Capitolo
13
Aprì
il più velocemente
possibile la porta ed entrò nell’appartamento
senza troppi complimenti. Tirare
giù la maniglia era stata una sofferenza per le sue mani e
anche se erano
passate poche ore faceva ancora fatica a muovere e a piegare le dita;
il taglio
che aveva su ciascuna mano gli bruciava e ogni movimento risultava
piuttosto
doloroso.
Era
comunque riuscito a
sciacquarsi il viso e a togliere il sangue incrostato che gli ricopriva
le
mani; certo, era stata un’operazione lenta e piuttosto
dolorosa, ma almeno non
sembrava che avesse fatto a pezzi qualcuno a mani nude.
Sean
era tornato a casa da
Mia dopo averlo aiutato a sistemare. Avrebbe dovuto offrirgli da bere
per
sdebitarsi della sopportazione che aveva nei suoi confronti, anche se
nessuno
l’aveva costretto ad assecondarlo per due anni consecutivi.
La
scena che si trovò
davanti non appena fu dentro l’ingresso lo lasciò
impietrito per alcuni secondi.
Kaithlyn
era seduta con le
gambe piegate verso il petto in un angolo del divano e aveva tra le
mani un
bicchiere con del liquido trasparente all’interno. Si era
cambiata, mettendosi una
maglietta grigio scuro e pantaloni felpa della tuta nera; i capelli
erano
sciolti e ancora in disordine ma sul suo viso sembrava aleggiare
qualcosa di
diverso rispetto a poco prima. Sembrava quasi… sofferente.
Sofferenza
presunta a parte,
se le occhiate avessero potuto uccidere, lui sarebbe rimasto
carbonizzato sul
posto nell’esatto istante in cui aveva varcato la soglia,
tanto era infuocata l’occhiata
che ricevette dalla ragazza.
Le
restituì la sua miglior
occhiata risentita; anche se era lì per cercare di
aggiustare il minimo
sindacabile le cose, non aveva nessuna intenzione di farsi mettere i
piedi in
testa da un tipetta alta trenta centimetri in meno di lui e pesante la
metà.
E,
comunque, aveva iniziato
lei tutta quella discussione eterna quindi non poteva accusarlo di
esserne il
responsabile. Non del tutto almeno, anche se forse
ci aveva messo del suo.
In
secondo luogo, non aveva
minimamente voglia di discutere. L’unica cosa che desiderava,
oltre alla polverizzazione
istantanea di Jason, era mettersi a letto e dormire per i successivi
tre
giorni. Possibilmente con Kaithlyn. Nuda.
Dopo
alcuni attimi di
silenzio, in cui si scrutarono con circospezione, la sua attenzione fu
attirata
dall’altra figura accanto a Kaithlyn e un brivido
d’irritazione, che anticipava
una sfuriata con i controfiocchi, gli corse lungo la spina dorsale.
Le
cose che gli saltarono
all’occhio e lo costrinsero a fare appello a tutta la buona
volontà che gli era
rimasta per non saltare alla gola di Jason erano, prima di tutto, il
fatto che
fossero decisamente troppo vicini;
e
secondo che avesse la straordinaria capacità di apparire
intorno a lei nell’esatto
istante in cui discutevano e lui se ne andava incazzato come una
bestia.
Un
tempismo perfetto.
Aprì
bocca per chiedere
cosa, esattamente, ci facesse di nuovo
lui lì e in più perché sentisse il
bisogno di stare così vicino a quella che
fino a prova contraria, anche se probabilmente sarebbe durata solo
altri quattro
secondi – forse anche meno – era la sua
ragazza.
-
Sta’ zitto! – sibilò
Kaithlyn, interrompendolo ancora prima che le parole prendessero forma
nella
sua mente. – Che diavolo ci fai qui, eh? –
aggiunse, stringendo le dita intorno
al bicchiere e assottigliando gli occhi.
La
fissò. – Io? Che stracazzo
ci fa lui qui, vorrai dire!
– ribatté, alzando le sopracciglia e
lanciando a Jason un’occhiata raggelante. – Non
posso neanche allontanarmi che
corri da lui. –
Vide
con la coda dell’occhio
Jason aggrottare le sopracciglia e assumere una strana espressione a
metà tra
l’abbattuto e l’irritato; strano, in genere
battutine imbecilli e uscite
“brillanti” gli uscivano dalla bocca una volta
sì e l’altra pure anche quando
gli dava dell’idiota patentato.
Kaithlyn
incrociò le braccia
sul petto, alzandosi. – Questa è casa mia
imbecille, e tu non hai nessun
diritto di venire qua a farmi scenate di gelosia dopo quello che mi hai
detto
stasera.. quindi, ora, fai un favore a tutti e tre e togliti dai piedi.
–
disse in un ringhio basso e freddo.
-
Ti vorrei ricordare che
hai iniziato te a straparlare stamattina, quando nessuno ti aveva
richiesto un
parere. – ribatté, stringendo i pugni e soffocando
un sibilo di dolore.
Kaithlyn
lo fisso
intensamente per un lungo istante. – Che vuoi Eric?
– mormorò senza staccare gli
occhi chiari e freddi da lui e ignorando la sua considerazione.
-
La mia roba. – rispose
immediatamente, rilasciando i pugni e sentendo la pelle rigida per le
escoriazioni protestare. – E volevo parlare con te, ma sei
troppo impegnata a
quanto pare. Non importa, so essere paziente. – aggiunse,
lanciando un’occhiata
a Jason che fino a quel momento era stato in silenzio e continuava a
guardare
male il tavolino davanti a lui. Sembrava si stesse trattenendo.
-
Congratulazioni! Potrai
pazientare fuori da casa mia. – gli ringhiò,
stringendo le dita sulla stoffa
della felpa grigia, a braccia incrociate. La vide fare una smorfia, ma
non ci
presto troppa attenzione.
-
Se resta lui, resto anch’io.
– decretò.
-
Scordatelo, non sei
all’asilo e in casa mia decido io. Prendi la tua roba e
sparisci. – gli intimò
minacciosamente e stringendo con più forza le mani intorno
alle sue stesse
braccia, ancora incrociate sotto il seno.
La
fisso duramente, mentre
prendeva consapevolezza che, se voleva rimanere lì, avrebbe
dovuto farlo
indipendentemente dalla volontà di Kaithlyn.
Amen.
Magari
avrebbe avuto anche
modo di strapazzarla, quando gli si sarebbe avvicinata con
l’unico intento di
ucciderlo o trascinarlo per i capelli fuori da lì. Avrebbe
potuto fingersi
morto e costringerla a trascinare tutti e ottantaquattro i chili di
muscoli che
si portava dietro. Sarebbe stato divertente.
