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Autore: Arlie_S    30/10/2015    2 recensioni
[IN REVISIONE COMPLETA: scriverò accanto ad ogni capitolo se è stato revisionato o meno, mano a mano che ricomincerò a pubblicare]
Sei disposto a distruggere ciò che ami per i tuoi ideali, giusti o sbagliati che siano?
Esiste il “punto di non ritorno”, quando si parla di sentimenti?
Forse sì, forse no.
O magari, è solo una questione di scelte.
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[Dal testo del Cap. 7]
- Belle gambe! – le gridò dietro nel trambusto del Pozzo. Lei si immobilizzò dopo pochi passi.
- Hai per caso hai detto qualcosa, Turner? – disse gelida girando la testa verso di lui e guardandolo minacciosa.
- Ma figurati! Fai finta che non ti abbia detto niente! – le gridò lui alzando entrambe le mani.
Sul viso della ragazza di allargò un sorrisetto tra il divertito e il sadico.
- Sarà meglio, perché tra due ore hai la valutazione per l’addestramento dei Capofazione. E indovina a chi è toccato il sommo piacere di valutarti? – disse facendo trasparire la soddisfazione nella voce.
Eric si sentì sbiancare, mentre il sorrisetto arrogante che aveva messo su sparì immediatamente dal suo viso e le braccia gli ricadevano giù.
“Oh merda” pensò. “Questa volta sì, che sono fottuto.”
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 13

 

 

 

Aprì il più velocemente possibile la porta ed entrò nell’appartamento senza troppi complimenti. Tirare giù la maniglia era stata una sofferenza per le sue mani e anche se erano passate poche ore faceva ancora fatica a muovere e a piegare le dita; il taglio che aveva su ciascuna mano gli bruciava e ogni movimento risultava piuttosto doloroso.

Era comunque riuscito a sciacquarsi il viso e a togliere il sangue incrostato che gli ricopriva le mani; certo, era stata un’operazione lenta e piuttosto dolorosa, ma almeno non sembrava che avesse fatto a pezzi qualcuno a mani nude.

Sean era tornato a casa da Mia dopo averlo aiutato a sistemare. Avrebbe dovuto offrirgli da bere per sdebitarsi della sopportazione che aveva nei suoi confronti, anche se nessuno l’aveva costretto ad assecondarlo per due anni consecutivi.

La scena che si trovò davanti non appena fu dentro l’ingresso lo lasciò impietrito per alcuni secondi.

Kaithlyn era seduta con le gambe piegate verso il petto in un angolo del divano e aveva tra le mani un bicchiere con del liquido trasparente all’interno. Si era cambiata, mettendosi una maglietta grigio scuro e pantaloni felpa della tuta nera; i capelli erano sciolti e ancora in disordine ma sul suo viso sembrava aleggiare qualcosa di diverso rispetto a poco prima. Sembrava quasi… sofferente.

Sofferenza presunta a parte, se le occhiate avessero potuto uccidere, lui sarebbe rimasto carbonizzato sul posto nell’esatto istante in cui aveva varcato la soglia, tanto era infuocata l’occhiata che ricevette dalla ragazza.

Le restituì la sua miglior occhiata risentita; anche se era lì per cercare di aggiustare il minimo sindacabile le cose, non aveva nessuna intenzione di farsi mettere i piedi in testa da un tipetta alta trenta centimetri in meno di lui e pesante la metà.

E, comunque, aveva iniziato lei tutta quella discussione eterna quindi non poteva accusarlo di esserne il responsabile. Non del tutto almeno, anche se forse ci aveva messo del suo.

In secondo luogo, non aveva minimamente voglia di discutere. L’unica cosa che desiderava, oltre alla polverizzazione istantanea di Jason, era mettersi a letto e dormire per i successivi tre giorni. Possibilmente con Kaithlyn. Nuda.

Dopo alcuni attimi di silenzio, in cui si scrutarono con circospezione, la sua attenzione fu attirata dall’altra figura accanto a Kaithlyn e un brivido d’irritazione, che anticipava una sfuriata con i controfiocchi, gli corse lungo la spina dorsale.

Le cose che gli saltarono all’occhio e lo costrinsero a fare appello a tutta la buona volontà che gli era rimasta per non saltare alla gola di Jason erano, prima di tutto, il fatto che fossero decisamente troppo vicini; e secondo che avesse la straordinaria capacità di apparire intorno a lei nell’esatto istante in cui discutevano e lui se ne andava incazzato come una bestia.

Un tempismo perfetto.

Aprì bocca per chiedere cosa, esattamente, ci facesse di nuovo lui lì e in più perché sentisse il bisogno di stare così vicino a quella che fino a prova contraria, anche se probabilmente sarebbe durata solo altri quattro secondi – forse anche meno – era la sua ragazza.

- Sta’ zitto! – sibilò Kaithlyn, interrompendolo ancora prima che le parole prendessero forma nella sua mente. – Che diavolo ci fai qui, eh? – aggiunse, stringendo le dita intorno al bicchiere e assottigliando gli occhi.

La fissò. – Io? Che stracazzo ci fa lui qui, vorrai dire! – ribatté, alzando le sopracciglia e lanciando a Jason un’occhiata raggelante. – Non posso neanche allontanarmi che corri da lui. –

Vide con la coda dell’occhio Jason aggrottare le sopracciglia e assumere una strana espressione a metà tra l’abbattuto e l’irritato; strano, in genere battutine imbecilli e uscite “brillanti” gli uscivano dalla bocca una volta sì e l’altra pure anche quando gli dava dell’idiota patentato.

Kaithlyn incrociò le braccia sul petto, alzandosi. – Questa è casa mia imbecille, e tu non hai nessun diritto di venire qua a farmi scenate di gelosia dopo quello che mi hai detto stasera.. quindi, ora, fai un favore a tutti e tre e togliti dai piedi. – disse in un ringhio basso e freddo.

- Ti vorrei ricordare che hai iniziato te a straparlare stamattina, quando nessuno ti aveva richiesto un parere. – ribatté, stringendo i pugni e soffocando un sibilo di dolore.

Kaithlyn lo fisso intensamente per un lungo istante. – Che vuoi Eric? – mormorò senza staccare gli occhi chiari e freddi da lui e ignorando la sua considerazione.

