Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Sofyflora98    25/10/2015    1 recensioni
Sofia è una ragazza apparentemente comune, ma un incidente avvenuto in un pomeriggio di settembre, dopo la scuola, le svelerà la sua vera natura: lei è un'Astral, una persona che riesce a rendere reale ciò che non esiste. E' stato in seguito a quell'incidente che venne coinvolta nell'Astral project, l'associazione che gestisce e tiene sotto controllo questo strano fenomeno. Tra maggiordomi diabolici, dei della morte fiammeggianti e creature mostruose, Sofia scoprirà un mondo interamente nuovo, iniziando a comprendere meglio la vera natura della fantasia umana e dei sentimenti che si può provare per qualcosa che non esiste. O almeno, che fino a poco prima non esisteva.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grell Sutcliff, Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Giorgia era Black Lady. Giorgia era Dianoia, la mia misteriosa avversaria. Ed era lì, di fronte a me, che mi fissava con quell'aria strafottente e gelida. Splendida e crudele. Una ragazza magra ed esile, di un pallore quasi mortale, con quei due occhi simili ad ametiste che mi congelavano sul posto. Bianca e nera, come il pavimento a scacchi, a causa del contrasto tra la sua carnagione, i suoi capelli corvini e i suoi abiti d'inchiostro.
Non potei fare a meno di pensare che fosse bellissima.
Quella che avevo dinnanzi non era soltanto un'Astral, ma una semidea, che ci osservava come se fossimo stati delle piccole formiche ai suoi piedi.
- Comprendo il tuo stupore e la tua delusione, Sofia – riprese a parlare. - Non è mai carino essere traditi da qualcuno che credevamo nostro amico, lo so bene. Ma in fondo, è quel che è successo a me, no? Dovevi sapere anche tu come ci si sente, prima di scontrarti con me. Non posso certo affrontare una nemica ingenua e felice, no? - sembrava quasi che le dispiacesse dirlo, guardandola; sembrava quasi triste.
Non sapevo se essere più furiosa o disgustata da lei. Furiosa per ciò che aveva fatto ai miei compagni, per ciò che intendeva fare al mondo intero, con quei demoni che attendevano i suoi ordini fuori dal palazzo. Disgustata per i suoi modi subdoli e velenosi di agire. Come un ragno, che prima tesse la sua tela in attesa della preda, e poi attende che essa si dibatta e provi a liberarsi, avviluppandosi ancora di più tra i fili della trappola. Solo allora si decide a muovere un muscolo, ma sempre lentamente, imprigionando la preda e lasciandola ad agonizzare prima di ucciderla definitivamente e divorarla.
Questa era Black Lady: un ragno che aveva tessuto una tela immensa, appositamente per noi, usando piccole prede per attirarne di sempre più grandi e pericolose, costringendole ad abbassare la guardia.
- Mi trovo nel frangente in cui chiunque tu sia e qualunque piano tu abbia, tu ucciderò ugualmente. Restituiscimi Grell – ribattei comunque, ostentando una calma ed un controllo di me che non sapevo di avere.
Lei sorrise. Se prima sembrava davvero triste, ora sembrava sinceramente felice.
- Okay, sei forte. Mi piacciono le tipe che hanno carattere. Ma lo sei davvero o è solo tutta scena? -
- Che intendi dire? -
- Oh, in realtà... avrei preparato un giochetto solo per te! - esclamò entusiasta. - Se lo superi, allora significa che sei una nemica degna di essere combattuta, altrimenti sei una nullità. Accetti la sfida sì o no? - tese la mano verso di me, ansiosa di sentire la mia risposta.