La
fisso per alcuni istanti,
indeciso sul da farsi. Aveva due possibilità: assecondarla
per cercare di
recuperare o imporle la sua presenza e avere così modo di
controllare anche l’altro.
Se
avesse assecondato
Kaithlyn avrebbe sicuramente guadagnato punti preziosi, ma non avrebbe
avuto
sott’occhio lei e Jason e non avrebbe potuto controllare che
lui tenesse le
mani a posto e, di conseguenza, non
avrebbe neanche potuto amputargliele con un coltello da cucina in caso
le
avesse allungate troppo.
Imponendole
però la sua
presenza l’avrebbe fatta infuriare ancora di più,
perdendo sicuramente terreno
e ritrovandosi con un pugno di mosche in mano.
Alla
fine cosa importava?
Potevano essere più in crisi di così o darsi
ancora più addosso?
Certo
che sì,
ma piuttosto che lasciare campo libero a riccioli d’oro
sarebbe andato a fare
bubù-settete a Quattro sotto la doccia.
-
Se resta lui, rimango anch’io.
– ripeté inflessibilmente piantando i piedi dove
si trovava.
Kaithlyn
dischiuse appena le
labbra e se le umetto stringendole tra loro, mentre abbassava gli occhi
e si
mordeva l’interno del labbro inferiore.
Non
era un buon segno. Forse
avrebbe dovuto fare un’assicurazione sulla vita, lasciare
qualcosa di scritto o
firmare una liberatoria prima di infilarsi in casa della Nana
Inferocita.
-
Eric, ascolta. Io potrei
anche farti rimanere qui e tutto quello che ti pare,
d’accordo? Il problema è
che non m’interessano né le tue patetiche scuse,
ammesso che tu sia qui per
questo, né tanto meno quello che hai da dire. Non ha senso
che tu rimanga… -
disse, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi. – ora
vado di là a
prendere le ultime cose e poi non ti voglio più vedere.
– concluse. Lo guardava
dritto in faccia, senza malanimo; sembrava solo molto stanca e la cosa
lo turbò
un po’: non pensava di essersi spinto tanto oltre da
compromettere in quel modo
il loro rapporto.
Alla
fine le aveva detto cose
peggiori, no? Perché prendersela tanto?
Non
appena lei sparì
nell’altra stanza, girò lentamente la testa verso
Jason, ancora seduto sul
divano con gli avambracci appoggiati alle ginocchia.
-
Non dire un’altra parola.
Ho avuto sicuramente una serata peggiore della tua. – gli
disse, prima che le
sue labbra potessero pronunciare il primo insulto o epiteto poco
lusinghiero.
Quell’ammonimento,
appena
sibilato in tono rauco, lo lasciò spiazzato per un attimo.
Da quanto lo
rimbeccava?
Richiuse
le labbra e assottigliò
gli occhi. – Questo è tutto da vedere. –
sibilò, studiandolo con attenzione.
Jason
alzò e girò la testa
verso di lui, guardandolo fisso. – Sono andato a fare una
sorpresa alla mia
ragazza per chiederle di andare a convivere e l’ho trovata a
trombare con un
altro. – disse. – la tua scusa qual è? -.
-
Okay, per stasera l’hai
vinta tu. – acconsentì cupamente. Non poteva certo
raccontargli tutto; già
convincere Max e gli altri Capofazione a mettere al corrente Sean era
stata
un’impresa… figuriamo altri elementi. E comunque
lui era in fondo alla lista di persone alle quali avrebbe raccontato i
fatti suoi.
Jason
sembrò svuotato, come
se quasi sperasse in una rispostaccia che gli fornisse una buona scusa
per
sfogarsi su di lui. Scosse la testa, come per riscuotersi, e lo
guardò senza malanimo.
– Dovresti scusarti, comunque. Non scherzava quando ha detto
che non ti vuole
più vedere. – mormorò apaticamente.
-
Non volevo colpirla. –rispose,
senza sapere neanche lui il reale motivo per cui lo diceva proprio a
quell’imbecille che aveva davanti.
Jason
corrugò le
sopracciglia e lo fisso intensamente. – Vorrei ben vedere.
Non ce l’ha con te
per questo, ha capito subito che c’era qualcosa che non
andava in quel momento…
non è una stupida. –
Contrasse
i muscoli di
braccia e schiena in un guizzo d’irritazione. Come si
permetteva di dargli
lezione sulla sua ragazza?
-
So perfettamente quanto
sia intelligente, grazie tante. Non ho alcun bisogno che tu mi faccia
la
lezione. – ringhiò, avviandosi verso la cucina.
Jason
lo seguì a brave
distanza e si appoggiò a braccia incrociate alla parete
della cucina. – Be’,
fai come ti pare, non m’interessa. Io in genere parteggio per
te, sai com’è,
solidarietà maschile. Ad ogni modo, - proseguì,
raddrizzando le spalle, - non
mi piace che tu le metta le mani addosso… fa’ in
modo che non ricapiti, okay?
-.
Ghignò.
– Cos’è? Una
minaccia? – lo schernì, mentre prendeva un
bicchiere e lo riempiva di acqua.
Jason
scosse la testa. Non
sembrava arrabbiato con lui. – No. Diciamo che è
un avvertimento. So che
stasera è stato un incidente e che non volevi farle del
male, ma se dovesse,
ecco, partirti un colpo… poi sarò io a renderle a
te, e ti assicuro che non
sono così morbido come
sembro. –
Aveva
parlato in tono
tranquillo, posato.
Restarono
alcuni attimi in
silenzio; Eric bevve lentamente il suo bicchiere d’acqua
mentre Jason si
guardava intorno. Sembrava quasi che stesse cercando qualcosa da dire,
da fare
per rompere il silenzio. Una distrazione.
Non
aveva la benché minima
intenzione di torcere un solo capello a Kaithlyn, avrebbe gettato nello
Strapiombo chiunque ci avesse anche solo provato, eppure si
ritrovò a studiare
Jason allo stesso modo in cui avrebbe studiato un rivale in un incontro.
Era
più basso di lui solo si
alcuni centimetri ma non era altrettanto slanciato. Aveva le spalle
larghe ed
era sicuramente ben piazzato a muscoli, e anche se dava
l’impressione di essere
il tipo che non avrebbe fatto male a una mosca, era abbastanza certo
che
sapesse anche farsi valere.
Contrasse
i muscoli della
schiena, teso, e assottigliò gli occhi. – Buon per
te. – sibilò, appoggiandosi al ripiano
della cucina.
Jason
storse la bocca. –
Senti, io adesso vado a prendere la roba per rimanere a dormire qui.
