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Autore: Utrem    25/10/2015    1 recensioni
Dopo che lei e suo marito hanno conosciuto tramite mezzi magici il genere del loro bambino, Merope Gaunt decide che quella sera non avrebbe versato l'Amortentia nel suo bicchierino di liquore.
Il giorno seguente, Tom Riddle si risveglia in un mondo capovolto.
Dal testo:
'"Non stai bene, Tom?" gli chiese con premura, in un sussurro quasi impercettibile della vocetta roca.
E difatti il ragazzo non la sentì: anche perché adesso aveva capito. Aveva ricordato tutto.
Lei era Merope Gaunt e loro due vivevano assieme.
Quella stanza era la loro camera da letto. Si tastò il dito: sì, portava un anello, erano sposati. Il suo ventre era gonfio perché aspettava un figlio.
Suo figlio.
Il sogno non era un sogno e tutto era vero.
Tom stava spalancando così tanto gli occhi da schiacciarsi la fronte e farla rientrare invece che sporgere. Un'onda di ricordi aveva cominciato ad affluire al suo pensiero, incessante: ricordi di scelleratezze, avvenimenti senza senso, follie... che aveva fatto? Come? Perché? Non poteva essere stato lui, ma... suo padre e sua madre! Zio Robert! Come lo giudicavano adesso?! Cosa stavano subendo per colpa sua?!'
Genere: Horror, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merope Gaunt, Tom Riddle Sr.
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'L'amore di Voldemort'
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Aprì subito gli occhi per staccarsi dal tremendo sogno: subito sentì pesanti coperte ricamate avvolgerlo e pizzicarlo piacevolmente, e vide distendersi avanti ai suoi occhi delle tende di velluto, tirate, e schizzate di scarlatto nei punti in cui la luce dolcemente le carpiva, aiutata dalla brezza che sgusciava tra le ante della finestra, e bloccata nel percorso verso di lui da un massiccio armadio addossato a sinistra, fatto di mogano e scolpito con pregio.

Quell'ambiente gli era più familiare e gradito che mai; eppure, a vederlo in quel momento, pareva distante, quasi etereo, come se fosse stato ancora intrappolato nel sogno. Non solo: c'era anche qualcos'altro, che la confusione del risveglio gli impediva di mettere a fuoco...

"Tom, caro, sei sveglio? Ti ho preparato la colazione... scendi pure quando sei pronto, io sarò giù ad aspettarti..."

Ma... come?! 

Non aveva proprio idea di chi fosse quella voce! Possibile che stesse avendo un'amnesia?

Lanciato con irritazione dall'altra parte un lembo delle coperte per scoprirsi, si sedette sul bordo del letto e chinò un attimo il capo per toccarsi le tempie e le gote ardenti. Mentre arrossiva dallo sdegno, il suo addome fu trapassato da una fitta sferzante e, costretto in un moto di rigurgito, Tom macchiò sia il pavimento sia le meravigliose coperte d' un copioso e vischioso liquido rosso. 

Sconvolto, trattenne il fiato e si tappò la bocca per bloccare il vomito: quella sostanza non aveva un bell'aspetto ed era, con ogni probabilità, responsabile della sua infermità, ma vederne di più in quel momento era l'ultima cosa di cui avrebbe avuto bisogno.

Cercò invece, ancora una volta, di restituire alla mente il ricordo di quella voce e di quella stanza... quando la porta fu aperta con lievità da una mano delicata e apparve una ragazzina, con passetti tanto leggeri da far sì che neppure lui l'avesse potuta sentir arrivare. Aveva il mento appuntito, le guance scavate, la fronte spaziosissima e le orecchie aguzze, cosicché che il suo viso pareva avere perfetta forma triangolare; i suoi occhi erano sottili e obliqui e guardavano l'uno il soffitto, l'altro il pavimento, i capelli ondulati neri erano tenuti disordinatamente in una retina, le sue spalle non erano più alte della maniglia della porta, ma, e soprattutto, aveva un enorme pancione sferico che, messo in rapporto con la sua minuscola figura, la rendeva sproporzionatissima e, se possibile, ancora più brutta di quanto non fosse già.

