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Autore: _Lightning_    05/11/2015    7 recensioni
Dal Capitolo 2, "Odio gli indifferenti": Il mio era un mondo dorato che mascherava qualcosa di molto più turpe di cui non volevo curarmi minimamente. Ero corazzato dietro l'indifferenza perché, tanto, non sarei stato io a subire i risultati del mio stesso lavoro. Mi sarei limitato a coglierne i frutti.
È facile parlare quando sei dalla parte sicura, quando il tuo punto di vista è l'unico che conosci.

Dopo Iron Man 3 troviamo un Tony diverso, cambiato dagli eventi nella mente e nel fisico, con una realtà del tutto nuova con la quale confrontarsi... e con una gran voglia di parlarne con qualcuno, meglio ancora se quel qualcuno è il suo migliore amico improvvisatosi controvoglia psicologo.
Non si parla però solo di Iron Man 3: si torna alle origini, al giorno in cui è nato Iron Man, alle scelte e alle decisioni che hanno portato Tony ad essere ciò che è adesso.
E tra un capitolo e l'altro qualche filosofo -e non- dice la sua.
[pre-Iron Man // Afghanistan // post-New York // Serie: Newborn]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bruce Banner, Tony Stark, Yinsen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Newborn'
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5

Do not go gentle into that goodnight

 

 

"Possono, perché credono di potere."

[Virgilio dall'Eneide]



"La cosa peggiore era il senso di frustrazione che aumentava giorno dopo giorno.
Ero considerato uno dei luminari del nuovo secolo, l'inventore più prolifico degli ultimi anni, un genio dalle mille idee. Eppure, solo allora mi sono reso conto che avevo passato dieci anni della mia vita adagiato sugli allori, e che l'unico lavoro manuale che avessi svolto era stato modificare le mie macchine sportive e costruire qualche robot per svago. Non riuscivo più a pensare. Era come se la mia mente si fosse ottenebrata all'improvviso, e dentro di me sapevo che la causa era la mia paura. Paura dell'umiliazione, del dolore, della morte, ma anche della vita e di tutto ciò che poteva ferirmi. Non riuscivo a contrastarla.
Ciò mi rendeva furioso."

 

*


Per l'ennesima volta, Tony inciampò sul terreno sconnesso e rischiò di cadere. Barcollò, stringendo la batteria al petto e sostenendosi affaticato alla parete rocciosa del tunnel. Subito la canna di un fucile premette contro la sua schiena incalzandolo a riprendere la marcia, accompagnata da un'esclamazione più simile a un latrato che a una voce. Forse, se avesse avuto la forza per parlare e camminare allo stesso tempo, avrebbe replicato con un qualche commento pungente, ma al momento le fitte al costato gli suggerivano di non creare ulteriori problemi e di risparmiare il fiato per quando avrebbe avuto qualcosa di sensato da dire.

Yinsen era stato cristallino, riguardo alle sue condizioni fisiche: poteva morire da un momento all'altro. Poteva solo evitare di procurarsi ulteriori acciacchi. Quindi non era il timore dei barbigli incastrati a pochi centimetri dal suo cuore a frenarlo – per quello non poteva fare nulla – ma la preoccupazione per la sua presunta costola incrinata. In realtà prima era semplicemente ammaccata, poi aveva avuto a ridire con una guardia riguardo al quantitativo di titanio necessario per il Jericho. La discussione si era fatta animata ed era stato il calcio robusto di un Kalašnikov a porvi un netto termine. A detta del dottore, se se la fosse rotta avrebbe gridato di dolore anche solo respirando, viste le condizioni generali pietose in cui versava suo torace. Aveva poi continuato a blaterare in termini medici volutamente incomprensibili riguardo a pleure, pericardi ed emorragie interne, fino a che Tony non si era lasciato strappare la riluttante promessa di evitare rappresaglie da quel momento in poi. A dir la verità, i suoi atti di ribellione si erano rarefatti spontaneamente nel corso dell'ultima settimana.

Lanciò un'occhiata astiosa alla guardia dietro di lui, ma riprese a camminare, sebbene con ostentata lentezza. Di tanto in tanto sentiva ancora il bisogno di ribadire quanto detestasse loro e la sua prigionia, ma aveva finito per convenire con Yinsen sul fatto che adottare un profilo più basso nella sua fase di convalescenza fosse la mossa più intelligente. Almeno finché non avesse elaborato un piano.

