Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldmackerel    06/11/2015    3 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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The 6th ward
CAPITOLO 26: Fortuna

0 mesi, 10 giorni

“Ehi!” borbottò Levi, mentre Eren gli strappava una sigaretta da bocca e la schiacciava contro la cornice della porta dove era poggiato lui, rendendola inutilizzabile.

Eren fece una mezza smorfia, con ancora in mano il mozzicone distrutto.

“Perché l’hai fatto? Qualcuno ha pagato soldi veri per quella,” lo aggredì Levi, afferrandogli la mano. Ma Eren lo allontanò con l’altro braccio, che era decisamente più lungo di quello dell’altro, e lo tenne effettivamente lontano. “Dammela!”

“Quindi l’hai presa a qualcuno?” chiese Eren dubbiosamente. “Hai rubato la sigaretta di qualcun altro?” Stava fissando Levi come un bambino che era stato sorpreso a fare qualcosa per cui non aveva avuto il permesso.

Fottuto moccioso.

“Ah, smettila. Era una sola,” mormorò Levi, ancora cercando di raggiungere l’altra mano di Eren. Adesso il ragazzo lo stava tenendo lontano con una mano sulla fronte, mentre lui tentava di divincolarsi da quell’ostacolo. “La smetteresti?” ringhiò.

Eren fece un sorrisetto. “No.”

Levi diede un colpo alla mano di Eren per spostarla dalla sua testa, e si allungò un’altra volta per la sigaretta, ma fu bloccato, di nuovo, dall’avambraccio di Eren, premuto con forza contro il suo petto. “Giuro su Dio che hai quattro secondi per ridarmela.”

A quel punto Eren non era più in grado di reprimere il sorriso che si stava facendo strada sui suoi lineamenti. “Che c’è Levi? Abbiamo le braccine un po’ corte?”

Levi non ne era certo, ma sospettava che gli fosse iniziato ad uscire vapore dalle narici. “Ti troverai steso a terra molto presto se non me la dai subito.” disse con un tono di voce pericolosamente calmo.

Eren stava cercando disperatamente di cercare di far tornare la sua espressione a qualcosa che rassomigliasse, almeno da lontano, ad uno sguardo serio. “Non credevo che fumare fosse uno dei tuoi modi per tagliare corto.” riuscì a dire, nonostante il suo modo di fare falsamente serio minacciava di crollare da un momento all’altro.

Gli occhi di Levi si spalancarono, mentre sentiva qualcosa scattargli nel cervello. In un ultimo disperato scatto, tentò di afferrare la sigaretta. Ma, di nuovo, fu trattenuto indietro dalle lunghe braccia di Eren.

“Che cosa c’è Levi?” chiese Eren, nascondendo un altro sorrisetto. “Mi sembra tu sia un po’ a corto di pazienza.” ridacchiò, incapace di non mostrare una stupida espressione di vittoria sulla sua stupidissima faccia.

“Sei fottutamente finito.”

Levi fece per dargli un pugno direttamente nello stomaco, ma Eren riuscì a schivarlo per pochissimo, correndo via per l’ospedale. Diamine no.

“Jaeger! Dammi quella fottutissima sigaretta o quando ti prenderò ti tirerò fuori l’intestino direttamente dalle fottute narici, e così dannatamente veloce che i tuoi nipoti andranno di corpo dal naso!” ruggì Levi, andandogli dietro a passi pesanti, lungo il corridoio.

Non si sarebbe ridotto a rincorrerlo, perché, differentemente dal moccioso, lui aveva una montagna di fottuto tempo per trovarlo. Però, dopo quasi venti minuti a setacciare l’ospedale, facendo cadere cartelle cliniche dalle mani di molte infermiere confuse, e continuando a sibilare una costante raffica di imprecazioni e alquanto creative minacce, la sua furia di ridusse ad un vago senso di irritazione, e si trovò a proseguire la ricerca solo perché non aveva veramente di meglio da fare, più che per vendetta. Il moccioso l’aveva sfiancato.