- La mia roba. – rispose immediatamente, rilasciando i pugni e sentendo la pelle rigida per le escoriazioni protestare. – E volevo parlare con te, ma sei troppo impegnata a quanto pare. Non importa, so essere paziente. – aggiunse, lanciando un’occhiata a Jason che fino a quel momento era stato in silenzio e continuava a guardare male il tavolino davanti a lui. Sembrava si stesse trattenendo.

- Congratulazioni! Potrai pazientare fuori da casa mia. – gli ringhiò, stringendo le dita sulla stoffa della felpa grigia, a braccia incrociate. La vide fare una smorfia, ma non ci presto troppa attenzione.

- Se resta lui, resto anch’io. – decretò.

- Scordatelo, non sei all’asilo e in casa mia decido io. Prendi la tua roba e sparisci. – gli intimò minacciosamente e stringendo con più forza le mani intorno alle sue stesse braccia, ancora incrociate sotto il seno.

La fisso duramente, mentre prendeva consapevolezza che, se voleva rimanere lì, avrebbe dovuto farlo indipendentemente dalla volontà di Kaithlyn.

Amen.

Magari avrebbe avuto anche modo di strapazzarla, quando gli si sarebbe avvicinata con l’unico intento di ucciderlo o trascinarlo per i capelli fuori da lì. Avrebbe potuto fingersi morto e costringerla a trascinare tutti e ottantaquattro i chili di muscoli che si portava dietro. Sarebbe stato divertente.

La fisso per alcuni istanti, indeciso sul da farsi. Aveva due possibilità: assecondarla per cercare di recuperare o imporle la sua presenza e avere così modo di controllare anche l’altro.

Se avesse assecondato Kaithlyn avrebbe sicuramente guadagnato punti preziosi, ma non avrebbe avuto sott’occhio lei e Jason e non avrebbe potuto controllare che lui tenesse le mani a posto e, di conseguenza,  non avrebbe neanche potuto amputargliele con un coltello da cucina in caso le avesse allungate troppo.

Imponendole però la sua presenza l’avrebbe fatta infuriare ancora di più, perdendo sicuramente terreno e ritrovandosi con un pugno di mosche in mano.

Alla fine cosa importava? Potevano essere più in crisi di così o darsi ancora più addosso?

Certo che sì, ma piuttosto che lasciare campo libero a riccioli d’oro sarebbe andato a fare bubù-settete a Quattro sotto la doccia.

- Se resta lui, rimango anch’io. – ripeté inflessibilmente piantando i piedi dove si trovava.

Kaithlyn dischiuse appena le labbra e se le umetto stringendole tra loro, mentre abbassava gli occhi e si mordeva l’interno del labbro inferiore.

Non era un buon segno. Forse avrebbe dovuto fare un’assicurazione sulla vita, lasciare qualcosa di scritto o firmare una liberatoria prima di infilarsi in casa della Nana Inferocita.

- Eric, ascolta. Io potrei anche farti rimanere qui e tutto quello che ti pare, d’accordo? Il problema è che non m’interessano né le tue patetiche scuse, ammesso che tu sia qui per questo, né tanto meno quello che hai da dire. Non ha senso che tu rimanga… - disse, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi. – ora vado di là a prendere le ultime cose e poi non ti voglio più vedere. – concluse. Lo guardava dritto in faccia, senza malanimo; sembrava solo molto stanca e la cosa lo turbò un po’: non pensava di essersi spinto tanto oltre da compromettere in quel modo il loro rapporto.

Alla fine le aveva detto cose peggiori, no? Perché prendersela tanto?

Non appena lei sparì nell’altra stanza, girò lentamente la testa verso Jason, ancora seduto sul divano con gli avambracci appoggiati alle ginocchia.

- Non dire un’altra parola. Ho avuto sicuramente una serata peggiore della tua. – gli disse, prima che le sue labbra potessero pronunciare il primo insulto o epiteto poco lusinghiero.

Quell’ammonimento, appena sibilato in tono rauco, lo lasciò spiazzato per un attimo. Da quanto lo rimbeccava?

Richiuse le labbra e assottigliò gli occhi. – Questo è tutto da vedere. – sibilò, studiandolo con attenzione.

Jason alzò e girò la testa verso di lui, guardandolo fisso. – Sono andato a fare una sorpresa alla mia ragazza per chiederle di andare a convivere e l’ho trovata a trombare con un altro. – disse. – la tua scusa qual è? -.

- Okay, per stasera l’hai vinta tu. – acconsentì cupamente. Non poteva certo raccontargli tutto; già convincere Max e gli altri Capofazione a mettere al corrente Sean era stata un’impresa… figuriamo altri elementi. E comunque lui era in fondo alla lista di persone alle quali avrebbe raccontato i fatti suoi.

Jason sembrò svuotato, come se quasi sperasse in una rispostaccia che gli fornisse una buona scusa per sfogarsi su di lui. Scosse la testa, come per riscuotersi, e lo guardò senza malanimo. – Dovresti scusarti, comunque. Non scherzava quando ha detto che non ti vuole più vedere. – mormorò apaticamente.

- Non volevo colpirla. –rispose, senza sapere neanche lui il reale motivo per cui lo diceva proprio a quell’imbecille che aveva davanti.

Jason corrugò le sopracciglia e lo fisso intensamente. – Vorrei ben vedere. Non ce l’ha con te per questo, ha capito subito che c’era qualcosa che non andava in quel momento… non è una stupida. –

Contrasse i muscoli di braccia e schiena in un guizzo d’irritazione. Come si permetteva di dargli lezione sulla sua ragazza?

- So perfettamente quanto sia intelligente, grazie tante. Non ho alcun bisogno che tu mi faccia la lezione. – ringhiò, avviandosi verso la cucina.

Jason lo seguì a brave distanza e si appoggiò a braccia incrociate alla parete della cucina. – Be’, fai come ti pare, non m’interessa. Io in genere parteggio per te, sai com’è, solidarietà maschile. Ad ogni modo, - proseguì, raddrizzando le spalle, - non mi piace che tu le metta le mani addosso… fa’ in modo che non ricapiti, okay? -.

Ghignò. – Cos’è? Una minaccia? – lo schernì, mentre prendeva un bicchiere e lo riempiva di acqua.

Jason scosse la testa. Non sembrava arrabbiato con lui. – No. Diciamo che è un avvertimento. So che stasera è stato un incidente e che non volevi farle del male, ma se dovesse, ecco, partirti un colpo… poi sarò io a renderle a te, e ti assicuro che non sono così morbido come sembro. –

Aveva parlato in tono tranquillo, posato.