"Non stai bene, Tom?" gli chiese con premura, in un sussurro quasi impercettibile della vocetta roca. 

E difatti il ragazzo non la sentì: anche perché adesso aveva capito. Aveva ricordato tutto.

Lei era Merope Gaunt e loro due vivevano assieme. 

Quella stanza era la loro camera da letto. Si tastò il dito: sì, portava un anello, erano sposati. Il suo ventre era gonfio perché aspettava un figlio. 

Suo figlio. 

Il sogno non era un sogno e tutto era vero.

Tom stava spalancando così tanto gli occhi da schiacciarsi la fronte e farla rientrare invece che sporgere. Un'onda di ricordi aveva cominciato ad affluire al suo pensiero, incessante: ricordi di scelleratezze, avvenimenti senza senso, follie... che aveva fatto? Come? Perché? Non poteva essere stato lui, ma... suo padre e sua madre! Zio Robert! Come lo giudicavano adesso?! Cosa stavano subendo per colpa sua?! 

"Ti devo parlare, Tom. Mi dispiace che tu stia soffrendo a causa mia, ma nel momento in cui ti spiegherò e capirai, ti assicuro, non avrai più nulla da preoccuparti e ogni ragione per essere felice" sillabò la ragazzina, stirando la bocca e sedendosi al suo fianco.

Tom allora s'alzò e tentò di urlarle contro, ma riuscì soltanto a emettere fiato: aveva perso la voce.

"Non c'è bisogno che tu parli: se mi vuoi dire qualcosa, è sufficiente che mi guardi negli occhi, e allora sarò in grado di interpretare i tuoi pensieri" spiegò Merope, inarcando lievemente le sopracciglia, e afferrandogli mignolo, indice e medio con la manina, grande circa metà della sua, per riaccompagnarlo a sedere sul letto. 

Al contatto, Tom rabbrividì e cercò subito di sciogliere la stretta, finendo per ritrovarsi il polso immobilizzato. 

Così si confermava la più tremenda delle memorie: le stregonerie esistevano, e Merope era una strega.

"Sì, Tom: sono una strega, ma ciò non significa quello che credi. E non è neppure vero che tutto quello che abbiamo vissuto quest'anno è falso. Non è forse ancora vera la nostra gioia, da quando ieri abbiamo scoperto, grazie a me, che aspettiamo un bambino? Un bambino che ti somiglierà, che sarà tutto suo papà e lo renderà tanto, tanto orgoglioso... come puoi non esserne felice? Ieri sera cenavamo, e hai impiegato due ore a dirmi quanto eri contento d'avere un maschio e che non avresti ammesso che avesse avuto altro nome all'infuori del tuo. Te lo ricordi, vero? ... d'accordo, adesso ti lascio parlare: però calmati, ti prego!"

"SGUALDRINA!" sputò Tom, rialzandosi di scatto in piedi non appena fu liberato dalla mano della sua aguzzina, porpora dal furore "Che mi hai fatto...?! Alla mia famiglia...?! IO TI SVENTRO! IO TI UCCIDO!"
Afferrata di scatto una lampada, Tom stava davvero per portare a compimento quanto aveva detto, al punto che Merope, rimasta seduta, fu obbligata a fargli scivolare via dalle mani l'oggetto, sdrucciolare dall'altra parte del letto per evitare il colpo e bloccarlo di nuovo nei movimenti.