Un po’ di tempo dopo, Levi trovò Eren a riposarsi contro uno degli armadietti della stanza delle infermiere del reparto sei.

Ovvio.

Quello era l’ultimo posto in cui sarebbe andato a guardare. Non c’era da sorprendersi che Eren fosse lì.

“Ehi, big bird!” lo chiamò Levi, facendolo girare così in fretta da rischiare di cadere.

Eren sembrò considerare l’idea di fuggire di nuovo, ma si rilassò quando vide che Levi non sembrava più incazzato nero. “Certo che sei lento, vecchio.” ghignò.

Levi alzò gli occhi al cielo. “Sì, sì, ho capito: sono vecchio e basso. Ora dammi la fottuta sigaretta.” Stavolta allungò una mano, non facendo nessuna mossa per avvicinarsi ad Eren. Levi sapeva quando era inutile usare le maniere forti.

Sorridendo mestamente, Eren alzò le mani in segno di resa. “Scusa, ma l’ho buttata nel cestino.” disse, indicando il piccolo cestino della spazzatura dall’altra parte del corridoio.

Sospirando, Levi si lasciò cadere su uno degli alti sgabelli della sala infermiere, stanco di essere arrabbiato e ben poco volenteroso di iniziare a fare discussione. “Ah, come non detto.” mormorò.

“Ma se non fumi nemmeno,” osservò Eren. “Qual è il problema, vecchio mio?”

Levi fece spallucce. “Guarda che fumavo. E’ abbastanza difficile lavorare in un jazz bar negli anni novanta, senza fumare, ragazzo.” Si grattò la nuca distrattamente mentre davanti a suoi occhi si materializzavano immagini di bar annebbiati dal fumo, arredati con fare spiccolo. “Ma facendo l’infermiere è difficile dire alle persone di non fare cazzate che finiranno solo per ucciderli in anticipo, quando sei tu il primo a farle. Ho smesso il momento in cui ho iniziato a lavorare qui. E comunque non mi andava di morire di cancro ai polmoni.”

Ridacchiando, Eren annuì. “Sì, ma alla fine puoi anche non fumare per tutta la tua vita e finire comunque con il cervello in pappa, perché ti è caduto un martello in testa in cantiere, prima che sia arrivata la tua ora.”

“Credo sia tutta sfortuna, allora, no?” scherzò Levi.

Eren fece spallucce. “Non fino a quando ti succede qualcosa di veramente sciagurato. Le persone credono nella sfortuna solo quando non possono spiegare il motivo per cui qualcosa è successo. Se ti ammali di cancro dopo aver fumato un pacchetto al giorno per trent’anni, te la sei voluta, ma se ti ammali dopo essere stato attento alla salute per la tua intera vita, è sfortuna.”

Levi mugugnò qualcosa, ammettendo di trovarsi d’accordo.

“Ma non è sfortuna. Probabilmente è solo genetica, ma la sfortuna è più facile da accettare dell’inevitabilità, mi sembra di capire.”

Annuendo, Levi alzò un immaginario bicchiere in aria, in una finta celebrazione. “Vorrei brindarci su.”

Eren copiò il gesto, facendo toccare i bicchieri invisibili in un brindisi.

“Ma, ehi,” aggiunse, “Ci tocca quello che ci arriva nella vita. E’ inutile cercare un spiegazione, no?”

“Credo,” replicò Levi. “Quindi ora mi restituirai la sigaretta?”

“Solo se ti va di rovistare nella spazzatura.” sbottò Eren.

Facendo un sorrisetto, l’uomo fece spallucce. “Potrei provarci. Non pensavo che l’avessi veramente buttata.”

“Quella merda ti ucciderà, Levi.” Eren stava giocando distrattamente con la scatola dei termometri, con un vago sorriso in volto.