Hai dieci
minuti per salvare il salvabile, okay? – disse, staccandosi
dalla parete e
avviandosi verso l’uscita.
In
quel momento, mentre Eric
lo seguiva con calma, Kaithlyn rientrò
nell’ingresso-soggiorno con le braccia
cariche di vestiti umidi.
-
Dove vai? – chiese da
dietro la montagna di panni. L’unica cosa che si vedeva erano
gli occhi
azzurri.
Eric
trasformò abilmente una
risatina in un colpo di tosse, guadagnandosi un’occhiata
raggelante.
-
A prendere la roba per
rimanere a dormire. Non vorrai farmi stare tutto solo, vero?
– le chiese con
ovvietà.
Aveva
la voce arrochita e
leggermente impastata, anche se fino a quel momento non
l’aveva notato, troppo
innervosito dalla sua presenza vicino alla ragazza.
Lei
fece una smorfia e alzò
gli occhi al cielo, prima di estrarre da una tasca un sacchetto di
plastica e
infilarci dentro i suoi vestiti.
-
Okay. Tu in compenso te ne
stavi andando, vero? – chiese con naturalezza, rivolgendosi a
lui.
Come
no. Di corsa!
-
A dopo ragazzi! – salutò
Jason, prima di uscire quasi di corsa dalla porta d’ingresso,
quasi si trovasse
in una stanza piene di esplosivo.
Lui
e Kaithlyn si fissarono
e lei incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio in
attesa che prendesse la
sua roba e girasse i tacchi.
In
tutta risposta la imitò e
le restituì un’occhiata indifferente.
Dopo
alcuni attimi, in cui
erano rimasti entrambi silenziosi a fissarsi, Kaithlyn
abbassò gli occhi e
scosse la testa, storcendo la bocca in una smorfia scocciata.
– Continua a fare
l’infante, allora. – brontolò, prima di
lanciare malamente il sacchetto con i
vestiti a terra e avviarsi verso la sua stanza con la stessa smorfia
che le
aveva visto prima.
Eric
sbuffò tra i denti,
irritato da tanto poco spirito combattivo. Si aspettava di essere
buttato fuori
letteralmente a calci nel sedere e di ritrovarti almeno con un occhio
nero.
-
Tutto qui? – le disse,
prima che lei sparisse nel corridoio. Kaithlyn si fermò e si
girò verso di lui;
sembrava stanca.
-
Sì, - asserì con un’alzata
di spalle. – Potrei anche buttarti fuori a pedate, ma
continueresti a
tormentarmi. Fai pure quello che ti pare, a me non interessa. Vuoi
rimanere qui
per controllarmi? Bene, sono curiosa di sapere dove dormirai dato che
sul
divano ci starà Jason. Se pensi che imponendo la tua
presenza io cambi idea,
sei fuori strada. –
Mentre
parlava sembrava
annoiata, rassegnata, come se avesse a che fare con un bambino
particolarmente
capriccioso che si ostinava a fare di testa sua, e non gli piaceva.
In
genere si urlavano
addosso, volavano schiaffi e s’insultavano fino a perdere
quasi la voce per poi
ritrovarsi a fare l’amore su una qualsiasi superfice agibile.
Il
fatto che non stesse
provando a opporsi lo irritava profondamente, era snervante e doveva
assolutamente fare qualcosa prima di mettersi a urlare o di correre
dietro a
Jason per attaccarlo alle spalle a tradimento. Così, giusto
per riversare le
frustrazione su qualcuno.
Sentiva
una strana sensazione
risalirgli lungo il collo, come quando ci si prepara a una discussione
particolarmente feroce. Strinse i pugni e irrigidì la
mandibola, teso
dall’atmosfera elettrica che si stava creando.
-
Non vorrei rovinare il tuo
bel discorso, Kaithlyn, ma non sono stato io a iniziare tutto questo
casino. E
non sono nemmeno quello che stamattina si è alzato con la
luna storta, quindi,
forse, dovresti iniziare a guardare anche quello che fai te, invece di
dare
tanta aria alla bocca. – disse, con voce misurata
osservandola mentre
s’irrigidiva e assottigliava gli occhi.
Ottimo.
Era
un buon segno, dato che
lo scopo era provocarla abbastanza da far cadere la facciata di calma
calcolata
che aveva messo su. Anche lui era nato e cresciuto negli Eruditi e con
sua
madre il controllo era
all’ordine del
giorno, e sapeva riconoscere a prima vista la calma fittizia, quella
che
ostentava spesso anche lui, da quella autentica. Non era difficile, lui
era il
primo a imporsi di mantenere il controllo quando sentiva la rabbia
avvelenargli
la mente, e sapeva quanto poco bastasse per far crollare
l’apparenza in quelle
situazioni.
Fece
un passo in avanti. –
Oppure, non vuoi rivangare qualcosa di cui non vai particolarmente
fiera? –
insinuò, malevolo.
Sapeva
di starsi
avventurando in un campo minato dal quale non era sicuro di uscire
vincitore,
ma la reazione spropositata che lei aveva avuto quando poche ore prima
aveva
insinuato che non fosse arrivata dov’era per suo merito gli
aveva fatto tornare
in mente un vecchio articolo degli Eruditi. Era talmente ovvio! Nei
mesi
passati insieme si erano detti cose peggiori, e una reazione del genere
non
poteva che nascondere un motivo personale.
Intimo.
Tanto
valeva sfruttare quel
piccolo vantaggio che aveva su di lei per farla capitolare. Doveva fare
alla
svelta però; Kaithlyn era abbastanza sveglia da fare due
più due molto più
velocemente di quanto lui ci avrebbe impiegato a trovare
un’altra
argomentazione per provocarla.
Le
piantò gli occhi grigi
sul viso con la stessa violenza di un serpente che si ritrova
finalmente davanti
alla preda. Kaithlyn abbassò le sopracciglia sugli occhi,
restituendogli
un’occhiata altrettanto feroce e incrociò le
braccia sul petto.
Fuoco
alle polveri!
Fece
due passi verso di lei
senza interrompere neanche per un secondo il contatto visivo con il suo
viso e
ghignò.
-
Allora… - esordì,
scrocchiandosi le dita della mano destra sul palmo della mano sinistra
e
viceversa, ignorando la fitta di dolore che gli causò quel
gesto.
Kaithlyn
fece un sorrisetto
a labbra stirate. – Allora non ci provare neanche. Se pensi
che provocandomi
otterrai qualcosa ti sbagli, idiota. – disse, la voce limpida
e improvvisamente
calma, nonostante mancasse una parte della solita grinta che tirava
fuori quando
discutevano.