Io la guardai incredula. Gioco, eh? Per qualche ragione la cosa non mi piaceva per nulla. Troppi film in cui i cattivi propongono sfide e patti, e poi li infrangono. Nah, non avrei accettato.
Lei però doveva aver intuito i miei pensieri, perché si affrettò ad aggiungere – Non ho alcuna intenzione di barare. Io non partecipo, e non muoverò un dito per intralciarti. Si tratta solo di un piccolo test. E non hai sentito la parte migliore: è un gioco mentale! -
Scrutai attentamente le sue espressioni. Diceva la verità, dovetti ammetterlo. In quel momento stava facendo fluire le sue emozioni liberamente, permettendomi di percepirle, e non c'era alcuna ambiguità in esse. Vi vedevo l'odio, l'ostilità, la rivalità e una lieve ammirazione, ma nessuna segretezza. Lei voleva uno scontro leale tra di noi, per dimostrare di essere la migliore, la più forte. Una vittoria ottenuta con l'imbroglio non avrebbe avuto alcun significato per lei.
Allungai la mano con circospezione, ma quando lei fece per afferrarla, io la ritrassi. – Non intendo sfidarti a nessun tipo di gioco, se prima non mi dici che ne è di Grell –
Lei sospirò, come se si aspettasse questa domanda. – Sta bene, ovviamente. Non mi piace infierire sugli Esterni, sono troppo fascinosi e belli, se mi spiego. Ma non intendo fartelo vedere prima della sfida mentale. Soltanto dopo, prima di combatterci magari. Per te è a posto? –
Cristo, sembrava che stessimo discutendo un contratto in una riunione d’affari, invece che il destino del pianeta. Ma d’altronde, che altro ci si può aspettare da adolescenti che hanno ottenuto poteri sovrannaturali a causa della loro ossessione per cartoni e fumetti? In maniera quasi casuale, con nonchalance allo stato puro. E così, io e lei mettemmo in palio il futuro del nostro mondo, con un semplice scambio di battute che prevedevano fiducia nella sincerità l’una dell’altra. Ma stranamente, non avevo alcun dubbio sulla sua sincerità, in quel momento.
Strinsi la sua mano, e lei strinse la mia a sua volta, con un guizzo deliziato che le attraversava gli occhi. Mi venne il dubbio che lei trovasse tutto questo estremamente divertente, e che le interessasse più la sfida in sé che il recupero della sua posizione di Astral più potente dell’associazione.
- Dì al tuo compare occhialuto di allontanarsi, eh? Non vorremmo che la sua vicinanza interferisse! –
Annuii. – William, allontanati. Questa cosa è tra me e lei –
Lui esitò, ma alla fine obbedì, e si fece indietro di qualche metro, addossandosi alla parete della stanza.
- Guardami, Sofia. Ho bisogno della tua completa attenzione – io la guardai, incatenando lo sguardo ai suoi magnetici occhi viola intenso. – Brava, così. Mi piace quello sguardo, Sofia. Somiglia tanto a quello della vecchia Alicia… -
Allungò le dita pallide fino a sfiorarmi la fronte. Immediatamente la vista iniziò ad annebbiarmisi, e presi a sbattere rapidamente le palpebre. Poi ricordai: un gioco mentale, aveva detto. Se si sarebbe svolto solo nella mia testa, allora dovevo aspettarmi di finire in qualche bizzarro scenario da un momento all’altro, ed era quello che stava accadendo.
- Che begli occhi di smeraldo… - la sentii sussurrare, prima che il suo viso niveo sparisse dalla mia vista, sostituito da una nebbia grigia, che copriva il mio intero campo visivo.
 
