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Autore: almanoera    26/10/2015    5 recensioni
MajorCharacter!Death | Conteggio: ~3.5k
Carl adagia il capo sulla sua spalla, Rick lo stringe a sé. Entrambi sono consapevoli d'essere giunti al capolinea, impotenti sull'orlo di un baratro. Probabilmente le chiazze rossastre che dipingono il cielo ed il suo tramonto infondono la più tenera tranquillità, Rick guardando le medesime sfumature color vinaccia espandersi sul corpo del figlio si sente, invece, annientare.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Carl Grimes, Rick Grimes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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If you must wait, wait for them here in my arms as I shake,
if you must leave, leave as though fire burns under your feet,
if you must fight, fight with yourself and your thoughts in the night,
and if you must die, darling, 
remember your life.


 )

 
 
I

Gocciolava di scarlatto la ferraglia rumorosa dei cancelli d’Alexandria. Per le strade di quest’ultima vi erano sparsi corpi senz’armi e privi di vita, brandelli di pelle strappati rovinosamente alla loro dimora ed adesso nelle lerce mani di defunti tenuti in piedi da gambe confuse e barcollanti. La comunità non era altro che un grido, un grugnito proveniente da chissà quale inferno, all’inizio e negli angoli delle strade s’udivano sospiri straziati e consapevoli della fine.
 
Dovevano essere sicuramente le sei del pomeriggio, il cielo sfumava di rosa, chiazze d’arancio abbracciavano le nuvole grigiastre in contrasto con quelle chiare intente a fondersi tra loro, a dilatarsi, ad allontanarsi divenendo forme isolate.
 
Carl stava ascoltando quel tormento che s’articolava in lontananza, aveva già visto abbastanza, adesso i suoi occhi chiari come quello stesso cielo stavano volgendosi proprio verso quest’ultimo; sulle sue labbra squarciò un sorriso e dalle piaghe schiuse e rosee di quello inferiore sgusciò una stilla di sangue che colò e proseguì colando sino alla punta del suo mento. Erano screpolate. La sera precedente non avrebbe dovuto sedersi in veranda, ricordava il vento gelido e pungente che quasi stava schiaffeggiandogli le guance, ma nonostante ciò aveva continuato a leggere ‘Wolf Fight!’ [1] – era quasi alla cinquantesima pagina, un’altra decina ed avrebbe finito anche il nono volume – finché le sue palpebre non avevano avuto modo di calar giù e le braccia di Morfeo non avevano avuto la meglio attorno al suo corpo, cullandolo dolcemente per tutta la notte. Lo ricordava, sì, lo ricordava talmente bene. Ricordava anche la mattina seguente, e ricordava anche quel che pochi minuti prima era accaduto e tutt’ora stava accadendo, ma preferiva rimembrare quel che di più tranquillo aveva avuto modo di vivere durante quei giorni. La sedia che dondolando gli aveva conciliato il sonno, i fruscii e sibili notturni di qualche creatura serale che alle sue orecchie erano giunti come le note della più rilassante ninna nanna. Suo padre ancora non era rincasato, s’era ripromesso d’aspettarlo sveglio, avrebbe voluto stringergli le braccia attorno al collo e sospirare di sollievo alla sua vista viva e vegeta. Ci sperava sempre, ed ogni volta temeva per il peggio.
Suo padre non era tornato quella notte, nemmeno la mattina seguente, ed ora, perdendosi nelle flemmatiche sfumature in movimento che quello splendido tramonto proiettava, stava rendendosi conto che nemmeno quello stesso pomeriggio aveva fatto ritorno a casa. Quella che lui era convinto si chiamasse casa, quella che lui desiderava prendesse il nome ed il luogo di casa. Quattro mura, un tetto, qualche fumetto da sfogliare, una brioche alle cinque d’ogni pomeriggio, le lisce ciocche color grano di Judith nelle quali passarci le dita ogni sera prima di coprirsi fino al mento con un piumone caldo.
 