Restarono alcuni attimi in silenzio; Eric bevve lentamente il suo bicchiere d’acqua mentre Jason si guardava intorno. Sembrava quasi che stesse cercando qualcosa da dire, da fare per rompere il silenzio. Una distrazione.

Non aveva la benché minima intenzione di torcere un solo capello a Kaithlyn, avrebbe gettato nello Strapiombo chiunque ci avesse anche solo provato, eppure si ritrovò a studiare Jason allo stesso modo in cui avrebbe studiato un rivale in un incontro.

Era più basso di lui solo si alcuni centimetri ma non era altrettanto slanciato. Aveva le spalle larghe ed era sicuramente ben piazzato a muscoli, e anche se dava l’impressione di essere il tipo che non avrebbe fatto male a una mosca, era abbastanza certo che sapesse anche farsi valere.

Contrasse i muscoli della schiena, teso, e assottigliò gli occhi. – Buon per te. – sibilò, appoggiandosi  al ripiano della cucina.

Jason storse la bocca. – Senti, io adesso vado a prendere la roba per rimanere a dormire qui. Hai dieci minuti per salvare il salvabile, okay? – disse, staccandosi dalla parete e avviandosi verso l’uscita.

In quel momento, mentre Eric lo seguiva con calma, Kaithlyn rientrò nell’ingresso-soggiorno con le braccia cariche di vestiti umidi.

- Dove vai? – chiese da dietro la montagna di panni. L’unica cosa che si vedeva erano gli occhi azzurri.

Eric trasformò abilmente una risatina in un colpo di tosse, guadagnandosi un’occhiata raggelante.

- A prendere la roba per rimanere a dormire. Non vorrai farmi stare tutto solo, vero? – le chiese con ovvietà.

Aveva la voce arrochita e leggermente impastata, anche se fino a quel momento non l’aveva notato, troppo innervosito dalla sua presenza vicino alla ragazza.

Lei fece una smorfia e alzò gli occhi al cielo, prima di estrarre da una tasca un sacchetto di plastica e infilarci dentro i suoi vestiti.

- Okay. Tu in compenso te ne stavi andando, vero? – chiese con naturalezza, rivolgendosi a lui.

Come no. Di corsa!

- A dopo ragazzi! – salutò Jason, prima di uscire quasi di corsa dalla porta d’ingresso, quasi si trovasse in una stanza piene di esplosivo.

Lui e Kaithlyn si fissarono e lei incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio in attesa che prendesse la sua roba e girasse i tacchi.

In tutta risposta la imitò e le restituì un’occhiata indifferente.

Dopo alcuni attimi, in cui erano rimasti entrambi silenziosi a fissarsi, Kaithlyn abbassò gli occhi e scosse la testa, storcendo la bocca in una smorfia scocciata. – Continua a fare l’infante, allora. – brontolò, prima di lanciare malamente il sacchetto con i vestiti a terra e avviarsi verso la sua stanza con la stessa smorfia che le aveva visto prima.

Eric sbuffò tra i denti, irritato da tanto poco spirito combattivo. Si aspettava di essere buttato fuori letteralmente a calci nel sedere e di ritrovarti almeno con un occhio nero.

- Tutto qui? – le disse, prima che lei sparisse nel corridoio. Kaithlyn si fermò e si girò verso di lui; sembrava stanca.

- Sì, - asserì con un’alzata di spalle. – Potrei anche buttarti fuori a pedate, ma continueresti a tormentarmi. Fai pure quello che ti pare, a me non interessa. Vuoi rimanere qui per controllarmi? Bene, sono curiosa di sapere dove dormirai dato che sul divano ci starà Jason. Se pensi che imponendo la tua presenza io cambi idea, sei fuori strada. –

Mentre parlava sembrava annoiata, rassegnata, come se avesse a che fare con un bambino particolarmente capriccioso che si ostinava a fare di testa sua, e non gli piaceva.

In genere si urlavano addosso, volavano schiaffi e s’insultavano fino a perdere quasi la voce per poi ritrovarsi a fare l’amore su una qualsiasi superfice agibile.

Il fatto che non stesse provando a opporsi lo irritava profondamente, era snervante e doveva assolutamente fare qualcosa prima di mettersi a urlare o di correre dietro a Jason per attaccarlo alle spalle a tradimento. Così, giusto per riversare le frustrazione su qualcuno.

Sentiva una strana sensazione risalirgli lungo il collo, come quando ci si prepara a una discussione particolarmente feroce. Strinse i pugni e irrigidì la mandibola, teso dall’atmosfera elettrica che si stava creando.

- Non vorrei rovinare il tuo bel discorso, Kaithlyn, ma non sono stato io a iniziare tutto questo casino. E non sono nemmeno quello che stamattina si è alzato con la luna storta, quindi, forse, dovresti iniziare a guardare anche quello che fai te, invece di dare tanta aria alla bocca. – disse, con voce misurata osservandola mentre s’irrigidiva e assottigliava gli occhi.

Ottimo.

Era un buon segno, dato che lo scopo era provocarla abbastanza da far cadere la facciata di calma calcolata che aveva messo su. Anche lui era nato e cresciuto negli Eruditi e con sua madre il controllo era all’ordine del giorno, e sapeva riconoscere a prima vista la calma fittizia, quella che ostentava spesso anche lui, da quella autentica. Non era difficile, lui era il primo a imporsi di mantenere il controllo quando sentiva la rabbia avvelenargli la mente, e sapeva quanto poco bastasse per far crollare l’apparenza in quelle situazioni.

Fece un passo in avanti. – Oppure, non vuoi rivangare qualcosa di cui non vai particolarmente fiera? – insinuò, malevolo.

Sapeva di starsi avventurando in un campo minato dal quale non era sicuro di uscire vincitore, ma la reazione spropositata che lei aveva avuto quando poche ore prima aveva insinuato che non fosse arrivata dov’era per suo merito gli aveva fatto tornare in mente un vecchio articolo degli Eruditi. Era talmente ovvio! Nei mesi passati insieme si erano detti cose peggiori, e una reazione del genere non poteva che nascondere un motivo personale. Intimo.

Tanto valeva sfruttare quel piccolo vantaggio che aveva su di lei per farla capitolare. Doveva fare alla svelta però; Kaithlyn era abbastanza sveglia da fare due più due molto più velocemente di quanto lui ci avrebbe impiegato a trovare un’altra argomentazione per provocarla.

