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Autore: Barbara Baumgarten    01/11/2015    1 recensioni
Mi sono sempre chiesta come sarebbe stato Twilight se a parlare fosse stato Edward. Ecoo che, allora, ho deciso di ripercorrere l'intera vicenda con gli occhi del vampiro.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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I have nothing left to lose
You took your time to choose
Then we told each other
With no trace of fear that...

 

Muse, Neutron Star Collision

 

 

Entrarono nel ristorante, notando come fosse poco affollato. Sebbene venne loro offerto un tavolo nella sala principale, Edward chiese alla maître di avere un posto più appartato. Aveva la sensazione che il rapporto fra loro fosse vicino ad una svolta: dopotutto, non avrebbe potuto glissare le domande della ragazza ancora per molto. Così, Edward si stava preparando, psicologicamente, a rispondere delle sue azioni. Voleva essere sincero, non per una questione etica ma per se stesso: mentire era diventata una seconda natura, per lui come per la sua famiglia, che lo portava sul limite del crollo. Non era facile recitare, essere qualcuno di diverso da ciò che era e sperava di poter calare la maschera, almeno con Bella.

“Come stai?” le chiese, preoccupato.

“Bene” rispose Bella, quasi sorpresa dalla domanda.

“Non ti senti scossa, con la nausea, infreddolita?”. Ovviamente, Edward cercava di tirare ad indovinare lo stato d’animo della ragazza, procedendo più per logica che per esperienza personale.

“Dovrei?” chiese candidamente, tanto da far sorridere Edward. Per quanto lui provasse a prevedere i pensieri di lei, la verità lo divertiva ogni volta.

“In realtà, sto ancora aspettando che tu cada in uno stato di shock” sembrò dire più a se stesso.

“Davvero, non sono turbata” cercò di consolarlo “Quando sono con te mi sento… al sicuro”

Quelle parole lo lasciarono senza fiato. Lei era seduta in un ristorante, lontana da casa, in compagnia di un vampiro e si sentiva al sicuro? In quel momento, Edward realizzò una cosa molto importante: non solo lui non era stato in grado di mantenere le distanze, ma la situazione era decisamente fuori controllo. Non si trattava più di essere o meno sinceri. Si trattava del legame che li univa. Velocemente, ripercorse gli attimi che lo avevano portato in quel ristorante, a quel momento. Lui non avrebbe potuto rimanere distante da Bella, nemmeno se lo avesse voluto, perché le cose si fanno in due e lei provava le stesse sensazioni che sentiva lui. Bella lesse l’espressione di Edward e cercò di fare ciò che lui faceva sempre: leggere nella mente.

“Di solito quando hai gli occhi chiari sei di buon’umore” disse, quasi delusa dalla sua reazione.

“Cosa?”, Edward non riusciva a capire dove volesse arrivare.

“Quando sono scuri sei intrattabile, almeno così mi sembra. Ho una teoria” disse velocemente, guardando il piatto di ravioli fumante che le era stato appena portato. Un’altra teoria… Edward sapeva che erano arrivati al punto che più temeva.

“Ti sei ispirata ancora ai fumetti?” la schernì dolcemente.

“Beh, no ma non è nemmeno un’invenzione mia”

Male, molto male. Bella doveva aver parlato con qualcuno, ma chi? E soprattutto quando? Poi, d’un tratto gli venne in mente l’unico momento nel quale non era stato sufficientemente vicino a lei per sapere di cosa parlasse e con chi: La Push. Che avesse parlato con i Quileute?

“E…?” incalzarla senza sbilanciarsi fu l’unica cosa che gli venne da fare,

“Ti dirò tutto in macchina, se…” parve pensare a qualche merce di scambio “… se risponderai ad alcune mie domande”.

Improvvisamente, Edward provò paura. Aveva desiderato quel momento da giorni, eppure trovarsi lì, davanti a lei, lo metteva in agitazione. Decise di far leva sul suo autocontrollo, portando avanti la conversazione in modo distaccato.

“Ovviamente” esordì con un elegante aplomb inglese e lei sembrò soddisfatta.