Tra le dita non stringeva nulla. Era corso via, armi non ne aveva. Quelle che aveva a portata di mano – forse una Glock17 ed un Mossberg590, non che ricordasse granché i loro nomi, semplicemente una pistola ed un fucile carico – le aveva riposte sui gradini della casa che era stata assegnata a Carol, era stato meglio così. Era fuori da Alexandria, se dall’interno di essa il cielo s’intravedeva e basta, fuori da essa lo spettacolo era differente. La sua camicia campagnola s’era scurita, giacevano chiazze vinacce sopra di essa, che riempivano ogni quadrone disegnato sul tessuto, sui risvolti delle maniche che avevano urtato ripetutamente i lati dei cancelli. Non s’era mai soffermato ad osservare la cotanta bellezza del sole giunto ormai al tramonto, del mattino che s’addormenta profondamente lasciando spazio al suo compagno ed al contempo acerrimo opposto buio. Nemmeno le sue gambe avevano mai tremato, le sue dita unicamente se attorno al grilletto. In quel momento era pari ad una foglia d’alloro nel cuore di una violenta tempesta. Non pensava vi fosse talmente tanto vento da poterlo spazzar via con così tanta facilità, né pensava che qualche vagante lo avesse nuovamente raggiunto in una delle loro asfissianti morse.
 
“Per l’amor del cielo, Carl! Dimmi qualcosa, dimmi se riesci a sentirmi”, si era sbagliato, quel pomeriggio – seppur sul tardi, erano passate le sei, Carl avrebbe voluto far merenda con lui, offrirgli una brioche alla crema – suo padre era tornato. Il freddo non pungeva più le parti scoperte del suo corpo, ogni strappo della sua camiciola lacera era stato rattoppato dal calore sprigionato dalla pelle di un Rick che aveva corso troppo, persistente contro il corpo del più piccolo in fin di forze.
 
Rick era vivo, Carl era sereno sapendo ciò. Stordito, probabilmente non si riconosceva nemmeno più, non aveva piena coscienza di sé, faticava a reggersi sulle ginocchia, ma sereno. Una sua mano snella ed affusolata s’avvicinò al volto ruvido del padre. L’indice di quella stessa gli sfiorò qualche accenno di barba, di sfuggita il lobo di un orecchio, tracciò una delle quattro rughe sulla sua fronte corrucciata; volle rendersi conto che quello non fosse nient’altro che uno scherzo amaro della sua immaginazione. “Sei vivo, è bello saperti vivo, pensavo non avresti fatto più ritorno.. Ero preoccupato, lo sai? Sicuramente anche Judith lo era, lo sarà ancora, lei non ti ha visto per tutti questi giorni, va’ a salutarla..”, le labbra di Carl farfugliavano impastate da una strana sonnolenza. Scandivano parole senza alcun senso, o almeno con poco d’esso in loro. Non aveva sonno, però era come avvolto in un accogliente tepore che stava facendogli calar le palpebre sempre più giù. S’erano fermate a metà, i suoi chiari zaffiri incastonati in una valle ormai bianca e smorta erano divenuti due mezzelune.
 
“Cazzo, non ti permettere, non ti azzardare, Carl! Non chiudere gli occhi, parla con me, segui la mia voce, sforzati di raccontarmi cosa è successo”, aveva ereditato gli occhi del padre, Carl. In quel momento, però, quelli di Rick erano più scuri ed era come se stessero divenendo, secondo dopo secondo, due pozzi cupi senza alcun fondo. Le labbra le aveva ereditate da Lori, ed era certo che tra gli sprazzi verdastri, arancioni e rosei di quel tramonto vi fossero anche i suoi di occhi che stavano vegliandolo. Le parole di suo padre accarezzavano le sue orecchie quasi come delle voci aggrovigliate e lontane. Il sorriso arcuato sulle labbra del bambino non crollò nemmeno quando una mano ingombrante e callosa sfiorò lo squarcio presente sul suo collo vessato dai precedenti morsi. Percepiva un vago dolore, nulla di così penetrante. La sua schiena esile fu scossa da numerosi brividi che gli attraversarono la dorsale fino a giungere ad ogni punta dei capelli; sentiva quasi solletico, un dolore minimo ovattato dalla vuota ed infelice consapevolezza che stava espandendosi dentro di sé, in quel momento più insistentemente di prima.
 