Quello che mi ritrovai davanti era un piccolo cortile.
Mi guardai attorno spaesata, con la netta impressione di averlo già visto in passato.
C’era un largo spazio in terra battuta, con qualche striscia di erba sottile, chiaramente seminata: quella spontanea sarebbe stata più dura e spessa. Circa al centro di questo spazio stavano alcuni di quei tappetoni fatti riciclando i copertoni delle auto, e sopra ad essi uno di quei castelletti di legno e plastica, con gli scivoli, le reti e i tubi di acciaio verticali su cui giocano i bambini. Io non li avevo mai particolarmente amati. Troppa confusione.
Poco più in là stavano un paio di altalene, dei cavallini a dondolo, con quelle grosse molle di ferro attaccate al terreno, un ponte di legno con uno spazio vuoto sotto ad esso, e per finire una piccola teleferica. Sembrava un parco giochi a tutti gli effetti, come quelli dei giardini pubblici. O meglio, lo sembrava finché non ci si girava dall’altra parte, vedendo l’edificio arancione con le finestre allungate terminanti con archi a tutto sesto, incorniciate da una striscia di vernice bianca. Una scuola elementare. La mia scuola elementare.
Avevo quasi dimenticato che aspetto avesse; se potevo evitavo di passarci davanti, e di rado tornavo a pensare a quei cinque anni. I primi due erano stati normali, ma dopo… dopo era cambiato tutto. Gli anni successivi erano quelli che avevano determinato il mio modo di essere.
Sentii uno scalpiccio alla mia sinistra. Buttai l’occhio di lato. C’era una ragazzina graziosa, con le guance rosee, magra ed asciutta. No, non una ragazzina: una bambina, di circa dieci anni. Con grandi occhi castani e capelli biondissimi, simili a fili dorati. Con il sole sembravano quasi splendere di riflessi metallici.
Angelica. La prima Angelica che avevo conosciuto, la prima persona che ero stata costretta ad allontanare e rigettare. Era davvero moltissimo tempo che non pensavo più a lei. Ogni tanto ritornava come vago ricordo passeggero, se mi chiedevano della mia infanzia, ma non mi ci ero mai soffermata.
E invece ora era lì, e mi fissava, con quel misto di furbizia ed ingenuità che hanno molte bambine. Così carina. Un dolce angelo, innocente e maliziosa.
Ed ora ero anch’io una bambina, mi resi conto. Il mio corpo era tornato alla stessa età di quello di Angelica. Gambette corte, manine ancora prive di calli sulle dita e cicatrici sul dorso, che invece avevo nel presente. E, dal prurito sul collo, mi tornò alla mente che all’epoca avevo anche i capelli a caschetto.
Tutto questo è nella mia mente mi dissi Se Angelica fa parte di questa prova, significa che lei deve avere un certo peso per me. Eppure… io credevo di essermi liberata anche dei ricordi di quando ero assieme a lei!
- Lo sai che sei strana, vero? – disse la bionda, ridacchiando come se trovasse il tutto molto spassoso. Cristo, se lo sapevo! Lo sapevo da sempre, era stata uno degli elementi più pressanti della mia vita, la cosa che mi era stata fatta notare di più in assoluto dalle persone che mi circondavano.
Era per questo che lei mi aveva detto di non volermi stare più vicino. Perché borbottavo tra me e me come se stessi parlando con qualcun altro, perché avevo lo sguardo perso nel vuoto, perché iniziavo a fantasticare entrando in trance, e non sentivo più le parole degli altri. Perché ero sempre più avanti degli altri nelle materie scolastiche, perché avevo imparato il corsivo poco dopo la spiegazione da parte delle maestre sui caratteri in stampatello, perché ero stata la prima a cui avevano dato il permesso di usare penne non cancellabili, e via discorrendo. Perché li guardavo dall’alto al basso, e li squadravo come farebbe uno scienziato con un vetrino al microscopio.
Lo sapevo, che ero strana. Non potevo farci nulla. Lei non poteva farci nulla.
- Perché non rispondi? Hai paura, o sei solo stupida? – mi canzonò Angelica.
Dio, no. Non l’avevo mai cancellata, mi resi conto con inquietudine. Ecco perché si presentava ora. Io non avevo mai realmente cancellato Angelica dalla mia sfera di preoccupazione, l’avevo solo isolata in un angolo della mente. E ora stava scavando per uscire, fino a raggiungere la superficie.
Era apparsa per provare di nuovo a scuotermi.
Non riuscivo a dir nulla, finché la vedevo ridacchiare. Assieme al mio corpo, anche il mio cuore era tornato quello della Sofia bambina, impacciata e insicura, che già si atteggiava freddamente come quella del futuro, ma che aveva ancora timore nei confronti dell’opinione della sua unica amica.
È questo il tuo gioco, Black Lady? Vuoi mettermi di fronte ai miei punti deboli del passato, e vedere se li supero?
Mi conficcai le unghie nei palmi, forzando la sensibilità della piccola Sofia. - Questo non è sufficiente – sibilai, e colpii la bimba dai capelli dorati i pieno viso. Intravidi la sua espressione di sorpresa, prima che si sbriciolasse.
Ovvio che non l’avevo cancellata. Ma non significava certo che quello sarebbe bastato a farmi capitolare. Quella Angelica era inutile e stupida, mi dissi, freddamente. L’avevo messa in quarantena nella mia testa per un motivo. L’avevo allontanata da me per un motivo. Erano passati anni, e non me ne pentivo minimamente.
Il mio aspetto era tornato alla sua forma presente, così come la mia voce. E per fortuna, avevo trovato inquietante sentirmi uscire quella vocetta da biscotto, mentre le dicevo “Questo non è sufficiente”.
Il terreno si disgregò sotto ai miei piedi, e il parco giochi, l’asilo ed ogni cosa sparirono, sostituiti da un bianco senza confini.
 