-
Mi chiedevo solo come mai
tanto nervosismo per un’insinuazione velata. Hai la coda di
paglia? –
ridacchiò, curvando appena la sua traiettoria mentre si
avvicinava lentamente a
lei con la stessa studiata lentezza di uno squalo che vuole incastrare
la
preda.
Kaithlyn
arricciò le labbra.
– Sei davvero penoso. – sospirò, - ma
immagino che di non potermi aspettare
niente di più, giusto? -.
Stirò
le labbra in un
sorriso accondiscendente. – Andiamo, Kath. Ci siamo detti di
peggio. Perché te
la prendi tanto? Ho tirato fuori qualche scheletro
nell’armadio? Di, diciamo,
un annetto o poco più prima del tuo trasferimento? Per
questo ti sei sentita
punta sul vivo? – mormorò mellifluo.
Il
sorriso stirato di
Kaithlyn svanì e gli sembrò quasi di veder
lampeggiare nei suoi occhi una
scintilla di rabbia.
Sorrise;
stava funzionando.
Non gli importava delle conseguenze, voleva solo una buona scusa per
farla
arrabbiare, sfogare e poi trascinarla in camera.
Kaithlyn
ricompose la sua
espressione in pochi secondi e sospirò teatralmente.
– Vuoi provocarmi –
asserì.
Non
era una domanda.
Lei
scosse la testa. – Mi
spiace deludere quelli che sono certa siano dei progetti interessanti e
smontarti,
ma non attacca. Non stasera. – disse, con lo stesso tono che
avrebbe potuto
avere spigando qualcosa a un bambino.
-
Trovo invece più
interessante parlare di te, che dici? Come mai tanto nervosismo per due
piccole
insinuazioni mattutine? – lo derise, ma non sorrideva
più. Era seria e fredda
come un pezzo di ghiaccio.
Qualcosa
nella sua postura,
nell’atteggiamento freddo e calcolatore gli fece considerare
che,
effettivamente, sarebbe stata un’eccellente Capofazione per
gli Eruditi.
Fredda,
pragmatica, calcolatrice
e cinica.
Si
morse appena la lingua,
mentre pensava a come controbattere. Il fatto che quella
carta lo mettesse in difficoltà nove volte su
dieci lo
irritava.
Ormai
che aveva iniziato,
valeva arrivare fino in fondo, giusto?
-
Almeno i miei non hanno
dovuto pagare un esercito di avvocati per mettere a tacere…
- iniziò facendo di
proposito una pausa per osservare la sua reazione.
A
giudicare dall’espressione
feroce della ragazza era abbastanza sicuro che, se avesse avuto un
oggetto
contundente a portata di mano, glielo avrebbe tirato dietro.
-
… voci scomode.
– terminò lentamente.
Kaithlyn
strinse le labbra e
i pugni, mentre lui faceva un altro passo verso di lei. – O,
magari, tuo padre
doveva mettersi la coscienza, come dire… a posto.
– aggiunse. Sapeva di star
varcando un limite, di esagerare, a valicare una linea di confine
chiara e per
la quale Kaithlyn non avrebbe chiuso un occhio. Lo capiva dal modo in
cui lei
lo stava guardando e dalla postura rigida del suo corpo. Fino a quel
momento
non ci aveva fatto caso, ma sul viso aveva un leggerissimo strato di
sudore che
non riusciva a spiegarsi e il rigonfiamento sul viso iniziava a farsi
vedere.
-
Non dire un’altra parola.
Non una parola, Eric. – sibilò assottigliando
leggermente gli occhi. – Dovresti
tenere la bocca chiusa su cose che non
sai e non capisci. Tieni mio padre e questa
storia fuori da questa discussione, non lo
ripeterò un’altra volta. -
Kaithlyn
gli si avvicinò
lentamente, mentre lui si immobilizzava dov’era e sentiva un
piacevole
sensazione di trionfo invaderlo.
Il
sorriso vittorioso sparì
dal suo viso non appena guardò bene in faccia la ragazza.
Sembrava… fuori di
sé. Forse aveva esagerato un po’ troppo nel
ritirare fuori cose così vecchie e
di cui non sapeva realmente niente; alla fine Kaithlyn era la sua
ragazza e lui
avrebbe dovuto essere dalla sua parte. Anche se per come si stavano
mettendo le
cose immaginò che non sarebbe stata la sua ragazza ancora
per molti secondi. Forse non lo era
già più.
Ormai
non poteva più tornare
indietro e non era certo il tipo da nascondere la mano dietro la
schiena dopo
aver lanciato il sasso, anzi: gli piaceva prendersi il merito, se
così si
poteva chiamare, di quello che faceva indipendentemente dalla
bontà
dell’azione.
-
Altrimenti? -.
Fece
appena in tempo ad
afferrare il polso di Kaithlyn che era scattato con il chiaro intento
di
colpirlo e di fargli il più male possibile.
Le
strinse le dita intorno
al polso con forza e la sentì digrignare i denti, non sapeva
se per la
frustrazione o per il dolore.
L’altra
mano di Kaithlyn
scattò ma notò che ci aveva messo decisamente
meno entusiasmo, era stato un
movimento fiacco, debole.
-
Piano, gattina, o ti farai male.
– la derise
con voce bassa e roca, distanziandole le mani e mettendo su un
sorrisetto
insolente.
Lei
lo fisso con odio, dal
basso verso l’alto. Nonostante il viso incominciasse a
gonfiarsi e si trovasse
decisamente in svantaggio non sembrava per niente intimorita, anzi:
sembrava
quasi che gli stesse concedendo di
tenerla ferma.
-
Ti credi tanto forte solo
perché mi hai battuto una volta e in un incontro
regolamentare. –
Non
era una domanda neanche
quella.
-
Eppure credevo fossi meno
stupido: ho quattro anni di addestramento speciale alle spalle. Pensi
davvero
che non sappia come stenderti? – insinuò, tra i
denti.
Certo
che lo sapeva. Anche
lui, in quanto Capofazione, aveva seguito un addestramento specifico
che
equivaleva ai primi due anni di quello delle Forse Speciali degli
Intrepidi.
Si
allenava ancora, e sapeva
quanto fosse duro e sfiancate ed era anche piuttosto sicuro che lei
sapesse
essere molto più cattiva di quanto desse a vedere sul ring e
che dopo quattro
anni nei Tiratori sapesse come asfaltarlo
anche se con metodi poco ortodossi.
Magari facendo leva su qualche nervo. Nei combattimenti regolari,
quelli che comprendevano
gli Aggiornamenti Professionali, le competizioni di primo livello e gli
addestramenti ordinari non erano previste certe mosse, ma questo non
significava che alcuni non le conoscessero o che non servissero in caso
di
necessità sul campo.