“Ma se non sono neanche vivo adesso, stronzo.”

Alzando lo sguardo dalla scatola dei termometri, Eren aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito alla vista di qualcosa al di là della testa di Levi. I suoi occhi si erano leggermente spalancati, mentre le sue sopracciglia erano praticamente sopra la sua testa.

Levi si girò per vedere un leggerissimo bagliore provenire dal corridoio, seguito da una sottile scia di fumo. Lui ed Eren si fiondarono fuori dalla saletta delle infermiere verso il cestino dove Eren aveva lasciato la sigaretta, per trovare un contenitore che ormai sembrava ospitare un piccolo inferno, ma che stava comunque producendo una quantità a dir poco ridicola di fumo.

“Che diavolo hai fatto?” sibilò Levi. “Così finirai per mandare a fuoco il fottuto ospedale, imbecille.”

Eren si stava quasi tirando i capelli dalla testa, in panico, e completamente incapace di fare pensieri coerenti. “Oh merda, merda, merda, merda, ho fatto una cazzata, l’ospedale va a fuoco, a fuoco! A fuoco! Dannazione, l’ho fatta grossa, merda, cristo, che facciamo? Ho fatto un casino, come? Levi fa qualcosa!” sbraitò in una successione veloce.

“L’estintore!” esclamò Levi, afferrando Eren per la collottola. “Abbiamo bisogno di un fottuto estintore, fottuto moccioso frignone!”

Eren riuscì a riprendere il controllo sulla sua colorata cantilena e indicò la fine del corridoio. “Credo che ce ne sia uno nella vecchia stanza di Connie.”

I due si precipitarono in fondo al corridoio, inciampando l’uno nell’altro per la fretta. Eren arrivò per primo alla cassetta in vetro che conteneva l’estintore, ma non era sicuro di come procedere. Quando Levi lo raggiunse, con un leggero fiatone, indicò il testo sul vetro. “Rompere il vetro in caso di emergenza,” lesse, cercando di normalizzare il respiro. “Dobbiamo rompere il vetro.”

“Con cosa?” chiese Eren come un pazzo. “Non c’è niente con cui romperlo!” Dopo aver girato su sé stesso, tentando senza successo di trovare qualcosa con cui rompere il vetro, ritornò a guardare Levi. “Quindi, dovresti solo, tirare un pugno o qualcosa?”

“Un pugno?” ripeté Levi impassibile. “Mi romperei la fottuta mano.”

Eren alzò le mani, mentre si diffondeva di nuovo il panico tra loro. “Non hai nemmeno una forma corporea – sei come… sei un fottuto fantasma, Levi! Non è che tu possa farti male o altro. Dai un pugno al fottuto vetro, andrà tutto bene.”

Il ragazzo non aveva tutti i torti.

Levi si prese un momento per prendere coraggio prima di puntare il braccio all’indietro e lanciare il pugno attraverso il vetro. Ah, bene.

Faceva male da morire.

Così ritirò il braccio in uno scatto dalla jungla di vetri rotti che aveva causato, fissando la massa sanguinante che fino ad attimo prima era stata la sua mano.

Gli occhi di Eren erano talmente spalancati che sembrava gli sarebbero usciti dalle orbite da un momento all’altro. Ma Levi realizzò che probabilmente i suoi non lo erano meno.

Il lungo singhiozzo di panico che emise Eren iniziò quasi silenziosamente, per poi alzarsi di tono, come il canto di una sirena, raggiungendo la massima frequenza quando Levi gli agitò la propria mano sanguinante davanti la faccia. “Tu fottuto stronzo!” ringhiò, facendo finire goccioline di sangue sulla maglietta di Eren. “Hai detto che i fantasmi non possono farsi male.” balbettò, continuando a far volteggiare in aria la sua mano ferita.