- Mi dispiace davvero non poterti più vedere –
Quella frase riecheggiò nel vuoto già prima che prendesse forma. Questa volta ero in un cortile di ghiaia, seduta su una bassa gradinata di finto marmo, all’entrata di un edificio grigio slavato, protetto da un cancello di ferro arrugginito. Il cielo era coperto da delle fitte nubi grigio perla. Nubi da neve.
E anch’io ero vestita di grigio, con l’aspetto di quando avevo tredici anni. Capelli poco sotto le spalle, cappotto di feltro grigio e gonna a pieghe grigia, con calze di lana grigie e scarpe nere di vernice. Guanti di lana grigia, anche, ed un berretto grigio con quadri scozzesi neri.
Ad aver parlato era un ragazzino della mia età. Era molto pallido, e aveva le guance spruzzate di lentiggini chiare. I suoi lineamenti erano molto morbidi e delicati, e aveva le labbra carnose e scarlatte. Il viso da elfo era incorniciato da soffici boccoli biondo oro. Era lì, e mi guardava con quegli occhi verdi a mandorla, che conoscevo così bene…
“Non andartene! Per favore!” ricordai di aver detto quel giorno. Sì, ricordavo quel giorno.
Prima di staccarmi da Angelica, vedevo colori. Dopo averlo fatto, ho visto linee. Ma da quel giorno ho visto grigio.
- Non andartene – mi sentii pigolare, come un tempo – Per favore –
Lui scosse la testa. – Non posso fare nulla – mormorò, gli occhi luccicanti di lacrime. – I miei genitori hanno già deciso. Ci trasferiremo in Inghilterra di nuovo. Io… mi dispiace! –
Ti odio. Vattene, sparisci. Non farti più vedere. Ti odio.
Ti odio.
Kevin.
E ancora una volta, proprio come allora, sentii una valanga travolgermi, gridandomi di picchiarlo a sangue e fargli male, proprio come avevo già fatto ad Angelica. Perché non era giusto, perché non aveva il diritto di lasciarmi lì, da sola. Non lui.
Aveva fatto male, quel giorno.
Quando avevo picchiato Angelica, era stata lei quella che aveva provato dolore. Questa volta invece non era stato Kevin a subire le conseguenze degli avvenimenti, ad essere schiacciato dall’esplosione delle mie emozioni. Questa volta erano esplose in ritardo, quando ormai lui non poteva più vedere, né sentire, né esserne aggredito.
Ma dovevo farle uscire, stavolta. Non avevo potuto farlo anni fa. Dovevo farlo ora, anche se sarebbe stato tutto nella mia testa.
Per questo, quando lui ormai si era già rassegnato a non avere una mia risposta, e stava lentamente camminando verso il cancello, io lo rincorsi, afferrandolo per le spalle. Lui si fermò, e si girò di scatto verso di me, stringendomi forte. – Ti amo – dissi.
- Lo so. Anch’io. Addio –
- No. Ci rivedremo. Di sicuro –
- Ma non sarà più lo stesso –
- No, non lo sarà –
- Tu dimentichi sempre tutti. Dimenticherai anche me. Se ci rivedremo, sarai con qualcuno di strano ma splendido, e completamente fuori dalla normalità. Com’è giusto che sia –
- Già, sarà così. Mi dispiace. Non avresti dovuto lasciare che ti portassero via –
Non si sgretolò come aveva fatto Angelica. Si dissolse lentamente, diventano mano a mano sempre più aeriforme, finché non mi ritrovai a stringere l’aria. Perché lui non era qualcuno che avevo distrutto con la forza. Lui l’avevo lasciato andare, come sabbia che scivola dalle dita. Inevitabile, certo. Ma senza opporre molta resistenza. Come con la sabbia.
Tirai un sospiro di sollievo, quando di nuovo tornai alla mia vera età. Non era l’aspetto a preoccuparmi, ma il fatto che entrambe le volte anche il mio modo di pensare e le mie emozioni erano state condizionate ad essere quelle dei momenti rivissuti.
Inizia a capire il senso del gioco: Black Lady intendeva vedere con i suoi occhi come mi sarei comportata rimettendomi di fronte agli eventi che più mi avevano toccata del mio passato. Verificare se di nuovo avrei fatto fuoriuscire la Sofia più forte, che si sarebbe fatta valere sulla prima delle due Angelica che aveva avuto come amiche. Scoprire se invece, rivivendo l’addio con Kevin, anni addietro, l’avrei di nuovo lasciato andar via senza aggiungere nulla più di quello che già sapeva. Da questo, mi feci una mezza idea su cosa aspettarmi dopo.
 