I
Tiratori si addestravano
nel corpo a corpo senza toccarsi per sviluppare al meglio la prontezza
di riflessi
nello schivare i colpi e nel bloccarsi prima di colpire
l’avversario, e la
velocità nello sferrargli. Aveva visto una parte di
combattimento e alla fine,
nonostante si rotolassero a terra anche per un’ora
abbondante, nessuno dei due
combattenti aveva un solo graffio: se si fossero veramente colpiti con
tutta
quella violenza e in quel modo, sarebbero finiti tutti in infermeria
nove volte
su dieci e non sarebbe stata una cosa molto produttiva per la fazione.
Ovviamente,
nella situazione
in cui si trovava in quel momento, non poteva certo ammettere una cosa
simile.
Ghignò.
– Mmh… non saprei.
Immagino dipenda da come vuoi
stendermi. – mormorò, afferrandole entrambi i
polsi con una mano mentre con
l’altra le prendeva il mento tra due dita.
Non
fu una gran bella idea,
considerò, e mentre sentiva il dolore irradiarsi sul viso e
sullo stinco si
diede dell’idiota: era ovvio
che lei
non aspettasse altro che un momento di eccessiva strafottenza da parte
sua. Non
si sarebbe sorpreso se anziché essere una reazione istintiva
e dettata dalla
rabbia, fosse stata ragionata dal momento stesso in cui aveva iniziato
a
provocarla volutamente.
Si
sentì spintonare
all’altezza dello stomaco, ma riuscì a incassare
piuttosto facilmente. Una
parte della sua mente gli stava dicendo che c’era qualcosa in
Kaithlyn che non
andava, che stonava e che avrebbe dovuto destargli un minimo di
sospetto o
preoccupazione, ma la mise subito a tacere.
Nonostante
si sentisse
lucido e padrone delle sue facoltà gli venne istintivo
afferrarla per le
braccia e attaccarla al muro per farla stare ferma.
Con
sua grande sorpresa Kaithlyn
urlò.
La
guardò per un attimo
stranito, mentre cercava di regolarizzare il battito cardiaco e non
lasciarsi
prendere la mano dall’enfasi della situazione. –
Che cazzo hai da urlare? –
domandò in un ringhio brusco arrivandole a due centimetri
dal viso.
Strinse
la presa sulle sue
braccia, sicuro che lo stesse prendendo in giro, ma
abbandonò la posizione
aggressiva di un attimo prima. Le lasciò un braccio e
tirò l’altro, rafforzando
la presa.
Kaithlyn
gridò ancora e per
liberarsi gli tirò uno schiaffo sul braccio. Non che avesse
sortito chissà
quale affetto a parte un discreto bruciore sulla pelle.
Kaithlyn
sapeva tirare dei
man rovesci che avrebbero stero un mostro, che cos’era quella
cosa che gli aveva tirato sul
braccio?
-
La spalla… la spalla… -
gemette, mentre la squadrava in cerca della fonte del dolore.
-
Ti sto tenendo per un
braccio. – disse storcendo la bocca.
Kaithlyn
emise un verso
strozzato e lui la tirò in avanti. Urlò ancora,
costringendolo a mollare la
presa e farla sbattere contro il muro.
Kaithlyn
si portò una mano sulla
bocca e chiuse gli occhi, mentre Eric continuava a studiarla.
Le
tremavano visibilmente le
spalle e le gambe e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
Poteva
averla stretta così forte?
Si
guardò le mani e le aprì
e chiuse distrattamente, mentre la sua attenzione veniva catturata da
una
macchiolina scura sul pavimento.
Si
sentì sbiancare..
Sangue.
-
Che ti sei fatta? –
domandò brusco, riavvicinandosi a lei e afferrandola con
più delicatezza. –
Fammi vedere! – ordinò, afferrandola per le spalle
e staccandola dalla parete.
Kaithlyn
provò a
divincolarsi. – Non toccarmi! – strillò,
con voce strozzata. – Non ti
avvicinare. –
Esitò
per un secondo prima
di prendere in mano la situazione, stringerle le braccia con fermezza e
girarla
contro il muro senza troppi complimenti.
Kaithlyn
provò a liberarsi, continuando
a lamentarsi.
Mentre
la girava notò con orrore
che anche sulla
parete c’era un macchia
rossa e si affrettò. Le tenne ferma la schiena con il palmo
di una mano mentre
osservava con gli occhi spalancati la felpa sporca di sangue.
Deglutì,
cercando di non pensare
a come si potesse essere ferita.
Aveva un’idea piuttosto chiara, ma preferiva ignorarla.
– Spogliati, fammi
vedere. – le ordinò, afferrando
l’apertura della felpa e iniziando a
sfilargliela.
-
No! – ringhiò lei, - non
toccarmi, lasciami stare! -.
Quello
che stava per fare
non gli piaceva e probabilmente dopo se ne sarebbe pentito, ma
preferiva comportarsi
in quel modo e prevenire qualcosa di più serio o che potesse
compromettere lei
piuttosto che fare bella figura e lasciarla stare come gli aveva
gridato ben
due volte.
-
Scordatelo. – ribatté,
stringendo la stoffa della felpa con una mano e iniziando a
sfilargliela. Doveva
vedere quel taglio.
Lei
cercò di ribellarsi, ma
erano tentativi deboli.
Gli
sembrava maledettamente
sbagliato spogliarla contro la sua volontà e il fatto che
lei gemesse e
cercasse di opporsi, in quel modo debole e sofferente, lo faceva
sentire ancora
peggio, ma non aveva scelta. Kaithlyn era testarda e orgogliosa e
piuttosto che
chiedere aiuto si sarebbe fatta morire per dissanguamento, poteva
scommetterci.
Nonostante
la foga del
momento cercò di non esercitare troppa pressione per non
peggiorare la
situazione; non era facile con lei che cercava in tutti i modi ti
ribellarsi e
gli tirava calci sugli stinchi.
-
Ferma! Sta’ ferma,
maledizione! – la ammonì, stringendo i denti per
evitare di restituirle una
pedata particolarmente dolorosa.
Dopo
aver lotteggiato per
qualche secondo, riuscì a toglierle la felpa nera.
Lo
spettacolo che si trovò
davanti gli fece gelare il sangue nelle vene. La maglietta grigia era
zuppa di
sangue su tutto il lato destro, fin quasi al bordo dei pantaloni.
Restò
a fissare come
un’idiota la schiena di Kaithlyn prima di infilarle la mani
sotto la maglietta
per sfilarle anche quella.
-
No… - gemette lei,
spingendogli le mani verso il basso per allontanarle.