Eren si stava strappando di nuovo i capelli, nel tentativo di non vomitare. “Che cosa ne potevo sapere? Oh, merda, oh merda, oh merda,” cantilenò, visibilmente indeciso tra l’esprimere preoccupazione per la mano di Levi e la sua incapacità di guardare effettivamente l’arto sanguinante. “Prima ho fatto andare a fuoco l’ospedale, e ora ti ho fatto staccare una mano!”

“Non mi si è staccata la mano,” rispose Levi, cercando di controllare il panico nella sua voce. Non era poi così convinto di non essersi amputato la mano. “Perché diavolo ascolto le tue cazzate in situazioni di merda come questa? Gesù Cristo dannazione, Eren, smettila di urlare. Prendi il fottuto estintore e spegni il fuoco prima che moriremo tutti in questo ospedale del cazzo.”

Eren riprese il controllo sul suo panico, e afferrò l’estintore dai rottami della cassetta in vetro, correndo via per spegnere il fuoco nel cestino dell’immondizia. Dopo essere rimasto impalato come uno stupido davanti alla cassetta rotta per un paio di momenti, controllandosi la mano sanguinante, Levi si diresse fuori per controllare che il moccioso fosse almeno capace di spegnere l'incendio. Dopo un paio di secondi, però, scattò l’allarme antincendio e lui gemette. “Fottutamente perfetto.” borbottò, camminando verso Eren.

Il fuoco, fortunatamente, era stato spento, ma il fumo aveva comunque fatto innescare l’allarme antincendio, quindi l’ospedale sarebbe stato evacuato nonostante le fiamme fossero stato già state domate. Levi ed Eren, comunque, non si preoccuparono, perché ormai sapevano che l’incendio era sotto controllo. Infatti, rimasero lì impalati, a fissare stupidamente il cestino della spazzatura incenerito, mentre dalla mano di Levi cadevano piccole gocce di sangue sul pavimento.

“L’ho fatta grossa.” annunciò Eren.

Levi annuì. “L’hai fatta grossa.” Poi si pulì la mano sulla maglietta di Eren, facendolo silenziosamente sentire in colpa.

Eren porse a Levi una nuova sigaretta e, senza dire nulla, l’uomo l’accettò.

Poi, rispose alla silenziosa domanda dell’altro. “Non credevi mica che uno che ha lavorato per anni in cantiere non abbia iniziato a fumare?”

“Tu, fottuto stronzo.” rispose Levi.

Rimasero lì in piedi per un altro po’, guardando il cestino finire di incenerirsi, fino a quando i vigili del fuoco non arrivarono a stimare i danni. A quel punto, Levi ed Eren si diressero in una delle stanze vuote del reparto sei, in modo che Levi potesse spiegare ad Eren come fasciargli la mano, mentre Eren falliva miseramente nell’impresa. Eren era un infermiere di merda. Alla fine aveva avvolto la mano di Levi come quando ci si mette le bende prima di una scazzottata, ma Levi non gli disse comunque nulla. Era sempre meglio di niente.

Dopo, i due si diressero fuori per fumare, godendosi silenziosamente tutta la luce naturale che il tramonto gli poteva concedere.

“Sei un ipocrita, Jaeger.” biascicò Levi.

Eren sorrise a trentadue denti, e lasciò cadere la cicca sull’asfalto, pestandola poi con il piede. “Sì, lo so.”

Levi fece un sorrisetto. “Quindi credi nella sfortuna? O scommetti su te stesso? Hai deciso di giocare alla roulette russa prima che fosse la vita stessa a farlo per te?”

“No, semplicemente ammazzo il tempo.”

Facendo un mugugno, Levi pestò la sua sigaretta. “Ah, quando ero giovane e stupido queste cose erano molto meglio. A quanto pare non mi mancano tanto quanto avrei detto.”

Eren fece spallucce. “Mi dispiace per la tua mano,”

Esaminando il proprio arto fasciato malamente, Levi sospirò. “Be’, perlomeno adesso non ti devi più preoccupare della possibilità che io prenda sul serio i tuoi consigli.”