Senza preavviso gli venne calato in testa un cappuccio scuro. Il primo istinto fu quello di divincolarsi, ma si trattenne, anche se il cuore iniziò a martellargli nel petto in una morsa che riconobbe come quella familiare della paura. Una realizzazione improvvisa gli balenò in testa e si costrinse ad ignorarla: non aveva senso separarlo da Yinsen e portarlo fuori dalle grotte solo per ucciderlo – per un'esecuzione. Ciononostante si sentì gelare e le gambe si fecero più pesanti, perché sapeva perfettamente di essere in ritardo sulla tabella di marcia con la costruzione del missile e che non aveva a che fare con persone pazienti o tantomento civili.

La sua mente entrò in stallo. L'unico impulso che sentiva era quello di correre, ma sapeva che, se anche fosse riuscito a controllare le sue gambe pesanti come piombo, sarebbe stato freddato da una raffica di mitra. O peggio. Il barile, l'acqua torbida, i polmoni che spasimano in cerca d'aria dibattendosi nella sua gabbia toracica in fiamme. Deglutì, sentendosi sciogliere di terrore. La canna del fucile si staccò dalla sua schiena e un vuoto a precipizio gli rapptrappì lo stomaco, ma l'arma riprese a pungolarlo dopo pochi istanti. Continuò a camminare, come in trance.

Sarebbe arrivata, prima o poi. Quella pallottola in testa incombeva su di lui dal momento in cui si era svegliato, e non riusciva ancora a dissuadersi dal pensiero che fosse la via più breve per uscire di là. Anche se cercava di venire a patti con questa conclusione, un terrore cieco lo avvolgeva ogni volta che si soffermava su quella possibilità, ed era quello che gli intorpidiva la mente e gli paralizzava le membra e lo frenava dal ribellarsi, preferendo l'umiliazione alla morte.
Inciampò ancora, e stavolta scivolò su un ginocchio col fiato mozzo. Quanto in basso poteva cadere?

 

*


Dopo un tempo che gli parve infinito, la guardia lo arrestò bruscamente stringendogli la spalla in una morsa. Tony approfittò della pausa per sistemare meglio la batteria. Gli avevano legato le mani davanti a sé, incastrando il dispositivo tra le sue braccia, che adesso iniziavano a risentire del peso non indifferente. La strinse più forte in un abbraccio forzato. Perché usassero così tante precauzioni con un morto che camminava, rimaneva per lui un mistero.

I suoi occhi, anche se ormai indeboliti dai neon traballanti e dalle fioche lampade a petrolio, percepirono un lieve cambiamento di luminosità oltre lo spesso strato di juta del cappuccio. Un refolo d'aria calda gli sfiorò il viso, insinuandosi sotto il tessuto. Lo stavano portando fuori? Quasi inconsciamente accelerò il passo. L'ultima volta che aveva visto il sole sembrava mesi fa, mentre era riverso sulla sabbia del deserto con addosso un inutile giubbotto di kevlar, quando tutto ciò a cui riusciva a pensare era la foto che aveva scattato coi ragazzi della sua scorta poco prima di vederli ridotti a brandelli dalla sua bomba e le esplosioni delle raffiche a un soffio da lui e la sensazione di sentirsi squarciare il petto da un grappolo di scintille roventi e che non sarebbe stato così male morire lì sotto quel cielo troppo, assurdamente azzurro.

Capì di essere all'aperto quando sentì un piacevole tepore sulla pelle. La paura scomparve per qualche istante e sentì i muscoli rilassarsi per la prima volta dopo tanto tempo. L'idillio fu rotto dal solito mitra che lo incitava a camminare in mezzo alle vertebre e che poi gli si piantò dolorosamente e con intento sulla costola offesa. Si ritrasse istintivamente, ma si voltò a fronteggiare la guardia, pur non vendendola.

«Toglimi il cappuccio.»

La voce gli uscì quasi in un ringhio. Sapeva che da un momento all'altro si sarebbe trovato bocconi nella polvere, ma adesso sentiva le gambe più salde di quando brancolava nel buio delle grotte. Un aspro ordine risuonò nell'aria, e quando riconobbe la voce ogni briciolo di coraggio sembrò sgretolarsi dentro di lui. Si irrigidì, non osando girarsi verso l'uomo che sapeva essere alle sue spalle, a pochi passi da lui. Altre parole incomprensibili lo raggiunsero, ma quasi non le distinse oltre il sangue che gli rombava nelle orecchie.