S’immobilizzò
e fece un
passo in avanti per intrappolarla tra il suo corpo e il muro.
Non
pensava sul serio che si
sarebbe approfittato di lei, vero? Era esattamente quello che sembrava,
ma era
un’idea talmente assurda che gli venne quasi da ridere.
Le
riappoggiò le mani sui
fianchi in una presa decisa, senza fare pressione, e
avvicinò il viso
al suo orecchio. – Non ti faccio nulla, voglio solo
vedere… - le disse,
cercando di tranquillizzarla e di farle passare il tremore.
Lo
metteva profondamente a
disagio sentirla tremare contro di lui mentre cercava di spogliarla.
Era sbagliato,
avrebbe dovuto tremare di desiderio, non di dolore o perché
stava facendo
qualcosa contro la sua volontà.
Kaithlyn
scosse la testa,
ancora girata verso il muro. – No… non voglio, non
toccarmi... – mormorò.
-
Devo vedere, poi me ne
vado d’accordo? – provò.
D’altronde una piccola bugia poteva essere
giustificata in una situazione simile e dopo tutte quelle che le aveva
detto su
certe attività lavorative e tutte quelle che le avrebbe
dovuto dire
quell’innocente, piccola, bugia era il male minore.
-
Bugiardo. – gli sibilò con
voce rotta.
In
altre circostanze
l’essere colto in flagrante in quel modo lo avrebbe fatto
sorridere, ma non in
quel momento.
Fece
scorrere le mani sui
suoi fianchi, attento anche lì a non fare troppa pressione;
non sapeva da dove
venisse tutto quel sangue.
Le
sfilò la maglia a maniche
corte passando prima dal braccio sano e dalla testa, per poi
togliergliela del
tutto e lasciarla in reggiseno.
Deglutì
quando si trovò
davanti alla schiena pallida di Kaithlyn. Sulla scapola c’era
un taglio
piuttosto profondo dal quale usciva una discreta quantità di
sangue, seppure
lentamente.
Gli
prese la spalla con una
mano e passò il pollice accanto alla ferita aperta.
– Questo… questo come te lo
sei fatto? – chiese piano.
Kaithlyn
aveva incrociato le
braccia davanti al petto con l’intento, forse, di coprirsi da
lui. – Indovina!
– ringhiò, girando appena la testa verso di lui.
-
Ti medico. –
-
Non ci provare nemmeno! –
gli intimò, ma lui aveva già afferrato il
gancetto del reggiseno scuro, a
fascia, e lo aveva slacciato.
Kaithlyn
gemette, coprendosi
i seni con le braccia con forza.
Dopo
la medicazione l’avrebbe ringraziato.
Non
era abituato a vederla
così. Per lui Kaithlyn era indistruttibile, eppure la vedeva
tremare e coprirsi
mentre cercava di spogliarla. E non andava bene, era
sbagliato… allo stesso
tempo, però, non aveva alternative.
Mugolò
qualcosa, mentre le
alzava di forza le braccia per sfilargli l’ultimo indumento.
– Piantala. Non è
niente che non abbia già visto. – le
borbottò in un orecchio, mentre
ispezionava la ferita. Avrebbe avuto bisogno di qualche punto, poco ma
sicuro.
-
Hai un sassolino dentro il
taglio. – costatò ad alta voce, osservando meglio
la ferita e intravedendo
qualcosa di scuro piuttosto in profondità. – Vado
a prendere un paio di pinze
per toglierlo e poi ti porto in infermeria. – le
comunicò incurante delle sue
proteste.
-
Io ho un’idea anche
migliore: perché non ti togli dalle palle e faccio da sola?
-.
Eric
la ignorò e le fece
passare un braccio intorno al torace, coprendole i seni e le mani, e
uno
intorno ai fianchi nudi. La sollevò di peso e ignorando i
tentativi di Kaithlyn
di attentare alla sua virilità con i piedi e le gambe, la
trasportò fino alla
cucina.
-
Ferma, ti fai male… dopo,
se ti fa piacere, mi lascerò prendere a mazzate sui denti,
ma prima fammi
disinfettare la ferita. Dannazione, ferma! -.
Certo
che per essere così
piccola, ferita e all’apparenza così indifesa
causava non pochi problemi. E aveva addirittura ancora energia per
ribellarsi,
nonostante sapesse da sola che era inutile.
Maledetta
testona.
Riuscì
a posarla davanti al
tavolo della cucina, a girarla verso di sé e a metterla
seduta sul ripiano.
Quando
lasciò la presa
intorno al suo corpo, Kaithlyn sbiancò e si portò
una mano alla bocca, sudata e
tremante.
-
Hai la nausea? –
investigò, guardandola attentamente.
Lei
annuì, senza guardarlo.
-
Aspetta qui. – disse
semplicemente prima di dirigersi il più velocemente
possibile verso il bagno e
prendere quello che gli serviva: pinze sterili, una siringa di
anestetico,
disinfettante, un apio di garze e gli strip da mettere al posto dei
punti.
Be’,
non c’era che dire:
Kaithlyn era decisamente organizzata.
Riuscì
a portare tutto in
cucina in un solo viaggio.
Kaithlyn
era scesa dal
tavolo e si teneva una mano sulla bocca, mentre l’altra era
appoggiata sulla
superficie del tavolo al quale dava le spalle. Non appena si accorse
della sua
presenza si portò le mani sul seno, coprendosi.
-
Fai sul serio? – mormorò, avvicinandosi
e girandola verso il tavolo.
Lei
non rispose e non oppose
resistenza, forse troppo concentrata sul malessere.
Disinfettò
con cura la parte
lesa, sentendola sussultare di tanto in tanto ma mai lamentarsi.
La
verità è che si sentiva
in colpa, anche se non era propriamente colpa sua; era intervenuto per
difenderla e invece era quello che le aveva fatto
più male.
-
Non volevo farti del male.
– mormorò dopo un paio di minuti di silenzio,
accarezzandole con il pollice la
spalla, con delicatezza.
Ora
che era pulita, la
ferita sembrava anche peggio. Dove diamine l’aveva fatta
sbattere? Su una parete
di coltelli?
Cercò
di fare mente locale,
ma i suoi ricordi di quella sera erano confusi, contaminati dalla
rabbia
incontrollabile che aveva preso possesso della sua mente e del suo
agire.
Kaithlyn
fece uno strano
verso con la testa, che non riuscì a interpretare.
Sospirò
dal naso. – Okay,
ora ti tolgo la scheggia della parete… stai ferma, okay?
– le annunciò, aprendo
con cautela le pinzette e poggiandole una mano sulla schiena per
tenerla ferma.
Non sarebbe stato piacevole, data la profondità del
taglio.