Capii di averci visto giusto, quando la ormai familiare fabbrica abbandonata mi si solidificò attorno.
Non era però attrezzata con le apparecchiature portate dall’associazione, non era illuminata, e non era gremita di gente. Era buia, sporca, puzzolente di vernice e polvere, e quasi totalmente buia, come la prima volta in cui ci avevo messo piede.
Indossavo la mia armatura, ed attorno a me c’erano alcuni membri dell’associazione. Erano immobili però, come pietrificati. Sembrava proprio il giorno della spedizione alla ricerca dell’assassino che pensavamo fosse lo shinigami scarlatto, ma gli altri Astral non battevano nemmeno le ciglia, per cui dovetti supporre che non erano importanti per quello che Black Lady intendeva osservare. Non che avessi dubbi in proposito, ma questa era una palese conferma.
 
E quindi, ancora una volta, mi avvicinai con cautela alla sagoma accovacciata in fondo alla stanza, alla sagoma di quel giovane con i capelli simili ad una cascata di sangue, che mi fissava terrorizzato con quegli occhi verdi fluorescenti, che brillavano nell’oscurità come fari.
Pensi che non lo rifarei, Dianoia? Pensi che non lo colpirei di nuovo, ora che sto assieme a lui?
- Ti uccido – soffiò lo shinigami, scoprendo la sua caratteristica schiera di denti appuntiti ed acuminati. Uccidermi? Oh, quanto si sbagliava! Se solo quel giorno qualcuno gli avesse detto cosa sarebbe successo tra noi due nel futuro, credo che Grell gli avrebbe riso in faccia. E se non ci fossimo mai incontrati, invece, probabilmente sarebbe ancora sperduto in un mondo estraneo, a fare a pezzi chiunque gli si avvicinasse. Il mio adorato e incantevole shinigami...
Schivai la motosega scivolando di lato, proprio come avevo fatto quando era accaduto sul serio. Ed esattamente come in quell'episodio, lo vidi distrarsi, attratto dal colore rosso della mia armatura. Mi sfuggì un sorriso. Era letale, estremamente forte e violento, ma in realtà bastava così poco a fargli distogliere l'attenzione! Ed era molto, molto più fragile di quanto non volesse far pensare.
Feci una mezza piroetta, girandogli attorno nel momento in cui credeva di essere sul punto di colpirmi con la death schyte.
Avevo usato una semplice spranga di metallo, per metterlo al tappeto, ricordai. Portai la mano al bracciale, e sfiorai il quinto tasto, che aiutava a focalizzare l'energia nell'evocazione delle armi. Non ci volle molto perché il freddo ferro della sbarra mi facesse rabbrividire, facendo la sua comparsa tra le mie mani.
Lui tornò ad attaccarmi. Mi preparai.
Feci forza sulle braccia, e sferrai il colpo, prendendolo in fonte. Lui annaspò, e cadde sulla ginocchia, ma prima che potesse anche solo sfiorare il suolo, gli avevo già assestato il secondo colpo, alla nuca. E per la seconda volta, vidi quella scena, in cui perdeva i sensi e si accasciava ai miei piedi, con una ferita qualche centimetro sopra le sopracciglia, l'ultimo sfarfallio di un'espressione colma di stupore, prima che le palpebre gli si chiudessero.
 Mi inginocchiai lì a fianco, lasciando cadere la spranga di ferro, e allungai le dita a sfiorargli uno zigomo delicato, una guancia, e poi le labbra. Raccolsi una ciocca di capelli e presi ad intrecciarla e arrotolarla. Bellissimi, così soffici... erano più leggeri e morbidi della seta, come miliardi di fiamme che mi incendiavano le mani.
- Impegnati di più, Black Lady – mormorai – Questo non è nulla –
 