Rick s’abbandonò. Le sue gambe non ressero, le ginocchia si scontrarono con la terra umida, le pietre spigolose ed appuntite gli strapparono il tessuto dei pantaloni. Forse qualche spuntone grigiastro gli graffiò profondamente la pelle di un ginocchio, forse il suo petto stava pesandogli incredibilmente, forse stavano scucendosi tutte le toppe che s’era imposto di cucire sopra ogni posto del suo cuore che ne necessitava. Non stavano solo scucendosi, bensì stavano portando via con loro, strappando via anche la stoffa integra e ben cucita che era rimasta. Era poca, nulla di particolarmente abbondante.
Non era più niente, solo un groviglio di sensazioni ed emozioni contrastanti tra di loro, una strada zeppa di bivi, una voragine scura nella quale sprofondare e nella quale avrebbe voluto sprofondare.
Quando chinò il volto qualcosa nella quale sprofondare la trovò; la punta gocciolante del suo naso affondò tra le ciocche castane di suo figlio, gli occhi strabuzzati, le ciglia oramai zuppe dalle lacrime che non facevano altro che sgorgare silenziose dai contorni arrossati dei suoi occhi.
 
“Hai fatto del tuo meglio, papà. Per tutti, per mamma, per Judith, per me. Non rimproverarti..”, Carl annaspò per concedersi un respiro, il fiato cominciava a divenirgli corto, scarseggiava in gola, s’incatenava in essa. Un singhiozzo affranto gli varcò rumoroso le labbra schiuse che aspettavano di poter riprendere parola. Provò ad ingoiare – seppur fosse già tardi – anche quello. Non avrebbe dovuto piangere, avrebbe dovuto essere forte, continuare a sorridere dinnanzi agli occhi del padre, stringere i pugni fino all’ultimo respiro ed infondergli la giusta forza per andare avanti anche in propria assenza. Non riuscì in tale intento, le sue labbra carnose e screpolate s’inarcarono verso il basso ed un pianto liberatorio si fece strada sul suo volto diafano, oramai ancor più pallido. Carl stava morendo, i suoi ultimi respiri erano giunti, ogni fibra del suo corpo chiedeva pietà, perdeva sangue e quello che in corpo gli era rimasto era stato vittima di quell’atroce infezione. “..N-non rimproverarti mai di nulla. In questi giorni hai fatto di tutto per proteggere questa comunità, per proteggere tutti.. tutti noi.. e, per favore, per favore, quando avrò chiuso gli occhi, uccidimi”, gli occhi di Carl inevitabilmente si strinsero, “Non permettere che io diventi come uno di loro, non permettermi di fare del male a qualcuno”, le lacrime scivolavano copiose lungo le sue guance, avvertiva quelle di suo padre inumidirgli i capelli e le sue braccia stringerlo ancor più forte al petto caldo ed ampio. Rick non voleva lasciarlo andare, scuoteva la testa convulsamente in chissà quanti taciti no, no, no. Non si capacitava nemmeno del fatto che suo figlio, tra le sue braccia, stesse perdendo la vita. Tra le sue braccia e dinnanzi al suo sguardo incredulo e disperato.
 
“Non posso, mi stai chiedendo.. voglio dire, mi stai chiedendo troppo, io non posso.. non posso, mio Dio, non posso puntarti una maledettissima pistola alla tempia e premere il grilletto”, il volto di Rick riemerse dalla folta e scura chioma di Carl nella quale per quei brevi minuti era stato sepolto. La voce non sembrava neanche più appartenergli, era acuta, affannata, rabbiosa e scossa dai tremori mentre ingoiava a fatica ogni debole singhiozzo. Era come se stesse chiedendo al figlio di non morire, di rimanere in vita per qualche ora, per qualche giorno, per far sì d’avere quel giusto tempo che necessitavano per dirsi addio, per dirgli qualsiasi cosa che l’orgoglio gli aveva impedito di sputare nel mentre di tutto quel tempo perché ce ne sarebbe stato ancora di tempo. Avvertiva l’urgente necessità di dirgli qualcosa che andasse oltre il semplice ‘sono fiero di te’, oltre il ‘sei un uomo, Carl, non abbassare mai la guardia’. Il petto era come se stesse scoppiandogli, nella sua mente vagavano migliaia di parole, frasi, periodi sconnessi che avrebbe voluto gridare a suo figlio. “Possiamo.. possiamo rimediare, va bene? Possiamo trovare un luogo sicuro, possiamo curarti, ti porto dagli altri o almeno aspettiamo che tornino qui, posso..”
 