Un paio di mani robuste lo afferrarono per le braccia e due uomini lo scortarono per una decina di metri, un po' trascinandolo, un po' sospingendolo. Lo inchiodarono di malagrazia su una sedia e solo allora gli strapparono il cappuccio dal volto. Il bagliore fu tale che sentì gli occhi riempirsi di lacrime e fu costretto a serrarli, accecato. Si arrischiò a socchiuderli e la luce lo ferì di nuovo, ma stavolta riuscì a distinguere ombre vaghe e distorte. Dopo vari battiti di palpebre, il mondo acquistò contorni più solidi. Il mondo in questione consisteva in sassi, sabbia, tende sparse e un crinale di roccia riarsa che circondava quello che sembrava un accampamento. Davanti a lui c'era un rozzo tavolo di ferro; un telo scuro sorretto da quattro pali lo schermava dal sole spietato del tardo pomeriggio afghano. Ovunque vedeva uomini armati. Ne contò più di una ventina e gli venne quasi da sorridere amaramente al pensiero delle discussioni interminabili sul numero di guardie che aveva avuto col dottore. Un'altro dettaglio avvilente era l'enorme quantità di casse recanti il marchio Stark Industries che vedeva stipate in ogni angolo.

Percepì un movimento al margine della sua visuale e si voltò di scatto, ritrovandosi a fissare l'uomo che più odiava al mondo che si era appena seduto di fronte a lui, osservandolo con un'espressione indecifrabile nei suoi acuti occhi d'onice. Tony deglutì, cercando di convincersi che essere ancora vivo a quel punto doveva essere un buon segno.

«Mi scuso per la brusca convocazione,» esordì il terrorista, con un accento marcato, e nonostante il tono fosse apertamente beffardo, non l'ombra di un sorriso incrinò il suo volto. «Ho pensato che fosse il momento di rivedere il nostro contratto lavorativo.»

Tony non sapeva se detestare più il suo tono di scherno o il fatto che si ostinasse a utilizzare un linguaggio da persone civili. L'ultima volta che avevano discusso di affari si era ritrovato con la testa in un barile pieno d'acqua ed era quasi affogato durante le trattative; non si sentiva molto in vena di ripetere l'esperienzaPer quanto si stesse sforzando di non dare troppo a vedere il suo nervosismo, sapeva di essere pallido come un cencio e non era sicuro che il tremito delle sue mani fosse così impercettibile. Per cercare di apparire disinvolto, si arrischiò a poggiare la pesante batteria sul tavolo, districando finalmente i polsi ancora legati e indolenziti, cerchiati di rosso. Non poté fare a meno di sobbalzare quando l'uomo posò una mano sul congegno, ma non fece altro che spostarlo di lato per evitare che fosse in mezzo a loro. Si maledisse per quella reazione; era sicuro che quel bastardo si stesse divertendo da matti. Sfuggì di nuovo il suo sguardo, lanciando occhiate suo malgrado incuriosite al resto del campo, annotando mentalmente la collocazione di esplosivi ed armi. Un solo colpo ben assestato e avrebbero fatto un bel botto, se solo...

«Cerchi una via di fuga, Stark?» l'altro troncò i suoi pensieri, riportando a sé la sua attenzione.

Una risposta pungente gli salì spontanea alle labbra, ma la soffocò. Doveva rimanere lucido, anche se sentirsi deridere a quel modo gli bruciava terribilmente.

«Hai il permesso di parlare,» aggiunse l'altro con condiscendenza, prendendo atto del suo insolito silenzio.

Tony si sentì avvampare per l'umiliazione, ma sapeva che una sola parola sbagliata poteva essere la sua condanna. Non raccolse la provocazione e diede invece voce a un pensiero che lo tormentava già da un po'.

«Cerco solo di capire quante delle mie armi siano finite qui.»

La voce gli tremò un poco, ma sperò che la scambiasse per rabbia e non per paura. Le due emozioni erano comunque intente ad accapigliarsi sulla sua lingua.