Le piantò gli occhi grigi sul viso con la stessa violenza di un serpente che si ritrova finalmente davanti alla preda. Kaithlyn abbassò le sopracciglia sugli occhi, restituendogli un’occhiata altrettanto feroce e incrociò le braccia sul petto.

Fuoco alle polveri!

Fece due passi verso di lei senza interrompere neanche per un secondo il contatto visivo con il suo viso e ghignò.

- Allora… - esordì, scrocchiandosi le dita della mano destra sul palmo della mano sinistra e viceversa, ignorando la fitta di dolore che gli causò quel gesto.

Kaithlyn fece un sorrisetto a labbra stirate. – Allora non ci provare neanche. Se pensi che provocandomi otterrai qualcosa ti sbagli, idiota. – disse, la voce limpida e improvvisamente calma, nonostante mancasse una parte della solita grinta che tirava fuori quando discutevano.

- Mi chiedevo solo come mai tanto nervosismo per un’insinuazione velata. Hai la coda di paglia? – ridacchiò, curvando appena la sua traiettoria mentre si avvicinava lentamente a lei con la stessa studiata lentezza di uno squalo che vuole incastrare la preda.

Kaithlyn arricciò le labbra. – Sei davvero penoso. – sospirò, - ma immagino che di non potermi aspettare niente di più, giusto? -.

Stirò le labbra in un sorriso accondiscendente. – Andiamo, Kath. Ci siamo detti di peggio. Perché te la prendi tanto? Ho tirato fuori qualche scheletro nell’armadio? Di, diciamo, un annetto o poco più prima del tuo trasferimento? Per questo ti sei sentita punta sul vivo? – mormorò mellifluo.

Il sorriso stirato di Kaithlyn svanì e gli sembrò quasi di veder lampeggiare nei suoi occhi una scintilla di rabbia.

Sorrise; stava funzionando. Non gli importava delle conseguenze, voleva solo una buona scusa per farla arrabbiare, sfogare e poi trascinarla in camera.

Kaithlyn ricompose la sua espressione in pochi secondi e sospirò teatralmente. – Vuoi provocarmi – asserì.

Non era una domanda.

Lei scosse la testa. – Mi spiace deludere quelli che sono certa siano dei progetti interessanti e smontarti, ma non attacca. Non stasera. – disse, con lo stesso tono che avrebbe potuto avere spigando qualcosa a un bambino.

- Trovo invece più interessante parlare di te, che dici? Come mai tanto nervosismo per due piccole insinuazioni mattutine? – lo derise, ma non sorrideva più. Era seria e fredda come un pezzo di ghiaccio.

Qualcosa nella sua postura, nell’atteggiamento freddo e calcolatore gli fece considerare che, effettivamente, sarebbe stata un’eccellente Capofazione per gli Eruditi.

Fredda, pragmatica, calcolatrice e cinica.

Si morse appena la lingua, mentre pensava a come controbattere. Il fatto che quella carta lo mettesse in difficoltà nove volte su dieci lo irritava.

Ormai che aveva iniziato, valeva arrivare fino in fondo, giusto?

- Almeno i miei non hanno dovuto pagare un esercito di avvocati per mettere a tacere… - iniziò facendo di proposito una pausa per osservare la sua reazione.

A giudicare dall’espressione feroce della ragazza era abbastanza sicuro che, se avesse avuto un oggetto contundente a portata di mano, glielo avrebbe tirato dietro.

- … voci scomode. – terminò lentamente.

Kaithlyn strinse le labbra e i pugni, mentre lui faceva un altro passo verso di lei. – O, magari, tuo padre doveva mettersi la coscienza, come dire… a posto. – aggiunse. Sapeva di star varcando un limite, di esagerare, a valicare una linea di confine chiara e per la quale Kaithlyn non avrebbe chiuso un occhio. Lo capiva dal modo in cui lei lo stava guardando e dalla postura rigida del suo corpo. Fino a quel momento non ci aveva fatto caso, ma sul viso aveva un leggerissimo strato di sudore che non riusciva a spiegarsi e il rigonfiamento sul viso iniziava a farsi vedere.

- Non dire un’altra parola. Non una parola, Eric. – sibilò assottigliando leggermente gli occhi. – Dovresti tenere la bocca chiusa su cose che non sai e non capisci. Tieni mio padre e questa storia fuori da questa discussione, non lo ripeterò un’altra volta. -

Kaithlyn gli si avvicinò lentamente, mentre lui si immobilizzava dov’era e sentiva un piacevole sensazione di trionfo invaderlo.

Il sorriso vittorioso sparì dal suo viso non appena guardò bene in faccia la ragazza. Sembrava… fuori di sé. Forse aveva esagerato un po’ troppo nel ritirare fuori cose così vecchie e di cui non sapeva realmente niente; alla fine Kaithlyn era la sua ragazza e lui avrebbe dovuto essere dalla sua parte. Anche se per come si stavano mettendo le cose immaginò che non sarebbe stata la sua ragazza ancora per molti secondi. Forse non lo era già più.

Ormai non poteva più tornare indietro e non era certo il tipo da nascondere la mano dietro la schiena dopo aver lanciato il sasso, anzi: gli piaceva prendersi il merito, se così si poteva chiamare, di quello che faceva indipendentemente dalla bontà dell’azione.

- Altrimenti? -.

Fece appena in tempo ad afferrare il polso di Kaithlyn che era scattato con il chiaro intento di colpirlo e di fargli il più male possibile.

Le strinse le dita intorno al polso con forza e la sentì digrignare i denti, non sapeva se per la frustrazione o per il dolore.

L’altra mano di Kaithlyn scattò ma notò che ci aveva messo decisamente meno entusiasmo, era stato un movimento fiacco, debole.

- Piano, gattina, o ti farai male. – la derise con voce bassa e roca, distanziandole le mani e mettendo su un sorrisetto insolente.

Lei lo fisso con odio, dal basso verso l’alto. Nonostante il viso incominciasse a gonfiarsi e si trovasse decisamente in svantaggio non sembrava per niente intimorita, anzi: sembrava quasi che gli stesse concedendo di tenerla ferma.

- Ti credi tanto forte solo perché mi hai battuto una volta e in un incontro regolamentare. –

Non era una domanda neanche quella.

- Eppure credevo fossi meno stupido: ho quattro anni di addestramento speciale alle spalle. Pensi davvero che non sappia come stenderti? – insinuò, tra i denti.