"Io... ti capisco" continuò, le lacrime che cominciavano a inumidirle gli occhi vacui e storti "Ma tu devi capire me, e non puoi capirmi senza ascoltarmi. Dunque parlerò. Io... non sono solo una strega, Tom: discendo da Salazar Serpeverde, uno dei maghi più potenti che il Mondo Magico abbia mai conosciuto. Purtroppo, col passare degli anni, la nostra famiglia si è decimata e adesso rimaniamo solo io, mio padre e mio fratello. Sin da piccola ho sempre creduto di non essere la degna Erede di Salazar e ho umiliato mio padre con la mia insicurezza e la mia stupidità. Facevo solo disastri, e lui giustamente mi puniva e mi insultava per questo. Infatti è compito mio portare avanti la nobilissima stirpe dei Serpeverde e far sì che non si estingua: questo lui mi ripeteva sempre e io non l'ho mai dimenticato. Per tutta la mia vita ho pensato d'essere assolutamente, assolutamente indegna, sai, Tom? Uno straccio sucido, la vergogna dei Purosangue, una maledizione scagliata contro i miei avi! Sì che lo sai: te lo dico sempre. Però, un anno fa, qualcosa è cambiato. Da quando ti ho visto, sai? Ho subito capito chi eri: un uomo bello, ma anche potente, astuto, temerario e carismatico. Ti ho amato sin dal primo istante, per questo, e più ti amavo, più capivo che avevi tutte le qualità migliori che chiunque, Mago o Babbano, possa avere. Mio padre e mio fratello, ovviamente, non capivano e ti bersagliavano, ed io ero triste perché non sapevo come far sì che capissero chi eri tu davvero. Poi sono andati in prigione: anche per questo sono stata triste, Tom, e anche questo te l'ho detto tante volte, anche se, proprio mentre erano in prigione, ho avuto finalmente occasione di conoscerti e sì, sì, lo so, ti ho dato quel filtro, quello che hai appena vomitato. Un filtro... d'amore. Ma ti spiego perché. Io sapevo, credevo, giustamente, che tu non mi volessi bene e che in ogni caso, anche conoscendomi a fondo, mi avresti odiato, e allora ho fatto sì che ci potessimo incontrare senza che tu arrivassi subito a disprezzarmi. A partire da quel momento, Tom, tutto è cambiato nella mia vita. Grazie a te, ho capito di non essere indegna. Quando la sera mi lamentavo di me stessa e dicevo di non meritarti, tu replicavi non solo che ti meritavo, ma che non c'era altra donna al mondo più degna di te. Ci ho impiegato davvero tanto, Tom, ma alla fine ho capito che avevi ragione. Non c'è altra donna al mondo più degna di te di me, perché non è vero che sono un'incapace e una disgustosa Magonò come diceva sempre mio padre: io sono l'erede di Salazar Serpeverde, il Mago più nobile e più illustre nella storia dei Maghi, e per questo ho ricevuto in eredità le sue straordinarie abilità. Prima non lo sapevo, e allora nessuno, compreso mio padre, l'avrebbe mai detto, ma adesso lo so, e la mia magia è leggendaria, e le mie capacità superano quelle di ogni altro Mago esistente. Ti rendi conto, adesso, Tom, amore mio, di quanto sarà grande tuo figlio? Sarà bellissimo, buono, intelligente e coraggioso, proprio come te, ma sarà anche forte e renderà onore e gloria alla nostra famiglia come nessuno ha mai fatto prima. Adesso prova a dirmi che non sei felice e che non adorerai il nostro meraviglioso bambino almeno quanto lo adoro già io, mentre lo sento scalciare nella mia pancia e, mi pare, già divertirsi con qualche trucchetto di magia? Sicuramente, ma già si capisce, sarà un prodigio e stupirà tutto il Mondo Magico, e questo per merito di entrambi: tuo, per essere un uomo eccezionale, e mio, per avergli fatto ereditare le migliori qualità dei nobilissimi Serpeverde. Non vedo l'ora che mio papà e mio fratello escano da Azkaban per far capir loro quanto vali e quanto siamo stati fortunati! Finalmente avranno motivo d'essere fieri di me e smetteranno d'avere inutili pregiudizi sui Babbani, perché davvero non c'è persona che abbia mai conosciuto che sia perfetta quanto lo sei tu. Allora, tesoro, che pensi adesso?"