“Già, perché tu prendi sempre le decisioni migliori.” borbottò Eren.

Levi sorrise alla sua mano. “Quale diavolo è il senso di essere un fantasma se puoi comunque distruggerti la fottuta mano? Vorrei proprio chiedere a Dio il motivo di questa cosa.”

“Fa male?” chiese Eren casualmente, sbriciolando distrattamente la sigaretta spenta con il piede.

Facendo una smorfia, Levi ci pensò su. “Sai cosa? Fa veramente male. Come diavolo è possibile una cosa del genere? Tutta la fisica dei fantasmi è completamente all’inverso. Non riesco a capirci nulla.”

Ridacchiando, Eren si sedette su uno dei gradini della prima rampa della scala di emergenza dell’ospedale, stendendo le gambe di fronte a sé. “Perlomeno non abbiamo bruciato l’ospedale.”

“Scusa un momento,” lo corresse Levi, sedendosi accanto al ragazzo, “Io non ho quasi bruciato un bel niente. Quello eri tu, moccioso.”

“Ne dubito,” rispose Eren, stendendosi all’indietro facendo leva sulle proprie braccia. “Sei tu quello che non avrebbe dovuto mettersi a fumare.”

“Ehi! Sei tu quello con una scorta segreta di sigarette.”

Eren gli lanciò uno sguardo fulminante. “Sì, ma sto morendo. Posso fare il diavolo che mi pare.”

“Ah, è così che funziona?” sbottò Levi.

Eren si inclinò leggermente verso Levi in modo da far toccare le loro spalle, in un gesto affettuoso che non dispiacque poi tanto all’altro. “E’ così che funziona.” confermò Eren.

“La mia mano fa male.” si lamentò Levi, allungando le dita.

“Allora non avresti dovuto dare un pugno ad un pezzo di vetro.” ghignò Eren.

Lanciando un’occhiataccia al ragazzo, Levi gli diede una gomitata amichevole – ma non forte abbastanza da annullare il contatto tra di loro. “E’ stata una tua brillante idea, cretino.”

Eren arrossì, con un sorrisetto malizioso sul volto. “Sì, ma tu sai che sono un imbecille e mi hai ascoltato comunque. Come chiami qualcuno che segue i consigli di uno stupido?”

“Uno stupido.” ammise Levi, con un sorrisino ad incurvargli le labbra.





0 mesi, 9 giorni

Levi osservò il piccolo albero di Giuda. Era sano, e aveva un aspetto fantastico.

“Te l’avevo detto che sarebbe sopravvissuto a tutti noi.” disse orgogliosamente, lanciando uno sguardo compiaciuto ad Eren.

Eren gli sorrise a trentadue denti. “E avevi ragione,” confermò. “Ma probabilmente solo perché siamo entrambi degli stupidi. Gli esseri non senzienti non si devono preoccupare di rischiare di buttare la propria vita all’aria.”

“Ma immagina quanto possa essere noioso vivere così,” rispose Levi con leggerezza. “Alla fine si è scoperto che mi diverto più ora che ho fatto un gran casino con la mia vita, che quando era tutto sotto controllo.”

“State confessando, signore, che vi siete veramente divertito in questi ultimi mesi?” lo prese in giro Eren.

Aguzzando gli occhi, Levi ritornò ad innaffiare l’albero. “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.”





0 mesi, 8 giorni

“Hai ancora paura di morire?” chiese Levi con fare casuale, senza sbagliare una nota del duetto jazz che stavano suonando insieme.

Eren si stava concentrando così tanto sul solo che stava tentando di migliorare, che non rispose per almeno un paio di cambi di corda. “Sì.” disse poi distrattamente.

“Ah.” fece Levi, cercando di interrompere il solo di Eren con qualcosa di impressionante.

