualcosa sul suo stato attuale di quasi-esistenza, aveva scatenato in lui il bisogno di urlare all’universo che lui, invece, era esistito, ad un certo punto. Alla fine optò per chiacchierare al punto da far cadere i timpani anche ad Eren. Ma a lui non sembrava importare, comunque.

“Pensavo che somigliassimo a degli imbianchini, prima,” scherzò Eren. “Ma cavolo se mi sbagliavo. Guardaci adesso.”

A Levi non dispiaceva la cosa. Ora erano completamente vestiti di bianco ed effettivamente ricoperti di vernice. “Be’ stavamo pitturando in un certo senso.”

“Lo chiamerei più vandalismo,” replicò Eren. “Tu eri un dannato delinquente, lo sai? Io non ho mai fatto roba del genere,” rise. “O mia mamma o Mikasa mi avrebbero fatto una faccia di schiaffi. Non riuscivo a scamparla su niente.”

“Ah, non è una cosa cattiva,” ridacchiò Levi. “Vuol dire che ci tenevano. O che volevano semplicemente farti una faccia di schiaffi. In ogni caso, non è un problema mio.”

“Già, vaffanculo anche a te.”

Per una volta, Eren non iniziò a bisticciare per il piano, quando arrivarono all’appartamento. Invece, il ragazzo volle sedersi sullo sgabello e ritentare a suonare un po’ di jazz. Era ancora agli inizi, e con una base decisamente troppo tecnica dalla sua parte, ma non terribile. Levi suonò in un ritmo circolare, alzando di un tono ad ogni cambio di fraseggio. Alla fine, la cosa sembrò far infuriare Eren abbastanza da far sentire i primi segni del suo vero talento. Eren riusciva a fare qualsiasi cosa meglio quando era arrabbiato.

“Non ci stai nemmeno provando,” rise Levi mentre alzava le mani per poi riabbassarle in una mossa elegante. “Tieni il passo.”

Con le sopracciglia aggrottate per la concentrazione, Eren gli lanciò uno sguardo fulminante. “Sei il peggior insegnante possibile, sai? Ti stai solo dando delle arie.”

“Ovvio.”

Levi non l’avrebbe mai ammesso, ma Eren stava migliorando di volta in volta. Ecco di nuovo quella curva parabolica.

“Perché non suoni più per soldi?” chiese Eren.

Levi fece spallucce. “Non saprei.”

“Be’, dovresti ricominciare. Anche solo per hobby.” disse Eren , ripetendo un movimento che aveva fatto Levi un paio di progressioni fa. Non era un’idea orribile.

“Ci penserò su, ragazzo,” disse Levi con leggerezza. “Il lavoro da insegnante vorrà dire più soldi e meno ore di lavoro. Non è una proposta irragionevole.”

Rilassandosi notevolmente dallo stato di concentrazione in cui era finito, Eren sorrise guardando la tastiera. “Riesco a capire perché ti piace il jazz. Hai ragione: l’unica cosa che importa è che non te ne deve importare affatto. E questo è probabilmente anche il motivo per cui io faccio schifo.”

Levi fece un sorrisetto. “Probabilmente non è una cosa cattiva. E comunque non fai schifo. Sei giusto un livello sopra la merda. Come il terreno. Terreno di buona qualità, magari.”

“Quello era un complimento, vero?”

Invece di rispondere, Levi si immerse a capofitto in una delle progressioni di base che aveva cercato di suonare con Eren un paio di mesi prima. Poi alzò un sopracciglio come per invitare Eren ad unirsi a lui. Il ragazzo stava esitando e Levi gli lanciò uno sguardo di biasimo. “Che c’è? Non pensi di essere migliorato? Come al solito ti interessa la progressione, ti interessa cosa succederà domani, ti interessa se potresti suonare male o no, ti interessa sapere cosa farò quando tutto questo sarà finito. Ti interessano decisamente troppe cose, Eren. La vita non è una fottuta agenda gigante con cose da fare e non fare, e cose da fare adesso o dopo. Suona la fottuta musica.”