Tom irrigidì la mascella, sconvolto dalla pazzia di quella megera e tracotante di rabbia. Aveva gli occhi sbarrati e temeva stesse per sopraggiungere un infarto. Ma... Cecilia, Cecilia! Dov'era la sua Cecilia?! Per mesi e mesi non aveva più pensato a lei e nemmeno fra i suoi indistinti ricordi riusciva a cogliere qualcosa che la riguardasse! Magari Merope l'aveva ferita?! Forse l'aveva uccisa!

"A CECILIA!" sbottò allora la strega, arrivando a un nuovo picco con la vocina rauca "Dopo tutte queste meravigliose cose che ti ho detto, tu sei solo capace di pensare a... lei! No, non è morta, no, non è malata e no, non è neppure ferita... ma cos'è che ti può dare Cecilia, Tom? Non hai capito che io posso esaudire ogni tuo desiderio? Nessuno meglio di me è in grado di capirti, di risolvere i tuoi problemi e aiutarti a realizzare quello che vuoi... nessun'altra donna su questa Terra è in grado di darti un bambino tanto straordinario, quel bambino straordinario che hai tanto desiderato nei nostri mesi di vita assieme! Tom... ti prego..."  

Desolata, Merope abbassò il capo e la guardia. 

Allora il ragazzo, senza un attimo di esitazione, approfittando subito del momento, le saltò addosso come un felino e, tenendo sempre la testa voltata da un'altra parte per evitare che leggesse le sue intenzioni, le assestò un fortissimo pugno nella pancia. Dopo averla vista stramazzata con successo sul letto, estrasse la pistola dal fodero che teneva sempre allacciato alla vita, anche sotto la vestaglia, e la puntò verso il suo addome.

Il pollice era sul punto di premere il grilletto, quando... 

... fu costretto a lasciar cadere la pistola. 

Il suo dito era diventato un mozzicone nero. 

Improvvisamente il pavimento subì un violentissimo scossone e Tom ruzzolò a terra. Provò subito a rialzarsi, ma le scosse continuavano imperterrite e riusciva soltanto a battere la testa. Nel momento in cui scorse di nuovo, per un colpo di fortuna, la pistola, questa esplose in un mucchietto di polvere.

"NON LUI!" sentì una voce tonante, che doveva essere evidentemente quella, irriconoscibile, di Merope "NON LUI! NON HA COLPE! NON FARE DEL MALE A LUI!"

Infatti era lei: in piedi in un angolo della stanza, sembrava essere molto più alta del solito e le sue braccia, un attimo prima esili e fragilissime, parevano sul punto di far esplodere le cuciture del suo abito da notte.

Tom s'aggrappò ai piedi del letto per resistere al terremoto e, afferrata nuovamente la lampada caduta prima per terra, provò di nuovo inutilmente a scagliarla contro la fattucchiera. Fallito anche questo tentativo, si fece trascinare da uno scossone all'altro lato della stanza, dove si trovava lei, e, sfilato un pugnale dall'elsa d'oro sempre dallo stesso fodero, in uno slancio anaerobico, riuscì miracolosamente a bucarle la pancia.

Un istante dopo, però, capì d'aver commesso un grave errore.

In un soffio, il pugnale gli fu tolto dalle mani e si conficcò nella sua schiena, trapassandolo.

Allora gemette, mentre veniva spinto da uno sbuffo di vento contro la parete e sentiva la lama ruotare circolarmente e rilasciare qualcosa di simile a un acido che, diffusosi come un morbo in tutta la sua schiena, la fece ardere, cuocere e poi bollire, rendendo la sua carne molle, bruna e umida a contatto con l'intonaco bianco, liscio e asciutto. 

Frattanto, tutti i vetri nella stanza s'erano rotti e la tiepida luce dell'alba era scomparsa, lasciando posto a un cupa e gelida tempesta. L'ombra della strega, che si trovava esattamente davanti alla finestra, era divenuta gigante e  i suoi occhi, di solito sbiechi, si raddrizzarono e puntarono nella sua direzione.