Eren si oppose all’interruzione e smorzò il riff di Levi in maniera ancor più impressionante. Il dannato moccioso stava diventando troppo bravo. “E tu?”

Levi cercò ancora di rubare i riflettori ad Eren, stavolta riuscendoci. “Sì.”

Eren tornò a fargli da secondo, permettendo a Levi di continuare il suo solo. “Okay.”





0 mesi, 7 giorni

“Mi sveglieranno dal coma il tuo stesso giorno.”

Eren annuì dalla sua posizione al pianoforte, seduto sullo sgabello giusto al fianco di Levi. “Strana coincidenza.”

“Pensi ancora che un colpo di fortuna sia una cazzata impossibile?” Levi aveva permesso ad Eren di suonare un lento, ritmico solo jazz senza interruzioni, mentre lui si permetteva di fargli solo un sottofondo basso.

“Un colpo di fortuna non cambierà quello che succederà la settimana prossima,” disse semplicemente Eren. “O anche quali spiegazioni ci daremo dopo. Non è una causa, è una razionalizzazione.”

Levi mugugnò. “Sì, ma cosa nell’esistenza umana è veramente razionale?”

“Praticamente quasi nulla.” rise Eren.





0 mesi, 6 giorni

Levi era finalmente stato capace di suonare la sonata al chiaro di luna di Beethoven senza fare un disastro. Certa musica la dovevi proprio sentire per riuscire a suonarla. Per certe canzoni non puoi permetterti di fabbricare delle finte emozioni – devi effettivamente sentirti come se ti si stessero attorcigliando le budella intorno al cuore, e come se avessi polmoni così pieni di ansia che vorresti vomitare per riuscire a suonare qualcosa così bene. Levi avrebbe voluto non essere in grado di suonare così bene, quella sera.

“Perché stai facendo questa?” chiese Eren curiosamente, dopo che Levi aveva finito di suonare la sonata per quella che doveva essere almeno la sesta volta.

“Perché stasera ci riesco.” rispose semplicemente Levi.

“Sta venendo bene,” offrì Eren. “E’ divertente come io riesca a capire come ti senti solo quando sei davanti a quel dannato pianoforte.”

“Ti piacerebbe capirlo, ragazzo.” ridacchiò Levi, lasciando levitare le dita sopra la tastiera, non sicuro di cosa iniziare a suonare adesso.

“Hai davvero così tanta paura?” chiese Eren piano.

Levi si accigliò, prima di lanciarsi di nuovo nella sonata. “Tu no?”

“Sto cercando di non averla.”

Dopo un paio di momenti, Levi fece per aprire la bocca, ma la chiuse di nuovo.

Stupido.

Non lo dire.

Non fare lo stronzo.

“Mi potresti fare un favore?” chiese infine, con la musica melanconica a fargli da sottofondo.

Ah, vaffanculo. Tanto era comunque sempre uno stronzo.

“Forse.” rispose Eren con una certa prudenza.

“Mi potresti dire che non hai paura? Anche se ce l’hai? Potresti semplicemente dirmi che ti va bene qualsiasi cosa accada?”

Eren ci pensò per un tempo dolorosamente lungo.

Levi decise di chiarirsi. “Potresti semplicemente dirmi una bugia, ragazzo?”

Dopo un altro periodo di penoso silenzio, Eren rise leggermente, facendo svanire la tensione nell’aria. “Certo, Levi. Va tutto bene. Nessuna preoccupazione.”

“Bene. Anche per me,” mentì lui. “Ora chiudi la bocca e fammi finire di suonare la fottuta canzone.”

Eren abbassò gli occhi a tutta quell’ipocrisia, ma non fece nessuna protesta udibile.





0 mesi, 5 giorni

“Ti ricordi quando hai detto che le persone credono nella religione solo quando ne hanno bisogno? Dicesti che le persone sotto sotto sono tutte agnostiche, almeno fino a quando non succede qualcosa di abbastanza buono o cattivo che le spinge a credere che ci sia qualcuno che controlla tutto, o, piuttosto, che nulla possa essere controllato.”