“Cosa sei venuto a fare a Port Angeles?”

Pensava, velocemente. Cosa poteva dire? Risposta numero uno: ho pensato di fare un salto in questa ridente cittadina. Poco credibile e lo sapeva. Risposta numero due: sapevo che saresti venuta e ho deciso di farti una sorpresa. Sicuramente più vicina alla verità e, tuttavia, avrebbe aperto un’altra valanga di domande. Come avrebbe spiegato il fatto che fosse a conoscenza dei progetti di lei? Ovunque cercasse di andare, trovava solo risposte insensate o pericolose.

“Prossima domanda” disse, freddamente, come se fosse un ordine.

“Ma questa era la più facile” replicò lei. Non c’era nulla di facile, quella sera. Tanto valeva capire fin dove Bella avesse voluto spingersi.

“Come hai fatto a trovarmi?”. In effetti, la domanda precedente era più facile. Bella lesse la difficoltà nella sua espressione e si affrettò a sciogliere la tensione.

“Mettiamo che qualcuno riesca… per così dire a leggere nella mente delle persone… con qualche eccezione”

Edward apprezzò molto quell’aiuto. Mettere tutta la storia sotto l’ottica del “mettiamo che”, rendeva più facile la discussione.

“Una sola eccezione” precisò e lei sorrise.

“Come funziona? Che limiti ci sono? Come può quel... qualcuno... trovare una persona nel posto e nel momento giusto? Come fa ad accorgersi che è in pericolo?”

“Solo per ipotesi, giusto?”

“Certamente”

Be', se... quel qualcuno...”.

“Chiamiamolo Joe”, suggerì Bella e strappando un altro sorriso al vampiro.

“Vada per Joe… Se Joe avesse fatto attenzione, non sarebbe stato necessario essere tanto tempestivi. Solo tu sei capace di cacciarti nei guai in una città così piccola. Sai” continuò fra il divertito e il rimprovero “eri sul punto di rovinare un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità”.

Bella sembrò punta dalle sue dichiarazioni. Edward adorava quel lampo che le illuminava lo sguardo quando era irritata e, provocarlo, diventava una piacevole tentazione.

“Stavamo parlando di una situazione ipotetica” lo corresse lei e lui rise, sonoramente. Era incredibile come

Bella riuscisse, sempre, a togliere il malumore dal suo animo.

“Come facevi a saperlo?”. La domanda era lecita ed Edward lo sapeva. Un tormento interiore, grande quanto una montagna da scalare, oscurò il suo sguardo. Non poteva scappare, lo sapeva, e non aveva scelta alcuna: avrebbe dovuto, finalmente aprirsi. Ma dischiudersi dal bozzolo che lo aveva sempre contenuto non era così facile come aveva pensato. Doveva fidarsi di Bella, doveva credere che i suoi sentimenti fossero reali: in quel preciso istante, Edward si giocava tutto.

“Ti ho seguita fino a Port Angeles», confessò, parlando in fretta. «Non ho mai tentato di salvare la vita a una singola persona prima d'ora, ed è un'impresa molto più fastidiosa di quanto credessi. Ma probabilmente dipende anche da te. Le persone normali riescono a tornare a casa ogni sera senza scatenare tante catastrofi”. Il peso che lo tormentava si allegerì nell’istante stesso in cui cominciò a parlare sinceramente con lei.

“Hai mai pensato che forse la mia ora doveva suonare già la prima volta, con l'incidente del furgoncino, e che tu hai di fatto interferito con il destino?”

“Quella non era la prima volta. La tua ora è suonata quando ti ho conosciuta”. Fare quell’affermazione gli costò molta fatica. In effetti, essere se stesso implicava ammettere il pericolo che lui rappresentava per lei e, sebbene avesse cercato in tutti quei giorni di tenerla lontana dicendole che lui non era la persona giusta da frequentare, in quel momento le stava dicendo anche il motivo. Una ragione della quale non avrebbe mai smesso di vergognarsi.