 
Spezzare: rompere in due o più parti, fratturare, procurare un dolore insopportabile, dividere.
Oh, questi requisiti c’erano tutti. Sia la rottura che il dolore.
Non ricordava nulla, e non aveva coscienza di nulla. Non sapeva chi fosse, né cosa le fosse successo, ma di alcune cose era inconsciamente consapevole: era una ragazza, era viva, era giovane, e le sembrava che il suo corpo fosse stato appena lacerato. Non sapeva, però, da quanto durava quel dolore. Era terrificante, inimmaginabile.
E poi semplicemente cessò.
Continuava a non avere idea di come fosse finita lì, in quel luogo abbandonato e lurido. Non solo lurido: squallido e puzzolente. Sembrava un vecchio capannone, un qualche posto dove nessuno metteva più piede da anni. Non c’era alcun motivo per cui un’ adolescente avrebbe dovuto svegliarsi, all’improvviso, in un luogo del genere.
Fece forza sugli avambracci per sollevare il busto. Era sdraiata a terra, su quel pavimento di asfalto annerito e coperto di polvere, e le doleva la schiena. Aveva pure mal di testa. Si massaggiò le tempie, senza ottenere alcun risultato. Decise che tentare di alzarsi in piedi era la scelta migliore. Le ci volle un po’ per farlo come si deve, però, perché scoprì di avere le gambe tremanti e deboli, come se non avesse camminato per mesi.
All’ennesimo traballamento, si appoggiò ad una pila di bancali in legno lì vicino, respirando affannosamente.
Non aveva davvero alcun ricordo. Tabula rasa, il vuoto assoluto. Beh, quasi: qualcosa c’era, ma era talmente vago e confuso che non le diceva nulla. L’immagine sfocata di una creatura dagli occhi rossi, un grido, e poi solo quel dolore, fino al suo risveglio.
Ah, c’era anche uno zaino, sul pavimento. Il suo contenuto era sparso ovunque, doveva essere caduto aperto, e libri scolastici e penne erano lì in bella vista. Il libretto scolastico, o un abbonamento dell’autobus, pensò. Se li avesse trovati, magari avrebbe saputo a chi appartenevano. O se erano suoi.
Frugò per diversi minuti tra tutta quella roba, ma non trovò nulla per un bel pezzo. Solo alla fine riuscì a recuperare la tessera d’identità dell’abbonamento, scivolata tra le pagine di un voluminoso libro di greco antico. La fotografia era quella di una ragazza pallida con i capelli neri e gli occhi viola. Seppe che era lei, semplicemente. “Dianoia” lesse. Il suo nome era Dianoia.
Barcollando, uscì da quel posto, che le sembrava una specie di officina. La cosa più sensata da fare. in quel momento, sarebbe stato cercare qualcuno, e chiedere aiuto. Ma qualche strana motivazione, la spinse invece ad allontanarsi, e camminare tra i campi circostanti, dove cresceva rigogliosa una coltivazione di grano.
Non aveva camminato neanche dieci minuti, che un ragazzo ed una ragazza furono davanti a lei. Praticamente sbucati dal nulla.
- Come ti chiami? – fece la prima.
Lei batté le palpebre confusa. Il ragazzo mise una mano sulla spalla della ragazza, e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Poi tornò a voltarsi verso di lei, con espressione dolce e rassicurante. Le tese la mano.
- Perdona la nostra irruenza. Stiamo cercando una ragazza, che probabilmente ha avuto trauma da non molto tempo –
- Io non ricordo nulla – mormorò Dianoia – Ma credo che qualcosa mi sia successo –
Il sorriso del ragazzo si allargò. – Vieni con noi –
 