Levi annuì, fissando l’antico salice piangente, che colpiva con i suoi rami cadenti la calma superficie dell’acqua ad ogni fruscio di vento. “Sì, mi sembra che è quello che ho detto.”

“Ora la cosa vale anche per te? Questa situazione è abbastanza cattiva da averti fatto fare un’opinione sull’intera faccenda?” Le mani di Eren erano nascoste nelle sue tasche, e i suoi occhi puntati su Levi in un’espressione di genuina curiosità.

“Credo di no,” disse Levi onestamente. “E tu?”

“Credo di no,” ripeté Eren. “E’ peggio credere in qualcosa di sbagliato, o non credere in nulla?”

Era una bella domanda. Levi non rispose subito, ma continuò ad osservare i rami candenti del vecchio salice accarezzare il laghetto a tratti, creando delle piccole increspature che danzavano sulla superficie dell’acqua, ma senza interrompere la tranquillità serale. “Credere non è qualcosa che può essere giudicata, secondo me,” rispose Levi prudentemente. “Nessuno sa cosa ti passa per la testa. Credo che dipenda tutto da cosa fai. Puoi essere giudicato solo sulle tue azioni reali.”

“Quindi devo credere in quello che diavolo mi pare, ma comportarmi nel modo che mi farà sentire più soddisfatto, alla fine?” Ora anche Eren si era messo a guardare il salice piangente.

“Non mi sembra così male.” confermò Levi, afferrando un sassolino e facendolo rimbalzare sulla superficie di quello che prima era uno specchio d’acqua calmo.

Eren annuì convinto. “Mi piace.” Poi prese anche lui un sassolino e si unì a Levi sulla riva del laghetto dove fece rimbalzare la pietra levigata con abilità. “In questi casi, quello in cui credo io sono solo affari miei. Neanche Dio o Budda o come diavolo lo si voglia chiamare mi può giudicare.”

“Puoi dirlo forte.” concordò Levi.





0 mesi, 4 giorni

“Cosa farai se ti svegli?”

Eren toccò la guancia del suo corpo reale, cercando onestamente di non sembrare scocciato. “Mangiare. Mangerò qualsiasi cosa.”

Levi sorrise, perché tanto Eren non poteva vederlo dalla sua posizione. “Nessuno ti ha mai detto che sei proprio poetico?”

“Vai a quel paese,” rispose Eren. “Il cibo dava praticamente un buon cinquanta percento di senso alla mia vita.”

“Come ti pare, ragazzo. Io mi farò una bel bicchiere di whiskey e una lunga dormita.”

Eren si girò per guardare Levi in faccia. “Mi unirò a te se mi sveglio.” disse con calore.

“Oh, wow,” rise Levi. “Non ti devo nemmeno far ubriacare prima di chiederti di venire a letto con me. Sono ancora meglio di quel che credessi.”

Aguzzando gli occhi, Eren gli lanciò uno sguardo di rimprovero. “Continua a sognare, vecchio. Ci sono per una dormita, non per del sesso celebrativo.”

“Vedremo,” lo prese in giro Levi. “E sentiamo, ora chi è il vecchio?”

Eren alzò gli occhi al cielo. “Sei pessimo.”





0 mesi, 3 giorni

“Vogliamo fare una scommessa?”

“Sulla mia vita?” chiese Eren dubbiosamente. “Vuoi puntare qualcosa sulla mia vita.”

Levi annuì.

“Ah, e va bene.” sospirò Eren. “Su cosa scommettiamo?”

“Scommetto il mio pianoforte che non ti sveglierai. Se ti svegli, è tutto tuo.” disse Levi seriosamente.

“E se non mi sveglio?” chiese Eren sospettosamente.