“Giravo senza una meta precisa, alla ricerca di te. Poi ho sentito quello che pensavano… ho visto il tuo volto nelle loro menti”. Era un fiume in piena: la sincerità aveva rotto gli argini e ora non c’era più nulla a trattenere la verità.

“È stato molto... difficile - tu non puoi immaginare quanto - limitarmi a portare via te e risparmiare loro... la vita. Avrei potuto lasciarti rientrare assieme a Jessica e Angela, ma temevo che se fossi rimasto solo sarei tornato a cercarli”.

Cercò di scrutare lo sguardo di lei: aveva paura? Aveva compreso le sue parole? Stranamente, o forse no, non vide terrore né insicurezza. Bella lo guardava con affetto e curiosità. Qualcosa si ruppe, in lui, quella sera: la convinzione di essere un mostro degno di commiserazione, lasciò il posto al ragazzo che poteva essere amato. Sarebbe stato sempre grato a Dio per l’occasione che gli era stata offerta, indipendentemente da come sarebbe andata a finire. Edward sapeva che stava per arrivare il momento della confessione estrema: dichiarar a Bella la sua vera natura. Aveva paura, certo, ma era anche convinto che lei lo avrebbe capito e non rifiutato. Dopotutto, Bella aveva avuto più di un’occasione per stargli lontano e non lo aveva fatto e, ormai, Edward era convinto che nulla lo avrebbe separato da lei.

Uscirono dal ristorante e si diressero verso la Volvo. Edward le aprì la portiera -uno di quei gesti che lo piazzavano in un altro secolo- e, una volta salito, accese il riscaldamento dell’auto al massimo, per permettere a Bella di scaldarsi.

Come sempre, fu lei a rompere il silenzio. “Come fai a leggere nel pensiero? È una dote solo tua o anche i tuoi fratelli…”

“Una domanda per volta, no?” disse sorridendo e li abbassò lo sguardo. Era curiosa e desiderava conoscere ogni cosa, ma Edward aveva bisogno di tempo per rispondere.

“Non so come funzioni, Bella, ci riesco e basta. Però devo essere vicino alla persona che cerco di leggere a meno che la sua voce non mi sia famigliare, ma comunque non più di un paio di chilometri. Per la seconda domanda, la risposta è no: io sono il solo ad avere questa capacità”

“Secondo te perché non riesci a sentirmi?”

“Non lo so. Il mio sospetto è che la tua mente funzioni in modo diverso dalla e altre. È come se tu trasmettessi in AM e io potessi ricevere solo in FM” disse, divertito dalla metafora. In effetti, quell’idea gli era venuta da qualche giorno, mentre s’interrogava per l’ennesima volta su Bella. Non gli era mai capitato di fallire nel dono e, quindi, la soluzione più ovvia, era che lei avesse un meccanismo diverso.

“La mia mente non funziona come dovrebbe? Quindi sono una specie di mostro?” chiese, allarmata. Edward trovò la cosa davvero esilarante: lei pensava di essere un mostro!

“Io leggo nei pensieri e tu credi di essere un mostro?” non riusciva a trattenere le risa. “Comunque, stai tranquilla, è solo una mia teoria… il che ci riporta a te”

Lei si morse un labbro, evidentemente imbarazzata.

“Non riderò, promesso”

“In realtà non ho paura che tu riderai ma che ti arrabbierai con me”

“E’ così brutta?”

“Non so da dove cominciare…”

“Comincia dall’inizio” la incoraggiò, dolcemente “Hai detto che questa teoria non è farina del tuo sacco… a cosa ti sei ispirata? Un film, un libro…”

“No… è stato sabato alla spiaggia. Ho incontrato un vecchio amico, Jacob Black. Suo padre è un anziano Quileute. Abbiamo fatto una passeggiata e lui mi ha raccontato alcune storie sulla sua tribu…” si bloccò, timorosa.

“Continua…” ormai non c’era più nulla da temere, per Edward, anche se l’idea che un Quileute le avesse rivelato della sua famiglia lo irritava.

“… e ha parlato dei vampiri, facendo riferimento alla tua famiglia. Così ho fatto qualche ricerca su internet”

“Hai risolto i tuoi dubbi?”