Eren annuì una sola volta, con un nuovo sguardo di determinazione negli occhi mentre subentrava nella progressione. Be’, così già era un po’ meglio.

Dopo un paio di cicli, Eren si girò per guardare Levi con la coda dell’occhio. “A te cosa interessa, allora? Visto che sembra che a me interessi tutto.”

“Non guadagni punti per tenerci, Eren,” disse Levi risolutamente. “Non c’è nessun conto finale alla fine. Vuoi sapere a cosa tengo? Tengo ad un sacco di cose. Ma riesco comunque a suonare come se non me ne fregasse di nulla.”

“Ma io come faccio a farlo?” si lamentò Eren, fissando intentamente le sue dita che si muovevano rapidamente. “Non posso semplicemente spegnere il cervello.”

“Il controllo è un’illusione, ragazzo. Io non spengo un bel niente. Ma accetto i miei pensieri e li lascio andare. Mi torneranno in mente dopo se sono abbastanza importanti. Le cose hanno modi strani di ripresentartisi davanti.”

“Ci riuscirò. Prima o poi,” decise Eren, rimanendo in silenzio mentre la progressione andava avanti e avanti, indisturbata. Alla fine, Levi lasciò che Eren suonasse da solo, ripetendo sempre lo stesso ciclo e improvvisando nella maniera più basica possibile. Dopo un po’, però, il ragazzo sembrava troppo esausto per continuare a suonare, e la musica si affievolì con tristezza fino a diventare un silenzio prolungato. “Perché è così difficile non tenerci?”

“Perché sei nato per tenerci, credo. Tutta sfiga, ragazzo.” rise piano Levi. Eren era appoggiato a lui, con le mani strette sul grembo, e gli occhi che si stavano chiudendo nonostante gli sforzi di tenerli aperti. Levi iniziò un ritmo a tre quarti con la mano destra, una reminiscenza di una vecchia canzone blues che aveva sentito suonare una volta in un bar da un vecchio intristito, senza preoccuparsi di complementarla con un accordo o delle note basse. La musica sembrava nuda, dopo i complicati incastri di motivi sinuosi, che avevano bombardato l’appartamento per tutta la notte. Ma la sua semplicità era piacevole, e dopo un paio di minuti di quella melodia sola, Eren lasciò cadere la testa leggermente al lato, posandola contro il braccio di Levi.

Be’, realizzò Levi, a qualcuno doveva pur interessare.

Lentamente, Levi accompagnò la musica con una melodia triste suonata con la mano sinistra, mentre cercava di muovere il braccio il meno possibile, visto che Eren stava sonnecchiando tranquillamente al suo fianco.

“Se mi sbavi sul braccio, ti do fuoco.” borbottò, oltre la laboriosa, triste melodia.

Eren non rispose.

Si era addormentato.

Ah, bene. Lasciamo stare.




Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. Scusate il ritardo, ma ho avuto da fare nelle ultime settimane e mi sono trovata a tradurre in tutta fretta il capitolo negli ultimi giorni e, purtroppo, non era proprio brevissimo. Comunque ci sono! Nulla da aggiungere anche perché è un capitolo un po' di stallo ma, mamma mia, ormai mancano solo 3 capitoli alla fine! Non ci credo! Detto ciò ringrazio tantissimo tutti i lettori della fic, chi ha inserito la storia tra i preferiti/seguiti/da ricordare, e in modo particolare chi commenta! Mi farò viva presto con le rispose! Al prossimo capitolo!
SULLA TRADUZIONE: tradurre le parti 'musicali' è stato a dir poco un parto T_T purtroppo non sono sicura di niente ma spero di aver fatto un lavoro decente sebbene sia andata a interpretazione dove non riuscivo a trovare una spiegazione teorica decente! Soliti errori di battitura in agguato ;)


   
 
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