“Niente, ti sto solo dando un incentivo per svegliarti. Mostrami che non è tutta fortuna, che ne dici?” Levi guardò fisso negli occhi Eren, in una sfida silenziosa.

“Sei solo un vecchio.” disse Eren, stringendo la mano che Levi gli aveva offerto in una presa ferrea.





0 mesi, 2 giorni

Levi ed Eren era seduti schiena contro schiena, appoggiati l’uno all’altro mentre cercavano di mettere a posto delle vecchie bollette di Levi, tentando di dare un senso a tutta quella roba nel caso in cui il risveglio dell’uomo non fosse andato come previsto. Era un lavoro monotono, ma Eren lo stava aiutando senza lamentarsi.

“Quindi non abbiamo nessuna ultima dichiarazione sdolcinata da farci, vero?” chiese Levi con nonchalance, sfogliando alcune ricevute.

Eren rise. “No, io sono a posto. Le parole non fanno altro che screditare tutto. Ma ti posso chiamare stronzo un altro paio di volte, se proprio ti senti nostalgico.” aggiunse.

“Ah, ti prego fallo!” disse Levi con sarcasmo.

“Va bene allora: sei uno stronzo. Anche se, per qualche strana ragione, sono stranamente…” Poi si fermò. “Non riesco a trovare il termine giusto,” spiegò. “Qualcosa di non terribilmente cliché. Aiutami.”

Ci pensarono un momento entrambi, smettendo di rovistare tra i documenti. “Stanco di me?” offrì Levi scherzosamente.

“No, no, qualcosa di più positivo.” rispose Eren.

“Follemente innamorato di me?” ridacchiò Levi.

“Ora ti stai lusingando fin troppo,” disse Eren, mentre una risata faceva tradire la sua frecciatina. Dopo un altro paio di momenti di silenzio, Eren fece schioccare le dita. “Ah! Infatuato. Sono infatuato di te.”

Levi annuì. “Non male, non credevo avessi questo tipo di vocabolario.”

“Sono infatuato di te, stronzo.” rise Eren, tornando a frugare tra i documenti.

“Mmh,” borbottò Levi. “I gusti non si giudicano.”

“Vero, no?”





0 mesi, 1 giorno

“Anche io.” disse Levi all’improvviso.

Eren alzò lo sguardo dal pianoforte. “Eh?”

“Ho detto che anche io sono infatuato di te, moccioso. Non farmelo ripetere.”

Eren sorrise affettuosamente mentre fissava le sue dita che tentavano di suonare un pezzo di Bach. “Lo so.”

Levi aguzzò gli occhi, osservando la nuca di Eren. “Come lo sai?”

“Perché suoniamo il piano, e litighiamo, e ci arrabbiamo l’uno con l’altro, e facciamo un sacco di cazzate insieme, e riusciamo a non dirci una sola parola per ora a volte, ma alla fine è la stessa cosa che farsi una bella chiacchierata. Mi sembra abbastanza ovvio.”

“Sì,” disse Levi pensosamente. “Forse hai ragione.”




Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. Scusate se sono sempre un po' in ritardo, ma ero troppo in ansia per gli ultimi due capitoli (che sono uno lunghissimo e uno cortissimo) e diciamo che alla fine ho deciso di postare tutti e tre a intervalli regolari quindi mi sono presa due-tre giorni in più per iniziare a tradurre il prossimo xD (questo discorso avrà senso solo dopo che avrete letto il prossimo capitolo ma vabbè...). Siamo sempre più vicini alla fine, ma i lettori non stanno facendo che aumentare... grazie davvero a tutti quelli che ci supportano con i commenti o inserendo la storia tra le preferite/seguite/da ricordare. Al prossimo capitolo!
SULLA TRADUZIONE: Big Bird è uno dei pupazzi di Sesami street... e, come al solito, i miei errori di battitura sono sempre in agguato xD


   
 
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