Certo che lo sapeva. Anche lui, in quanto Capofazione, aveva seguito un addestramento specifico che equivaleva ai primi due anni di quello delle Forse Speciali degli Intrepidi.

Si allenava ancora, e sapeva quanto fosse duro e sfiancate ed era anche piuttosto sicuro che lei sapesse essere molto più cattiva di quanto desse a vedere sul ring e che dopo quattro anni nei Tiratori sapesse come asfaltarlo anche se con metodi poco ortodossi. Magari facendo leva su qualche nervo. Nei combattimenti regolari, quelli che comprendevano gli Aggiornamenti Professionali, le competizioni di primo livello e gli addestramenti ordinari non erano previste certe mosse, ma questo non significava che alcuni non le conoscessero o che non servissero in caso di necessità sul campo.

I Tiratori si addestravano nel corpo a corpo senza toccarsi per sviluppare al meglio la prontezza di riflessi nello schivare i colpi e nel bloccarsi prima di colpire l’avversario, e la velocità nello sferrargli. Aveva visto una parte di combattimento e alla fine, nonostante si rotolassero a terra anche per un’ora abbondante, nessuno dei due combattenti aveva un solo graffio: se si fossero veramente colpiti con tutta quella violenza e in quel modo, sarebbero finiti tutti in infermeria nove volte su dieci e non sarebbe stata una cosa molto produttiva per la fazione.

Ovviamente, nella situazione in cui si trovava in quel momento, non poteva certo ammettere una cosa simile.

Ghignò. – Mmh… non saprei. Immagino dipenda da come vuoi stendermi. – mormorò, afferrandole entrambi i polsi con una mano mentre con l’altra le prendeva il mento tra due dita.

Non fu una gran bella idea, considerò, e mentre sentiva il dolore irradiarsi sul viso e sullo stinco si diede dell’idiota: era ovvio che lei non aspettasse altro che un momento di eccessiva strafottenza da parte sua. Non si sarebbe sorpreso se anziché essere una reazione istintiva e dettata dalla rabbia, fosse stata ragionata dal momento stesso in cui aveva iniziato a provocarla volutamente.

Si sentì spintonare all’altezza dello stomaco, ma riuscì a incassare piuttosto facilmente. Una parte della sua mente gli stava dicendo che c’era qualcosa in Kaithlyn che non andava, che stonava e che avrebbe dovuto destargli un minimo di sospetto o preoccupazione, ma la mise subito a tacere.

Nonostante si sentisse lucido e padrone delle sue facoltà gli venne istintivo afferrarla per le braccia e attaccarla al muro per farla stare ferma.

Con sua grande sorpresa Kaithlyn urlò.

La guardò per un attimo stranito, mentre cercava di regolarizzare il battito cardiaco e non lasciarsi prendere la mano dall’enfasi della situazione. – Che cazzo hai da urlare? – domandò in un ringhio brusco arrivandole a due centimetri dal viso.

Strinse la presa sulle sue braccia, sicuro che lo stesse prendendo in giro, ma abbandonò la posizione aggressiva di un attimo prima. Le lasciò un braccio e tirò l’altro, rafforzando la presa.

Kaithlyn gridò ancora e per liberarsi gli tirò uno schiaffo sul braccio. Non che avesse sortito chissà quale affetto a parte un discreto bruciore sulla pelle.

Kaithlyn sapeva tirare dei man rovesci che avrebbero stero un mostro, che cos’era quella cosa che gli aveva tirato sul braccio?

- La spalla… la spalla… - gemette, mentre la squadrava in cerca della fonte del dolore.

- Ti sto tenendo per un braccio. – disse storcendo la bocca.

Kaithlyn emise un verso strozzato e lui la tirò in avanti. Urlò ancora, costringendolo a mollare la presa e farla sbattere contro il muro.

Kaithlyn si portò una mano sulla bocca e chiuse gli occhi, mentre Eric continuava a studiarla.

Le tremavano visibilmente le spalle e le gambe e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

Poteva averla stretta così forte?

Si guardò le mani e le aprì e chiuse distrattamente, mentre la sua attenzione veniva catturata da una macchiolina scura sul pavimento.

Si sentì sbiancare..

Sangue.

- Che ti sei fatta? – domandò brusco, riavvicinandosi a lei e afferrandola con più delicatezza. – Fammi vedere! – ordinò, afferrandola per le spalle e staccandola dalla parete.

Kaithlyn provò a divincolarsi. – Non toccarmi! – strillò, con voce strozzata. – Non ti avvicinare. –

Esitò per un secondo prima di prendere in mano la situazione, stringerle le braccia con fermezza e girarla contro il muro senza troppi complimenti.

Kaithlyn provò a liberarsi, continuando a lamentarsi.

Mentre la girava notò con orrore che anche  sulla parete c’era un macchia rossa e si affrettò. Le tenne ferma la schiena con il palmo di una mano mentre osservava con gli occhi spalancati la felpa sporca di sangue.

Deglutì, cercando di non pensare a come si potesse essere ferita. Aveva un’idea piuttosto chiara, ma preferiva ignorarla. – Spogliati, fammi vedere. – le ordinò, afferrando l’apertura della felpa e iniziando a sfilargliela.

- No! – ringhiò lei, - non toccarmi, lasciami stare! -.

Quello che stava per fare non gli piaceva e probabilmente dopo se ne sarebbe pentito, ma preferiva comportarsi in quel modo e prevenire qualcosa di più serio o che potesse compromettere lei piuttosto che fare bella figura e lasciarla stare come gli aveva gridato ben due volte.

- Scordatelo. – ribatté, stringendo la stoffa della felpa con una mano e iniziando a sfilargliela. Doveva vedere quel taglio.

Lei cercò di ribellarsi, ma erano tentativi deboli.

Gli sembrava maledettamente sbagliato spogliarla contro la sua volontà e il fatto che lei gemesse e cercasse di opporsi, in quel modo debole e sofferente, lo faceva sentire ancora peggio, ma non aveva scelta. Kaithlyn era testarda e orgogliosa e piuttosto che chiedere aiuto si sarebbe fatta morire per dissanguamento, poteva scommetterci.

Nonostante la foga del momento cercò di non esercitare troppa pressione per non peggiorare la situazione; non era facile con lei che cercava in tutti i modi ti ribellarsi e gli tirava calci sugli stinchi.

- Ferma! Sta’ ferma, maledizione! – la ammonì, stringendo i denti per evitare di restituirle una pedata particolarmente dolorosa.

Dopo aver lotteggiato per qualche secondo, riuscì a toglierle la felpa nera.