Quando
inserì, il più
delicatamente possibile, le pinzette all’interno della
ferita, Kaithlyn tremò e
sussultò visibilmente. – Ferma. Ci sono quasi.
– le disse, cercando di tranquillizzarla e allargando
leggermente la ferita con due dita.
Se si fosse agitata avrebbe potuto danneggiare qualche terminazione
nervosa e
non sarebbe stato esattamente il massimo, dato che le braccia, alla
Prima
Tiratrice Scelta servivano eccome.
Andò
un po’ più affondo e
aveva quasi tolto quel sassolino maledetto, quando Kaithlyn
sussultò talmente
violentemente che quasi si spaventò, tanto da togliere
immediatamente le
pinzette dalla ferita e fare un passetto indietro, sorpreso e turbato.
La
sentì ansimare, poi lei
si girò verso di lui più pallida, sudata e
tremante di pochi attimi prima se
possibile. La fissò con le pinzette sollevate a
mezz’aria per un attimo che
parve eterno prima che lei si portasse una mano alla bocca e vomitasse
sul
pavimento.
Tossicchiò,
barcollante,
cercando di allontanarsi i capelli dal viso.
Eric
si avvicinò
repentinamente e gli scostò i riccioli scomposti dalla
faccia, mentre veniva
scossa da un altro conato.
Le
accarezzò la fronte,
mentre si rimetteva dritta, e le appoggiò una mano sul viso
per costringerla a
guardarlo. – Oh, ci sei? – chiese titubante,
accarezzandole una guancia e con l'altra mano la schiena, ogni
residuo di rabbia svanito nel nulla, dissolto.
Gli
occhi di Kaithlyn
vagarono persi per alcuni attimi sul suo viso, prima che la sentisse
accasciarsi
sul suo petto.
La
afferrò da sotto le braccia,
passandole una mano sotto le gambe, e la trasportò
sul divano in
stato di semi incoscienza.
-
Che c’è? Che ti senti? –
domandò preoccupato, mentre la depositava sul divano e le
accarezzava un braccio. Si tolse la felpa e gliela mise sopra, indeciso
sul da farsi.
Se
aveva toccato un nervo,
prima di fare danni, era meglio portarla al pronto soccorso. Tutta la
carriera
di Kaithlyn si basava sulle braccia, era una Tiratrice!
S’inginocchiò
accanto al
divano, in difficoltà. – Kath? – la
chiamò, con voce tremante. – Piccola, mi
senti? – le mormorò, accarezzandole una guancia
esangue.
Le
scostò i capelli dalla
faccia e andò a prendere un fazzoletto per pulirle le
labbra.
Kaithlyn
socchiuse appena
gli occhi mentre le passava con delicatezza il tovagliolino sulla
bocca. – Ehi.
– mormorò, gettandolo sul tavolo e concentrandosi
su di lei. – Ti porto al
pronto soccorso prima di fare danni. – le comunicò
facendo per alzarsi.
Kaithlyn
girò la testa verso
il soffitto, seguendolo con gli occhi. – No… -
mormorò. Portandosi una mano
sulla fronte e coprendosi gli occhi.
La
guardò mettersi a sedere
e stringersi la felpa sul seno mentre si guardava intorno spaesata.
– Mi viene
da vomitare. – disse con voce arrochita e debole, strozzata.
Storse appena la bocca. – Hai bevuto? – chiese, piano.
Si sentiva un'idiota a esercitare tanta premura, ma non era il suo problema principale in quel momento.
Lei
annuì e puntellando i
gomiti sulle ginocchia si prese la testa ciondolante tra le mani.
Eric
le sfiorò una spalla. –
Aspetta qui, torno subito. – brontolò infine,
prima di dirigersi quasi di corsa
verso la camera della ragazza.
Spalancò
l’armadio con
violenza e ne ispezionò il contenuto alla ricerca di un
borsone. Ne trovò uno
in fondo all’armadio, in basso.
Era
nero e con diverse
tasche e sembrava contenere qualcosa di morbido e non eccessivamente
pesante.
Lo
afferrò bruscamente,
esattamente come aveva fatto con la sua vecchia sacca che teneva sotto
il letto,
e lo svuotò sul materasso con poca delicatezza.
All’interno
c’era una
maglietta smanicata di colore azzurro,
con l’orlo intorno ai buchi per le braccia lavorato e uno
scollo a cuore non troppo profondo,
una paio di jeans e un
paio di scarpe da ginnastica basse di un azzurro un po’
più chiaro della
maglietta.
Guardò
sotto le scarpe, per
curiosità. Trentasei.
Quella
nana aveva dieci
numeri in meno di lui e pesava la metà. Come diamine faceva
a creargli tutti quei problemi?
Era
certo che quelli fossero
i vestiti del suo Giorno della Scelta. Doveva essere carina vestita
così ed era
sicuro che gli sarebbe piaciuta anche tra i Lassi.
Svuotò
anche le tasche,
trovando un fermaglio e un paio di foto dell’iniziazione, che
raccolse e mise
sul comodino senza prestarci troppa attenzione.
Se
non fosse stato tanto
nervoso e, doveva ammetterlo, preoccupato, avrebbe curiosato un
po’ di più ma
prima portava Kaithlyn al pronto soccorso, prima si sarebbe calmano. Il
pensiero di averle rovinato la carriera, seppur involontariamente, lo
stava
facendo impazzire.
Altro
che Jeanine, quella
ragazza lo avrebbe ucciso con molto meno di qualche incarico
pericoloso. Sarebbe
passato alla storia come il più giovane Capofazione
Intrepido morto d’infarto
della storia.
Fece
una smorfia. Era colpa sua se stava male.
Se qualcosa fosse andato storto, l’avrebbe odiato per sempre
e avrebbe avuto
anche ragione a farlo.
Scacciò
quel pensiero con
stizza, mentre cercava nei cassetti della biancheria pulita, un pigiama
e un
cambio di vestiti.
Afferrò
senza pensarci
troppo una maglietta rossa con delle scritte rockeggianti e un paio di
jeans
scuri come cambio. Le scarpe le avrebbe avute addosso.
Non
sapeva bene cosa,
esattamente, tra i miliardi di cose che teneva in bagno le fosse
indispensabile. Prese una bustina di plastica trasparente, quella che
teneva
nella borsa da allenamento e ci infilò dentro lo spazzolino
da denti, il
dentifricio e una spazzola ma non gli venne in mente
nient’altro che potesse
esserle utile.
Uscì
dal bagno, agitato, ma tornò
indietro quasi subito per
prendere anche
il suo spazzolino, nel caso fosse necessario rimanere in ospedale per
qualche
ragione; non l’avrebbe lasciata lì da sola neanche
se fosse andata a fuoco la
Residenza degli Intrepidi.