A quel punto Tom vide il suo corpo cotto iniziare a corrugarsi e rovinarsi, proprio come se il tempo fosse cominciato a scorrere venti volte più velocemente del solito; il letto si sollevò e prese a roteare vorticoso in aria, nel tentativo di colpirlo; l'armadio si schiantò contro il soffitto e la casa fu scoperchiata del tetto,  che iniziò a fluttuarci sopra circolarmente, cosicché che a intervalli i coniugi furono coperti dal solo cielo grigio e videro l'uno il volto inumano dell'altro illuminato dai fulmini. 

Tom cercò con tutte le sue forze di strapparsi il pugnale dal dorso senza guardarsi le mani, divenute nere, ossute e microscopiche, finché non ce la fece più e il dolore asfissiante gli fece abbandonare il capo su una spalla.

"TOM!"

In un batter d'occhio l'ombra della ragazza si ridusse alle dimensioni consuete, il vetro si ricompose, il tetto si ricongiunse alla casa, l'armadio si riassestò rasente la parete,  il letto ricadde sul pavimento come un sasso e Tom, a seguire, come una piuma. 

Pareva esanime, e Merope era a pezzi. 

Piangeva disperata, accarezzandosi l'addome, di cui era riuscita a fatica a far riemarginare la ferita. Non aveva voluto niente di tutto questo. 

Impiegò le ore successive a creare gli intrugli necessari per curare il marito, mentre il temporale continuava a infestare il paesaggio circostante la casa, segno del turbamento incessante dei suoi pensieri.

Era venuta sera, quando finalmente era riuscita a farlo guarire del tutto. Avrebbe voluto umilarsi, ferirsi, mortificarsi nei peggiori modi possibili, ma non lo fece: non poteva rischiare di fare del male al piccolo Tom più di quanto non gliene fosse già stato fatto in quella giornata. 

Si decise infine a fargli riprendere conoscenza, e subire tutto quello che avrebbe desiderato infliggerle, impedendogli sempre però di toccare il suo bambino.

Tom riaprì gli occhi, e fu peggio di quando li aveva riaperti quella mattina, poiché adesso non c'erano né confusione, né amnesia ad alleviare la sua condizione e più che mai aveva paura di morire prima di aver rivisto le persone a cui voleva bene.

"Puoi andartene" mormorò Merope in lacrime, che aveva riacquistato la sua vocina flebile da bambina spaventata "Non ti tratterrò. Ma ti scongiuro di ricordarti di tuo figlio, non volergli male e di non lasciarlo solo: io sono assolutamente indegna di crescerlo, perché non ho nessuna delle sue, delle vostre buone qualità, mentre tu puoi fare tanto per lui... ti prego di farlo, perché per quanto possa già avere in sé, diventerà grande solo se avrà qualcuno accanto che glielo dica, altrimenti crescerà pensando d'essere uno straccio sucido, e soffrirà tantissimo... non farlo per me, Tom: fallo per te, fallo per lui!"

L'uomo, avendo capito allora che non aveva più nulla da temere da lei, s'alzò, distintamente com'era uso in un contesto normale; poi diede uno sguardo alla sua vestaglia per assicurarsi che fosse stata nettata delle tracce di sangue, un'ultima controllata alle mani, alle braccia e alle gambe per verificare che fossero tornate normali, si cambiò, recuperò la sua pistola, il suo pugnale con l'elsa d'oro e abbandonò per sempre quella turpe casa, cercando furiosamente di dimenticare quanto aveva vissuto e risoluto a riparare a tutti i danni che aveva fatto: questo, però, non prima d'aver donato un ultimo, severo sguardo alla piccola maniaca, cosicché fosse sicura delle sue più salde e incrollabili intenzioni a non preoccuparsi mai più del bambino. 
 

 
   
 
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