Lo spettacolo che si trovò davanti gli fece gelare il sangue nelle vene. La maglietta grigia era zuppa di sangue su tutto il lato destro, fin quasi al bordo dei pantaloni.

Restò a fissare come un’idiota la schiena di Kaithlyn prima di infilarle la mani sotto la maglietta per sfilarle anche quella.

- No… - gemette lei, spingendogli le mani verso il basso per allontanarle.

S’immobilizzò e fece un passo in avanti per intrappolarla tra il suo corpo e il muro.

Non pensava sul serio che si sarebbe approfittato di lei, vero? Era esattamente quello che sembrava, ma era un’idea talmente assurda che gli venne quasi da ridere.

Le riappoggiò le mani sui fianchi in una presa decisa, senza fare pressione, e avvicinò il viso al suo orecchio. – Non ti faccio nulla, voglio solo vedere… - le disse, cercando di tranquillizzarla e di farle passare il tremore.

Lo metteva profondamente a disagio sentirla tremare contro di lui mentre cercava di spogliarla. Era sbagliato, avrebbe dovuto tremare di desiderio, non di dolore o perché stava facendo qualcosa contro la sua volontà.

Kaithlyn scosse la testa, ancora girata verso il muro. – No… non voglio, non toccarmi... – mormorò.

- Devo vedere, poi me ne vado d’accordo? – provò. D’altronde una piccola bugia poteva essere giustificata in una situazione simile e dopo tutte quelle che le aveva detto su certe attività lavorative e tutte quelle che le avrebbe dovuto dire quell’innocente, piccola, bugia era il male minore.

- Bugiardo. – gli sibilò con voce rotta.

In altre circostanze l’essere colto in flagrante in quel modo lo avrebbe fatto sorridere, ma non in quel momento.

Fece scorrere le mani sui suoi fianchi, attento anche lì a non fare troppa pressione; non sapeva da dove venisse tutto quel sangue.

Le sfilò la maglia a maniche corte passando prima dal braccio sano e dalla testa, per poi togliergliela del tutto e lasciarla in reggiseno.

Deglutì quando si trovò davanti alla schiena pallida di Kaithlyn. Sulla scapola c’era un taglio piuttosto profondo dal quale usciva una discreta quantità di sangue, seppure lentamente.

Gli prese la spalla con una mano e passò il pollice accanto alla ferita aperta. – Questo… questo come te lo sei fatto? – chiese piano.

Kaithlyn aveva incrociato le braccia davanti al petto con l’intento, forse, di coprirsi da lui. – Indovina! – ringhiò, girando appena la testa verso di lui.

- Ti medico. –

- Non ci provare nemmeno! – gli intimò, ma lui aveva già afferrato il gancetto del reggiseno scuro, a fascia, e lo aveva slacciato.

Kaithlyn gemette, coprendosi i seni con le braccia con forza.

Dopo la medicazione l’avrebbe ringraziato.

Non era abituato a vederla così. Per lui Kaithlyn era indistruttibile, eppure la vedeva tremare e coprirsi mentre cercava di spogliarla. E non andava bene, era sbagliato… allo stesso tempo, però, non aveva alternative.

Mugolò qualcosa, mentre le alzava di forza le braccia per sfilargli l’ultimo indumento. – Piantala. Non è niente che non abbia già visto. – le borbottò in un orecchio, mentre ispezionava la ferita. Avrebbe avuto bisogno di qualche punto, poco ma sicuro.

- Hai un sassolino dentro il taglio. – costatò ad alta voce, osservando meglio la ferita e intravedendo qualcosa di scuro piuttosto in profondità. – Vado a prendere un paio di pinze per toglierlo e poi ti porto in infermeria. – le comunicò incurante delle sue proteste.

- Io ho un’idea anche migliore: perché non ti togli dalle palle e faccio da sola? -.

Eric la ignorò e le fece passare un braccio intorno al torace, coprendole i seni e le mani, e uno intorno ai fianchi nudi. La sollevò di peso e ignorando i tentativi di Kaithlyn di attentare alla sua virilità con i piedi e le gambe, la trasportò fino alla cucina.

- Ferma, ti fai male… dopo, se ti fa piacere, mi lascerò prendere a mazzate sui denti, ma prima fammi disinfettare la ferita. Dannazione, ferma! -.

Certo che per essere così piccola, ferita e all’apparenza così indifesa causava non pochi problemi. E aveva addirittura ancora energia per ribellarsi, nonostante sapesse da sola che era inutile.

Maledetta testona.

Riuscì a posarla davanti al tavolo della cucina, a girarla verso di sé e a metterla seduta sul ripiano.

Quando lasciò la presa intorno al suo corpo, Kaithlyn sbiancò e si portò una mano alla bocca, sudata e tremante.

- Hai la nausea? – investigò, guardandola attentamente.

Lei annuì, senza guardarlo.

- Aspetta qui. – disse semplicemente prima di dirigersi il più velocemente possibile verso il bagno e prendere quello che gli serviva: pinze sterili, una siringa di anestetico, disinfettante, un apio di garze e gli strip da mettere al posto dei punti.

Be’, non c’era che dire: Kaithlyn era decisamente organizzata.

Riuscì a portare tutto in cucina in un solo viaggio.

Kaithlyn era scesa dal tavolo e si teneva una mano sulla bocca, mentre l’altra era appoggiata sulla superficie del tavolo al quale dava le spalle. Non appena si accorse della sua presenza si portò le mani sul seno, coprendosi.

- Fai sul serio? – mormorò, avvicinandosi e girandola verso il tavolo.

Lei non rispose e non oppose resistenza, forse troppo concentrata sul malessere.

Disinfettò con cura la parte lesa, sentendola sussultare di tanto in tanto ma mai lamentarsi.

La verità è che si sentiva in colpa, anche se non era propriamente colpa sua; era intervenuto per difenderla e invece era quello che le aveva fatto più male.

- Non volevo farti del male. – mormorò dopo un paio di minuti di silenzio, accarezzandole con il pollice la spalla, con delicatezza.

Ora che era pulita, la ferita sembrava anche peggio. Dove diamine l’aveva fatta sbattere? Su una parete di coltelli?

Cercò di fare mente locale, ma i suoi ricordi di quella sera erano confusi, contaminati dalla rabbia incontrollabile che aveva preso possesso della sua mente e del suo agire.

Kaithlyn fece uno strano verso con la testa, che non riuscì a interpretare.