“Papà”, la voce oramai flebile di Carl interruppe il flusso di parole slegate che le labbra di Rick stavano facendo vagare nell’aria. Non un fiato, bensì il silenzio dopo quel richiamo. Il più piccolo stentava a parlare, le parole fuoriuscivano con gran sforzo, si trattava di una questione scandita dai minuti, che Rick nel profondo sperava fossero interminabili. Le mani di Carl cercarono di raggiungere il volto umido del padre e ci riuscirono. Oltre a raggiungerlo s’appoggiarono su entrambe le sue guance ed asciugarono queste ultime dallo strato bagnato che le ricopriva. Sui dorsi e tra le scanalature delle nocche del bambino scorrevano le lacrime che gli occhi di suo padre ancora stavano rilasciando senza alcuna sosta,“Ti voglio bene, io..”, strinse i denti forte, digrignarono tra loro a causa della forza con la quale Carl li pressò gli uni contro gli altri. Il mento gli tremava forte, i singhiozzi trattenuti in gola gli facevano agitar spasmodicamente entrambe le spalle finché non riuscì ad inspirare debolmente, “..I-io ti voglio bene ed avrei voluto ascoltarti questa sera mentre mi raccontavi com’era andata lì fuori, avrei voluto essere partecipe e dormire.. dormire ancora una volta tutti assieme nella stessa casa. O da qualsiasi altra parte”, perché ‘casa’ era ovunque ci fosse Rick; senza un tetto, addormentati in un fienile, buttati sull’asfalto di una strada, distesi sopra di questa ad aspettare un acquazzone che soddisfacesse le loro matte seti, “Sono riuscito ad aspettarti, ma..”, Carl sporse le labbra verso l’esterno, un sospiro tremante gli fece gonfiar le guance chiazzate di sangue sparso ed ormai asciutto, “..Ma ho bisogno di chiudere gli occhi perché non ce la faccio più. Non respiro più bene, le parole mi muoiono in gola, manco di sensibilità alle gambe, mi sento tanto stanco. Lasciami andare”, quella del più piccolo fu quasi una supplica non voluta realmente. Fosse stato per Carl sarebbe rimasto per tutta la durata della sua vita al fianco di suo padre, tra le braccia e difeso dall’affilata lama della Katana di Michonne, con la fronte appoggiata contro quella di Judith, o chissà, magari avrebbe ritagliato uno spicchio del proprio tempo per giocare ad un videogioco a caso assieme a Ron, o ancora si sarebbe perfezionato nel tenere per mano Enid, o almeno a sfioragliela in una maniera decente. Quello non gli riusciva e, se solo avesse avuto del tempo, non gli sarebbe mai riuscito; l’angolo destro delle sue labbra s’arcuò in un accennato sorriso al solo pensiero.
 