“No, per lo più si trattava di sciocchezze e ho deciso che non mi interessa”. Questo lo sconcertava.

“Come non ti interessa?” chiese, sbalordito “Non ti interessa sapere se sono un mostro?”

“No, ma sono curiosa” disse candidamente.

“Cosa vuoi sapere?”

“Quanti anni hai?” la domanda più banale del mondo, eppure la più diretta.

“Diciassette” rispose, sorridendo.

“E da quanto tempo hai diciassette anni?”

Lui guardò fuori dal finestrino. “Da un po’”

“non ridere se te lo chiedo ma… come fate ad uscire di casa quando è giorno? Non vi sciogliete?”. Edward rise a quell’affermazione. Era incredibile la quantità di bugie che circolavano sui vampiri. Quella che, tuttavia, l’aveva sempre divertito era la convinzione che l’aglio li tenesse lontani.

“Leggende” disse, scuotendo leggermente la testa “Ma non mi hai ancora fatto la domanda più importante: di cosa ci nutriamo?”

Lei ebbe un impercettibile fremito, a quella domanda. Dopotutto, lui stava davvero diventando un vampiro a suoi occhi.

“Beh Jacob mi ha detto che voi non uccidete gli esseri umani… che andate a caccia. È vero?”

“Si, in un certo senso è così. Vedi, Bella, non è facile stare lontani dal sangue umano, ma noi cerchiamo di farcela. Scherzando fra noi, ci definiamo vegetariani: il sangue animale è un po’ come il tofu, ti mantiene in forze ma non è mai pienamente soddisfacente”

“Adesso, però hai fame” gli disse, convinta.

“Cosa te lo fa pensare?” era curioso di sapere cosa pensasse di lui, considerando che Bella aveva sempre la capacità di sorprenderlo.

“I tuoi occhi…ho notato che le persone tendono a diventare indisponenti, quando hanno fame”

“Ottima osservatrice” puntualizzò.

“Lo scorso week end sei andato a caccia con Emmett?”

“Si” ammise “perché dovevo, non perché volevo. Starti lontano mi provoca… ansia” confessò, senza guardarla negli occhi. Era difficile parlare dei propri sentimenti, soprattutto quando non sapeva nemmeno lui dicosa stesse parlando.

“Anche a me viene l’ansia” disse, sottovoce Bella. Questa era un’affermazione decisamente scomoda per Edward, nonostante il solo sentirla l’aveva reso il ragazzo più felice della Terra.

“Ho detto qualcosa che non va?” chiese lei preoccupata dall’espressione di Edwrad.

“Non capisci, Bella? Che io renda infelice me stesso è una cosa, ma che anche tu sia coinvolta è un altro paio di maniche. Bella… è pericoloso. Io sono pericoloso… ti prego, renditene conto”

“No” rispose Bella alla sua preghiera, con una fermezza che lo fece sorprendere. “Ti ho detto che non mi importa quello che sei. Ed è troppo tardi”

Edward era combattuto, fra il gioire per le parole di lei o dannarsi per il resto dell’esistenza. Ma le cose si fanno in due: avevano rotto gli schemi e si erano immischiati in qualcosa di molto più grande di loro. Eppure, per quanto il vampiro fosse dispiaciuto del fatto che Bella fosse, ormai, persa in una storia complicata, penso che fosse ora di lanciarsi in quel volo senza paracadute. Vivitela gli aveva detto Carlisle. E lui voleva farlo.

“Promettimi che domani ci sarai” gli disse Bella, non appena si rese conto che erano arrivati a casa.

“Te lo prometto” rispose di rimando, mentre la ragazza scendeva dall’auto.

“Ah, Bella?” la chiamò “Non andare nel bosco da sola, non sono l’unica cosa pericolosa in giro”

“Come vuoi”

 

Edward guidava veloce verso casa, pensando a quanto la sua vita fosse diversa. Credeva che non avrebbe mai conosciuto il significato della parola felicità, ma ora lo sapeva. Felicità. Bella.

 

   
 
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