Sospirò dal naso. – Okay, ora ti tolgo la scheggia della parete… stai ferma, okay? – le annunciò, aprendo con cautela le pinzette e poggiandole una mano sulla schiena per tenerla ferma. Non sarebbe stato piacevole, data la profondità del taglio.

Quando inserì, il più delicatamente possibile, le pinzette all’interno della ferita, Kaithlyn tremò e sussultò visibilmente. – Ferma. Ci sono quasi. – le disse, cercando di tranquillizzarla e allargando leggermente la ferita con due dita. Se si fosse agitata avrebbe potuto danneggiare qualche terminazione nervosa e non sarebbe stato esattamente il massimo, dato che le braccia, alla Prima Tiratrice Scelta servivano eccome.

Andò un po’ più affondo e aveva quasi tolto quel sassolino maledetto, quando Kaithlyn sussultò talmente violentemente che quasi si spaventò, tanto da togliere immediatamente le pinzette dalla ferita e fare un passetto indietro, sorpreso e turbato.

La sentì ansimare, poi lei si girò verso di lui più pallida, sudata e tremante di pochi attimi prima se possibile. La fissò con le pinzette sollevate a mezz’aria per un attimo che parve eterno prima che lei si portasse una mano alla bocca e vomitasse sul pavimento.

Tossicchiò, barcollante, cercando di allontanarsi i capelli dal viso.

Eric si avvicinò repentinamente e gli scostò i riccioli scomposti dalla faccia, mentre veniva scossa da un altro conato.

Le accarezzò la fronte, mentre si rimetteva dritta, e le appoggiò una mano sul viso per costringerla a guardarlo. – Oh, ci sei? – chiese titubante, accarezzandole una guancia e con l'altra mano la schiena, ogni residuo di rabbia svanito nel nulla, dissolto.

Gli occhi di Kaithlyn vagarono persi per alcuni attimi sul suo viso, prima che la sentisse accasciarsi sul suo petto.

La afferrò da sotto le braccia, passandole una mano sotto le gambe, e la trasportò  sul divano in stato di semi incoscienza.

- Che c’è? Che ti senti? – domandò preoccupato, mentre la depositava sul divano e le accarezzava un braccio. Si tolse la felpa e gliela mise sopra, indeciso sul da farsi.

Se aveva toccato un nervo, prima di fare danni, era meglio portarla al pronto soccorso. Tutta la carriera di Kaithlyn si basava sulle braccia, era una Tiratrice!

S’inginocchiò accanto al divano, in difficoltà. – Kath? – la chiamò, con voce tremante. – Piccola, mi senti? – le mormorò, accarezzandole una guancia esangue.

Le scostò i capelli dalla faccia e andò a prendere un fazzoletto per pulirle le labbra.

Kaithlyn socchiuse appena gli occhi mentre le passava con delicatezza il tovagliolino sulla bocca. – Ehi. – mormorò, gettandolo sul tavolo e concentrandosi su di lei. – Ti porto al pronto soccorso prima di fare danni. – le comunicò facendo per alzarsi.

Kaithlyn girò la testa verso il soffitto, seguendolo con gli occhi. – No… - mormorò. Portandosi una mano sulla fronte e coprendosi gli occhi.

La guardò mettersi a sedere e stringersi la felpa sul seno mentre si guardava intorno spaesata. – Mi viene da vomitare. – disse con voce arrochita e debole, strozzata.

 Storse appena la bocca. – Hai bevuto? – chiese, piano. 

Si sentiva un'idiota a esercitare tanta premura, ma non era il suo problema principale in quel momento. 

Lei annuì e puntellando i gomiti sulle ginocchia si prese la testa ciondolante tra le mani.

Eric le sfiorò una spalla. – Aspetta qui, torno subito. – brontolò infine, prima di dirigersi quasi di corsa verso la camera della ragazza.

Spalancò l’armadio con violenza e ne ispezionò il contenuto alla ricerca di un borsone. Ne trovò uno in fondo all’armadio, in basso.

Era nero e con diverse tasche e sembrava contenere qualcosa di morbido e non eccessivamente pesante.

Lo afferrò bruscamente, esattamente come aveva fatto con la sua vecchia sacca che teneva sotto il letto, e lo svuotò sul materasso con poca delicatezza.

All’interno c’era una maglietta smanicata  di colore azzurro, con l’orlo intorno ai buchi per le braccia lavorato e uno scollo a cuore non troppo profondo, una paio di jeans e un paio di scarpe da ginnastica basse di un azzurro un po’ più chiaro della maglietta.

Guardò sotto le scarpe, per curiosità. Trentasei.

Quella nana aveva dieci numeri in meno di lui e pesava la metà. Come diamine faceva a creargli tutti quei problemi?

Era certo che quelli fossero i vestiti del suo Giorno della Scelta. Doveva essere carina vestita così ed era sicuro che gli sarebbe piaciuta anche tra i Lassi.

Svuotò anche le tasche, trovando un fermaglio e un paio di foto dell’iniziazione, che raccolse e mise sul comodino senza prestarci troppa attenzione.

Se non fosse stato tanto nervoso e, doveva ammetterlo, preoccupato, avrebbe curiosato un po’ di più ma prima portava Kaithlyn al pronto soccorso, prima si sarebbe calmano. Il pensiero di averle rovinato la carriera, seppur involontariamente, lo stava facendo impazzire.

Altro che Jeanine, quella ragazza lo avrebbe ucciso con molto meno di qualche incarico pericoloso. Sarebbe passato alla storia come il più giovane Capofazione Intrepido morto d’infarto della storia.

Fece una smorfia. Era colpa sua se stava male. Se qualcosa fosse andato storto, l’avrebbe odiato per sempre e avrebbe avuto anche ragione a farlo.

Scacciò quel pensiero con stizza, mentre cercava nei cassetti della biancheria pulita, un pigiama e un cambio di vestiti.

Afferrò senza pensarci troppo una maglietta rossa con delle scritte rockeggianti e un paio di jeans scuri come cambio. Le scarpe le avrebbe avute addosso.

Non sapeva bene cosa, esattamente, tra i miliardi di cose che teneva in bagno le fosse indispensabile. Prese una bustina di plastica trasparente, quella che teneva nella borsa da allenamento e ci infilò dentro lo spazzolino da denti, il dentifricio e una spazzola ma non gli venne in mente nient’altro che potesse esserle utile.