Carl era bellissimo con le sue iridi chiare e sfumate di celeste immerse tra le lacrime, con le labbra schiuse, spaccate dal freddo e macchiate dal sangue, col volto tondo ed anemico e le gote rosee. Le vene dei suoi polsi spiccavano bluastre e tortuose sulla sua pelle, le ciocche fine e color del cioccolato ondeggiavano flebili accompagnate dai fiochi fruscii di vento mentre alcune s’imbevevano nel sangue fresco che dimorava sopra di lui, stille cremisi tracciavano labilmente le curve sinuose del suo collo, le sue dita scivolarono lentamente lungo la mascella ispida del padre fino a cascar giù così come corpi morti, dopo un respiro spezzato i suoi occhi s’abbandonarono al sonno più profondo. Carl era bellissimo. Rick gli scostò le ciocche dal volto, dalla fronte, scostò quelle che gli incorniciavano le guance, ed era ancora bellissimo. Rick lo pensava, lo pensava forte mentre stringeva le spalle del figlio, mentre appoggiava le mani sulla sua schiena ancora calda, mentre affondava le unghie corte nei suoi fianchi, mentre prendeva e brandiva il suo volto tra i suoi stessi palmi ed appoggiava le labbra contro la sua fronte in preda alla più nera disperazione.
Nessun rumore si udiva più, solo i singhiozzi di Rick che avevano acquistato voce, oltre che le sue così tante parole disunite che assieme ad essi sgusciavano dalle sue labbra sottili contro la fronte scoperta del più piccolo. Gli voleva bene, gli voleva tutto il bene che aveva in corpo, glielo stava dicendo, glielo aveva donato tutto. Gli stava chiedendo di rimanere ancora un po’, di svegliarsi, di non tenere gli occhi chiusi per così tanto tempo, di ascoltarlo ancora per qualche minuto 
 si sarebbe accontentato anche d’altri cinque miseri secondi – , che avrebbe preferito morire al suo posto, che è e sempre sarà la migliore e più bella parte della sua vita.
Carl, però, non c’era più. Non rispondeva più. Le sue palpebre erano giù, le sue labbra erano schiuse di poco. Non emettevano alcun sibilo,  gli ultimi fiati gli erano affondati in gola, s’erano dissolti assieme a lui. Era tra le braccia di Rick senza alcuna forza, senza alcun respiro vitale, abbandonato contro il petto ed il corpo stremato del padre che non si capacitava, che ancora faticava ad accettare quella macabra e cruda realtà. Gli occhi gli dolevano, le nocche erano pallide per quanto stesse serrando la presa attorno alla pelle morbida e tiepida del figlio. Disperazione, rabbia nei propri stessi confronti, grida di dolore incatenate in gola che faticavano ad issarsi. Rick copriva Carl, lo sovrastava, era collassato sul corpo senza vita del bambino 
 del suo bambino – e di quest’ultimo solo le gambe si notavano distese lungo il terreno.
 
II
 
La mano sinistra di Rick tremava attorno al manico della Beretta. La canna era adagiata contro la tempia sinistra di Carl, la forza scarseggiava, gli occhi dell’uomo erano persi e spenti, guardava dinnanzi a sé; mai provò a rivolgere il proprio sguardo in direzione del volto di suo figlio. Abbandonò il viso verso il basso, le due fronti si toccarono ed i suoi occhi si chiusero. Era passata forse più di mezz’ora, il più piccolo era freddo, sugli strati della sua pelle scoperta spiccavano violacei alcuni lividi sparsi, macchie rosse ed ovali laddove i polpastrelli di Rick avevano stretto ostinatamente, rifiutando l’accettazione. Rick si prese del tempo, ancora un po’. I suoi occhi, adesso schiusi e dalle palpebre tremolanti, vagavano sulle chiazze presenti su una spalla lievemente scoperta di Carl. La camiciola sfilacciata non aveva retto al suo meglio, eccola mentre scopriva quella pelle che mai Rick avrebbe voluto vedere in quello stato. Tracciò con l’indice libero ogni macchia rossastra, quasi lo sfregò contro d’esse nella vana speranza e nell’improbabile tentativo di cancellare via ogni minimo rossore, ogni ferita dolorosa che su quel corpo dipinto da sola innocenza e da tanta giovinezza spiccava fastidiosamente.
 
Dei passi veloci stavano facendosi strada alle sue spalle, forse s’udivano in lontananza anche delle voci sia maschili, sia femminili che via via s’avvicinavano sempre più. Una delle tante sembrava appartenere a Glenn, ma fu come non rendersene conto mentre l’indice premeva il grilletto ed un assordante boato cantava sofferente nell’aria, riecheggiando tutt’attorno.
 
Il rumore dei passi s’arrestò repentinamente dietro di lui. Di fronte accadde il contrario. Carol cadde in ginocchio, tra le sue braccia la piccola Judith. Subito la strinse in un abbraccio, la nascose contro di sé, il volto della piccola affondò nel suo petto, nella morbidezza dei suoi seni. Le sue labbra fine sfiorarono i pochi fil di grano che scivolavano lisci lungo il capo della piccina, che dietro le sue orecchie s’arricciavano. Tra di essi la donna articolò una cantilena quasi piangente di va tutto bene, va tutto bene, Judith, bambina mia, va tutto bene.
Judith scoppiò a piangere, medesima cosa – si trattò di pochi secondi – fece Carol.
 