«Si può dire che le Stark Industries siano diventate il nostro fornitore ufficiale.,» rispose l'altro, sibillino.

Iniziò a tamburellare sul tavolo con le dita, come pensieroso. Tony non aveva bisogno di girarsi per sapere che un uomo armato con un suo mitra era due passi dietro di lui, pronto ad eseguire qualsiasi ordine gli venisse dato. Respirò a fondo, per quanto gli fu possibile. La pallottola sarebbe arrivata, prima o poi, non poteva impedirlo. Finalmente il terrorista ruppe quel ritmo snervante.

«Come procede il lavoro, Stark?»

Si impose di nuovo la calma.

"A meraviglia. Hai mai provato ad usare una saldatrice che rischia di esploderti in mano da un momento all'altro mentre provi a tenere una batteria fuori dalla portata delle scintille? Rende il lavoro molto più avvincente... a proposito, sai che esiste uno statuto dei lavoratori?"

«A rilento,» riuscì ad articolare, nel tono più piatto che gli riuscì, maledicendo la vena di sarcasmo che cercava sempre di emergere nei momenti meno opportuni.

L'altro finse un'espressione stupita.

«E perché mai?»

"Scegli la tua versione: perché avere un magnete nel petto che rischia di spegnersi da un momento all'altro potrebbe essere un impedimento non trascurabile o perché ordinare ai tuoi tirapiedi di picchiarmi un giorno sì e l'altro pure non è un buon incentivo per aumentare la mia produttività."

«Sto facendo quel che posso,» disse accennando rigidamente alla batteria.

Gestire i suoi pensieri si stava facendo più complesso e sperò di non scivolare in lapsus poco vantaggiosi.

«Stark, vorrei che tra noi parlassimo francamente.»

"Francamente, non vedo l'ora di ammazzarti."

«Hai avuto il tuo periodo di convalescenza,» gli fece notare. «Adesso mi aspetto che tu lavori a pieno ritmo.»

«Altrimenti?» stavoltà non riuscì ad evitare che la replica gli sfuggisse.

Il resto delle parole gli morì in gola. Che lo uccidessero pure, si ritrovò a pensare. Lo sguardo dell'altro uomo si fece improvvisamente gelido e pericoloso e già si aspettava di sentire un fucile premergli contro la nuca.

«Altrimenti dovrò dedurre che il dottor Ho stia avendo un'influenza negativa su di te.»

Tony sentì la bocca farsi improvvisamente secca come la sabbia che lo circondava. Ancora una volta, represse insulti e risposte amari come la bile, ma non provò nemmeno a stemperare lo sguardo astioso che rivolse al suo carceriere.

«Stai forse avendo qualche ripensamento riguardo al nostro accordo?» lo stuzzicò ancora l'altro, mellifluo.

Si sentì ribollire d'odio, ma il sentimento scemò quasi all'istante e con esso la sua rabbia. Nulla di tutto ciò l'avrebbe portato da qualche parte. Adesso riusciva a pensare più lucidamente: era come se il velo di nebbia si fosse squarciato e il suo cervello avesse ripreso lentamente a funzionare, metodico come un tempo. In quel momento non stava decidendo solo della propria vita, ma anche indirettamente di quella di Yinsen, dei suoi carcerieri e di tutti quelli che avevano e avrebbero sofferto a causa sua e delle sue armi. La sua mente tornò ai corpi straziati della sua scorta riversi nella polvere e alle cicatrici indelebili che segnavano quel Paese, che aveva volutamente ignorato al suo arrivo. Non aveva il diritto di morire. Era un lusso che non poteva concerdersi, e significava condannare altre persone innocenti con sé. Significava condannare Yinsen. E non importa quale piano di fuga avesse intenzione di ideare: tutti quanti, ogni singola versione includeva il liberare e portare con sé quel medico severo e dall'animo buono che gli aveva salvato la vita. A lui, Tony Stark, un ingrato che forse, per una volta in vita sua, avrebbe potuto non essere tale.

Batté le palpebre, schiarendosi la vista sfocata, doppia per l'ansia. Adesso doveva chinare il capo. Sarebbe stata la prima di molte altre volte, ma non l'avrebbe fatto per paura. Doveva aspettare, resistere, essere un po' meno Tony Stark. Infisse i suoi occhi accesi nei pozzi neri e inespressivi dell'altro uomo, che sembrava quasi sfidarlo a ribellarsi. Li abbassò con deliberata lentezza.