Dianoia era la Prima Astral. Lo era diventata in pochissimo tempo, e senza alcuna discussione in proposito. Quello di Prima Astral era un ruolo molto simbolico, in realtà. Lo era diventata perché le sua abilità sia di combattimento che di utilizzo della magia era spaventosamente superiori a quelle dei suoi simili, ma non era solo una questione di forza. Essere Prima Astral significava essere la guida, la leader, la Stella Polare degli altri Astral. A lei si rivolgevano nei momenti di difficoltà. Lei era il punto di riferimento di ogni altro Astral. Ed era una sensazione meravigliosa.
Non aveva recuperato i ricordi, ma non le interessava. Non aveva neppure cercato di capire chi fosse in precedenza, perché non aveva alcuna importanza. Lei era Dianoia, prima Astral dell’associazione, e tanto bastava. Aveva anche smesso di domandarsi cosa le avesse fatto perdere la memoria. Simon, uno dei membri fondatori dell’Astral Project, era invece molto più curioso in proposito. Aveva indagato su di lei, anche se Dianoia aveva rifiutato la proposta di farle sapere ciò che avrebbe scoperto, ma sembrava sempre insoddisfatto. A quanto pareva, la sua vita era stata abbastanza normale. L’unica cosa che era fuori dalla norma era la sua improvvisa perdita di memoria, avvenuta in contemporanea ad una specie di esplosione energetica, che aveva  ingigantito a dismisura la sua aura tutt’un tratto. Era proprio per quel motivo che l’avevano cercata e trovata poco dopo il suo risveglio: la trasformazione repentina della  concentrazione di energia in lei aveva messo l’associazione in allarme. A quanto pareva, per lei non avrebbe dovuto essere ancora il momento per svegliarsi, ma qualcosa doveva essere successo ed aver non solo accelerato il processo, ma anche amplificato i suoi poteri.
Era venuta a conoscenza del motivo del disagio che parecchi altri membri, specialmente Simon, sembravano provare alla sua presenza. Qualcuno le aveva parlato di una certa Alicia, figlia di Simon, che era stata trovata morta non moltissimo tempo prima. Era lei la precedente Prima Astral, e da come tutti ne parlavano doveva essere davvero straordinaria. Vedevano in lei qualcosa di Alicia, e questo li inquietava.
Ma c’era anche qualcuno che sembrava tutto tranne che infastidito da lei. C’era quel demone dagli occhi rossi, affascinante ed attraente. La sintonia con lui era stata spontanea, naturale. Erano fatti per lottare assieme, parlare assieme e parlare agli altri assieme.
Tutto era perfetto, tutto andava bene.
Andava perfettamente bene.
 
- Questo segnale è quello di cui vi parlavo –
- Non ti sbagli, Simon. Sta crescendo velocemente, a ritmo stabile e regolare. È una specie di prodigio, come la prima Astral, Dianoia –
- Oh, no. Se continua così questa ragazza sarà ancora più dotata di lei. Dianoia è un fenomeno, ma è così oscura… limita se stessa, non ammette trasgressioni nemmeno da parte propria. C’è qualcosa di strano in lei, qualcosa che mi mette i brividi –
- Capisco benissimo cosa intendi. È una ragazza tenebrosa. Questa invece splende come una stella, è quasi abbagliante. Guarda come si espande, come cambia forma per toccare le persone che la circondano… se questa futura Astral sarà come promette, avremo una nuova Prima Astral –
- Esatto. E a dir la verità, credo che sia solo per il meglio. Preferisco una fanciulla fatta di luce, per quanto anche questa sia un’anomalia nel suo genere, che una fatta di ombre –
 
Odio. Rabbia. Disgusto. Disprezzo.
Perché? Lei era l’Astral più potente in vita, lei! Come potevano dire di volerla rimpiazzare con una bambinetta che ancora nemmeno si era svegliata? Cosa dava loro l’arroganza di poter decidere chi delle due fosse migliore prima ancora che l’altra si palesasse?
Li odiava, li odiava tutti.
Eccetto Sebastian. Mai Sebastian.
- Mia lady? –
- Ce ne andiamo, Sebastian. Li uccideremo tutti. Come tu hai ucciso Alicia –
Il demone sogghignò. – Yes, my lady –
 
 
 
 
 
 
 
 
 
******
Note:
Mi dispiace davvero per averci messo così tanto ad aggiornare. Il fatto è che ho iniziato un’altra fanfiction in un’altra sezione, e davvero non potevo aspettare prima di pubblicare anche quella. Ma sono sicura che le adorabili e comprensive lettrici sapranno essere clementi con me, non è vero?
Comunque farò tutto ciò che posso per non metterci troppo.
Il disegno rappresenterebbe Black Lady.
Kisses <3
Sofyflora98


   
 
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