Avrebbe
cotto i pop-corn sul
Pozzo in fiamme, piuttosto. Dal soffitto in vetro.
Tornò
a passo svelto verso
l’ingresso ed estrasse dal suo borsone un cambio anche per
sé.
Bene,
era tutto pronto…peccato
mancasse all’appello l’oggetto dei suoi problemi,
costatò guardandosi intorno.
L’aveva
lasciata su divano,
semidistesa e ancora dolorante, ma né lei né i
vestiti che le aveva tolto erano
nell’ingresso.
Merda.
Dove
diavolo era finita?
-
Sono in cucina. – la sentì
mormorare, con lo stesso tono cui si sarebbe rivolta a
un’idiota. E forse era
veramente così che lo vedeva e in quel momento non poteva
neanche darle tutti i
torti. Era un maledetto coglione.
La
trovò di spalle, intenta
a scrivere con la mano sinistra qualcosa su un foglietto.
Si
sporse oltre la sua
spalla, i suoi vestiti ancora in mano. –
Cos’è? – chiese osservando il
contenuto del bigliettino.
-
Lascio un bigliettino a quell’altro.
– mormorò, prima di posare
la penna sul tavolo con un ticchettio. Si massaggiò il
braccio destro, con una
smorfia.
Eric
aggrottò le
sopracciglia. – Perché scrivi con la sinistra?
– chiese, anche se non era
sicuro di voler sapere la risposta.
Kaithlyn
si voltò verso di
lui e lo guardò mogia. Tirò per un attimo su un
angolo della bocca. – Ho un po’
di atrofia muscolare al braccio destro. – mormorò,
abbassando gli occhi e dirigendosi
verso il soggiorno. - È indolenzito, credo. –
aggiunse aprendo e chiudendo la
mano.
Era
ancora pallidissima e
sudata, ma almeno camminava sulle sue gambe.
La
seguì fino al soggiorno,
dove aspettò che s’infilasse le scarpe. - Vuoi
cambiarti il sopra? – le chiese.
Non aveva pensato a prenderle un’altra maglietta.
Kaithlyn
alzò gli occhi su
di lui e lo fissò per un secondo prima di annuire con la
testa.
Seguì
Eric con gli occhi
mentre spariva nell’altra stanza prima di passarsi una mano
tra i capelli.
Sentiva ancora lo stomaco sottosopra e le pulsava la testa. Forse non
avrebbe
dovuto bere tutti quei drink, ma si stava divertendo e in genere era in
grado
di regolarsi senza troppi problemi.
Stupida.
Il
braccio ogni tanto
perdeva sensibilità e lo sentiva debole, privo di forze.
Nonostante stesse
cercando di tranquillizzarsi era preoccupata: se si fosse lesionata
seriamente
il nervo soprascapolare sarebbe stato un ben guaio. Non solo avrebbe
dovuto
operarsi, ma avrebbe avuto davanti a sé minimo un paio di
lunghi mesi di
riabilitazione e non ne aveva nessuna voglia.
Sentiva
ancora gola il
retrogusto disgustoso di poco prima, quando aveva vomitato, e quella
sensazione
le fece tornare la nausea.
Avrebbe
dovuto restarsene in
disparte e farsi gli affaracci suoi anziché insistere quando
era evidente che
non fosse il momento opportuno per discutere. Era stata stupida e
impulsiva;
un’Intrepida modello, in parole povere. Non aveva pensato,
non aveva ragionato
sulle conseguenze delle sue azioni, sul fatto che avvicinandosi a lui
in una
situazione del genere, per di più provocandolo –
ancora – non avrebbe potuto
ottenere che una reazione violenta e negativa. Soprattutto dopo la
mattinata,
anche se ormai sembrava lontana anni luce.
Si
rese conto di aver chiuso
gli occhi quanto si sentì toccare appena una spalla.
Guardò nella direzione di
Eric, osservando la maglietta rosso scuro che le aveva portato insieme
a
un’altra felpa.
Pantaloni
grigi, maglia
rossa, felpa e scarpe nere. Davvero un fiorellino, con la faccia che si
ritrovava in quel momento.
Afferrò
l’indumento senza
ringraziare e si cambiò rapidamente, sfilando prima la parte
del corpo sana e
la testa e poi il resto.
L’atmosfera
era ancora
carica di tensione, e l’espressione vagamente preoccupata di
Eric non aiutava
la situazione.
-
Dai… - la incoraggiò Eric,
posandole una mano sulla schiena e accompagnandola alla porta.
In
quel momento, il portone
si aprì rivelando Jason sull’uscio con la mano
alzata a mezz’aria.
Aveva
gli occhi umidi di
lacrime – di nuovo – ma non appena la vide
spalancò gli occhi verdi e la fissò
stranito, alternando lo sguardo da lei ad Eric che si era quasi
automaticamente
irrigidito.
-
Che succede qui? -.
Rieccomi,
purtroppo per voi non vi libererete mai di me.
Vi
chiedo scusa per il ritardo clamoroso, ma sono stata
straimpegnata con l’Università e lo sono ancora,
ma non potevo non aggiornare.
Inizialmente
ero partita con un’idea del tutto diversa,
ma poi mi è venuto in mente questo sviluppo e non ho
resistito alla tentazione.
Voglio dire, l’idea originale era sicuramente più
assennata di questa e filava
tutto… non potevo non complicare
la vita
sia a me che ai miei personaggi, vi pare?
Voi
che ne pensate? Vi piace? Cosa vi aspettavate? Opinioni
o idee sul futuro?
Eric
vi sembra un budino di riso o ha avuto una reazione
“comprensibile”?
Mi
rendo conto che sia un “pelino” più
bipolare del
solito in questo capitolo ma cos’altro potrebbe fare?
È pur sempre Eric! In
questo capitolo Kath non si fa sentire, ma lo farà
prossimamente!
Forse
sto un po’ esagerato con le conseguenze di una
banale – per Kath ed Eric è quasi come darsi il
“buongiorno”, se non si mandano
al diavolo la giornata non inizia! – discussione, ma
stranamente mi piace!
Come
sempre ringrazio Kaimy_11
(il momento in cui Kath si comporterà
“bene” arriverà, te lo
prometto… ed arriverà anche tu-sai-chi!) e Alex001 per le
recensioni. Lasciatevelo dire, per leggere quel capitolo lunghissimo vi
meritereste una medaglia al valore!
Come
al solito vi lascio anche l’indirizzo, a chi
interessa, della mia pagina facebook.
Link à
https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/?fref=ts
Alla
prossima, aspetto i vostri commenti!