“Rick”, la voce di Michonne suonò dietro di lui amareggiata, forse per la prima volta nella sua vita pregna di spavento, “Rick, voltati, cos’è successo?”, provò a parlargli ancora e nessuna risposta ricevette da parte dell’uomo, “Per favore, te lo sto chiedendo per favore”, quest’ultimo nient’altro fece se non voltarsi ed abbandonarsi nuovamente sul terreno, incapace di reggere il suo stesso peso e quello di suo figlio assieme. Dalle sue mani scivolò la pistola che cadde sordamente tra le foglie mangiucchiate dall’autunno. Quando entrambi furono di fronte al resto del gruppo, la vista del corpo senza più alcun accenno di vita di Carl quasi schiaffeggiò i volti altrui. Il suo di volto era appoggiato contro una spalla di suo padre, sembrava stesse beatamente dormendo, Rick voleva crederlo mentre adagiava una guancia contro la sua fronte ed avvertiva il lieve pizzicore che le ciocche lisce gli provocavano contro la ruvida barba. In silenzio piangeva, a denti stretti piangeva senza alcuna sosta semplicemente perché sosta non poteva essercene, non gli era concessa nemmeno una mezza pausa, nemmeno un accenno di fasullo sollievo al suo dolore asfissiante per quel che aveva commesso, per quel che era accaduto a suo figlio, per tutte le colpe che sulle spalle gli stavano gravando e dalle quali mai se ne sarebbe liberato e mai avrebbe voluto liberarsene. Sarebbe morto lì, avrebbe voluto morire lì, ma non c’era bisogno, non c’era più alcun bisogno; era già morto e dentro di lui troneggiava il nulla, tutto stava sgretolandosi sotto la furia di un terremoto al quale non si poteva porre rimedio, bensì solo sterile rassegnazione. La perdita di suo figlio aveva fatto sì che lui stesso si perdesse. Mai più si sarebbe ritrovato, mai più si sarebbe voluto ritrovare. Non senza Carl. Solo adesso stava capacitandosene, solo adesso che sulla sua stessa camicia sentiva lo scorrere fiacco del sangue bollente di suo figlio. Stava scivolandogli oltre le spalle tracciandogli poi l’addome, arrivando a riversarsi vermiglio sull’intero petto. Era una tela orrenda, Rick Grimes, ma dipinta dai colori più belli. Gli unici che desiderava indossare.

 
III
 
“Questo era suo, glielo avevi regalato”, alle orecchie di Rick era giunta la voce di Daryl, nonostante la sua mente fosse assente. L’arciere lo affiancò, i suoi occhi chiari si rivolsero dritti verso quel che si trovava di fronte a lui; nient’altro che alberi, verde smeraldo ingoiato dall’oscurità sparso qua e là, un po’ ovunque. Gli occhi di Rick, al contrario, erano bassi e chini sulla distesa di terra che copriva il corpo di Carl. Daryl in cuor suo sapeva che Rick non si sarebbe voltato né per guardare quel che tra le proprie mani stringeva, né per rivolgergli un semplice saluto, né tantomeno per congedarlo. Così, lasciandosi sfuggire un breve e sforzato sospiro, fece leva sulle proprie ginocchia appoggiandovisi sopra di esse ed al centro di quella coltre bruna c’abbandonò quel così tanto vissuto cappello da sceriffo. Le spalle di Rick tremarono, le braccia di Daryl non persero tempo ad avvolgersi attorno a loro.
Un pianto furioso si scatenò recluso dietro i denti stretti di Rick, Daryl lo strinse più forte a sé.
 

Calò la più buia sera, Carl non era più tra le braccia di Rick. Anche il più bel tramonto, quel giorno, s’era assopito assieme al sole.
 


 
 
Note dell'autrice: Sono pienamente consapevole che, no, non avrei dovuto scrivere una simile atrocità. Ho messo nero su bianco una delle mie paure, nonché la morte di Carl. Spero – ma sono certa lo farete – potrete perdonarmi per questo. Nel mentre, spero vi piaccia!

[1] : Si tratta del fumetto che Carl trova nella dodicesima puntata della quinta stagione.
  
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