Uscì dal bagno, agitato, ma tornò indietro quasi subito  per prendere anche il suo spazzolino, nel caso fosse necessario rimanere in ospedale per qualche ragione; non l’avrebbe lasciata lì da sola neanche se fosse andata a fuoco la Residenza degli Intrepidi.

Avrebbe cotto i pop-corn sul Pozzo in fiamme, piuttosto. Dal soffitto in vetro.

Tornò a passo svelto verso l’ingresso ed estrasse dal suo borsone un cambio anche per sé.

Bene, era tutto pronto…peccato mancasse all’appello l’oggetto dei suoi problemi, costatò guardandosi intorno.

L’aveva lasciata su divano, semidistesa e ancora dolorante, ma né lei né i vestiti che le aveva tolto erano nell’ingresso.

Merda.

Dove diavolo era finita?

- Sono in cucina. – la sentì mormorare, con lo stesso tono cui si sarebbe rivolta a un’idiota. E forse era veramente così che lo vedeva e in quel momento non poteva neanche darle tutti i torti. Era un maledetto coglione.

La trovò di spalle, intenta a scrivere con la mano sinistra qualcosa su un foglietto.

Si sporse oltre la sua spalla, i suoi vestiti ancora in mano. – Cos’è? – chiese osservando il contenuto del bigliettino.

- Lascio un bigliettino a quell’altro. – mormorò, prima di posare la penna sul tavolo con un ticchettio. Si massaggiò il braccio destro, con una smorfia.

Eric aggrottò le sopracciglia. – Perché scrivi con la sinistra? – chiese, anche se non era sicuro di voler sapere la risposta.

Kaithlyn si voltò verso di lui e lo guardò mogia. Tirò per un attimo su un angolo della bocca. – Ho un po’ di atrofia muscolare al braccio destro. – mormorò, abbassando gli occhi e dirigendosi verso il soggiorno. - È indolenzito, credo. – aggiunse aprendo e chiudendo la mano.

Era ancora pallidissima e sudata, ma almeno camminava sulle sue gambe.

La seguì fino al soggiorno, dove aspettò che s’infilasse le scarpe. - Vuoi cambiarti il sopra? – le chiese. Non aveva pensato a prenderle un’altra maglietta.

Kaithlyn alzò gli occhi su di lui e lo fissò per un secondo prima di annuire con la testa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Seguì Eric con gli occhi mentre spariva nell’altra stanza prima di passarsi una mano tra i capelli. Sentiva ancora lo stomaco sottosopra e le pulsava la testa. Forse non avrebbe dovuto bere tutti quei drink, ma si stava divertendo e in genere era in grado di regolarsi senza troppi problemi.

Stupida.

Il braccio ogni tanto perdeva sensibilità e lo sentiva debole, privo di forze. Nonostante stesse cercando di tranquillizzarsi era preoccupata: se si fosse lesionata seriamente il nervo soprascapolare sarebbe stato un ben guaio. Non solo avrebbe dovuto operarsi, ma avrebbe avuto davanti a sé minimo un paio di lunghi mesi di riabilitazione e non ne aveva nessuna voglia.

Sentiva ancora gola il retrogusto disgustoso di poco prima, quando aveva vomitato, e quella sensazione le fece tornare la nausea.

Avrebbe dovuto restarsene in disparte e farsi gli affaracci suoi anziché insistere quando era evidente che non fosse il momento opportuno per discutere. Era stata stupida e impulsiva; un’Intrepida modello, in parole povere. Non aveva pensato, non aveva ragionato sulle conseguenze delle sue azioni, sul fatto che avvicinandosi a lui in una situazione del genere, per di più provocandolo – ancora – non avrebbe potuto ottenere che una reazione violenta e negativa. Soprattutto dopo la mattinata, anche se ormai sembrava lontana anni luce.

Si rese conto di aver chiuso gli occhi quanto si sentì toccare appena una spalla. Guardò nella direzione di Eric, osservando la maglietta rosso scuro che le aveva portato insieme a un’altra felpa.

Pantaloni grigi, maglia rossa, felpa e scarpe nere. Davvero un fiorellino, con la faccia che si ritrovava in quel momento.

Afferrò l’indumento senza ringraziare e si cambiò rapidamente, sfilando prima la parte del corpo sana e la testa e poi il resto.

L’atmosfera era ancora carica di tensione, e l’espressione vagamente preoccupata di Eric non aiutava la situazione.

- Dai… - la incoraggiò Eric, posandole una mano sulla schiena e accompagnandola alla porta.

In quel momento, il portone si aprì rivelando Jason sull’uscio con la mano alzata a mezz’aria.

Aveva gli occhi umidi di lacrime – di nuovo – ma non appena la vide spalancò gli occhi verdi e la fissò stranito, alternando lo sguardo da lei ad Eric che si era quasi automaticamente irrigidito.

- Che succede qui? -.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi, purtroppo per voi non vi libererete mai di me.

Vi chiedo scusa per il ritardo clamoroso, ma sono stata straimpegnata con l’Università e lo sono ancora, ma non potevo non aggiornare.

Inizialmente ero partita con un’idea del tutto diversa, ma poi mi è venuto in mente questo sviluppo e non ho resistito alla tentazione. Voglio dire, l’idea originale era sicuramente più assennata di questa e filava tutto… non potevo non complicare  la vita sia a me che ai miei personaggi, vi pare?

Voi che ne pensate? Vi piace? Cosa vi aspettavate? Opinioni o idee sul futuro?

Eric vi sembra un budino di riso o ha avuto una reazione “comprensibile”?

Mi rendo conto che sia un “pelino” più bipolare del solito in questo capitolo ma cos’altro potrebbe fare? È pur sempre Eric! In questo capitolo Kath non si fa sentire, ma lo farà prossimamente!

Forse sto un po’ esagerato con le conseguenze di una banale – per Kath ed Eric è quasi come darsi il “buongiorno”, se non si mandano al diavolo la giornata non inizia! – discussione, ma stranamente mi piace!

Come sempre ringrazio Kaimy_11 (il momento in cui Kath si comporterà “bene” arriverà, te lo prometto… ed arriverà anche tu-sai-chi!) e Alex001 per le recensioni. Lasciatevelo dire, per leggere quel capitolo lunghissimo vi meritereste una medaglia al valore!

Come al solito vi lascio anche l’indirizzo, a chi interessa, della mia pagina facebook.

Link à https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/?fref=ts

Alla prossima, aspetto i vostri commenti!

 

 

 

  
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