"Fanculo, voi, il Jericho e tutte le Stark Industries."

«Il missile sarà pronto in tre mesi,» mormorò senza quasi muovere le labbra.

«Ne hai già avuto uno di vacanza. Te ne concedo due.»

«Basterà,» replicò lui, atono: aveva raggiunto l'accordo che voleva.

L'altro si accorse del suo piccolo raggiro, e si sentì tenuto ad aggiungere, quasi in un sibilo:

«Se entro una settimana non vedo progressi evidenti, il dottore muore. E se ti rifiuti ancora di lavorare, ti stacco quella calamita e ti lascio ad agonizzare nel deserto.»

Tony si lasciò scorrere addosso quella minaccia, acqua fredda lungo la sua schiena, e si limitò ad annuire, toccando però inconsciamente il magnete nel suo sterno.

Il terrorista si alzò, segnando la fine del colloquio, e lui lo imitò senza aspettare il suo permesso, sorreggendosi al tavolo. Il suo sguardo si posò sulla batteria, fissandola con un misto di disgusto e rassegnazione mentre la prendeva di nuovo in braccio con fare protettivo. Il sole iniziava a tramontare e le rocce stavano assumendo sfumature rossastre e sanguigne. Si ritrovò a pensare ai tramonti  a picco sull'oceano a Villa Stark, ai quali aveva prestato sempre troppa poca attenzione. L'altro uomo sembrò leggergli nel pensiero.

«Costruisci il Jericho, e tra poco sarai a casa e potrai ricordare tutto ciò come una brutta avventura. Dacci solo ciò che vogliamo, e ti libereremo.»

"No, che non lo faremo," diceva però il suo sguardo di vipera, come quello del suo braccio destro qualche tempo prima.

Fece un brusco cenno alla guardia che l'aveva scortato fin laggiù e quella si portò alle sue spalle per portarlo di nuovo in cella. Lui lanciò un'ultima occhiata al suo carceriere e un sorriso amaro incrinò le sue labbra.

"No, che non lo farete."

Un cappuccio calò di nuovo sul suo volto tirato, celando i suoi occhi simili a braci morenti e cupe che si rifiutavano di spegnersi.

"Lo farò io."


 


 

Note Dell'Autrice:

Buonsalve, prodi lettori!
Sssì, sono in ritardo. L'università risucchia il mio tempo. E anche Dark Souls, ma chiudiamo la parentesi nerd.

La poesia di Thomas la lessi durante il liceo e me la sono ritrovata menzionata in Interstellar. È dunque anche un omaggio a quel film meraviglioso <3 
La frase di Virgilio, tratta dal Libro V dell'Eneide, si volge a una doppia interpretazione che trovo molto adatta al contesto; ovvero può essere intesa in senso positivo (forza di volontà) o negativo (abuso di potere) anche se il caro poeta la intendeva solo in quello positivo. Ma io fo' come voglio perché fregacazzi le licenze poetiche sono belle. C'è una presenza troppo massiccia di latini in queste pagine, ma il classico non ti molla più...

Sintesi: questo capitolo è RìBélLé!!11! Seriamente, il concetto espresso è molto basilare ma, mi piaceva l'idea che Tony avesse preso una posizione un po' più salda nel momento in cui si è reso conto che non si trattava solo di lui come individuo, ma che dalla sua morte sarebbe scaturita un'estesa serie di conseguenze. 
Chiudo il poema ringraziando i recensori dello scorso capitolo che, sorpresona, sono stati più di quanto mi aspettassi. Grazie a Kane0042, _Atlas_ e _Stark che hanno recensito lo scorso capitolo. Spargo cuori per voi <3 

On an (mostly) unrelated note: qualcuno nelle recensioni mi ha chiesto di Phoenix, la FF a quattro mani con la mia collega ___Moonray, e posso annunciare con certezza che verrà portata a compimento. Non so dire quando, potrebbero passare mesi come anni, ma sarà finita. Ma non voglio spammare qui, era un'info generale a chi fu seguace di quell'ammasso di angst.
Con ciò, mi dileguo.

до свидания (il Russo mi uccide e perseguita)

-Light-
   
 
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